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venerdì 15 novembre 2019

Stranger Things-Seconda stagione


Titolo: Stranger Things-Seconda stagione
Regia: Duffer brothers
Anno: 2017
Paese: Usa
Stagione: 2
Episodi: 9
Giudizio: 3/5

La seconda stagione si apre con un piccolo excursus su tutti i personaggi, dandoci una panoramica della situazione in cui versa ognuno di loro. Mike è alle prese con la dipartita di Undici, mentre Will si troverà nuovamente a dover far i conti con il sottosopra. Dustin e Lucas saranno invece occupati in un simpatico triangolo amoroso con l’arrivo di Maxime, uno dei tanti nuovi personaggi della seconda stagione.
Undici dal canto suo si troverà nuovamente segregata, una prigionia però del tutto diversa. Lo sceriffo Hopper rivestirà, almeno nella prima parte di questo secondo capitolo, il ruolo di padre ipe-rprotettivo e tal volta anche un po’ svitato. Si rinnova il dualismo Steve/Jonathan che vedrà Nancy dividersi tra i due, come visto nella scorsa stagione.
Il nuovo spaventoso nemico farà quindi convogliare l’attenzione di tutti nuovamente sul Hawkins National Laboratory. Una minaccia decisamente più pericolosa e evidente del Demogorgone che metterà a dura prova tutti i protagonisti.

Il mio rapporto con la saga diretta dai Duffer Brothers è doverosamente complessa. La prima stagione mi aveva colpito negativamente senza lasciarmi quelle scariche energetiche di nostalgia ed effetto nostalgico che forse la saga voleva provare a mettere in scena. Troppo senso di dèjà vu su come raccontare gli anni '80 assorbendoli sotto una pluralità di elementi a partire dalle musiche, location e scenari, nuclei famigliari, troppa malinconia per non citare in continuazione film e accessori, tutto in un turbinio di fattori sicuramente colorati e messi in scena alla massima potenza ma che dal punto di vista della storia, della sua complessità e originalità mi lasciavano abbastanza dubbioso.
Ora quella che a detta di tutti è la stagione peggiore delle tre trovo che sia molto ben congegnata, apportando una maturità nel saper descrivere un microcosmo e narrare con più complessità intrecci tra personalità e situazioni marginali comunque fondamentali per quanto concerne il dover sempre rimanere con diverse sotto trame in gioco senza avere mai grossi cali di ritmo.
Personaggi nuovi, un'atmosfera ancora più malsana per quanto la sci-fi appaia meno d'effetto, più calibrata e "realistica" cercando di raffazzonare alcune esigenze di ritmo e di azione della prima stagione.
Genitori adulti e adulti genitori che sembrano rincorrersi, crisi adolescenziali, le prime pulsioni sessuali, l'inibizione, l'arrivo di una nuova creatura dal sottosopra, i laboratori degli scienziati sempre più disgustosi e portatori di segreti ed esperimenti assurdi, Max e Billy.
La mitologia creata dalla coppia di registi è diventata in brevissimo tempo uno degli eventi mediatici più importanti del cinema, perchè ST è cinema, delle serie tv, dell'hype a tutti i costi, della corsa contro il tempo aspettando gongolanti di fronte allo schermo l'arrivo di una nuova pillola rossa. Le visioni di Will, quei tentacoli che rimandano all'orrore cosmico, il percorso di crescita, un complesso rapporto "padre" figlia, i poteri psichici che rimangono ancorati e che si prendono il loro tempo per assaltare lo script e condensare l'azione sviluppandola in modo feroce solo negli ultimi episodi. Il merito più grande di questa appassionate saga sono proprio i personaggi.
Caratterizzare in maniera così esemplare un nutrito gruppo di attori di diverse generazioni e target d'età è un compito difficilissimo al giorno d'oggi quando si insegue la c.g e il lavorare solo sull'azione. Saper scrivere e individuare i punti di forza e far crescere non solo fisicamente ma d'intensità i personaggi è quel merito, quella forza che decreta la maturità in campo di scrittura, sapendo commisurare al meglio attrattiva ed espedienti commerciali. Una perizia nel curare minuziosamente ogni singolo dettaglio e dialogo, senza buttare mai nulla, lasciando sulla linea dei buoni sentimenti e capovolgendo la situazione infilando mostri, creature, incubi, conflitti e poi così tanto cinema e rimandi da Reitman, Spielberg, Dante, Carpenter, King, la fantascienza anni '50 e '60 e una vastissima e ampia e colorata nonchè multiforme commistione di retaggi culturali.




giovedì 24 ottobre 2019

Dunkirk

Titolo: Dunkirk
Regia: Christopher Nolan
Anno: 2017
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Maggio, 1940. Sulla spiaggia di Dunkirk 400.000 soldati inglesi si ritrovano accerchiati dall'esercito tedesco. Colpiti da terra, da cielo e da mare, i britannici organizzano una rocambolesca operazione di ripiegamento. Il piano di evacuazione coinvolge anche le imbarcazioni civili, requisite per rimpatriare il contingente e continuare la guerra contro il Terzo Reich. L'impegno profuso dalle navi militari e dalle little ship assicura una "vittoria dentro la disfatta". Vittoria capitale per l'avvenire e la promessa della futura liberazione del continente.

Quando hai tra le mani un progetto così ambizioso anche alcuni non attori possono funzionare. Una pagina di storia inglese, come è stata l'operazione Dynamo, un salvataggio che ebbe del miracoloso, conseguito durante l'ora più cupa della seconda guerra mondiale.
Nolan come tanti autori non si è tirato indietro nemmeno di fronte al war-movie facendo ancora una volta un lavoro che per certi aspetti sembra più una prova di stile, un bisogno di dire che quando si hanno i soldi si può fare qualsiasi cosa.
Thriller, azione, comics, sci-fi e adesso il dramma della guerra. Ma poi dal momento che parliamo di un artista avvezzo a misurarsi e cimentarsi con prove sempre più difficili, il film non poteva certo farsi mancare una produzione così sfarzosa dove tutto è stato riportato in vita senza l'ausilio di c.g se non in minima parte. Questa non è un'idea originale ma la possibilità di un regista importante di avere un budget imponente.
Un film che da subito si sofferma sull'esigenza di portare ai massimi livelli il reparto tecnico, la forma, il cast, l'immagine e infine il suono, troppo suono.
Grazie anche all'onnipresente Hans Zimmer come sempre in grado di tratteggiare gli orrori e i sentimenti dei soldati, Dunkirk ancora una volta insegue le sue vittime predestinate in uno spazio di terra senza fuga. Il problema è che il film senza tutti i suppelletti di cui è composto ha un enorme problema rispetto ai war-movie di Malick o Spielberg, ovvero che non riesce mai ad emozionare per una storia che per certi versi in alcuni momenti appare pure piuttosto confusa.
Un'altra spiaggia dove tutte le coordinate e le geometrie sono sinonimo di provvisorietà, di stallo, di possibile minaccia. Via aerea con le incursioni degli aerei pronti a colpire il nemico alle spalle, via mare con tutto ciò che può dare e togliere o riportare a galla e infine via terra con lo strazio vissuto proprio da quei soldati che in momenti diversi visti dei cambiamenti del piano temporale (che come la percezione del tempo è la vera ossessione di Nolan), vivono sulla loro pelle una carneficina e una lotta impari. Pur trovando un sacco di elementi deliziosi, che nel film non mancano, alla fine il problema grosso di Dunkerque è che annoia.


lunedì 21 ottobre 2019

Blue my mind

Titolo: Blue my mind
Regia: Lisa Brühlmann
Anno: 2017
Paese: Svizzera
Giudizio: 3/5

Mia ha quindici anni e si è appena trasferita con la famiglia a Zurigo, in una nuova casa e in una nuova scuola. Non è facile ambientarsi, e per Mia non lo è nemmeno nel proprio corpo, che sta cambiando rapidamente, spaventandola. Non controlla i suoi istinti, che le fanno fare cose strane, e comincia ad avere dei misteriosi problemi cutanei alle gambe. La frequentazione di Gianna e delle sue amiche, ragazze che passano il tempo a bere e a combinare incontri di sesso via smartphone, la porta a sedare con l’alcool le sue preoccupazioni, ma la trasformazione del suo corpo non si arresta e prende il sopravvento.

Le sirene al cinema negli ultimi anni hanno avuto alcuni adattamenti particolari, chi virato verso l'horror sanguinolento Siren, chi verso una forma ibrida di cinema mischiando tanti generi inserendo addirittura il musical come Lure in un perfetto film d'autore e chi cerca come in questo caso uno sguardo più terra a terra lasciando da parte una certa dimensione della paura esplorando l'horror per un'esamina più intimista e meno d'effetto.
Partendo dall'adolescenza, quel viaggio di formazione che apparentemente sembra l'ennesimo ritratto di una ragazza che inizia la sua spirale verso il degrado, scopre l'alcool, la droga, il sesso, in un quadro nemmeno così variopinto e colorato in un crescendo che impone cambiamenti implacabili come nuovi appetiti apparentemente insaziabili.
La parte del cinema sociale del film è povera, attingendo da una famiglia ambivalente nel decidere di essere onesta o no con la propria figlia circa le sue origini, un male che piano piano aumenta diventando un grido nascosto e disperato che la protagonista cerca di mettere a tacere con le sostanze o con la ricerca dello sballo a tutti i costi (la scena dove viene drogata e imbavagliata da un gruppo di ragazzi ha evidenti richiami al bellissimo Raw della Ducournau in cui anche l'elemento del corpo come luogo di cambiamento volontario/involontario viene reso in maniera abbastanza approfondita).
La malattia interna (se possiamo definirla tale) porta Mia ad essere vista come una diversa, peculiarità che la ragazza nel finale, davvero bellissimo, sposerà senza timore e paura, l'auto accettazione, come dice alla sua migliore amica nell'ultimo dialogo.
La Bruhlmann disegna così Mia nel suo disagio, nel non capire cosa stia succedendo, come lo stesso mondo attorno a lei dai medici agli psicologi, tutti increduli  senza riuscire a darle una risposta. Tutto il mondo degli adulti attorno a lei è muto, ma solo gli amici, quelli che valgono, come Gianna sanno capirla. La trasformazione finale nel terzo atto è un vero e proprio tributo alla diversità, senza mai edulcorarla o esagerarne la messa in scena, ma tratteggiandola come un essere prima di tutto umano che non vola, non ha i denti acuminati, non infila la sua delicatissima coda a punta nell'ano di qualcuno.
Mia entra nel suo mondo, esplorandolo e cercando in quella apparente diversità gli spunti per ergersi a diventare qualcosa di nuovo e molto profondo.

mercoledì 2 ottobre 2019

Tormenting the hen

Titolo: Tormenting the hen
Regia: Theodore Collatos
Anno: 2017
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Una paranoia profonda si impossessa di Monica quando si unisce al suo fidanzato Claire in un ritiro di artisti in mezzo al nulla. La coppia non è preparata alle  conseguenze agghiaccianti di fronte ad un misterioso uomo, il guardiano del terreno, che li spinge in una spirale continua verso una rottura psicologica.

Tormenting the hen è quel film che probabilmente abbiamo visto solo io, il regista e qualcuno di Film per evolvere. Credo neppure il cast o la troupe c'è l'abbiano fatta.
Un film girato con due lire dove ci si immerge nell'indie estremo, composto di micro particelle, pochissime location, camera a mano, improvvisazione pura e un abbozzo di storia che devo dire poteva cercare di regalare qualcosa di più.
Un affresco di come il bisogno di fare cinema porta spesso quando ci si immerge in queste produzioni, a sposare scelte registiche e monologhi nonchè dialoghi senza curarsi del loro peso specifico, di come possano apparire eterni nella durata e nel pasticcio dove non sempre c'è sodalizio tra intenzioni e messa in scena.
Sulla carta la trama del film non è poi così male, certo non originale, ma per come si dipana almeno inizialmente nel primo atto lasciava ben sperare verso qualcosa di atipico dove alle volte la paranoia della protagonista viene espressa attraverso un montaggio furibondo di immagini slegate tra loro ma funzionali alla resa scenica.
Alla fine al di là delle scene saffiche, dei dialoghi che non sembrano mai finire, l'antagonista se così vogliamo chiamarlo, ha un epilogo per certi versi davvero strano, dove non ci sono climax o scene efferate, tutto sembra prendere la strada meno ovvia ma forse la più realistica, come a dire che in questa società ci si allarma davvero anche per delle situazioni che seppur strane sono del tutto normali senza per forza sfociare in qualcosa di macabro.

Ruota delle meraviglie

Titolo: Ruota delle meraviglie
Regia: Woody Allen
Anno: 2017
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Ginny ha sposato in seconde nozze Humpty che lavora nel Luna Park di Coney Island e gli ha portato in dote un figlio decenne con una spiccata tendenza per la piromania. Ginny è però insoddisfatta di quel matrimonio e trova nel bagnino Mickey un uomo colto che possa comprendere anche le sue velleità di attrice. Un giorno però arriva a sconvolgere i fragili equilibri Carolina, figlia di Humpty e fuggita dall'entourage del marito mafioso. Quando Mickey ne fa la conoscenza Ginny avverte l'imminenza di un pericolo.

Coney Island è quel meraviglioso luna park vicino al mare che il cinema ha saputo mostrare e mettere in scena in diversi film. Allen torna a parlare di piccole storie e piccoli drammi, in un film confezionato perfettamente dove le storie e i dialoghi hanno un loro peso specifico capace di far appassionare subito il grande pubblico anche per una piccola storia come questa. Grazie ad un ottimo utilizzo degli attori, una fotografia splendida che mette in luce ogni piccolo dettaglio, uno dei cineasti più importanti di sempre, crea e trasforma un'ambiente, un'epoca che si sta velocemente evolvendo e dove la sua piccola galleria di personaggi, cerca di trovare, chi come può, speranza di salvezza, amori, sfoghi giovanili, adulteri con uomini più giovani, il sogno del cinema in un paese che sembra concedere infinite possibilità e non ultima la fuga dall'ordinario.
In fondo la ruota delle meraviglie è la ruota delle vite dei protagonisti, alcuni si fermano, altri si muovono continuamente cercando di non risultare mai abbozzati ma caratterizzati in maniera molto matura e complessa, per un autore che ormai è un habituè a trattare qualsiasi tipo di storia che sia un dramma d'amore o una commedia.
Trai suoi ultimi film anche qui c'è la nota circa alcuni dei temi portanti che negli ultimi anni investono le storie dei partecipanti come l’incidenza del caso, la tragicità della vita, l’assoluta e disperata mancanza di senso dell’esistenza, la colpa e il peccato e non ultima la fragilità delle relazioni umane

domenica 29 settembre 2019

Housewife

Titolo: Housewife
Regia: Can Evrenol
Anno: 2017
Paese: Turchia
Giudizio: 3/5

Una vecchia amica trascina Holly sotto l'influenza di una setta il cui leader sostiene di poter "navigare" nei sogni altrui. Violenti traumi infantili riemergono, realtà e fantasia si intrecciano, fino alla rivelazione di una verità sconvolgente e, forse, all'avvento dell'Apocalisse.

Evrenol ha girato uno degli horror più belli degli ultimi anni Baskin.
Il regista turco ha però un problema che non nasconde anzi sembra quasi essere un'arma a doppio taglio nel suo cinema. I suoi film, il suo cinema non deve avere per forza un percorso di significazione. Housewife, il suo secondo film ne è una prova lampante, aprendo porte senza doversi preoccupare di richiuderle. Come il film precedente Housewife è infarcito di tanti elementi, alcuni davvero molto interessanti, carichi di una violenza di matrice gore che non accenna a spegnersi.
Tante strade che portano ad un finale visivamente molto bello che cita come ormai fanno in troppi il maestro di Providence. Ci sono di nuovo le sette, ma meno interessanti rispetto a quella mostrata nel film precedente. Una sorta di Anticristo, e un universo scioccante fatto di madri isteriche che uccidono le proprie figlie, bambini incappucciati, percorsi iniziatici, la progenie maledetta dei Visitatori, il Male assoluto che emerge in tutte le sue forze, i traumi infantili e l’oscura paura latente nell’uomo che non ha una forma definita risultando inquietante.
Housewife è un film composto perlopiù da quadri molto stilizzati, dove i colori e le luci fanno da padroni infarcendo il film e facendolo di nuovo risultare scioccante sotto certi aspetti.
Evrenol dopo uno stuolo maschile predilige una protagonista caratterizzandola, lei e gli altri, a dovere senza lasciare tutto ai posteri ma scegliendo una strada per certi versi dove il sogno e l'incubo diventano i simboli di una narrazione con risvolti psicoanalitici e dove la tripartizione e lo schema matrilineare siglano un passo importante in avanti per il regista. Evrenol dimostra di saper scrivere anche se non padroneggia ancora bene alcuni risvolti come buttarla spesso nella suggestione come a sconvolgere la psiche dello spettatore e fare un passo indietro rispetto ai fasti e la furia dell'opera prima che con molte meno pretese raccontava una storiella pura e semplice.
Adottando strategie narrative non sempre funzionali come il continuo spostamento dei piani di narrazione paralleli, fra sogno e realtà, passato e presente, Housewife sancisce il talento di un regista che citando tanto cinema e letteratura non nasconde che la sua voglia di fare cinema è merito di un nostro caro regista avvezzo ai generi e alla sperimentazione: Lucio Fulci.

Jeepers Creepers 3

Titolo: Jeepers Creepers 3
Regia: Victor Salva
Anno: 2017
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

La storia è incentrata su Tubbs, che guida una task force creata per distruggere il Creeper. Il film si concentra sull'ultimo giorno dei 23 giorni che scatenano la frenesia carnivora del Creeper, un evento che ricorre ogni 23 anni.

Si vede che è trascorso del tempo in tutti i sensi, che la regia è meno brillante ma più sciatta e annoiata, la stessa creatura sembra andata in pensione lasciando il furgoncino con tanto di trappole ad uccidere le vittime sacrificali e poi tanti personaggi che non servono, un montaggio in più momenti scordinato e tanti wtf.
Jeepers Creepers 3 non si capisce bene da chi sia stato voluto, ha avuto importanti problemi legati alla produzione, maestranze che non ci credevano e non ci hanno creduto, compreso il cast, Salva ai minimi storici dopo numerose polemiche scatenate dal passato per una condanna di pedofilia alla fine degli anni Ottanta, dove Victor ha ben pensato di inserire nel film una protagonista con una storia di abusi minorili e una linea di dialogo che provocatoriamente giustificava il suo carnefice.
Il polverone sollevato dal fattaccio ha generato inevitabili boicottaggi del film, che però non hanno impedito di raccogliere i frutti di una saga che ha lasciato ottimi ricordi nel pubblico, così dall’iniziale intenzione di distribuirlo solamente direct-to-video limitandolo nei cinema.
JC3 è stato incredibilmente sfortunato come dicevo per tanti e diversi fattori addirittura infilando dei problemi quando potevano benissimo non esserci e parlo di una sceneggiatura che sembra quasi improvvisata e un'ambientazione tra il primo e il secondo capitolo.
Lo stesso mostro sembra non essere più lo stesso senza regalare quelle trasformazioni, quella componente splatter in cui mangiava crani interi di giovani ragazzi e dove decorava le pareti con i corpi martoriati delle sue vittime. Rip

venerdì 9 agosto 2019

Tutti i soldi del mondo


Titolo: Tutti i soldi del mondo
Regia: Ridley Scott
Anno: 2017
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Luglio 1973. John Paul Getty III, nipote sedicenne del magnate del petrolio Jean Paul Getty, viene rapito a Roma da una banda di criminali calabresi che chiede alla famiglia un riscatto di 17 milioni di dollari. Gail, la madre del ragazzo, si rivolge a nonno Jean Paul, il quale rifiuta categoricamente di pagare. Da quel momento inizia una triangolazione fra Gail che insiste per portare in salvo suo figlio, il miliardario che non cede alle richieste dei rapitori, e un ex agente della CIA, Fletcher Chase, negoziatore esperto nel recuperare uomini e cose.

Film con una gestazione molto particolare, per la scelta iniziale di Kevin Spacey ad interpretare Getty senior ma che poi per i presunti scandali sessuali hanno dovuto scegliere Christopher Plummer (scelta devo dire che ha messo tutti d'accordo e la prova dell'attore è perfetta) facendo un vero e proprio miracolo nel rigirare in nove giorni le sequenze che vedono protagonista l'attore, e che sono molte più di quelle che immaginavamo.
Il film è un thriller, ma anche un giallo, un film mezzo politico dove i protagonisti sono un gruppo di persone che girano attorno al denaro, quello di famiglia, quello che nonostante ci sia di mezzo la vita di un nipote, lascia interdetti e che come dice Getty "è una quantità di potere che permette di acquistare tutto senza spendere nulla".
Getty senior è un personaggio così ambizioso e importante da rubare la scena a tutto il resto del cast, mettendo proprio al centro di questa favola nera ispirata ad eventi reali, l'uomo più ricco della storia del mondo per una scelta legata al petrolio che si rivelò premonitrice del più grande patrimonio economico. L'intera vicenda ruota tutta attorno al particolare rapporto fra il denaro e il sangue inteso come legame famigliare. Il film riesce comunque e in più parti a risultare originale senza essere troppo ambizioso o pieno di stereotipi. Scott nonostante questo rimanga debole rispetto alla sua filmografia, conferma l'ottimo stato di salute del regista.


Night Watchmen


Titolo: Night Watchmen
Regia: Mitchell Altieri
Anno: 2017
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Tre inetti guardiani notturni, aiutati da una giovane e bellissima giornalista senza paura, combattono una battaglia epica per salvare le loro vite. Una ronda sbagliata scatena infatti un'orda di vampiri affamati e all'improbabile gruppo spetterà il compito di fermare un flagello che non minaccia solo loro ma l'intera città di Baltimora

Night Watchmen esce direttamente dal panorama indie e distribuito grazie all'onnipresente Midnight factory. Tanto gore e tanta azione per un risultato tuttavia deludente e noioso nonchè ripetitivo come non si vedeva da un pezzo. Troppo facile giocare a carte scoperte come in questo caso dove horror + clown + vampiri + splatter e gore + ironia voleva o poteva portare ad un buon risultato.
L'ultimo film di Altieri non riesce a far ridere, i personaggi scimmiottano tante cose già viste, i dialoghi sono molto superficiali e sempre privi di un minimo di spessore drammatico e infine alcune riprese sembrano quasi amatoriali per quanto facciano venire le vertigini.
E'un peccato perchè gli indie vanno difesi quasi sempre. Il film è certamente una spanna sopra tanti altri film distanti da una piena maturità, Altieri rimane un buon mestierante che ha già dato prova con l'horror con alcuni risultati altalenanti ma ripeto tutti da vedere come Violent Kind e Holy ghost people o Hamiltons.
Mancano però quei particolari, chessò una scintilla di originalità, qualche scena che non sia scontata, trattare il tema in maniera atipica senza fare i doverosi ricorsi a citare numerosissimi film.


Addio fottutissimi musi verdi


Titolo: Addio fottutissimi musi verdi
Regia: Francesco Capaldo
Anno: 2017
Paese: Italia
Giudizio: 2/5

Ciro è un grafico che non riesce a trovare impiego stabile e ospita spesso in casa gli amici Fabio e Matilda, i quali litigano così costantemente che Ciro non riesce a dichiarare a Matilda i suoi sentimenti, nemmeno mentre lei sta per partire per l'estero in cerca di fortuna. Ciro è inoltre il dirimpettaio di sua madre, che lo controlla dalla finestra di fronte e lo rifornisce di manicaretti perché non diventi "sciupato". Tutto cambia quando, per accontentare Fabio, manda il curriculum a un sito che promette di diffonderlo nello spazio. La notte stessa viene rapito dagli alieni e, superato lo shock iniziale, scopre che questi hanno davvero bisogno di un grafico. Gli extraterrestri hanno però anche una ragione più sinistra per stazione così in prossimità al nostro pianeta...

Il cinema si sà è una forma d'arte complessa, diversa dai video virali su youtube o sul web.
Spesso chi si inoltra in questo impervio cammino si trova a dover fare i conti con una materia e una sostanza che devono intrattenere per un lungo arco di tempo cercando coerenza e originalità.
Pur trovando esagerato il successo dei the jackal, il film è davvero una commedia di indubbio gusto inguardabile, sfiancante e priva di ritmo, idee e originalità.
Continue allusioni che non portano da nessuna parte rimanendo dei non detti che servono solo a prendere tempo, battute vecchie e riciclate, citazioni a profusione ma di quelle brutte, effetti speciali esagerati e una recitazione che porta tutti sopra le righe.
Dispiace veder rovinato così l'esordio di un gruppo di youtuber, un film gonfio di aspettative che sul pressbok veniva definito “la carica surreale e lo spirito dissacrante del gruppo creativo”, quando non solo non si ride ma la noia si deposita e si dipana troppo presto nello spettatore che si aspettava almeno qualcosa che non fosse una lunga galleria di stereotipi, auto citazioni, e un Ciro Capriello davvero inguardabile e fastidioso con tutte quelle sue smorfiette che reggono per la durata di un paio di minuti. Speriamo che operazioni di questo tipo non si vedano più, dando soldi e possibilità a coloro che fanno cinema e non intrattenimento spiccio sul web.

venerdì 2 agosto 2019

Suburbicon


Titolo: Suburbicon
Regia: George Clooney
Anno: 2017
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Gardner Lodge vive nella ridente Suburbicon con la moglie Rose, rimasta paralizzata in seguito ad un incidente, e il figlio Nicky. La sorella gemella di Rose, Margaret, è sempre con loro, per aiutare in casa. L'apparente tranquillità della cittadina entra in crisi quando una coppia di colore, i Meyers, con un bambino dell'età di Nicky, si trasferisce nella villetta accanto ai Gardner. L'intera comunità di Suburbicon s'infiamma e si adopra per ricacciare indietro "i negri" con ogni mezzo. Intanto, due delinquenti, irrompono nottetempo nell'abitazione dei Lodge e li stordiscono con il cloroformio, uccidendo Rose.

Le commedie grottesche quando colpiscono, sanno farlo in maniera incisiva, dura e potente.
Il film di Clooney scritto dai Coen (e si vede eccome) è un perfetto esempio di ibrido che mischia i generi sposando temi ancora oggi attuali e mostrando ancora una volta il lato "nascosto" della middle class americana.
Razzismo, sangue, violenza, soprusi, minacce, complotti, ricatti, e soprattutto la parte più spaventosa, quella che avviene tra le mura di casa con un bambino costretto ad assistere ad episodi di inusitata violenza con gli stessi genitori pronti ad ucciderlo all'occorrenza per difendere i propri interessi. Ancora una volta è la descrizione dell'America a far paura, feroce, istericamente ossessionata dalla paura di un nemico esterno (possibilmente con la pelle di un altro colore) senza farsi problemi a ricorrere alla violenza più bieca, l'isterismo collettivo in fondo che porta alla rivolta contro l'unica famiglia di colore è il devastante culmine della vicenda.
Suburbicon pur essendo volutamente patinato, risulta estremamente attuale e coinvolgente, con un ritmo serrato, un cast di tutto rispetto e una caratterizzazione dei personaggi molto funzionale.
Gli ingredienti ci sono tutti: umorismo nerissimo, situazioni vomitevoli ai limiti dello splatter (la scena dell'omicidio in casa con la soda caustica su tutte), scatti di violenza estremi ed improvvisi per un film che non scopre mai le sue carte, risultando originale e con un finale imprevedibile e alcuni colpi di scena notevoli e mai scontati.
Un film maturo, importante e deliziosamente condito con tutti gli ingredienti dei Coen alla Fargo e che dimostra ancora una volta l'interesse di Clooney per scegliere soggetti scomodi e ambiziosi.


martedì 2 luglio 2019

47 metri


Titolo: 47 metri
Regia: Johannes Roberts
Anno: 2017
Paese: Gran Bretagna
Giudizio: 3/5

Due giovani sorelle - Lisa e Kate - sono in vacanza in una località marina in Messico. La situazione sarebbe ideale per svagarsi alla grande, ma Lisa è turbata per essere stata lasciata dal suo fidanzato. Così Kate, la più disinvolta delle due, cerca di farla divertire portandola fuori di notte a spassarsela. Due giovani messicani propongono alle ragazze di provare lo sballo di un'immersione in una gabbia in un luogo infestato da squali: totalmente sicuro, totalmente avvincente. Lisa, preoccupata, è titubante, ma dato che è stata lasciata dal fidanzato proprio perché ritenuta noiosa, decide, spinta dalla sorella, di tentare la botta di vita. Quando vede la vecchia gabbia arrugginita del "capitano" Taylor, Lisa è di nuovo colta da dubbi, ma Kate è risoluta: l'avventura va vissuta. In mare aperto vengono gettate le esche per attirare gli squali che subito arrivano. Poi le ragazze si calano in mare dentro la gabbia per potersi godere la vista degli squali al sicuro della loro protezione. Ma per un problema tecnico la gabbia precipita a 47 metri di profondità e le ragazze si trovano nei guai con poca aria e troppi squali.

Che lo shark movie sia un sotto genere ormai abusato è un dato di fatto.
Prove di sopravvivenza, cloni di squali, esperimenti genetici, sotto prodotti amatoriali o virati sul trash e poi i blockbuster.
47 metri del mestierante Roberts, una filmografia abbastanza sfortunata, riesce nonostante una regia molto tecnica a portare a casa il suo film di genere migliore.
Qui lo sport estremo gioca un bel connubio con il survival movie e un'atmosfera davvero claustrofobica dove il gioco forza delle due sorelle produrrà tutta la materia drammatica dovuta e necessaria per dare pathos e atmosfera al film.
47 metri come Open Water cerca la soluzione più faticosa ed estrema, senza mettere troppa carne al fuoco, con un ritmo abbastanza soporifero per un finale e un ritmo tutto sommato centellinato come le risorse e le aspettative di vita delle ragazze che riescono a non far cadere mai troppo o sbilanciare il binomio del ritmo claustrofobico. Un film che negli intenti riesce sicuramente a far meglio di PARADISE BEACH trovando nello schema corale un maggior ritmo e giocando sulle differenze e le diversità delle due sorelle entrambe destinate a doversi scontrare con l'orrore vero dove lo squalo per assurdo passa pure in secondo piano.
Ottimo il finale che non concede soluzioni facili e il tipico happy ending facile da trovare negli horror destinati al cinema che qui se così fosse stato ne avrebbe distrutto tutti gli intenti.
47 metri è composto soprattutto di tensione, regalando molto tempo con uno sguardo profondo ai difficili rapporti e agli aspetti umani, la solitudine e la disperazione che prevaricano giocando un bel braccio di ferro tra le due complesse psicologie delle protagoniste e poi tanta, tanta suspance che dimostra ancora una volta come l'abisso e l'ambientazione marina rimangono sempre sinonimo di una minaccia incombente più forte di noi
Pochissime le pecche, se vogliamo proprio trovarne qualcuna diciamo la tipica vittima sacrificale e la corda ormai consumata dalla salsedine. Potevano trovare degli espedienti un pò più originali.



Annabelle 2


Titolo: Annabelle 2
Regia: David S.Sandberg
Anno: 2017
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Nella remota provincia americana dei primi del novecento è tutto un dolly rassicurante, giochi di bimbi e genitori premurosi che sprizzano felicità all’interno di una magione isolata tra i campi. Almeno fino a che un incidente di rara assurdità e violenza non stronca la quiete familiare davanti alla tomba dell’unica figlia. Dodici anni dopo un gruppo di ragazze dal più classico istituto religioso si trasferisce in quella casa, per richiesta di quei genitori. Inutile dire che la casa non è abitata solo dai viventi.

Annabelle 2 è il manuale esatto di come non andrebbe girato un horror. Un sequel che vorrebbe essere un prequel di un horror con co protagonista una bambola posseduta. Un film destinato anch'esso al cinema e ad un pubblico ebete che crede che la maledizione alla base sia pure tratta da una storia vera.
Ormai per far soldi e audience saremmo in grado di vendere nostra madre in cambio di un pugno di like.
Il problema grosso di questa porcheria e che per evidenti ragioni di marketing fa parte di un processo produttivo già di per sè macchinoso dal momento che ci troviamo di fronte alla saga spin off prequel della saga di Conjuring 2-Caso Enfield(2016), Conjuring-L'evocazione(2013). E'questo forse l'elemento che più di tutti fa paura.
Una macchina da soldi ben oliata, una matassa così complessa che come soluzione finale spinge su un prodotto davvero incasinato e dove soprattutto per tutta la durata del film non succede quasi nulla e i primi omicidi avvengono quasi nel secondo atto.
Un film soporifero tutto ambientato dentro questa mansione per ragazze, una suora e un personaggio che di per sè è il classico stereotipo dell'horror da cui risulterà facilmente intuibile tutto il dipanarsi della vicenda dal momento che sin dalle prime scene sembra averlo stampato in faccia e non fa nulla per cercare di dare spessore risultando il peggiore e pure il più telefonato.
Un film che si è reso complesso da solo diventando un'altra di quelle centinaia di prodotti per tutti i nuovi appassionati dell'horror che sembrano aver dimenticato in cosa consista la paura.
Ridateci Chucky, quello vecchio please!
Sandberg poi non è uno sprovveduto. Come Gunn e altri simili ha un taglio ironico nella sua politica d'autore che ha sapientemente usato nel bellissimo Shazam uno dei migliori film di super eroi di sempre e che ha ridato lustro alla casa Dc devastata da Snyder

mercoledì 5 giugno 2019

Edhel


Titolo: Edhel
Regia: Marco Renda
Anno: 2017
Paese: Italia
Giudizio: 3/5

Edhel è una bambina nata con una malformazione del padiglione auricolare che fa apparire le sue orecchie "a punta". Affronta il disagio chiudendosi in se stessa e cercando di evitare qualunque rapporto umano che non sia strettamente necessario. La scuola e i compagni, per lei, sono un incubo. L'incontro con Silvano, il bizzarro bidello che inizia Edhel al mondo del fantasy, convince la ragazza della possibilità che quelle orecchie siano il chiaro segno della sua appartenenza alla nobile stirpe degli Elfi.

Al suo esordio Marco Renda centra l'obbiettivo costruendo una favola post contemporanea attuale e piena di significati e sotto testi.
Un film coraggioso che con il suo limitatissimo budget cerca di fare luce sul tema della diversità, sul cambiamento interiore, sulle paure e le ansie che dominano una bambina in una difficile situazione familiare (un lutto paterno) e infine dare voce e usare in modo significativo e mai esagerato alcuni elementi fantasy, dove quest'ultimo diventa conseguenza e mezzo per apporre nuovi stilemi che riescano a risultare realistici e funzionali.
Con una sapiente scelta di cast di nomi poco conosciuti ma già avvezzi al grande schermo, Renda non vacilla mai, intraprendendo questa dura sfida su un genere da noi scomodo e ostico.
Il risultato è un film che parla come dicevo di tante cose senza mai snaturarle come il disagio provato da chi è vittima di una malformazione, la crudeltà e la cattiveria dei bambini che a volte sembra coincidere con quella degli adulti, infine l'uso sapiente dei danni arrecati dai cellulari in un epoca dove fotografare chiunque e farsi selfie sembrano diventati ormai un'abitudine.
Renda pur fagocitato da una piccola trappola in cui avrebbe potuto fare ricorso spesso alla lacrimuccia facile, sceglie il percorso meno scontato dimostrando coraggio e un'amore sconfinato per il cinema e per le favole.

domenica 2 giugno 2019

Bushwick


Titolo: Bushwick
Regia: Cary Murnion & Jonathan Milot
Anno: 2017
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Lucy esce dalla metropolitana di Brooklyn e trova il suo quartiere sotto attacco. Decide di attraversare i cinque insidiosi isolati di Bushwick - disseminati di saccheggiatori, milizie locali, forze d'invasione, e un cugino pazzo - per tornare a casa e riunirsi con la nonna.

A volte ti chiedi dove sono finiti.
Nick Damici è un artista (attore, sceneggiatore, scrittore) a cui sono e resto molto legato.
Le sue creazioni e la sua collaborazione con Jim Mickle ha portato a film molto interessanti sul genere horror spaziando dai vampiri agli zombie al tema del cannibalismo con una forza e una necessità che sembrava spenta al giorno d'oggi.
Stake Land, Mulberry Street, Cold in July, hanno contribuito a ridare enfasi al genere e in più lo stesso Damici è un amico dello scrittore Lansdale avendo curato come produttore e sceneggiatore le stagioni di Hap & Leonard-Season 1, Hap & Leonard-Season 2, Hap & Leonard-Season 3, oltre ad aver recitato in horror indipendenti e di ottima fattura come Dark was the night.
Ma ora veniamo al dunque in questa piccola perla che non fa sconti a nessuno, in primis allo spettatore.
Ci troviamo catapultati fin dall'inizio in una scena magnifica nella stazione della metropolitana in un adrenalinico action underground tutto girato tra edifici che sembrano dover crollare da un momento all'altro e un clima di guerriglia urbana che mancava con una tale violenza e mattanza.
Un film con una messa in scena live a tutti gli effetti facendo del ritmo il suo punto di forza (ma non solo, anche la scrittura e il cast) e girando alcune scene come se fossero dei piani sequenza alla Victoria in uno scenario per certi versi quasi post apocalittico o meglio di state of emergency.
Il bello del film e che riesce a creare una squisita suspance, è il fatto di non avere idea di cosa stia realmente succedendo (in questa continua corsa, non c'è il tempo per fermarsi a ragionare), del perchè cittadini ed esercito lottino ad un gioco al massacro, ma ponendolo allo stesso tempo come uno dei film più anticonformisti e politicamente ribelli degli ultimi anni, senza avere il benchè minimo stampo reazionario.
Con un finale bomba estremamente disperato, Bushwick è un film grezzo e crudo che colpisce allo stomaco e che non concede nulla allo spettatore ponendo Baustista come l'unico ex wrestler in grado di risultare convincente sul grande schermo.
Una parola ancora per gli autori che fanno parte dei duetti più interessanti nel supermercato cinematografico americano avendo firmato quell'indie sconosciuto ma estremamente divertente per l'horror sugli infetti che risponde al nome di Cooties



martedì 30 aprile 2019

Meninas Formicida


Titolo: Meninas Formicida
Regia: Joao Paulo Miranda Maria
Anno: 2017
Paese: Brasile
Festival: Torino Underground Cinefest
Giudizio: 4/5

In una piccola città brasiliana, un’adolescente lavora ogni giorno in una foresta di eucalipti come disinfestatrice di formiche. Tuttavia, non è l’allontanamento degli insetti la vera sfida, bensì la sua lotta interiore.

La giovane protagonista di questo insolito cortometraggio vive in una roulotte con la sorella, la madre e un bimbo piccolo. Sono tutte povere e le condizioni di vita scarse e precarie.
La sua lotta è soprattutto interna sperimentando la sessualità e non sapendo come approcciarsi con i ragazzi (la scena in cui viene presa a schiaffi da un'altra ragazza è funzionale quanto per certi versi abbastanza gratuita). Allora forse l'unica forma di vita silenziosa, piccola e instancabile lavoratrice diventa proprio quella stessa formica che per necessità tocca quotidianamente sopprimere.
Girl, così possiamo chiamare la protagonista senza nome, viene sempre inquadrata di spalle quando è sommersa dal brusio e dal caldo soffocante delle piantagioni di eucalipti.
Sembra catapultata in un altro mondo e in un'altra realtà. In parte è così ma forse questo bisogno di estraniarsi è legittimo contando la lotta per cercare di non essere sopraffatte dalla società soffocante in cui vive.



giovedì 18 aprile 2019

JoJo's Bizarre Adventure-Diamond Is Unbreakable Chapter I


Titolo: JoJo's Bizarre Adventure-Diamond Is Unbreakable Chapter I
Regia: Miike Takashi
Anno: 2017
Paese: Giappone
Giudizio: 3/5

Il capitolo 1 del JoJo di Miike ripercorre i primi 2 tankobon (29 e 30 della serie completa) del manga, dividendosi piuttosto nettamente in due parti/tempi. Nella prima, conosciamo il protagonista Josuke “JoJo” Higashikata e il suo stand Crazy Diamond, un aggressivo stand adatto al combattimento ravvicinato, ai cui rapidissimi pugni è associato un particolare potere di “manipolazione” su ciò ch’egli distrugge; dunque assistiamo alla lotta di Josuke con l’assassino seriale Angelo (Anjuro Katagiri) e il suo stand Aqua Necklace, potere acquisito da costui dopo essere stato colpito da una strana freccia, scoccata da un misterioso personaggio. In perfetto stile supereroistico, tale scontro determinerà una certa svolta, che influenzerà profondamente Josuke spingendolo a impegnarsi nella difesa della sua città, Morio-cho.
La seconda parte corrisponde allo scontro con i fratelli Nijimura; al termine del quale si forma di fatto il gruppo di personaggi, Josuke in testa, che avranno l’onore e l’onere delle successive battaglie. Inoltre, intravvediamo almeno un pezzo (!) di quello che sarà il big boss finale…

Ci sono i fan e poi ci sono quelli che venerano un artista. Per Miike Takashi è così.
E'stata una fortuna averlo conosciuto, essermi fatto una rassegna vedendomi in una settimana circa 40 film e poi aver capito che riesce a farmi salire l'hype più di qualsiasi altro regista.
In più è una sorta di semi dio, ha una filmografia che levatevi tutti dalle palle, non ha quasi mai sbagliato niente e più di tutto non se la tira ma se gli chiedete come mai nel suo cinema ci sia così tanta violenza probabilmente vi risponderà a dovere tipo "E allora cosa ci fai qui a guardare i miei film" (Torino, 2006)
Ora oltre ad essere un fan del regista sapevo che da tempo ormai prova a destreggiarsi in qualsivoglia genere con risultati spesso eccezionali.
Il live action è un sotto genere strano e pericoloso capace di brutture senza eguali e fallimenti all'ordine del giorno.
Così per fortuna non è stato ma diciamo pure che Jojo per me è sacro per i fumetti come i mostri di Kentaro Miura quindi sì...ci sono rimasto male e il film devo dire che poteva essere decisamente meglio. Parliamo di colui che è stato in grado di portare sullo schermo due dei film più belli di super eroi mai visti Zebraman 2 e un altro cartone davvero singolare che al cinema poteva diventare una trashata cosmica e parlo ovviamente di YATTAMAN.
Con Jojo siamo già incasellati nella quarta stagione quindi per chi non conoscesse la storia diventa un problema più che per i film Marvel. Purtroppo manca un villain incisivo come Dio, e ho letto che ci sono stati ingenti limiti di budget.
A trent'anni dalla sua nascita, Diamond è il primo capitolo di una trilogia che si promette di trasporre la quarta serie del manga.
Un ottimo prodotto, commerciale e di maniera, con cui Miike conferma il suo talento, ma per ora nient’altro. Sarà molto interessante vedere cosa accadrà con i prossimi episodi, sperando che sia sempre l'outsider nipponico a dirigere il progetto ma sperando anche in un ritmo più concitato che fino a prova contraria è uno degli assi nella manica dell'autore.



lunedì 11 marzo 2019

Who's watching Oliver


Titolo: Who's watching Oliver
Regia: Richie Moore
Anno: 2017
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Il solitario Oliver vaga di notte senza meta per le strade della città. Intrappolato in una vita umiliante e frustrante in cui riesce a reagire solo con la violenza, Oliver trova nella dolce ed ingenua Sophia un’ancora di salvezza. Con lei il triste e squilibrato killer cercherà di mantenere il controllo…

Who's watching Oliver è un altro malato film che mostra un protagonista vittima di disturbi mentali con un rapporto ossessivo compulsivo nei confronti della madre che lo guarda da uno schermo consumare rapporti e affettare ragazze per cui prova dei sentimenti.
Uno slasher splatter in parte con scene davvero esplicite nei nudi e nel sangue quando mostra sopratutto le scene di torture ai danni delle povere malcapitate.
Il fatto che la pellicola sia indipendente oltre ad essere l'esordio di Moore, di sicuro apporta alcuni piacevoli accessori al film e riesce a metterlo in scena con alcune suggestive e originali momenti, come il rapporto di Oliver con le coetanee, cogliendo i suoi stati emotivi interni quando prende le "pillole" sondando il rapporto con i problemi mentali generati dagli abusi commessi dai genitori e la loro conseguente connessione con la sfera emozionale con cui Oliver ha molta difficoltà oltre ad apparire in pubblico come un semi ritardato.
Moore riempie immagini di sangue e frattaglie, usa tanta camera a mano oltre che seguire minuziosamente il suo protagonista con tanti primi piani e mezzi busti, rendendo la fotografia sporca dando così ancora più un senso di marcio e sporcizia all'intera pellicola.
Il film purtroppo non riesce ad essere, nonostante gli sforzi originale ad andare oltre quello che ciclicamente mostra senza affossare la critica o sviluppare qualcosa che non sia solo mattanza.
L'incipit e la trama in generale sono troppo debitrici ad altri film o classici di genere.
Oliver è un incrocio tra Bateman e Bates già visto troppe volte al cinema così come l'idea di riprenderlo sempre nella sua maniacalità osservando sempre la sua routine quotidiana, che consiste nell’alzarsi la mattina, lavarsi, prepararsi, fare colazione, infine compiere un giro al mercato e al parco giochi locale prima di selezionare le vittime impasticcarle, legarle e poi ucciderle con l'eco della mamma che incita il figlio a far peggio di quanto può.


Gonji


Titolo: Gonji
Regia: Arman Gholipourdashtaki
Anno: 2017
Paese: Iran
Festival: Divine Queer Film Festival
Giudizio: 3/5

Gonj (ape) è il racconto di persone che lavorano sulle montagne di Zagros, in Iran. Ad elevate altitudini e con semplici strumenti avviene la raccolta di un miele speciale con ottime proprietà curative. Paesaggi mozzafiato.

Le api sono un bene universale. Quando scompariranno tutte (e non manca molto) allora ci renderemo conto del loro insostituibile apporto al nostro pianeta.
Un gruppo di persone, in particolare un uomo, mostra la complessa pratica per cogliere il miele e scacciare le api rimaste. Il profondo rispetto e la ritualità della pratica, fanno emergere una lenta e importante ciclicità di nomadi e gruppi di persone che da secoli portano avanti lavori scomodi procacciandosi i lavori nei modi più strani e impensati oltre che impervi dal momento che il gruppo di montagne di Zagros oltre ad essere monumentalmente affascinante fa impressione per le sue dimensioni e in alcuni casi l'inaccessibilità a salire su alcune pareti.

Punisher- Stagione 1



Titolo: Punisher- Stagione 1
Regia: AA,VV
Anno: 2017
Paese: Usa
Episodi: 13
Serie: 1
Giudizio: 2/5

Dopo aver vendicato la morte della moglie e dei figli, uccidendo tutti i responsabili, il pluridecorato veterano del Colpo dei Marine Frank Castle - che a differenza degli altri vigilanti a Hell's Kitchen non ha super poteri ma può contare su una enorme forza fisica, una insormontabile forza di volontà, un'ampia conoscenza delle armi ed eccellenti doti tattiche - scopre un complotto che non coinvolge soltanto la malavita di New York, ma ha radici ben più profonde. Ormai noto nella Grande Mela con l'appellativo The Punisher, Frank deve scoprire la verità su ingiustizie che non riguardano solo la sua famiglia.

Frank Castle che non spara per più di un episodio o non prende a mazzate qualcuno è un peccato.
In più non rispecchia l'indole di questo anti eroe diventato una pietra miliare tra la galleria dei personaggi più cazzuti della Marvel. La fortuna è stata anche quella di indovinare un volto che desse enfasi e sostanza al personaggio con la scelta del buon Jon Bernthal, un attore molto fisico e istintivo che in questo caso aggiunge carattere e muscoli al personaggio.
Il problema di questa prima stagione che dura la bellezza di 13 episodi da un'ora è quella di faticare a ingranare. Manca quasi del tutto l'azione. I personaggi che entrano ed escono, anche se non sono molti, non sono poi così male in particolare Russo, il quale però come lo stesso Frank, ad un tratto sembrano arrivare al capolinea per quanto l'indagine sia inconsistente e i punti deboli siano sempre maggiori. L'antagonista fatica a prendere vita e quando lo fa viene alimentato per ben due stagioni, lasciando spazio a Jigsaw quando i villain del Punitore sono tanti e aspettano solo di essere tirati fuori dalle pagine dei fumetti.
Frank Castle è stato caratterizzato di più e meglio nella seconda stagione di Daredevil-Season 2 di cui questa è uno spin-off. Ho detto tutto.
The Punisher, si basa sul personaggio omonimo della Marvel Comics creato da Gerry Conway (testi), John Romita Sr. (disegni) e Ross Andru (disegni), e così battezzato grazie al contributo dalla leggenda dei fumetti Stan Lee, apparso per la prima volta nel 1974 sul numero 129 di The Amazing Spider-Man.