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giovedì 18 luglio 2019

Morti non muoiono


Titolo: Morti non muoiono
Regia: Jim Jarmush
Anno: 2019
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Il film è ambientato nella tranquilla cittadina di Centreville, dove qualcosa non va come dovrebbe. La luna splende grande e bassa nel cielo, le ore di luce del giorno diventano imprevedibili e gli animali iniziano a mostrare comportamenti insoliti. Nessuno sa bene perché. Le notizie che circolano sono spaventose e gli scienziati sono preoccupati. Ma nessuno prevede la conseguenza più strana e più pericolosa che inizierà presto a tormentare Centerville: I morti non muoiono - escono dalle loro tombe e iniziano a nutrirsi di esseri viventi, e gli abitanti della cittadina dovranno combattere per la loro sopravvivenza.

Dopo la parentesi vampiri riuscita perfettamente, uno dei maestri della nuova Hollywood ci riprova con gli zombie inserendo alcune critiche alla società e a tante altre cose come aveva fatto in passato il padre dei non morti.
Si ride, ci si prende anche sul serio, si muore, ci sono alieni, astronavi, momenti splatter, un cast corale da far venire la bava alla bocca, una recitazione che sembra quella a scenette di COFFEE AND CIGARETTES e poi tanti altri particolari per gli amanti del cinema horror e del cinema politico di Jarmush.
Una commedia molto più semplice del previsto anche se poi analizzandola bene l'intento più grosso è proprio quello di mostrare dopo il film manifesto del '68, come tutto da allora sia persino peggiorato, a partire dalle mode, dai giovani, dalla futilità della vita, dall'egoismo, dalle regole e infine dalla coscienza di ognuno di noi sempre più radicata nel profondo malessere dell'egoismo (l'incidente iniziale della gallina scomparsa è perfetta così come il capro espiatorio interpretato da uno stralunato Waits).
Qui gli zombie potevano essere tranquillamente sostituiti da un'invasione aliena, da una minaccia incombente, dagli effetti del riscaldamento globale, invece l'autore ha voluto dire la sua in un film che omaggia più di quanto si pensi e sceglie in maniera accurata le location delle vittime e dei sopravvissuti. Infine i dialoghi sono intrisi di un cinismo e di una visione così limitata della vita che porta la Swinton aliena (in tutti i sensi) ad andarsene lasciando il genere umano a morire decimato dagli zombie. Boom!



lunedì 17 giugno 2019

High School Girl Rika-Zombie Hunter


Titolo: High School Girl Rika-Zombie Hunter
Regia: Fujiwara Ken'ichi
Anno: 2008
Paese: Giappone
Giudizio: 2/5

Una studentessa normale, Rika, salta un giorno di scuola per visitare il paese di suo nonno,Ryuhei, che se ne era andato da casa di Rika due anni prima. Ma scopre che tantissimi zombie stanno assediando la città!. Rika all'inizio raggiunge la casa di nonno Ryuhei facendosi largo attraverso di loro, ma alla fine viene attaccata. Senza riuscire a capire cosa sia accaduto di preciso alla nipote, Ryuhei utilizza le sue abilità di gran chirurgo sulla nipote,trasformandola in RIKA,la stupenda guerriera! Adesso,nella veste della più grande ragazza guerriera, RIKA si confronterà con il vile capo degli zombie, Glorian, assieme ai suoi amici Takashi and Yuji.

Siamo infine arrivati al terzo film che chiude una saga abbastanza trascurabile nella produzione del sotto genere Dnotomista e Nihozombie.
Dopo Zombie self defence force e Girls Rebel Force Of Competitive Swimmers arriviamo forse al capitolo più brutto o meglio quello che a differenza dei primi due ha goduto di un budget ancora più risicato portando il regista a soluzioni quanto meno improbabili ma visto il genere il tentativo può starci. Fujiwara non avendo soldi ha cercato come da sempre insegna la tradizione dei b-movie di puntare a tutti quegli accessori secondari in grado di alzare l'hype dello spettatore con tette al vento, zombie tremendi, dialoghi improvvisati, un montaggio che sembra essersi perso dei pezzi per strada, recitazione ai minimi storici e scenografie da infarto dove a confronto la carta da parati dei film porno sembrava attaccata da Dante Ferretti.
Quello che mi ha stupito sono state soprattutto le soluzioni o gli espedienti usati.
Facendo un paragone con un b-movie che è diventato un mezzo cult e parlo di un film del maestro Takashi Miike, in FUDOH ad esempio metteva ragazze che sparavano palline dalla figa, facendo ridere e al contempo creando un precedente trash assoluto, mentre qui la ragazzetta a cui amputano un braccio e gliene saldano uno nuovo, maschile, da body builder, non vale nemmeno il paragone perchè non solo non è minimamente credibile il make up ma non ha fa ridere per nulla.
Ecco la fantasia e l'estro giapponese che speravo qui emergesse senza limiti e regole assume quasi l'aria da paradosso con la comparsa di una creatura mostruosa deforme di improbabile origine finale che lascia pensare che il regista stesse girando due brutti film sullo stesso set.




sabato 8 giugno 2019

Goal of the dead


Titolo: Goal of the dead
Regia: Benjamin Rocher
Anno: 2014
Paese: Francia
Giudizio: 3/5

Sabato 18 aprile 2012. A Caplongue - un piccolo villaggio nel nord-est della Francia con una centrale nucleare, un'agricoltura industrializzata, una chiesa e un basso tasso di disoccupazione - la squadra di calcio locale è riuscita a raggiungere con coraggio e talento i trentaduesimi di finale della Coppa di Francia. Tutti sono in fibrillazione per l'arrivo del Paris Olympic, formazione di massima serie con giocatori ricchi e famosi, ma allo stesso tempo non desiderano perdere la partita. L'incontro, più che una semplice formalità, rappresenta lo scontro tra la campagna e il mondo urbano, tra il calcio dilettante e quello professionista, tra una città di provincia e la capitale e tra i poveri e i ricchi. Mentre i dilettanti di Caplongue danno del filo da torcere ai professionisti, una strana epidemia trasforma lentamente giocatori, spettatori e abitanti del posto, in creature strane ed infuriate.

Ormai quando si parla di zombie movie bisognerebbe fare due precisazioni, almeno.
La prima concerne chi ancora cerca di dare originalità al genere provandoci senza per forza riuscirci ma almeno sforzandosi.
La seconda invece è quella di chi non ha bisogno di essere originale attingendo da almeno una decina di titoli che hanno a loro modo fatto la storia.
Goal of the dead fa parte della seconda precisazione.
Gli europei a volte hanno delle idee davvero bislacche. Amo Rocher e il suo Horde è stata quella perla splatter sugli zombie che tutti chiedevamo in ginocchio. Poi prima di passare a prodotti commerciali per il cinema Antigang ha pensato bene di fare un mezzo esperimento, per fortuna riuscito.
Unire gli zombie al calcio in una commedia grottesca nera e ironica che riuscisse a tenere alti entrambi gli elementi, e quindi far ridere e far schifo allo stesso tempo.
Ci è riuscito, come ci era riuscito (film con cui vedo delle profonde analogie) quella chicca british del 2009 Doghouse di West.
Come dicevo Rocher insieme ai suoi colleghi se ne frega delle regole puntando su un film difficile e stratificato, scritto da troppe persone e con una fase di gestazione complessa dove ad esempio il secondo tempo è stato diretto da un altro regista.
I francesi mostrano però ciò che vogliono come gli inglesi e parte di un cinema indipendente europeo, per cui non devono andare troppo per il sottile e se ne infischiano della censura.
Se prendiamo il manipolo di personaggi, ognuno deve prendersi da solo così tanto tempo che non abbiamo, tutti a loro modo interpretano un clichè senza però portarlo quasi mai all'eccesso che invece Rocher poteva far sperare.

mercoledì 5 giugno 2019

Zombie self defence force


Titolo: Zombie self defence force
Regia: Naoyuki Tomomatsu
Anno: 2006
Paese: Giappone
Giudizio: 3/5

L'onda di radiazioni irradiata da un UFO schiantatosi ai piedi del Monte Fuji resuscita i morti in tutta la regione trasformandoli in famelici zombies. Un gangster eliminato da uno yakuza, un suicida ed una donna incinta uccisa accidentalmente dal suo amante durante un alterco violento sono i primi morti viventi che diffondono il contagio azzannando chiunque attraversi il loro cammino. Un gruppo di soldati presente nella zona per una esercitazione impugna le armi contro le mostruose creature per proteggere una scolaresca in gita, salvare la propria pelle e l'intero paese. Gli zombies cadono sotto i colpi delle armi da fuoco o sono smembrati e decapitati da lame affilate, ma i nemici più insidiosi sono il feto della donna incinta che si è tramutato in un ferocissimo mostriciattolo sgattaiolante ed il mummificato eroe della seconda guerra mondiale venerato dagli abitanti come una divinità nazionale. Tra i militari, c'è anche un cyborg costruito in via sperimentale da una equipe di folli scienziati che sogna di creare un esercito di soldati imbattibili per vendicare in futuro la sconfitta subita per mano degli americani. Al termine della lunga battaglia, i dischi volanti tornano a volteggiare nel cielo profilando un nuovo pericolo...

Come per il j-horror e il sotto genere Dnotomista parliamo del "Nihozombie" in cui gli ingredienti sembrano unire elementi del cinema low budget a sotto generi con precise connotazioni cinematografiche dal trash, weird, erotico, commedia, ironico, zombie, invasioni aliene, splatter, gore, arti marziali etc. Tutto questo mischiato assieme in un gruppo di film che negli anni da parte di un certo pubblico hanno saputo diventare dei piccoli cult.
Parlo ovviamente di HIGH SCHOOL GIRL RIKA:ZOMBIE HUNTER, GIRLS REBEL FORCE OF COMPETITIVE SWIMMERS e JUNK.
La lista è ancora più fitta ma diciamo che questi sono i pezzi forti, quelli che con diverse difficoltà hanno oltrepassato il confine per giungere fino a noi sottotitolati.
Tomomatsu purtroppo ha diretto solo tre pellicole con cui l'ultimo più famoso facente parte del sotto genere Dnotomista conferma la sua passione per gli eccessi.
Infatti come per gli altri suoi film eccetto il primo, si riconferma una vena spiccata per lo splatter gore dove seppur il budget è limitato, i nipponici confermano di non fermarsi di fronte a nulla anche a ridosso di problematiche difficili da dimenticare (un set imbarazzante e alcune scenografie da capogiro). Il regista dimentica quella pacatezza che avvolgeva l'atmosfera del suo esordio per buttarsi su una galleria di scene gratuite e per certi versi tragi comiche dove purtroppo l'esito è l'assenza di violenza (non accenna mai a prendersi sul serio) e un cast composto da un gruppo di persone che fallisce miseramente il compito di portare un minimo di tono all'intera vicenda.



lunedì 3 giugno 2019

Pet Sematary(2019)


Titolo: Pet Sematary(2019)
Regia: Kevin Kölsch & Dennis Widmyer
Anno: 2019
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Louis è un dottore in burnout, provato dal duro lavoro nel pronto soccorso di una grande città e dai continui traumi a cui ha assistito. Si trasferisce quindi con la moglie Rachel e i figli Ellie e Gage in un piccola cittadina del Maine, in una casa alle cui spalle sorge un grande bosco. Lì si trova un cimitero degli animali, ma oltre una cumulo di legname c'è un antico luogo sacro indiano dove chi viene seppellito non rimane sottoterra. È il vicino Jud a mostrare questo posto a Louis, per salvare dalla morte il gatto della piccola Ellie, che però torna con un carattere completamente diverso, molto più aggressivo...

Prima di vedere quest'ultima rivisitazione ho letto il romanzo che tratta il tema della morte e tutte le scelte legate alla possibilità proprio di riportare in "vita"ciò che abbiamo di più caro pagandone il giusto prezzo.
King distrugge con un lutto una classica famigliola per indagare e muovere proprio la carte del lecito e consentito, facendo un lavoro massacrante per quanto concerne la psicologia del marito e della moglie.
Sovvertendo alcune regole con cui si può essere d'accordo ma rimangono scelte e parlo ovviamente di Gage rispetto ad Ellie, la misteriosa scomparsa della signora Crandall, di aver fatto diventare Pascow un ragazzo di colore, e di aver praticamente messo una croce sul bel rapporto che si andava a creare tra Louis e Jud, queste possiamo annotarle tra le scelte che possono o non possono piacere ma che non alterano la struttura o meglio il cuore della storia.
Ciò che secondo me ha ammorbato e distrutto ciò che di buono c'era è stato il finale in primis, uno dei più brutti mai visti, una tale libertà di scrittura e di cambio così totale delle intenzioni ed intuizioni, scelta che si è rivelata di puro carattere commerciale facendo vedere dei non morti a dispetto dei traumi senza parole a danno dei protagonisti nel finale del libro (la scena finale con l'allarme della macchina che viene tolto ancora mi lascia senza parole).
Sembra quasi di aver girato un finale per collegarlo ad un ipotetico sequel come è stato CIMITERO VIVENTE 2 da cui conviene prendere le doverose distanze.
L'aver tolto o meno alcuni personaggi come la moglie di Jud ci può anche stare contando che la signora Crandall aveva diversi motivi che si rapportavano e sposavano bene con il dolore e i traumi vissuti da Rachel e dalla sorella Zelda. In più nel romanzo quando Gage diventa quello che deve diventare, trasformato dal cimitero, e parla con la voce di Norma prima di uccidere Jud, scopriamo che l'anziana moglie malata in passato era solita farsi sodomizzare dagli abitanti del posto ridendo durante l'amplesso ai danni del povero marito.
Manca completamente l'atmosfera che nel romanzo riesce ad essere la vera protagonista e quindi il cimitero, quel "muro"che blocca dal vero incubo a cielo aperto e poi i riferimenti con la leggendaria figura del Wendigo, qui per fortuna non mostrato se non in due momenti, uno in una foto di un libro e l'altro sapientemente sfruttato e per fortuna lasciato lì nella macchia senza palesarsi.
Il confine al di là del quale si apre un mondo e si sigla un patto da cui uscirne può essere fatale, diventando il leitmotiv e il pezzo forte del libro.
Il cast. La trama prevedeva che tanta psicologia, almeno di Louis e Rachel, fosse alla base degli scontri, delle scelte, del giusto/sbagliato, mentre qui è stata sacrificata creando così evidenti problemi per quanto concerne gli intenti dei protagonisti che in alcune scene sembrano vagare senza una meta, mentre nel libro non vediamo l'ora di capire quale scelta prenderanno e il perchè.
Jason Clarke e John Lithgow sono due buoni attori che potevano dare, se scritturati meglio, molto di più, mentre invece cavalcano (soprattutto il secondo) i soliti clichè che sempre più spesso siamo costretti a vedere con dei dialoghi mai veramente adeguati.
Per non parlare poi dell'impiego della c.g in particolare nella scena dell'incidente e poi almeno una scazzottata con il suocero di Louis i registi potevano concederla.
Che cosa si salva dunque? Le scene con Zelda (il fatto che faccia più paura la scena di lei che cade nel piccolo ascensore la dice lunga) e l'aggiunta dei bimbi mascherati che seppelliscono il cadavere del gatto.
La coppia di registi in questione aveva tutti gli elementi tecnici e di budget per fare un lavoro più che decente soprattutto se contiamo che prima di questa operazione dell'horror che finalmente raggiunge le sale (bisognerebbe fare un articolo sui requisiti che un horror commerciale deve avere o soddisfare per finire al cinema) avevano esordito con l'inquietante Starry Eyes , un robusto body horror e uno degli episodi del convincente horror a episodi Holidays



Dellamorte dellamore


Titolo: Dellamorte dellamore
Regia: Michele Soavi
Anno: 1994
Paese: Francia
Giudizio: 4/5

Francesco Dellamorte lavora come custode al cimitero di Buffalora, un piccolo paesino lombardo. Il luogo però è infestato da una strana maledizione: la notte infatti le persone decedute negli ultimi sette giorni ritornano in vita, e a lui e al suo goffo aiutante Gnaghi tocca l'arduo compito di eliminare i morti viventi. Il tutto naturalmente all'oscuro di chiunque, pena il rischio di perdere il lavoro e passare per matto. Le cose però si complicano inesorabilmente quando Francesco viene sedotto da una giovane vedova. I due hanno un rapporto sessuale proprio sopra la tomba del marito appena scomparso, che inferocito si risveglia dalla tomba e uccide la ragazza. Da qui in poi per Francesco la vita diventerà un vero inferno, e oltre ad occuparsi dei "ritornanti", sempre più numerosi, dovrà fare i conti con la propria coscienza.

Fino ad oggi il miglior film su Dylan Dog.
Qualsiasi altro tentativo non è mai stato all'altezza nonostante gli sforzi interessanti di un indie come Dylan Dog-Vittima degli eventi oppure tentativi beceri e terribili come sempre ad opera degli americani girati in fretta e furia e senza rispecchiare nessuna poetica dell'autore con Dylan Dog-Dead of Night
Tratto da un romanzo di Tiziano Sclavi, il film funziona prima di tutto per l'atmosfera che riesce a confondere lo spettatore facendogli pensare di essere in una sorta di limbo (siamo a Boffalora vicino Milano) dove in mezzo alla nebbia e soprattutto tra la nebbia, tutto può succedere.
Sembra inoltre di uscire da un film di Fellini ed entrare nell'orrore di Fulci.
Tutto funziona perfettamente anche la presenza di una modella come Anna Falchi che rimane statuaria nella sua bellezza e nella sua iconografia che soprattutto all'inizio è ispirata alla Venere del Botticelli. E' un film che se a livello tecnico funziona molto bene, è soprattutto il ritmo e il linguaggio a farla da padrone dove il grottesco non manca, ma neppure il cinismo beffardo e la malinconia romantica di fondo con continui rimandi al cinema e alla letteratura e alcune scene indimenticabili. Oltre ad essere il miglior film su Dylan Dog e un ottimo horror zombie-movie, una interessante commedia nera e un dramma romantico girato con un decimo del budget del coetaneo americano con cui in comune ha solo il nome del protagonista.




lunedì 11 marzo 2019

It stainds at the sands red



Titolo: It stainds at the sands red
Regia: Colin Minihan
Anno: 2016
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Molly si ritrova persa nel deserto con uno zombie che le dà la caccia. La situazione si complica quando la ragazza si rende conto che il suo persecutore non ha l'esigenza di fermarsi. Lui non si stanca mai.

Anni fa uscì un film di nome Fido dove i non morti venivano usati dagli umani grazie a dei guinzagli come servi per fare lavori di manovalanza. Dall'altra parte una fonte di ispirazione per il film potrebbe essere stata data dal recente Swiss Army Man per la tematica dell'amicizia umano- non morto.
Ad un tratto, nel primo film, avverrà una ribellione contro i perbenisti aristocratici. Qui succede una cosa analoga.
Il non morto segue la protagonista per tutta la durata del film lungo un deserto per mangiarla fino a che i due non diventeranno "amici". Sicuramente Minihan ha coraggio a raccontare una storia che seppur facente parte del genere horror, è articolato in maniera diversa, quasi un survivor movie, dove vediamo alcune simpatiche scenette tra Molly e il suo inseguitore per non farsi prendere e alcune svolte hanno un'ironia drammatica di fondo.
Un film da un certo lato furbo, perchè autoriale e indipendente, costato poco avendo il deserto come location e due attori e pressochè nessun dialogo a parte i monologhi della protagonista.
It stainds at the sands red, carino il gioco di parole, è sicuramente uno dei film zombie più originali degli ultimi tempi disponendo di una storia semplice quanto funzionale.
Riesce ad essere insieme divertente, a tratti drammatico e quasi patetico (contando che si empatizzerà molto con lo zombie) per un primo atto e un finale che rimangono i momenti migliori.

Chillerama



Titolo: Chillerama
Regia: AA,VV
Anno: 2011
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Anche l’ultimo drive-in americano sta per chiudere i battenti. Durante la serata di chiusura, milioni di coppiette parcheggiano le loro numerose auto per assistere alla maratona cinematografica di pellicole dell’orrore talmente rare da non essere mai state proiettate. Ma se, improvvisamente, un pazzo riesumasse il corpo di una sposa cadavere e rimanesse infetto trasformandosi in zombie?

Con tutto il bene che gli voglio e per tutta la libertà e il coraggio di fregarsene altamente di tutto, Chillerama anche se mi sono divertito a vederlo, mi ha lasciato schierato tra i moderati soprattutto contando che tra i diversi episodi, nonostante il fil rouge, ci siano delle importantissime differenze.
Prima di tutto la standing ovation alla location. Il drive-in. Dimora incontrastata di Lansdale.
Poi c'è il virus e infine il trash e tante tette e cazzi che volano.
Detta così dovrebbe essere una sorta di droga per i fan di genere, una vera e propria antologia horror sulla scia di Creepshow 2, e almeno così appariva prima di veder modificate alcune regole e godere da parte dei registi di una totale libertà che in alcuni casi è stata provvidenziale ma in altri ha siglato un totale imbarazzo.
L'omaggio ai b movie del secolo scorso può essere una possibilità enorme per cambiare le regole dei vecchi classici.
Il migliore in assoluto è il primo, quello girato dal regista del divertentissimo 2001 maniacs
remake di TWO THOUSAND MANIACS. In questo caso l'omaggio è riferito al sotto genere dei monster movie che arrivavano come missili dal Sol Levante.
Wadzilla infatti parla brevemente di un giovane che si sottopone ad una cura per incrementare la forza del proprio sperma che, ben presto, diventerà un mostro che mangia le persone.
"Lo sperma che uccide" è una log line simpatica per un corto divertente che al di là dello stile tecnico, assolutamente senza prendersi mai sul serio, esagera senza mezzi fini per arrivare al climax finale. Infine l'ultimo episodio Zom-b- movie, una parodia di tutti gli stereotipi dei film di zombie degli anni ’70 e ‘80 non esalta, ma strappa qualche risata.
Quelli che pur avendo delle idee godibili, a mio avviso, non hanno alzato la bandierina dell'ok sono stati I was a teenager werebear, orsi omosessuali sulla scia di GREASE, RAGAZZI PERDUTI e HAPPY DAYS e The diary of Anne Frankenstein dove Hitler è il dottor Frankenstein e la Cosa è un rabbino ebreo nerboruto che uccide tutti i nazisti.


lunedì 11 febbraio 2019

One cut of the dead


Titolo: One cut of the dead
Regia: Shinichiro Ueda
Anno: 2017
Paese: Giappone
Giudizio: 3/5

Una troupe sta girando uno zombie film indipendente quando viene assalita da veri zombie, risvegliati dal regista invasato per avere un effetto cinematografico più "reale". E se fosse tutto un making of?

Sono rimasto colpito dall'entusiasmo con cui è stato premiato e ha avuto incassi da capogiro l'ennesimo film di zombie con una virata strategicamente furba ma in fondo nemmeno così interessante come ci si poteva aspettare.
In un'epoca bombardata dai social, dalle serie tv, da film commerciali creati con lo stampino per essere a tutti gli effetti gregari post contemporanei di un'altra fetta di cinema, faccio davvero difficoltà a capire perchè questo film sia diventato quasi un cult soprattutto in Oriente.
L'idea di scardinare un concetto fatto e finito nel cinema di genere non è poi un elemento così raro di questi tempi. Basta saper cercare nei punti giusti ma l'universo cinematografico è onnivoro è pieno di opere bizzarre, con delle sceneggiature semplicemente aperte a cercare di essere mischiate o variegate con ciò che già si aveva.
Nel film di Ueda la struttura e il ribaltamento degli atti, aiuta a sconvolgere la psiche dello spettatore, ma essendo una tecnica di montaggio, bisogna tener conto che più di ciò non è, lasciando lo stesso i dubbi e le perplessità e la noia, di vedere in fondo la stessa azione giocata su piani e ambienti diversi, ma esasperata come solo gli orientali (o meglio i giapponesi) sanno fare.
Ho trovato il film una mossa commerciale astuta come poteva esserlo ai tempi BLAIR WITCH PROJECT, ma non per questo bello, interessante o che mi abbia trasmesso qualcosa di "originale".
Siamo di nuovo in tempi dove il genere essendo inflazionato ha bisogno di migliorie che ne cambino di poco l'assetto o la forma ma lasciando medesimo il risultato.
Tantissimo fumo a questo giro per un indie costato 20.000 dollari di budget e che (finora) ne ha incassati 27 milioni solo in patria.

giovedì 18 ottobre 2018

Nights eats the world


Titolo: Nights eats the world
Regia: Dominique Rocher
Anno: 2018
Paese: Francia
Giudizio: 3/5

Sam si sveglia una mattina e si ritrova a vivere in un incubo: un esercito di zombie ha invaso le strade di Parigi e lui è l'unico sopravvissuto. Mentre contempla il suo triste futuro e come sopravvivere, apprende che potrebbe non essere l'unico sopravvissuto in città.

Il sotto filone horror sugli zombie o gli zombie movie sono ormai abbastanza abusati, per alcuni un fenomeno fatto e finito, per me fonte inesauribile di idee purchè scritte bene e con tante metafore ancora da scandagliare.
Bisogna ammettere che nonostante tutto negli ultimi anni qualche eccezione c'è stata confermando come per altri sotto filoni, di come alla fine siano sempre le storie e la realizzazione a renderle forti e interessanti.
Dicevo appunto che qualche caso c'è stato come Night of the something strange o Les Affames o ancora bisogna andare in Oriente.
I francesi di solito hanno la fama di essere abbastanza originali e spesso e volentieri sanno spiazzare senza lesinare sullo splatter o sul gore.
La ricerca di Rocher è partita da un assunto piuttosto discutibile, ma interessante, ovvero quello di limitare l'uso dei mezzi e di ogni sorta di atmosfera accattivante o di ritmo frenetico.
Nel film molte scene sembrano essere pensate e studiate quando invece sono dei topoi di non sense eppure questa continua prolissità del film e delle azioni wtf di Sam creano degli assurdi così grossi che tutto il film assume intenti che non ci è mai dato di sapere, salvo la sopravvivenza come macro tema, da sempre di questo genere.
La minaccia zombie o meglio di un'invasione è pressochè assente o inesistente come se a deciderlo fosse proprio il protagonista a partire dal suo palazzo o dall'ascensore dove uno di questi è nascosto.
Diciamo che anche i co protagonisti non aiutano molto anzi disorientano ancora di più su quali scelte intraprendere
Un film che non mi è dispiaciuto, è strano, a tratti bizzarro, ma si chiama fuori da tutti i film di recente sul filone che invece sono inclini agli inseguimenti, le lotte e la violenza.






giovedì 30 agosto 2018

Don't grow up


Titolo: Don't grow up
Regia: Thierry Poiraud
Anno: 2014
Paese: Francia
Giudizio: 3/5

Su un'isola sperduta, un gruppo di adolescenti delinquenti vive in un centro giovanile. Pian piano i ragazzi scoprono che nessuno vigila veramente su di loro e così iniziano a prendersi un po' della libertà che è stata loro sottratta. All'improvviso però il loro supervisore appare dal nulla, in stato di febbrile agitazione, e li attacca con violenza. Per difendersi, i ragazzi finiscono con l'ucciderlo e si allontanano. Realizzeranno presto che l'isola è stata quasi del tutto abbandonata e capiranno di essere rimasti in compagnia solo di un manipolo di adulti affetti da una misteriosa epidemia che li rende violenti e pericolosi. Poiché bambini e adolescenti sembrano immuni dal male, capiranno anche che per sopravvivere dovranno rispettare una sola regola: non crescere. Ma il tempo non è dalla loro parte.

Poiraud è bravo e in tanti anni purtroppo ha potuto girare pochi film.
Ultimamente dopo GOAL OF THE DEAD sembra volersi occupare del filone zombie.
Don't grow up è una piccola sorpresa passata purtroppo inosservata con anni di ritardo.
Un peccato perchè l'ultimo film di Poiraud è un indie che parte subito in quinta catapultandoci in quest'isola quasi disabitata e per un certo tempo complici i dialoghi taglienti con un ottimo ritmo, rimaniamo intrappolati a scoprire i nostri sei protagonisti, quattro ragazzi e due ragazze, che davanti a una videocamera sciorinano le loro aspettative di vita, sogni e illusioni per quel futuro da maggiorenni che li attende dietro l’angolo .
La tematica dell'uccisione degli adulti era già stata trattata in passato con il cult spagnolo da cui però il film francese prende le distanze. Tutti questi protagonisti giovani e con diversi problemi sociali, i dialoghi, una certa ironia sembra rimandare alla serie MISFITS fino alla mattanza finale.
Anche se può sembrare l’ennesimo film di zombie, questa coproduzione franco-spagnola si distacca dalla moda del momento per il suo legame sottile con il film spagnolo anche se non arriva al suo magistrale e audace livello di brivido.
Peccato che verso il finale il film sembra correre troppo alla svelta saltando alcuni pezzi di storia e regalando il solito sacrificio finale abbastanza scontato

mercoledì 20 dicembre 2017

Night of the something strange

Titolo: Night of the something strange
Regia: Jonathan Straiton
Anno: 2016
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Cinque amici adolescenti partono per le vacanze di primavera. I bei momenti però finiscono quando Carrie, una di loro, contrae una malattia mortale sessualmente trasmissibile durante una sosta in un bagno. Fermatisi per la notte in un motel, i cinque vivranno un vero incubo quando il virus inizierà a trasformare gli infetti in morti viventi.

Ci sono film che arrivano ad un livello tale di disgusto da lasciarti basito oppure farti morire dalle risate o farti vomitare o spruzzare merda dal culo. Questo film fa parte di quelli che vanno ridere e vomitare assieme con due o tre momenti weird decisamente top e dove neppure in alcune scene il trash della Troma sembra poter arrivare (e non sto esagerando).
Qui siamo di fronte al puro eccesso con badilate di sangue distillata attraverso litri di orrori e un piacere perverso che Straiton annusa dall'inizio alla fine del film immergendolo tra smembramenti, gore e umorismo demenziale che non stona mai e in questo film riesce addirittura a far ridere più che altro perchè tocca livelli di bassezza e volgarità quasi mai visti.
Virus che tolgono ogni freno inibitore, un uso esagerato di qualsiasi liquido corporeo, necrofilia, stupri, tampax ingeriti, parti intime strappate a morsi, calci alla vagina, etc.
Straiton e la banda di pazzi che hanno dato vita a questo film devono essersi divertiti un mondo e più che altro ci hanno creduto perchè il film riesce nel suo compito ovvero divertire per novanta minuti, dove gli ingredienti maggiori (splatter, trash, weird, gore) che regia e sceneggiatura combinano meglio è proprio quella di creare un turbine di cattiveria, efferatezza e disturbanti provocazioni tra il folle e il malato piacere visivo di chi ama questo sotto genere low budget.


giovedì 14 dicembre 2017

Les Affames

Titolo: Les Affames
Regia: Robin Aubert
Anno: 2017
Paese: Canada
Festival: 35°Torino Film Festival
Giudizio: 4/5

Un gruppo di sopravvissuti deve affrontare un'apocalisse zombie nelle campagne del Quebec, tra boschi, prati, e case isolate.

Les Affames è l'ennesimo film di zombie che racconta l'itinerario di un gruppo di sopravvissuti.
L'idea è praticamente quanto di più comune abbiamo visto negli ultimi anni e fin qui sembrerebbe un film come un altro se non fosse che Aubert sembra essersi studiato attentamente ogni inquadratura. Il ritmo nonchè l'azione divora letteralmente i protagonisti, gli zombie e gli spettatori. Con alcune leggere tamarrate come la mattanza di Celine che senza stare a spoilerare è pura adrenalina al femminile con un finale nel bosco che provocherà qualche lacrimuccia.
Les Affames più si narra e più assume contorni e intenti sempre più interessanti in primo luogo da un'atmosfera tesa e rarefatta, in cui sembra esserci sempre uno strato di nebbia come a lasciare tutto in uno stato di sospensione. Esistenzialista, grondante sangue e con livelli di gore molto alti, ad un tratto c'è un vero e proprio geiser di sangue, il film riesce come dicevo a non sembrare ripetitivo, visto il tema, non è un caso che sia canadese dal momento che molti registi indipendenti, soprattutto nell'horror post contemporaneo vengono proprio da quei territori inesplorati e intatti.
Dicevo che l'atmosfera ma anche il senso di sconforto prevale tra tutti, i dialoghi ridotti, il passato che non emerge se non da espressioni intrise e colme di sofferenza con diversi momenti costellati da battute sferzanti e intrise da un ferocissimo humour nero.
Il film ad un tratto, dal secondo atto in avanti, prende una piega vagamente surreale con i non morti che costruiscono un vero e proprio totem che ricorda quanto di più bello scritto dal sociologo francese Durkheim sull'argomento.


venerdì 8 dicembre 2017

Cured


Titolo: Cured
Regia: David Freyne
Anno: 2017
Paese: Irlanda
Festival: 35°Torino Film Festival
Giudizio: 3/5

Molti umani si sono trasformati in creature simili a zombie. Una cura c'è ma gli infettati dovranno essere isolati da tutto e da tutti.

Nella sezione After Hours continuano come ogni anno le sorprese e le delusioni.
Quest'anno riaffiorano alcuni film a tematica zombie con quest'opera prima che è una bella via di mezzo. A differenza del film francese Les Affames, piccolo vero gioiellino pur non dicendo nulla di nuovo, The Cured, irlandese, cerca invece di aggiungere nuovo materiale in termini di soluzioni all'epidemia e ad un messaggio politico nemmeno tanto velato.
In questo caso, come in altri film, viene trovata una cura al virus che ha trasformato parte della popolazione in zombi, in cui il 75% delle persone colpite è stato guarito dal virus mortale denominato Maze, lasciando però il 25% ancora infetto, una fascia di cosiddetti “resistenti”, che, cioè, non reagiscono alla cura come gli altri e vengono rinchiusi in ospedale, in attesa di un’altra terapia.
Da qui in avanti le reazioni verso gli individui all'interno della società sono diversi per chi sta cercando di rifarsi una vita, alle persecuzioni che vedono questi individui marchiati ormai come capri espiatori e vittime sacrificali perfette in una società sempre più paurosa e xenofoba.
Come poter perdonare e accettare qualcuno che nonostante la cura si è macchiato di assassini brutali e in alcuni casi arrivando a cibarsi di bambini molto piccoli. Inoltre l'aspetto peggiore (ma direi quello più interessante) è quello legato ai ricordi, dal momento che gli ex infetti conservano i ricordi delle carneficine commesse, con relativi disturbi post-traumatici. Proprio questo elemento nella buona e nella cattiva sorte non sempre riesce a dare la giusta dose di empatia in particolare legata alla sofferenza del co protagonista e i dialoghi con Ellen Page a capo dei non infetti.
La messa in scena di Freyne è dura e non lesina sul sangue, sull'elemento gore, su una fotografia freddissima e glaciale e dialoghi tagliati con l'accetta senza nessuna traccia di salvezza ma forse solo di redenzione.
Un'opera indipendente e solida che seppur non entra nella cerchia dei film memorabili sugli zombie, rispetto alla stragrande maggioranza dei film in circolazione, propinando sempre lo stesso assetto, questo the Cured ha diversi elementi maturi e politici per cercare di fare nel suo piccolo la differenza.

sabato 2 settembre 2017

Resident Evil-Vendetta


Titolo: Resident Evil -Vendetta
Regia: Takanori Tsujimoto
Anno: 2017
Paese: Giappone
Giudizio: 2/5

Chris Redfield, agente dell’anti-bioterrorismo, chiede aiuto alla professoressa ed ex-collega Rebecca Chambers e all’agente governativo Leon S. Kennedy per trovare Glenn Arias, trafficante d’armi biorganiche che intende scatenare un nuovo letale virus su New York. Arias vuole vendicarsi del governo per aver attaccato la sua abitazione nel giorno delle sue nozze uccidendo sua moglie e tutti i suoi cari.

Pur non avendo mai gradito la saga infinita di film dalla coppia Anderson-Jovovich, ho sempre preferito e trovato più stilosi, liberi e d'atmosfera i film in computer grafica fin'ora usciti.
Dei tre questo "Vendetta" uscito quest'anno, ha sicuramente alcuni elementi interessanti pur non riuscendo come molti sostengono ad essere il migliore della saga.
Il titolo diretto da Takanori Tsujimoto non è certo un capolavoro, sia chiaro, ma resta lo stesso un lungometraggio d'azione e d'avventura piacevole da guardare per i fan della serie grazie alle ambientazioni vicine e a quella della saga videoludica, alla "grafica" e alla spettacolarità di molte sequenze, tutti elementi che a nostro parere lo rendono superiore a qualsiasi pellicola girata dal vivo. Resident Evil-Degeneration e Resident Evil-Damnation sono stati due prodotti qualitativamente incostanti, ma hanno soddisfatto la fascia di pubblico che segue la serie in ogni sua ramificazione, anche al di fuori del mercato dei videogiochi. Azione, sparatorie, inseguimenti, jump scared. Tutto sembra confezionato al meglio in questo prodotto ludico con un ritmo forsennato e il ritorno di tanti personaggi principali e secondari della storia.
In questo ultimo capitolo l'horror vacilla e poi evapora per lasciare spazio ad una serie di elementi più simili alla saga cinematografica che ha definitivamente distrutto quanto di interessante i virus e la Umbrella corporation avevano partorito.

lunedì 1 maggio 2017

Seoul Station

Titolo: Seoul Station
Regia: Yeon Sang-Ho
Anno: 2016
Paese: Corea del Sud
Giudizio: 3/5

Stazione centrale di Seul, dopo il tramonto: vediamo un anziano senzatetto, uno dei tanti, divorarne un altro. Presto le strade lì attorno si riempiono di folli come lui. Hye-sun, una ragazza scappata di casa, rompe col fidanzato che la obbligava a prostituirsi. Abbandonato lo scalcagnato motel dove abitavano nei pressi della stazione rimane coinvolta come testimone negli attacchi nei confronti di altre persone. Gli assaliti divengono a loro volta assalitori, così che il loro numero aumenta esponenzialmente. Il governo isola tutta l'area. La gente scappa, ma non c'è nessun posto dove trovare rifugio...

Seoul Station è il prequel di Train to Busan ambientato nel centro di Seoul la sera prima degli eventi. Di entrambi, il regista è Sang-ho Yeon, autore principalmente di film d’animazione tra cui Kings of Pigs brutale dramma a tema politico che mostrava una società infantile violenta strutturata per classi sociali e sopravvivenza del più forte.
A differenza del successivo lungometraggio qui la vicenda si concentra su due storie principali e se vogliamo due prospettive diverse dove analizzare la vicenda.
La trama si svolge su due piani, uno “privato” e uno “politico”: il piano “privato” riguarda una ragazza che deve incontrare, nella Seoul invasa dagli zombie, il fidanzato con cui ha litigato e il padre che non vede da anni; quello “politico” riguarda la maniera in cui gli infetti cominciano a diffondersi e la maniera con la quale polizia ed esercito intendono risolvere il problema
Per tutta la durata del lungo l'azione riesce ad essere in prima linea senza fare in modo che la storia e alcuni dialoghi diventino troppo macchinosi come nella parte privata di Hye-sun.
Le creature che ricordano e omaggiano gli zombie della tradizione romeriana ma anche quella post contemporanea di ultima generazione sono fatti in una c.g soddisfacente anche se non siamo ai livelli dell'animazione nipponica. Proprio i riferimenti a Romero sono i principali debitori a partire dalla struttura e confezione. Anche in questo caso il regista coreano punta su una nota d'intenti che in fondo rispecchia senza troppa originalità contando che è la metafora sul genere il concetto già abbondantemente veicolato da George Romero: il vero pericolo non arriva dagli zombie, ma dagli uomini.



mercoledì 15 febbraio 2017

I am an hero

Titolo: I am an hero
Regia: Shinsuke Sato
Anno: 2015
Paese: Giappone
Giudizio: 4/5

Hideo Suzuki è un trentacinquenne assistente di un mangaka: il suo sogno di sfondare nell'ambiente cozza con fallimenti e sogni distrutti, strane delusioni e con la strana storia con la sua ragazza Tetsuko.
Un giorno, una misteriosa epidemia infetta una parte ingente della popolazione giapponese, rendendoli zombie pronti ad addentare e divorare gli umani. Hideo, non ancora certo della situazione, fugge dalla sua casa e dalla sua ragazza ormai zombie, armato con il suo amato fucile ma mantenendo la sua morale e inizia il suo solitario viaggio, finché non conosce prima la liceale Hiromi e poi l'infermiera Yabu.

Prima il Giappone e poi la Corea. Lo zombie è stato sdoganato anche se in realtà non sono gli unici esempi ma solo i più recenti. Quasi dei blockbuster con un sontuosissimo budget, se guardiamo la cinematografia di genere sull'argomento, in cui soprattutto gli orientali ne hanno fatta di strada spesso cercando di apportare qualche piccolo cambiamento come ad esempio JUNK o TOKIO ZOMBIE ma sono davvero tanti i casi in cui il mix di generi si è rivelato funzionale e senza dover chiamare in cattedra le pellicola dnotomista.
La parabola dell'uomo comune pronto a improvvisarsi eroe della situazione caratterizza le due ore di evasione in un film dal ritmo irrefrenabile, pieno di sparatorie e combattimenti con ogni tipo di arma possibile (davvero ogni tipo). Tratto da un manga, il film è pura azione exploitation cercando di mantenere coerenza con il fumetto e allo stesso tempo evitando di alimentare trame particolari ma basando su un insieme di elementi semplici quanto funzionali. Se però ci divertiamo e godiamo allegramente per questa carneficina di quasi due ore dall'altra parte suona quasi doveroso un piccolo paragone con THE WAILING e TRAIN TO BUSAN dove la narrazione aveva un peso decisamente più importante.
Il sangue scorre copioso in un'apoteosi d'azione avvincente che sfrutta un ottimo look splatter davvero ben fatto e molto inquietante cercando di fare un ottimo lavoro valorizzando e differenziando ogni creatura dall'altra. Il risultato è una galleria di mostri che non si vedeva da tempo con un più solido realismo, evitando scene eccessivamente crude ma dando vita ad un paio di roboanti carneficine e scene apocalittiche che non verranno dimenticate facilmente.
C'è un'imbarazzante storia d'amore contando che il protagonista è un nerd che ha più paura a dover parlare con una fanciulla che a uccidere un non morto.
"Molto normale essere umano" sembra essere la log-line del film in cui Hideo si affaccia con personalità diverse e sfuggevoli come l'amichetta zombie (abbastanza innovativo) e senza contare il difficile e noioso rapporto con una donna che non lo ama
Anche qui come per la nuova ondata di new-zombie, corrono e sanno muoversi abbastanza bene.
In I am an hero in più c'è uno zombie diverso dagli altri che sembra possedere alcune risorse cognitive che gli altri non hanno. Infatti diventa il leader dell'orda di non morti e in alcune scene riesce a fare davvero paura.
Hideo scappa per tutto il film alzandosi in piedi da un sedia e da un ufficio che lo sta uccidendo e che rende abbastanza bene la routine noiosa di questi mangaka e della loro alienazione nei confronti della società. Quando poi l'incubo incontra la realtà...allora si può rimanere spiazzati piangendo o affrontando una nuova rinascita.



venerdì 10 febbraio 2017

Ash vs Evil Dead-Season 2

Titolo: Ash vs Evil Dead-Season 2
Regia: AA,VV
Anno: 2016
Paese: Usa
Serie: 2
Episodi: 10
Giudizio: 2/5

Dopo la scellerata tregua con Ruby e la sua stirpe maligna Ash si è rifugiato in Florida, con i suoi giovani pards Pablo e Kelly. Convinto di poter vivere in pace, se la spassa alla grande esibendo davanti a signore di ogni età la sua motosega eretta. Intanto Ruby fatica non poco a tenere i pargoli a bada, visto che questi vogliono il Necronomicon, ed è costretta ad allertare Ash, anche per informarlo che il Male ha fatto il nido nell’unico posto in cui il nostro eroe non vorrebbe mai tornare. La sua città natale Elk Grove, nel Michigan. E allora, nel bel mezzo di un party, due demoni – messaggeri infernali inviati da Ruby – irrompono a guastare la festa, usando i corpi delle due ultime malcapitate conquiste di Ash

La seconda stagione del beniamino di Raimi (uno degli anti-eroi più riusciti del cinema) è assolutamente folle.
Anche la prima lo era, premesso, ma la seconda si spinge dove la prima non ha potuto, voluto, oppure solamente osato. Parliamo di passare il varco...quello del puro trash e della demenzialità che carica lo spettatore con un ritmo davvero disorientante per come in 25' di episodio, questa è la durata in media, non si riesca a staccare gli occhi dallo schermo.
Succedono davvero troppe cose e rispetto alla prima stagione i personaggi esondano volgarità di ogni tipo compreso il padre di Ash, uno sporcaccione come si deve che pensa solo a scopare, senza infine dimenticare alcuni protagonisti già visti nella trilogia di Raimi.
Ora però veniamo ai punti deboli. Ritmo esagerato non significa per forza che il risultato soddisfi. Infatti se è vero che succedono tante cose nella seconda serie, è anche vero che tante si dissolvono nell'aria senza troppi convenevoli e quasi tutte le altre tendono a ripetersi e a ripiegare su se stesse. Il nemico della seconda serie non è altri che Baal, divinità antica di una certa importanza, qui sminuito con il contagocce come lo era per Ruby nella prima stagione. Senza contare il finale davvero buttato lì che non sembra rendergli giustizia. Anche gli obbiettivi dei personaggi ad un tratto perdono la direzione e ognuno va un po dove gli pare senza capirne il senso.
Lo stesso ritmo iper veloce non da la possibilità di capire se tutto abbia senso oppure no (certo parliamo di serie di evasione) però in alcuni momenti non è chiaro perchè il Neonomicon, su cui si basa tutta la serie, debba essere distrutto da Baal quando genera proprio i suoi figli demoniaci assieme a R&B, ma questa è solo una delle numerose incognite.
Ad un tratto sembra di vedere un cartone animato quando Ash, dopo la "morte"di Pablo decide di tornare indietro nel tempo per salvarlo. Il problema è che poi succede mischiando in modo troppo sbrigativo piani temporali cercando di prendere tempo e guadagnare preziosi minuti senza spesso far coincidere tutti gli elementi della storia (elemento che mi rendo conto molti fruitori non prendono più in considerazione).
Appunto piani temporali, cambi di location, due città, parecchi interni quasi tutti affascinanti come l'obitorio, la casa di Ash e il manicomio.
Ma la ciliegina della serie è la miriade di momenti trash ed esilaranti che sono in alcuni casi davvero spassosi ma non bastano a salvare una seconda stagione scritta e diretta troppo in fretta come a dover garantire prima le scadenze produttive che non una storia o una trama interessante.
Dalla vecchia indemoniata che schiaffa le tette sulla faccia di Ash dicendogli di bere, al cadavere che caga in faccia al protagonista e gli schiaffa il membro vicino alla bocca, ai muppets indemoniati, gli alberi che prendono vita, l'incubo che Baal fa vivere ad Ash che dura quasi due episodi e infine la macchina infernale citando King. Continuano i rimandi alla serie di Raimi come il pezzo nella casa di montagna e tantissimi altri sparsi qua e là.
Infine bisogna ammettere che la demenzialità quando diventa esageratamente gustosa diverte...però altro non fa e in dieci episodi ripetere immancabilmente questo leitmotiv a me ha stancato velocemente. Ed è un peccato perchè Campbell è davvero in ottima forma.


martedì 13 dicembre 2016

What we become


Titolo: What we become
Regia: Bo Mikkelsen
Anno: 2015
Paese: Danimarca
Giudizio: 2/5

L'idilliaca estate dei componenti della famiglia Johansson termina bruscamente quando una violenta epidemia di influenza colpisce mortalmente le persone. Le autorità mettono in quarantena il loro quartiere e ben presto la popolazione è in preda al panico. La situazione ben presto sfugge loro di mano e la famiglia è costretta a difendersi dall'attacco selvaggio di un'orda di assetati di sangue.

La Danimarca si è sempre rivelato un paese fertile per il panorama horror. Quasi tutte opere indipendenti ma in grado di trattare varie tematiche e cercare di ridare enfasi ad alcuni stereotipi del genere come ad esempio l'ottimo When animals dream sulla malattia che va a braccetto con la licantropia oppure il trip pubblicitario sul cannibalismo di Neon Demon.
Mikkelsen sceglie gli zombie, un tema abusato nell'horror e che sembra aver ormai esaurito tutti gli spunti possibili. Il film infatti è molto classico sia come struttura che per l'attenzione a dosare gli elementi gore e vari altri effetti rendendolo meno splatter ma con una peculiare attenzione rivolta alle caratterizzazioni dei personaggi e la lunga distruzione di questa famiglia che sembra uscire dalla pubblicità del Mulino Bianco.
Fino alla metà del film infatti si intuisce che sta succedendo qualcosa ma non si vede affatto, rendendo e aiutando a costruire l'atmosfera e l'ansia che da lì a poco prevarrà su una sorta di home-invasion dove la famiglia cercherà di sopravvivere come può.
Quindi l'horror danese che sembra in tutto e per tutto più un dramma che altro aggiunge uno zombie movie a una tradizione che puntava più su altri sotto filoni dell'horror.
Forse l'unica perplessità è quella legata ai tempi che in un horror possono essere fondamentali o compromettenti. In questo il film paga un'eccessiva descrizione e il lento crescendo di inquietudine domestica fino all'apparizione del primo zombie che arriva a quasi un'ora dall'inizio del film contando che la durata totale è di ottanta minuti.

domenica 23 ottobre 2016

Train to Busan

Titolo: Train to Busan
Regia: Sang-ho Yeun
Anno: 2016
Paese: Corea del sud
Giudizio: 3/5

Seok-wu è un manager finanziario separato dalla moglie: la piccola Su-an spesso si sente trascurata da lui e preferisce la compagnia della madre. Sul treno su cui viaggiano i due, per portare Su-an dalla madre che vive a Busan, sale una ragazza che riporta delle ferite strane sul corpo, simili al morso di un animale. Presto si trasformerà in zombi e sul treno per Busan si scatenerà l'inferno.

Gli zombie ormai negli ultimi anni sono spesso e volentieri sinonimo di qualcosa di già visto.
I traguardi da ricordare negli ultimi anni sono davvero pochi e quindi imbattersi in uno zombie-movie orientale, in particolar modo coreano, non capita spesso.
Train to Busan è sicuramente un film che gioca benissimo per quanto concerne il ritmo, l'atmosfera e l'azione. Forse l'eccessiva lunghezza e un finale troppo telefonato e strappalacrime sono gli elementi che ne sanciscono un buon prodotto di genere ma senza quel salto in avanti che Yeun poteva permettersi contando che di certo una componente di pessimismo e crudeltà erano già presenti nel suo precedente KING OF PIGS un film d'animazione davvero teso e violento.
Seok porta avanti la sua corsa per la sopravvivenza con la figlia e un gruppo di persone che una dopo l'altra periranno in due tra le maggiori location dove il film decide di concentrare e dipanare la storia. Sicuramente per i fan di genere è un film da non perdere consigliato da quasi tutti i siti e i blog che ne capiscono un minimo di cinema.

E' una pellicola con un budget importante e un cast ben misurato. Un'opera che al contempo riesce a inquadrare qualcosa di originale e non banale o iper sfruttato, come capita sovente, e tante citazioni che non tolgono o rubano idee ma servono semplicemente a omaggiare la tipologia zombie che negli ultimi anni ha sdoganato: quella dei non morti che corrono e che vedono solo gli oggetti in movimento.