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domenica 29 settembre 2019

Antiporno

Titolo: Antiporno
Regia: Sion Sono
Anno: 2016
Paese: Giappone
Giudizio: 3/5

Kyoko è un'artista eccentrica che mette la sessualità al centro delle sue opere e maltratta i propri assistenti. Ma forse Kyoko è solo il personaggio di un film e l'attrice che la interpreta ne è l'esatto opposto, timida e complessata per una serie di traumi adolescenziali. O forse ancora...

Sion Sono è da sempre un regista fuori dalle righe ritagliandosi una certa nomea nel cinema di genere e non solo. Antiporno arriva ancora una volta in maniera inaspettata, stravolgendo le regole e dimostrando ancora una volta come l'outsider nipponico sappia gestire temi e forme inusuali di idee e di messa in scena. Il film fa parte di una serie di opere commissionate ad alcuni registi con il fine di omaggiare il pinku eiga, quel tipo di pellicola con all'interno scene erotiche di qualsiasi tipo, una sorta di manifestazione anarchica di un paese che fino agli anni '70 era costretto a censurare e reprimere ad ogni costo la sfera sessuale.
Kyoko così diventa promotrice di se stessa, del suo corpo, del suo fascino, della sua sessualità sfoggiandola e facendone perno per creare il suo personaggio, un attrice porno molto famosa con tanti fantasmi nell'armadio.
Attorno a lei prendono vita fotografe affascinate dalla sua carica eversiva, in una satira di fatto costruita tutta all'interno di una stanza, in un'unica location, che Siono sfrutta cospargendola di colori, quadri e immagini e dando molto risalto alla fotografia.
Proprio in alcuni personaggi, ma di fatto è sempre la protagonista il culmine della metafora e della critica alle istituzioni, come ad esempio l'assistente/serva Noriko, vediamo quella classe dominata e costretta a subire la crudeltà e il sadismo della sua padrona senza mai provare a ribellarsi ma accettando passivamente torture e prove iniziatiche.
Antiporno ha tanti dialoghi, molta improvvisazione, divertenti scenette e quadri che capovolgono sempre il ritmo e il tono della pellicola, a tratti soffocata e limitata da una pluralità di fattori che vogliono trovare un'alchimia alle volte forzata come la perversione ai danni della stessa Noriko.
Il film rimane un grido di liberazione di chi come Kyoko sceglie di vendicarsi dei propri traumi attraverso quella stessa liberazione del corpo che sembrava intrappolarla, diventando l'ennesimo messaggio di difesa di una femminilità che non riesce a trovare un posto nella società.

mercoledì 5 giugno 2019

Zombie self defence force


Titolo: Zombie self defence force
Regia: Naoyuki Tomomatsu
Anno: 2006
Paese: Giappone
Giudizio: 3/5

L'onda di radiazioni irradiata da un UFO schiantatosi ai piedi del Monte Fuji resuscita i morti in tutta la regione trasformandoli in famelici zombies. Un gangster eliminato da uno yakuza, un suicida ed una donna incinta uccisa accidentalmente dal suo amante durante un alterco violento sono i primi morti viventi che diffondono il contagio azzannando chiunque attraversi il loro cammino. Un gruppo di soldati presente nella zona per una esercitazione impugna le armi contro le mostruose creature per proteggere una scolaresca in gita, salvare la propria pelle e l'intero paese. Gli zombies cadono sotto i colpi delle armi da fuoco o sono smembrati e decapitati da lame affilate, ma i nemici più insidiosi sono il feto della donna incinta che si è tramutato in un ferocissimo mostriciattolo sgattaiolante ed il mummificato eroe della seconda guerra mondiale venerato dagli abitanti come una divinità nazionale. Tra i militari, c'è anche un cyborg costruito in via sperimentale da una equipe di folli scienziati che sogna di creare un esercito di soldati imbattibili per vendicare in futuro la sconfitta subita per mano degli americani. Al termine della lunga battaglia, i dischi volanti tornano a volteggiare nel cielo profilando un nuovo pericolo...

Come per il j-horror e il sotto genere Dnotomista parliamo del "Nihozombie" in cui gli ingredienti sembrano unire elementi del cinema low budget a sotto generi con precise connotazioni cinematografiche dal trash, weird, erotico, commedia, ironico, zombie, invasioni aliene, splatter, gore, arti marziali etc. Tutto questo mischiato assieme in un gruppo di film che negli anni da parte di un certo pubblico hanno saputo diventare dei piccoli cult.
Parlo ovviamente di HIGH SCHOOL GIRL RIKA:ZOMBIE HUNTER, GIRLS REBEL FORCE OF COMPETITIVE SWIMMERS e JUNK.
La lista è ancora più fitta ma diciamo che questi sono i pezzi forti, quelli che con diverse difficoltà hanno oltrepassato il confine per giungere fino a noi sottotitolati.
Tomomatsu purtroppo ha diretto solo tre pellicole con cui l'ultimo più famoso facente parte del sotto genere Dnotomista conferma la sua passione per gli eccessi.
Infatti come per gli altri suoi film eccetto il primo, si riconferma una vena spiccata per lo splatter gore dove seppur il budget è limitato, i nipponici confermano di non fermarsi di fronte a nulla anche a ridosso di problematiche difficili da dimenticare (un set imbarazzante e alcune scenografie da capogiro). Il regista dimentica quella pacatezza che avvolgeva l'atmosfera del suo esordio per buttarsi su una galleria di scene gratuite e per certi versi tragi comiche dove purtroppo l'esito è l'assenza di violenza (non accenna mai a prendersi sul serio) e un cast composto da un gruppo di persone che fallisce miseramente il compito di portare un minimo di tono all'intera vicenda.



lunedì 3 giugno 2019

Dellamorte dellamore


Titolo: Dellamorte dellamore
Regia: Michele Soavi
Anno: 1994
Paese: Francia
Giudizio: 4/5

Francesco Dellamorte lavora come custode al cimitero di Buffalora, un piccolo paesino lombardo. Il luogo però è infestato da una strana maledizione: la notte infatti le persone decedute negli ultimi sette giorni ritornano in vita, e a lui e al suo goffo aiutante Gnaghi tocca l'arduo compito di eliminare i morti viventi. Il tutto naturalmente all'oscuro di chiunque, pena il rischio di perdere il lavoro e passare per matto. Le cose però si complicano inesorabilmente quando Francesco viene sedotto da una giovane vedova. I due hanno un rapporto sessuale proprio sopra la tomba del marito appena scomparso, che inferocito si risveglia dalla tomba e uccide la ragazza. Da qui in poi per Francesco la vita diventerà un vero inferno, e oltre ad occuparsi dei "ritornanti", sempre più numerosi, dovrà fare i conti con la propria coscienza.

Fino ad oggi il miglior film su Dylan Dog.
Qualsiasi altro tentativo non è mai stato all'altezza nonostante gli sforzi interessanti di un indie come Dylan Dog-Vittima degli eventi oppure tentativi beceri e terribili come sempre ad opera degli americani girati in fretta e furia e senza rispecchiare nessuna poetica dell'autore con Dylan Dog-Dead of Night
Tratto da un romanzo di Tiziano Sclavi, il film funziona prima di tutto per l'atmosfera che riesce a confondere lo spettatore facendogli pensare di essere in una sorta di limbo (siamo a Boffalora vicino Milano) dove in mezzo alla nebbia e soprattutto tra la nebbia, tutto può succedere.
Sembra inoltre di uscire da un film di Fellini ed entrare nell'orrore di Fulci.
Tutto funziona perfettamente anche la presenza di una modella come Anna Falchi che rimane statuaria nella sua bellezza e nella sua iconografia che soprattutto all'inizio è ispirata alla Venere del Botticelli. E' un film che se a livello tecnico funziona molto bene, è soprattutto il ritmo e il linguaggio a farla da padrone dove il grottesco non manca, ma neppure il cinismo beffardo e la malinconia romantica di fondo con continui rimandi al cinema e alla letteratura e alcune scene indimenticabili. Oltre ad essere il miglior film su Dylan Dog e un ottimo horror zombie-movie, una interessante commedia nera e un dramma romantico girato con un decimo del budget del coetaneo americano con cui in comune ha solo il nome del protagonista.




sabato 20 aprile 2019

Father's day


Titolo: Father's day
Regia: Adam Brooks, Jeremy Gillespie
Anno: 2011
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Ahab è ossessionato dalla vendetta, violenta, brutale e indomabile vendetta nei confronti dell'uomo che ha ucciso suo padre. A dargli una mano arriva John, un prete e Twink. Insieme partono per un'epica avventura per trovare questo mostro, Chris Funchman, noto anche come il Killer della Festa del Papà.

Gillespie. Ricordatevi questo nome. Per me era stato già in passato un talento e una sicurezza.
Poi sono arrivate tante cose un po della Troma e altri horror indipendenti notevoli per arrivare poi al top Void, uno degli horror migliori degli ultimi dieci anni.
Si fa tanto il nome di Adam Brook ma il suo contributo rispetto a quello del collega non vale il paragone.
Father's day è tanto Troma, è tanto trash, weird, grottesco, volgare, fratelli che scopano le sorelle e altri elementi che i fan di un certo tipo di cinema ma soprattutto di genere apprezzeranno.
Si ride tantissimo e di gusto. Astron-6, lo scrittore e regista di Father's Day , è in realtà un nome composito di cinque diversi ragazzi, che probabilmente sono cresciuti affittando quei nastri Troma, e sembra che abbiano cercato di assimilare ogni ispirazione che hanno mai avuto da loro in un film.
Qui si parte da un trauma, dal famigerato serial killer Chris Fuchman (sì, pronunciato "Fuck-Man"), che ha ucciso padri per qualcosa come trent'anni nei modi più efferati possibili (alcuni omicidi citano il nostro cinema neo gotico italiano) con un mascherone di gomma tremendo e tutta una serie di accessori che forse non vedrete in nessun altro film.
Father's Day fagocita tutto, motrando senza pudore e senza remore tutto quello che la censura vorrebbe toglierci ma che invece per gli autori della Troma sono diventati il leitmotiv del loro modo di fare cinema. La festa del papà ha l'unico scopo di intrattenere con rimandi a tanto cinema e citazioni (Ahab è la variante scemotta di Plissken) alcune delle quali davvero disgustose.



giovedì 11 aprile 2019

Dirty Shame


Titolo: Dirty Shame
Regia: John Waters
Anno: 2004
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Sylvia è una donna di mezza età, sposata e totalmente assorbita dalle faccende di casa, che si nega alle gioie del sesso. L'incontro con Ray-Ray Perkins muterà radicalmente la sua apertura nei confronti della carnalità.

John Waters è uno dei registi che mi ha regalato più sensazioni e adrenalina per quanto concerne la settima arte. Facente parte della vecchia scuola, diciamo che lui, l'esercito della Troma e pochi altri registi hanno saputo essere così sfacciatamente in grado di regalare tutto ciò per cui il pubblico adora il trash. Quando da noi si parlava o aveva successo la commedia scollacciata, che non ho mai amato, non facevo che prendere le distanze per appiopparmi quelle che considero le vere commedie scollacciate dove tette, sesso e tutto il resto diventano le vere protagoniste distruggendo ogni tabù e puritanesimo e facendo incetta di eccessi e contraddizioni.
Un film divertentissimo, con un ritmo straordinario e un cast al suo meglio nel non prendersi sul serio e nel cercare pur esagerandone i toni e le maniere di continuare una battaglia che in quasi tutto il suo cinema diventa una regola e una missione, ovvero la battaglia tra puritani e sessuomani, metafora di una società che Waters da questo punto di vista ha sempre definito preistorica e dove la religione ha sempre assunto un ruolo decisivo.
Spesso la critica maggiore mossa all'autore è quella di essere esagerato nelle scelte e nella messa in scena, ma d'altronde in un paese che pone il massimo divieto, come la censura americana, il fatto che Waters sia tornato alla sua vena più dissacratoria con un'insistenza esplicita che da tempo mancava non può che aumentare e di nuovo provocare la sua idea di cinema in un America sempre più bigotta, conservatrice e moralista.


lunedì 11 marzo 2019

Barbarella


Titolo: Barbarella
Regia: Robert Vadim
Anno: 1967
Paese: Francia
Giudizio: 5/5

Nell’anno 40.000 d.C., in un’epoca di amore universale senza più bisogno di guerre e armi, la terrestre Barbarella è convocata per scoprire che fine ha fatto lo scienziato Durand Durand, inventore del raggio positronico. È l’inizio di una serie d’avventure interplanetarie all’insegna del piacere.

Non c'è un perché razionale quando ci si innamora.
Barbarella è un cult assoluto. Un film multiforme. Exploitation, weird, trash (alle volte), grottesco. Un immenso film di genere che mette nel calderone scifi e azione, avventura e scenari favolosi.
L'idea nasce da un fumetto del 1962 di Jean-Claude Forest che di fatto lanciava una sexy eroina del futuro, troppo bella, leggermente ingenua e sempre pronta a spogliarsi.
Una icona alternativa figlia di una cultura anni Sessanta, nascendo da un contesto amniotico come la nuova donna liberata, sfidando il buon costume e la censura di quegli anni che preferivano il sesso "vecchia scuola" allo "psicosessogramma" che in un qualche modo anticipa "l'orgasmatic" di Allen sostituendo la pratica sessuale.
Un film voluto da De Laurentis (probabilmente già sapendo che sarebbe divenuto un flop) che in quel periodo approdava a sfide e produzioni straniere con il risultato di sfondare, questo è il caso, fantasie e contaminazioni, coniugando erotismo e fantascienza con una marcata vena autoironica.
La colonna sonora, la fotografia, la scenografia e il montaggio. Tutto fila liscio e psichedelico come un omaggio alla cultura dei figli dei fiori, l'uomo nella sue essenza che viene fumato e assaggiato attraverso un enorme narghilè, per arrivare alle bambole che mordono per davvero e gli angeli che non possono vedere e per finire scienziati, barbari e regine nere.
L'obbiettivo della protagonista, del film e dei suoi intenti è quello di ristabilire la pace facendo finire le guerre e abbandonandosi alle fantasie. In tutto questo nonostante la sua indole libertina, Barbarella è curiosa, pulita e mai morbosa diventando un'icona proprio per la libertà nel fare le scelte che più la appagano e con chi ne abbia voglia, senza mai morbosità.
In origine il personaggio di Barbarella doveva essere interpretato da Virna Lisi, che però decise di abbandonare l’offerta e di tornare in Italia. Il ruolo poi venne proposto a Brigitte Bardot (che aveva ispirato il personaggio originale del fumetto), la quale però rifiutò perché stanca di ruoli sexy, quindi a Sophia Loren che, allora incinta, rifiutò a sua volta ritenendosi non adatta al ruolo.
Infine venne proposta a una giovane Jane Fonda, tentata inizialmente di rifiutare; cambiò idea quando il marito, Roger Vadim, le sottolineò quali possibilità si stavano aprendo con il cinema di fantascienza.
Le citazioni o gli elementi che verranno ripresi dal cinema grazie a questo film sono troppi ci infilerei quasi tutti i nomi della nuova Hollywood.



venerdì 8 febbraio 2019

Piercing


Titolo: Piercing
Regia: Nicolas Pesce
Anno: 2018
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Reed, marito e padre finge con la moglie una trasferta di lavoro ma in realtà si prepara meticolosamente a una serata sadomaso, che prevede di concludere con l'eliminazione fisica della prostituta con cui ha appuntamento, Jackie, già dotata di spiccate tendenze autolesioniste. Nella camera d'albergo in cui si incontrano, infatti, il programma non procede come previsioni.

Piercing è il classico film indie che quando cominci a vederlo pensi alle furbizie del regista, al fatto che la storia in fondo non è così enigmatica come sembra e poi arrivi alla fine, qualcosa non torna e tu dici, wtf? Ma nel frattempo quello che hai visto ti è piaciuto. Molto pure.
E'un film strano, un'opera che cerca di provocare e ci riesce, spiazzandoti proprio dove credi di essere particolarmente abituato.
Pesce è un regista che sa fare il suo mestiere, lo ha dimostrato con la sua opera prima, un horror atipico, e con questo film, dimostrando di saperci fare, è stato rapito dalle lobby che lo vogliono per il remake di THE GRUDGE.
Ok sperando di non essercelo perso, questo film tratto da un'opera del malatissimo Ryu Murakami, ha dalla sua dei cliffangher clamorosi anche se rischiano di diventare macchinosi per l'uso che il regista ne fa, ricorrendo spesso allo spiazzamento (quello che sta succedendo è davvero reale?)
La particolarità dei personaggi è come in Venere in pelliccia di mostrare piano piano ognuno il loro reale potenziale, destrutturando in un attimo quanto abbiamo appena visto.
Il primo atto diciamo che è semplicemente perfetto. Abbott con la sua mimica centra perfettamente il protagonista e lo rende vittima e carnefice in un gioco sadomaso che non mi era mai capitato di vedere così bene e allo stesso tempo così ironico pur tagliando e sanguinando apertamente.
Piercing è un gioiellino squisito, che spero venga assorbito come deve dai fan del cinema di genere e spero infine che Pesce, a parte questa entrata nell'olimpo della merda, riesca a rimanere coi piedi per terra.
E'vero che nel film le citazioni sono tante e importanti ma al di là di questo fattore, la storia c'è, non ha bisogno di fronzoli per renderla funzionale, ma invece approfitta del pervasivo e poderoso contributo del music supervisor Randall Poster omaggiando tanti film degli anni '70, dove il film di Argento fa da padrone.




domenica 9 dicembre 2018

Orgazmo


Titolo: Orgazmo
Regia: Trey Parker
Anno: 1997
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Joe Yung (interpretato dallo stesso regista) è un mormone che fa proseliti a Hollywood. Durante uno dei suoi sermoni incontra MaXXX Orbison un produttore di film porno ed inizia a lavorare per lui come attore. Interpreterà Orgazmo, un super-eroe dotato di un super raggio laser capace di provocare, appunto, l'orgasmo!

Trey Parker è sempre stato un provocatore nato.
La saga di South Park e gli ultimi suoi lavori come Team America hanno sempre cercato di prendere in giro lo spirito patriottico americano e tutti i suoi bei conservatori.
Per essere una commedia ironica riesce bene a mantenere un ritmo costante in grado di dissacrare quanto più possibile sfruttando come è solito da parte dell'outsider americano il fenomeno religioso come contro altare alla vena provocante (in questo caso i mormoni)

Gag e puro stile trash per un film molto indie, molto semplice e senza troppe pretese, un'occasione per cimentarsi dietro al macchina da presa scrivendo anche soggetto e sceneggiatura ed elaborando già diverse tematiche che andrà ad ampliare assieme a Matt Stone in seguito come la provocazione ai fondamentalismi religiosi, la sessualità disinibita, e poi le musiche, molte delle quali composte dallo stesso Parker

sabato 10 novembre 2018

Angel of anywhere


Titolo: Angel of anywhere
Regia: James Kicklighter
Anno: 2017
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Uno spogliarellista empatico interpreta il terapeuta tra i numerosi clienti e collaboratori che frequentano il famoso Anywhere Bar.

Un corto eclettico e colorato quello di Kicklighter, giovane cineasta indie americano, che sembra strizzare l'occhio ad Araki per questa piccola e intensa storia queer dove Axel Roldos, Angel, diventa il vero perno della discoteca, quasi un magnete che attira dee jay, donne, uomini, esplorando assieme a loro la profondità di alcuni temi molto umani come l'amore, la fedeltà e il rapporto coniugale.
Angel ha quel modo di fare che colpisce tutti in un modo o nell'altro probabilmente perchè dietro quei muscoli c'è anche un cervello. Con un climax finale abbastanza prevedibile ma intenso e con una metafora che la dice più lunga di quel che sembra, dimostrando come in 16' si riesca a concentrare ed esplorare le insicurezze umane senza essere mai grottesco o esagerando nei toni, il regista dimostra di saper realizzare un bel corto, per nulla banale, ma intensificato da un gioco sui sessi divertente e maturo.





giovedì 18 ottobre 2018

Grass Labyrinth


Titolo: Grass Labyrinth
Regia: Shuji Terayama
Anno: 1983
Paese: Giappone
Giudizio: 5/5

Akira è un giovane ragazzo che deve sfuggire alle mire di una ninfomane tentatrice. Il suo unico modo sarà quello di dare ascolto a sua madre per non lasciarsi catturare

Nell'anno della sua morte Terayama, uno degli esponenti maggiori del surrealismo cinematografico giapponese, ci lascia questo mediometraggio di una potenza visiva indimenticabile.
L'exploitaion giapponese. Un mediometraggio che registi come Miike Takashi conosceranno a memoria.
Uno scenario esteticamente delizioso e grottesco, dove le creature della mitologia nipponica, emergono in una galleria che alterna pulsioni di vita e di morte.
Una strega, una ninfomane che invece cerca con le sue armi, una melodia che rischia di far impazzire, di strappare l'umile Akira, ancora vergine, dall'unica donna in grado di salvarlo, appunto sua madre, in un rapporto dai risvolti edipici molto complessi.
Un piccolo e delizioso cult, completamente assurdo, senza una vera e propria trama, ma lasciando anche parte del cast nelle roccambolesche scene da teatro kabuki a trovare una loro complicità e forza che non manca mai di risultare visivamente estremamente complessa e affascinante.
Dal punto di vista tecnico poi la scenografia e la fotografia cercano di aumentare soprattutto i colori passando per forme naturali e artificiali che si mescolano puntando in particolare al rosso e al giallo.
C'è davvero tanta musica che insieme alle scene di sesso, folli anch'esse, aumentano quella sorta di oniricità tra sogni immersi nella confusione temporale, dove tutto accade in un'atmosfera che non viene e non deve essere mai chiarita.
Un'esperienza ancora una volta non convenzionale per un cinema anarchico fino al midollo come solo quello di alcuni artisti giapponesi.





lunedì 17 settembre 2018

Blush


Titolo: Blush
Regia: Michal Vinik
Anno: 2015
Paese: Israele
Giudizio: 4/5

La diciassettenne Naama Barash si diverte con i suoi amici tra alcol e droga mentre in famiglia deve vedersela continuamente prima con i genitori con cui è sempre in discussione e poi con la scomparsa della sorella, arruolata in un esercito ribelle. Appena arrivata in una nuova scuola, Barash si innamora per la prima volta e l'intensità dell'esperienza la confonderà fino a dare nuovo significato alla sua esistenza.

Il manifesto dell'adolescenza femminile a pari passo con le prime esperienze sessuali e trasgressive viene scandagliato regolarmente da molti paesi immergendosi in alcune sotto tematiche o semplicemente descrivendo l'ambiente.
Mancava all'appello un film coraggioso come quello israeliano che non ha nessun tipo di velo e censura mostrando una società o soprattutto un underground giovanile, una sub cultura, composta per lo più da una ricerca costante di eccessi, dalla perdita della verginità agli effetti della droga parlando di ribellione e della ricerca adolescenziale della libertà e al bisogno di infrangere ogni tabù
Un film che cerca di scardinare dogmi e valori ormai passati o trapassati dai millenial portando le ragazzine a scappare di casa o dalle caserme come gesto di estrema indipendenza o di come non si vogliano seguire alcune regole imposte dal nucleo familiare o addirittura fregandosene del parere degli altri arrivando a farlo praticamente nei posti in ultima fila di un pullman sapendo benissimo di essere visti e quindi sdoganando infine il voyeurismo proprio da parte delle protagoniste.
Un film che non ha niente di meno rispetto a pellicole come LA VITA DI ADELE o FUCKING AMAL (le analogie con il secondo sono però più palesi), o il coraggio di Much Loved, mostrando una Tel Aviv molto al passo coi tempi dove la parola d'ordine sembra essere Md.
Vinik è coraggiosa nell'avvicinarsi alle protagoniste, molto giovani e belle, nel descrivere e mostrare così tante scene dove le protagoniste si scoprono a letto e hanno questi baci a profusione intensi e lunghissimi dove le scene di sesso tra le due ragazze sono realizzate con dovizia di particolari e con molta sensibilità.
Come per Amal di Moodysson anche qui Vinik non affronta il tema dell’innamoramento tra due ragazze e tutte le sue implicazioni, ma cerca di riflettere su una gioventù annoiata e stanca di relazioni liquide e in cerca di qualcosa di nuovo o che almeno possa appagare la noia quotidiana, in questo caso le droghe dove si parte dai cannabinoidi per arrivare alla cocaina o alle droghe sintetiche è molto inquietante ma sicuramente post contemporaneo.
L'unica nota dolente al film di Vinik e che scoperte le carte il film si ripete abbastanza cercando di intraprendere il plot del thriller nella scomparsa della sorella ma non riuscendoci affatto rischiando di diventare macchinoso e superficiale.




mercoledì 1 agosto 2018

I.K.U


Titolo: I.K.U
Regia: Shu Lea Cheang
Anno: 2000
Paese: Giappone
Giudizio: 3/5

La Genom Corporation sta immettendo nel mercato dei chip che trasmettono dati erotici agli utilizzatori, che possono raggiungere intense forme di piacere senza alcun contatto fisico, accedendo a livello neuronale all’I.K.U. Server attraverso un Net Glass Phone. Per collezionare i biodata necessari a riempire la memoria dei chip, la Corporation produce sette donne-avatar, che insaziabili di piacere, agiscono come dei virus nei corpi delle persone con cui hanno rapporti e ne catturano emozioni da rivendere. Le donne reyko possono mutare conformazione a seconda delle preferenze e desideri di chiunque, siano essi uomini, donne o transgender.

Dnotomista, exploitation, sexploitation,weird, eccessivamente trasgeressivo, un'altra perversione divenatta cinema. E' difficile catalogare il bizzarro film di Shu Lea Cheang, media artist e film-maker nata a Taiwan (ora di passaggio a Berlino). Un film erotico particolare dove la sci-fi sembra essere il contorno su cui far girare questa galleria di sequenze erotiche.
I.K.U è un film sperimentale realizzato nel 2000 e prodotto dalla Uplink Co. di Tokyo, all'interno della vicenda si è subito proiettati in una realtà nipponico-erotico-visionaria che ricorda le atmosfere di BLADE RUNNER, ma che le trasporta in un universo psichedelico liquido in cui le protagoniste sono sette avatar-eroine. Queste, chiamate I.K.U. Coders, sono delle replicanti reyko agenti della Genom Corporation. Il film inizia finisce quello di Scott, all’interno di un ascensore in cui la prima donna reyko scatena il suo piacere. A differenza del film di Scott, qui non c’è amore, ma solo sesso, frase che accompagna parecchie scene del sf-movie (“it wasn’t love, it was sex”).
Le pecche del film riguardano lo sviluppo della sceneggiatura e le conclusioni.
La storia potenzialmente poteva essere molto originale e il metodo della regista nel trattarla appare azzeccato. Ma stiamo parlando di un'artista che sembra essere stata più attratta dall'effetto estetico della sua idea che non da quello contenutistico.
Nel film trovano spazio donne, uomini, esseri fluidi e ibridi, per una magica overdose di piacere spesso poco realistica che non vuole vittimizzare nessuno di essi. Ogni sequenza è come un frammento di digital art, i personaggi sembrano essere usciti da un libro di comics.
Il film è stato mostrato al Sundance Film Festival e in più di altri venti festival internazionali, raggiungendo l’appellativo di essere un “Pussy point of view”, mostrando la pornografia attraverso gli occhi di una donna. Il film è un valido esempio di come la donna può affermare il proprio punto di vista non lottando oppositivamente contro un potere cristallizzante, contribuendo a realizzare nuovi dualismi, ma entrando direttamente nel sistema di produzione tecnologica per inserirvi il chaos dall’interno. E poi non tutto va come dovrebbe andare. Ci sono virus e altre porcherie senza contare la voce di sottofondo che deragliano e creano spiacevoli imprevisti ai personaggi.

mercoledì 9 maggio 2018

Julkita


Titolo: Julkita
Regia: Humberto Busto
Anno: 2017
Paese: Messico
Festival: Torino Underground Cinefest 5°edizione
Giudizio: 4/5

Contro la violenza di ogni genere e il disonore dei politici messicani arriva Julkita e il suo ciclo mestruale....se solo fosse coraggiosa abbastanza da distruggere i suoi nemici famigliari...

Blasfemo, trasgressivo, esplosivo, assurdo, esagerato.
Il corto di Busto in 18' riesce a generare e provocare una quantità di stati d'animo a metà tra l'exploitation, lo schifo assurdo, il trash e il weird fino ad arrivare ad un finale davvero senza senso.
Fratello e sorella. Praticamente un'unica location. Sangue, lingue che si attrversano, ancora sangue ma quello mestruale. Un rapporto intimo ossessivo compulsivo, rapporti tra consanguinei, le personalità multiple di Julkita, la protagonista che si inneggia a paladina mettendo a sacrificio proprio il suo corpo e la sua femminilità.
Credo che ci troviamo di fronte al corto più feroce e frenetico del festival.
Un atto anche politico con una metafora che riesce solo in parte a raggiungere l'intento che si era dato, rimanendo troppo ancorato a qualcosa che sembra un braccio di ferro tra una sessualità deviata e un bisogno di scindere una parte di se stessi quando ci si trova lontano dalle mura domestiche.

martedì 27 febbraio 2018

Rocco


Titolo: Rocco
Regia: Thierry Demaizière, Alban Teurlai
Anno: 2016
Paese: Francia
Giudizio: 3/5

La pornostar più famosa al mondo, Rocco Siffredi, si presta totalmente all’obiettivo per una confessione fiume: da Ortona, il paese natale abruzzese, fino a Budapest, sede della sua società di produzione, i casting a Los Angeles e le riprese dell’ultimo film a San Francisco, sempre accompagnato dal cugino Gabriele, caotico ma onnipresente foto-operatore, assistente alla regia, autista.

La prima inquadratura mostra il cazzo dell'attore sotto una doccia con un rallenty impressionante e sfruttando una fotografia in b/n.
Tutti siamo invidiosi di Rocco Siffredi e questo documentario in cui si racconta farà in modo che lo invideremo ancora di più.
Rocco ha un puto fisso nella vita. Il sesso.
Così ha deciso di non mascherarlo e di basare tutta la sua vita su quello, facendo film porno e andandone orgoglioso senza nasconderlo pur con qualche pensiero riguardo alla moglie e alla crecita e il rapporto con il figlio.
Per il resto si è divertito portando a letto più di tremila donne e arrivando alla sua età con un fisico e una salute di tutto rispetto.
Il documentario funziona a tratti, alla regia abbiano una coppia di francesi che scelgono il taglio giusto per quanto concerne la messa in scena e le interviste, sondando però solo in piccole analisi o commenti lo squallore di tutto il mercato e l'industria che c'è dietro.
Spesso si pensa che le ragazze soprattutto straniere accettino per problemi di denaro e povertà. Sicuramente in alcuni casi è così ma parte delle interviste mostrano che tante di loro vogliano far sesso e amino le situazioni più bizzarre scegliendo ognuna una propria particolarità o perversione che più le aggrada.
Rocco si racconta, la famiglia, la madre, la morte del fratello, il cugino che si è sempre portato dietro e che vive come un'ombra, arrivando però così anche al limite più forte della docu-fiction.
Rocco si racconta mentre a tacere sono purtroppo i tanti che popolano la sua vita dalla moglie ai figli con cui si vedono solo attimi di pause ludiche senza peraltro dialoghi.
Il disagio alla fine per quanto la star cerchi di non farlo trapelare è come una maschera indossata da ogni attore sociale o che lavora in rete in questa consumazione di corpi che sembra un grido agonizzante di chi cerca di salvarsi da un futuro che non sembra concedere a chi non è così famoso spazi o possibilità di redenzione.

martedì 20 febbraio 2018

After porn ends


Titolo: After porn ends
Regia: Bryce Wagoner
Anno: 2012
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

La vita fuori dagli schermi degli attori pornografici contemporanei più famosi d'America. Cosa li ha spinti a intraprendere la carriera nell'hard? Cosa succede quando abbandonano quel percorso per vivere una vita ordinaria?

Alcuni documentari trattano temi che aiutano a comprendere meglio un fenomeno o meglio cosa ci sia dietro e con quali interessi e con quale posta in gioco.
After porn ends tratta il tema di quelle attrici, quasi tutte donne a parte tre attori, che dopo la carriera si domandano cosa possono fare e come la società intende trattarle appendendo di fatto il sesso al chiodo.
La risposta non è a lieto fine, anzi. Diciamo che chi ha raccimulato tanti soldi e ha un buon marito vive in questa fortunata condizione. Poi ci sono tutte quelle che nonostante le difficoltà sono riuscite a trovare un altro lavoro, o infine chi ha perso tutto e vive di ricordi del passato come reduce dell'industria del sesso con diversi problemi legati al fisico o alle dipendenze da sostanze.
Dalle 10 interviste alle milf emergono diversi dati tutti strutturati secondo storie di vita diverse.
C'è chi per compensare un passato segnato dagli abusi sceglie il porno proprio come bisogno per, a sua volta, continuare ad essere uno strumento magari annebbiato da alcool e droga.
Chi semplicemente ha inizialmente deciso di smettere all'arrivo dei figli per poi rendersi conto che non è in grado di accettare altri lavori e il porno in due guiorni di lavoro la settimana soddisfa il fabbisogno.
Dalle interviste emerge netto un fattore di differenza: le donne assomigliano chi in un modo chi in un altro a delle reduci, persone che hanno dovuto affrontare e superare il momento dell'abbandono delle scene (in media se non sono famose durano 3 o max 4 anni)mentre gli uomini invece sembrano rimasti fondamentalmente uguali a loro stessi, praticando in prevalenza hobbies ed avendo una memoria soprattutto aneddotica di quel periodo (alcuni parlano di masturbazione assistita come a far comprendere che quello che fanno non è nemmeno sesso ma consumazione di corpi)


domenica 15 ottobre 2017

Wetlands

Titolo: Wetlands
Regia: David Wnendt
Anno: 2013
Paese: Germania
Giudizio: 4/5

In Wetlands Helen, 18 anni, soffre di emorroidi e ha una vita sessuale intensa. Un padre distratto e una madre ossessionata dall’igiene le hanno imposto di eliminare ogni sgradevole secrezione. Lei si ribella, rifiuta di nascondere il suo odore, e tra sperma, sangue, diarrea, mestruo e liquido vaginale, cerca di colmare un vuoto educativo ed emotivo, imparando sul proprio corpo ad accettare e gestire pulsioni e sentimenti.

“Fin da quando io ricordo ho avuto le emorroidi”
Così Helen fa il suo esordio sullo schermo. Con queste parole. Il resto è una sorta di coming of age sulla formazione sfinterica di una ragazza alla scoperta della sessualità, del proprio corpo e di tutta un'altra serie di ingredienti soprendenti, bizzarri, spiazzanti, politicamente scorretti, eccessivi e a tratti disgustosi.
Un film divertente e pruriginoso intrinsecamente che sa unire insieme dramma e ironia sviluppando alcuni temi che sembrano ancora dei tabù e su cui il regista e come spesso accade nel cinema tedesco non ci si fa troppi problemi a dire le cose come stanno e soprattutto a mostrarle senza remore. Si parla tanto di sessualità ma come qualcosa di normale senza bisogno di nasconderne i suoi infiniti aspetti, qui il desiderio e l'obbiettivo di Helen è un’opera di distruzione di ogni forma di tabù sociale. Il fatto più sconvolgente è che oltre ad ignorare il comune senso della decenza e del pudore, si crei da sè delle norme igieniche, come la fantastica idea di rendere la sua vagina una fogna, non lavandola, per fare in modo che paradossalmente resista maggiormente alle malattie. Così arriviamo a tante scene e scelte che giocano tra lo scandalo e il disgustoso, parlo ovviamente della scena del bagno e della caramella allo sperma...e di tutto questo fluire, secernere, evacuare che ad un tratto prima di finire ricoverata, sembra un rubinetto difettoso.
La commedia nera diventa dramma che diventa grottesco che diventa surreale e così via mischiando svariati aspetti e cercando sempre più di impressionare con scene di forte impatto immaginifico.
Mi ha scioccato anche il fatto che la sceneggiatura non sia originale e che esista un libro così perverso ad aver ispirato la sua creazione.
Un film davvero soprendente, furbo, forse troppo, giocando e insistendo ripetutamente sull'esagerazione, elemento che ad un certo punto finisce proprio per creare l'inverso e da quel momento il film prende un'altra direzione non meno interessante ma sicuramente meno eccessiva che sembra far riflettere Helen sul suo obbiettivo.


martedì 11 aprile 2017

Love Witch

Titolo: Love Witch
Regia: Anna Biller
Anno: 2016
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

La seducente strega Elaine ammalia gli uomini, li attira con il suo corpo perfetto e riesce così a fargli bere un magico intruglio. Dopo aver bevuto la pozione, si innamorano di lei e perdono la propria virilità, diventando persone molto più deboli e fragili. Ma questo è proprio quello che Elaine non vuole.

Love Witch è una di quelle opere difficili da classificare. Un film strutturato in modo atipico, con una dimensione onirica che abbraccia la realtà come una pozione magica in cui lo spettatore finisce stregato. Ecco l'impressione è stata proprio questa trovandomi di fronte ad un film che parla di una strega in un modo davvero disarmante in cui prima dell'incidente scatenante, il film ha qualcosa di ipnotico e seduttivo.
Samantha Robinson poi è semplicemente perfetta senza stare a fare grandi cose.
Ha un viso, un'espressività e delle forme che la fanno diventare immediatamente la femme fatale, l'oggetto del desiderio che tutti vogliono e a cui nessuno può sottrarsi.
Anna Biller, regista e artista fuori dal normale, si diverte, mette tutto dentro al film, facendolo diventare una specie di manuale su com'è la vera vita da strega e tutti i problemi legati alle infatuazioni.
In più il film a qualcosa di nostalgico come se riportasse continuamente in un'epoca diversa in cui predomina la natura e la Vecchia Religione come nella scena bellissima in cui si celebra il rito del matrimonio secondo l'antico culto pagano.
Love Witch non è solo un omaggio al cinema sexploitation e grindhouse degli anni 60/70, ma si trova nel cinema del Technicolor, nel 35mm, in una delizia formale immensa e senza eguali che questa artista molto alternativa riesce a rappresentare con una spontaneità incredibile.
Un'opera che a distanza di anni riporta la regista con rara autorevolezza e convinzione a bombardarci di intrugli, saponette, pozioni e allucinogeni seriamente potenti.
Un film letteralmente ricoperto di simbologie che in una spirale narcisistica e spietata
dimostra una padronanza incredibile della sua creatura in ogni dettaglio, minuziosamente studiato, dove nulla è lasciato al caso.

The Love Witch è tanto altro ancora a parte una durata che allunga un po troppo alcune situazioni, intriso di delicatezza e violenza in un binomio capace di evocare sensazioni ed emozioni sopite da anni di effetti speciali in digitale. Il cinema di Anna Biller è cinema artigianale e noi non possiamo che apprezzare e accogliere questa rappresentazione alternativa e originale della strega attraverso canoni, stili e codici congeniali quanto intrisi di un certo sapere e di una innata capacità di saper unire così tanti ingredienti diversi.

martedì 7 marzo 2017

Heavy Metal

Titolo: Heavy Metal
Regia: Gerald Potterton
Anno: 1981
Paese: Canada
Giudizio: 4/5

Uno strano tipo d'astronauta torna a casa portando con sè il Loc-Nar, un piccolo meteorite verde. Appena varcato l'uscio di casa l'uomo viene polverizzato dal malefico meteorite davanti agli occhi dell'inerme figlioletta. Il Loc-Nar inizia così a raccontare le sue tremende vicissitudini alla bambina, affinché possano valere come lezione di vita sulle smanie di potere del genere umano.

Quando penso ad alcune pellicole storiche per quanto concerne l'animazione non posso non includere questo master di Potterton, il quale assieme a tante altre opere significative hanno saputo dare enfasi e spirito al genere. Heavy Metal poi senza nemmeno farlo apposta è un precursore nel suo viaggio spazio tempo a cercare storie e creare trame diverse anche se legate da un filo invisibile.
Tutto gode di una libertà, una magia e un'armonia che si respirava in alcuni periodi e che spesso con la c.g l'animazione moderna rischia di perdere.
Quando il film venne citato in un celebre episodio di SOUTHPARK mi resi conto che dovevo assolutamente vedere questa fondamentale perla che riesce a contaminare più generi dalla sci-fi uniti al fantasy e infine l'horror in modo molto equilibrato e suggestivo.
Il film è ispirato ad un celebre fumetto franco-canadese uscito nel 1974 di nome Metal Hurlant che tra l'altro potrebbe avere qualche analogia con il libro di Evangelisti Metallo Urlante, una raccolta di storie con tanti punti in comune.

A questo film tra l'altro collaborarono disegnatori come Moebius, Dan O'Bannon e Richard Corben mentre sulla soundtrack ci sono gruppi come i Black Sabbath, i Blue Oyster Cult e i Nazareth. Il film tra l'altro venne prodotto da un Ivan Reitman alle prime armi. Al di là della trama e di alcune storie che potranno sembrare ormai datate, il film mantiene un fascino e un'atmosfera davvero unica e potente in grado di restituire quella fama e rendere giustizia al lavoro che Potterton e soci meritano soprattutto inserendo alcuni sprazzi erotici che per il tempo non erano affatto scontati.

lunedì 6 marzo 2017

Handmaiden

Titolo: Handmaiden
Regia: Park Chan-Wook
Anno: 2016
Paese: Corea del sud
Giudizio: 4/5

Corea,1930. Sotto la dominazione giapponese della Corea, Sookee viene coinvolta nel complotto ordito dal (falso) conte Fujiwara, che mira al patrimonio di una ricca ereditiera nippo-coreana, Hideko. Sookee diviene la domestica privata di Hideko, ma ben presto tra le due donne nasce un’attrazione, che rischia di compromettere il piano di Fujiwara.

C'è una frase che mi colpì di Park Chan-Wook quando al tempo diresse uno dei tre episodi di THREE EXTREMES. Il regista confidò al giornalista di essersi avvicinato solo in tarda età alla settima arte e di aver visto pochissimi film.
Senza stare a fare le presentazioni parliamo di un outsider che non ha mai sbagliato un colpo.
Sia nella trilogia della vendetta, la più conosciuta e apprezzata, ma anche in tutto il suo cinema precedente e la filmografia successiva, è un autore poliedrico che ha spaziato dal dramma, all'horror fino alla sci-fi, per arrivare con questo suo ultimo film a concludere la trilogia sull'esplorazione dell'amore proibito iniziata nel 2009 con THIRST e proseguita con Stoker.
Handmaiden approfondisce alcuni temi cari al regista e chiama in cattedra ancora una volta una scenografia inquietante per quanto rasenta la perfezione e una fotografia anch'essa molto potente in grado di restituire tutto ciò che i dialoghi e le parole non devono sforzarsi di raccontare.
Eppure a dispetto di altre sue opere appare come qualcosa di incredibilmente complesso, stratificato, un omaggio al cinema erotico e al soft-core con scene di sesso tra donne che fanno imbarazzare LA VITA DI ADELE.
Hideko, la protagonista ad esempio è costretta ad essere, lei come tutti gli altri, prigioniera del suo zio folle, un demiurgo come non si vedeva da tempo, addestrata fin dalla tenera età a interpretare reading per soli uomini di testi erotici giapponesi, di cui lo zio è un accanito e geloso collezionista, ossessionato dal sesso come esercizio di potere in modo indifferente sia nei confronti delle donne sia degli uomini.
In Handmaiden tutto viene ribaltato, i giochi e le dinamiche complesse tra i personaggi esplodono, il lento gioco della rottura delle apparenze diventa sempre più grottesco e avvincente per poi finire in un bagno di sangue come nella inquietante scena che fa da apri pista alla deriva gore, in cui i due maschi, il padre-padrone ed il mentore-lenone, gabbati e sconfitti, si fronteggiano a colpi di tortura verbale e fisica tranciando dita.
E'un omaggio agli usi e costumi di una Corea ancora schiava e repressa, dove si insinua la libertà dell'erotismo come unica valvola di sfogo "femminile" e concentrandosi su una messa in scena che a differenza di molta cinematografia di genere coreana non usa un'estetica patinata così esagerata. Ispirato ad un romanzo inglese di successo, Ladra di Sarah Waters, il thriller di Wook, che tra i suoi registi preferiti pone Hitchcock palesandolo senza troppi problemi e tessendo come spesso capita nel suo cinema il classico concetto per cui chi è convinto di avere il coltello dalla parte del manico rischia di finire accoltellato.
Handmaiden come tante opere in costume utilizza lo storytelling per creare ambiguità e per dare ancora più valore e spessore alla storia.




mercoledì 15 febbraio 2017

Gradiva

Titolo: Gradiva
Regia: Alain Robbe-Grillet
Anno: 2006
Paese: Francia
Giudizio: 3/5

Uno studioso di Delacroix di nome John Locke si reca a Marrakesh per tentare di risalire alle ragioni della sua svolta pittorica, testimoniata dai "Carnets du Maroc", di cui però soltanto quattro sono giunti fino a noi. Nell'appartamento che divide con la sua schiava penetrano personaggi di ogni tipo, capaci di farlo entrare in una pericolosa spirale di sesso e allucinazioni.

Che strano film questo giallo, questo viaggio nella mistery franco-marocchina con ventate di cinema di altri tempi e un'amore infinito per le Mille e una Notte e il cinema erotico. In Gradiva il fascino e l'amore per l'Oriente sono una costante con cui il regista non può fare a meno di confrontarsi.
Un indagine lenta, onirica, inquietante e allo stesso tempo romantica come un viaggio alla scoperta del piacere e di ciò che può apparire e risultare scontato solo all'apparenza.
Un'opera che sembra un dipinto, forse troppo intellettualmente ricercata, in momenti dove non sempre si riesce a sposare alla perfezione con la fotografia del film, quadri e opere per una galleria di immagini potente e suggestiva abbracciando il bondage e le pratiche di sesso estremo.
Alcune location sono di una struggente bellezza guidandoci attraverso giardini incantati e castelli che sembrano nascondere all'interno tanti gironi infernali in un'esperienza che abbraccia la realtà, la fantasia, il sogno e la veglia confondendo lo spettatore e rimescolando in crescendo fino ad arrivare al climax e all'estasi finale, all'eccitazione dei sensi. Carnalità e trascendenza, violenza e tenerezza si alternano nella coscienza di John Locke in un film d'altri tempi con una piccola critica concernente gli intenti che in alcuni momenti decollano per traiettorie surreali e metafisiche.
L'amore per un'ideale di donna, che ricopre tante sembianze e sembra essere a tutti gli effetti una dea diventa un viaggio interiore ed esteriore anomalo quanto ambiguo come appunto diversi personaggi che il nostro John Locke incontrerà nella sua ricerca.