Regia: John Erick Dowdle
Anno: 2014
Paese: Usa
Giudizio: 2/5
Scarlett è un'archeologa urbana esperta di alchimia che, seguendo le orme paterne, è in cerca della pietra filosofale. Una spedizione quasi mortale in Iran le consente di scoprire un antico artefatto che contiene la chiave per decifrare quel che nessuno è mai riuscito a decifrare, consentendole di identificare con buona precisione la localizzazione di una stanza segreta nell'intricato cunicolo di catacombe che si trova sotto Parigi. La spedizione, che conta anche un gruppo di esperti dei cunicoli sotterranei, ben presto rivelerà la sua natura di viaggio che non prevede un ritorno.
L'ennesimo film sul tema delle catacombe, o meglio di passaggi sotterranei e quant'altro, è anch'esso uno dei temi più abusati nel sotto-genere dell'horror.
Ultimamente URBAN EXPLORER, tedesco e l'australiano che forse più di tutti ha rilanciato il successo del genere DESCENT, vede ora di nuovo agli americani rimettersi in carreggiata scegliendo la Francia e in particolare Parigi per i sotterranei.
Dowdle gira una pellicola apparentemente commerciale ma che rivela nel finale forse l'elemento più soddisfacente che non colloca il film nel limbo dei prodotti di mercato telefonati e senza nessuna consistenza
Sorvolando su alcuni aspetti della sceneggiatura come ad esempio il fatto della pietra filosofale che riporta in vita le persone e alcune sette che celebrano riti di ogni sorta nei meandri delle caverne, sembrano veramente solo delle esche per cercare di creare un po di suspance.
Anche il tema della claustrofobia dentro la grotta diventa un altro di quegli elementi a cui aggrapparsi soprattutto quando si parla di cavalieri templari e fantasmi del passato.
Dal punto di vista tecnico il film punta tutto sullo stile (inquadrature poco chiare che nascondono molto di quel che accade con un continuo senso di precarietà) e dal punto di vista contenutistico, la maldestra fusione di molte mitologie diverse (tradizione alchemica e pietra filosofale, fusa con quella cristiana della Bibbia, quella dantesca e infine quella egizia) sembra l'ultima ancora di salvezza per un’estetica minimalista che elegge il buio a elemento primario e adotta il documentario come unico referente linguistico
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