Titolo:
When animals dream
Regia:
Jonas Alexander Amby
Anno: 2014
Paese: Danimarca
Giudizio: 3/5
Marie, single, giovane e bella, vive con i suoi genitori in
un remoto villaggio di pescatori sulla costa occidentale della Danimarca. Sua
madre è costretta su una sedia a rotelle e al silenzio a causa di una malattia
sconosciuta, un mistero familiare, questo, che il padre si rifiuta di spiegare
alla figlia. Ma presto la giovane sviluppa sintomi strani e mentre si sta pure
innamorando, scopre di aver forse ereditato dalla madre la “malattia” che la
sta portando ad una trasformazione spaventosa generatrice di paura e odio negli
abitanti del villaggio
Peccato. Un’occasione sprecata quando le basi per fare un
bel film c’erano tutte.
Il problema dell’opera prima del regista presentato a
Cannes, è quello, pur con una storia interessante, in cui la licantropia è una
sorta di conseguenza legata a disturbi del sangue o di malattie sconosciute, di
procedere con una narrazione lineare troppo stereotipata, in cui davvero quello
che manca più di tutti sono proprio i colpi di scena.
Se da un lato il cast, le location, la fotografia e
l’atmosfera, rendono il film davvero apprezzabile, lo stesso non si può dire
per lo script, debole e troppo prevedibile.
La metafora e la critica che forse
stavano più a cuore per Amby, ovvero una società colta nelle reazioni alla
paura dell’altro e in una fantomatica caccia alle streghe (prima la madre e poi
la figlia), non riescono mai ad essere così incisive come ci si sarebbe
aspettati, rendendo ancora più convenzionali alcune scelte narrative.
E’un film cupo e violento, elegante e che prende in prestito
l’horror per raccontare in fondo un dramma sociale, ma alla fine pur con una
minimalità che ho trovato esteticamente toccante, il film è davvero troppo
prevedibile.
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