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venerdì 12 ottobre 2018

Cord


Titolo: Cord
Regia: Pablo Gonzales
Anno: 2015
Paese: Germania
Giudizio: 3/5

In un mondo post -apocalittico, dove l'inverno non ha mai fine, alcuni superstiti della razza umana vivono sottoterra. A causa delle insalubri condizioni dell'ambiente in cui vivono, il contatto sessuale è diventato pericoloso. La masturbazione è quindi divenuta l'unica esperienza sessuale possibile grazie al perfezionamento di una serie di dispositivi low-tech creati appositamente a questo scopo. In questa desolante realtà, Czuperski (uno dei commercianti di questi dispositivi) e Tania (una sesso dipendente) fanno un patto: lei gli permetterà di sperimentare nuovi dispositivi sul suo corpo in cambio del piacere. Ben presto però, il loro rapporto finirà fuori dal loro controllo.

Sci-fi. Un'unica location. Tre attori. Idee. Stop
L'esordio di Gonzalez è un fantahorror post-apocalittico (sotto genere predominante negli ultimi anni nel cinema di genere anche solo per aver lanciato la possibilità di rinchiudere persone in location isolate dove al di fuori c'è qualcosa che uccide e questa semplice idea ha prodotto migliaia di pellicole spesso e volentieri grazie a budget miseri)
Dovendo dare a Gibson ciò che è di Gibson, qui ritroviamo molti elementi già scandagliati e usati a dovere che rientrano in quella fornace dove sono i dispositivi low-tech a fare da padroni e gli umani sono schiavi della realtà virtuale (scenario che in parte stiamo andando a concretizzare)
L'alienazione, vivere in spazi claustrofobici, il sesso come esperienza virtuale, l'accoppiamento come baratto, il sacrificio, la trasformazione, ci sono ovviamente tutta una serie di elementi squisitamente utilizzati e scandagliati da registi più famosi come Cronmberg e Tsukamoto ma qui il regista utilizza proprio e insisite su questo elemento quello della cavia e le apparecchiature utilizzate con cavi e liquidi che fuoriescono dalla pelle e dalla materia e dove soprattutto si sviluppa un'inquietante rapporto ossessivo tra vittima e carnefice.
Con l'accomunante che come per STRANGE DAYS dava prova che ormai l'umanità per provare esperienze che l'appaghino cerca sempre di più qualcosa di estremo dove diventiamo proprio cavie di qualcosa a cui ci sottoponiamo e che prende il sopravvento su e dentro di noi.
Qui è di nuovo il sesso alla base dove non resta che farsi aiutare da cavi elettrici tatuati nel corpo, strumenti freddi e impersonali (ma efficaci) con cui titillare le zone del cervello responsabili del piacere orgasmico. Mi ha ricordato anche se con intenti del tutto diversi I.K.U e tante altre cose. Drammatico, violento, la ricerca di toccare confini estremamente pericolosi porterà vittima e carnefice ad un epilogo che andrà e sarà del tutto fuori controllo.



lunedì 17 settembre 2018

Blush


Titolo: Blush
Regia: Michal Vinik
Anno: 2015
Paese: Israele
Giudizio: 4/5

La diciassettenne Naama Barash si diverte con i suoi amici tra alcol e droga mentre in famiglia deve vedersela continuamente prima con i genitori con cui è sempre in discussione e poi con la scomparsa della sorella, arruolata in un esercito ribelle. Appena arrivata in una nuova scuola, Barash si innamora per la prima volta e l'intensità dell'esperienza la confonderà fino a dare nuovo significato alla sua esistenza.

Il manifesto dell'adolescenza femminile a pari passo con le prime esperienze sessuali e trasgressive viene scandagliato regolarmente da molti paesi immergendosi in alcune sotto tematiche o semplicemente descrivendo l'ambiente.
Mancava all'appello un film coraggioso come quello israeliano che non ha nessun tipo di velo e censura mostrando una società o soprattutto un underground giovanile, una sub cultura, composta per lo più da una ricerca costante di eccessi, dalla perdita della verginità agli effetti della droga parlando di ribellione e della ricerca adolescenziale della libertà e al bisogno di infrangere ogni tabù
Un film che cerca di scardinare dogmi e valori ormai passati o trapassati dai millenial portando le ragazzine a scappare di casa o dalle caserme come gesto di estrema indipendenza o di come non si vogliano seguire alcune regole imposte dal nucleo familiare o addirittura fregandosene del parere degli altri arrivando a farlo praticamente nei posti in ultima fila di un pullman sapendo benissimo di essere visti e quindi sdoganando infine il voyeurismo proprio da parte delle protagoniste.
Un film che non ha niente di meno rispetto a pellicole come LA VITA DI ADELE o FUCKING AMAL (le analogie con il secondo sono però più palesi), o il coraggio di Much Loved, mostrando una Tel Aviv molto al passo coi tempi dove la parola d'ordine sembra essere Md.
Vinik è coraggiosa nell'avvicinarsi alle protagoniste, molto giovani e belle, nel descrivere e mostrare così tante scene dove le protagoniste si scoprono a letto e hanno questi baci a profusione intensi e lunghissimi dove le scene di sesso tra le due ragazze sono realizzate con dovizia di particolari e con molta sensibilità.
Come per Amal di Moodysson anche qui Vinik non affronta il tema dell’innamoramento tra due ragazze e tutte le sue implicazioni, ma cerca di riflettere su una gioventù annoiata e stanca di relazioni liquide e in cerca di qualcosa di nuovo o che almeno possa appagare la noia quotidiana, in questo caso le droghe dove si parte dai cannabinoidi per arrivare alla cocaina o alle droghe sintetiche è molto inquietante ma sicuramente post contemporaneo.
L'unica nota dolente al film di Vinik e che scoperte le carte il film si ripete abbastanza cercando di intraprendere il plot del thriller nella scomparsa della sorella ma non riuscendoci affatto rischiando di diventare macchinoso e superficiale.




lunedì 10 settembre 2018

Parasyte 2


Titolo: Parasyte 2
Regia: Takashi Yamazaki
Anno: 2015
Paese: Giappone
Giudizio: 3/5

Prosecuzione delle vicende di Shinichi Izumi, l'adolescente che deve condividere il suo corpo con un parassita alieno.

Il primo capitolo si concludeva mostrandoci il volto del boss nemico interpretato dal mefistotelico Tadanobu Asano. Il secondo capitolo come dicevo scrivendo sul primo, non è purtroppo esilarante e originale come il primo. Qui i personaggi li conosciano bene e fatta eccezione per qualche new entry il film sdogana più che altro la sua parte action e pirotecnica mostrando una galleria di creature pur sempre interessanti e non negando l'indubbia capacità del regista di poter firmare altri blockbuster in futuro a patto che come spesso succede per i registi nipponici, creda più nel pubblico in generale senza dover, come questo film fa, spiegare ogni singola azione con dialoghi e altri annessi che il cinema orientale di solito, e per fortuna, evita.
Gli effetti speciali a differenza del primo capitolo sono volutamente più esagerati dando maggior risalto alle scene di combattimento, gli inseguimenti, le esplosioni senza tuttavia rovinare nulla essendo utili a rafforzare il lato grottesco e a divertire in alcuni casi anche se meno rispetto al primo soprattutto nello scambio di battute tra il protagonista e il suo parassita.

giovedì 7 giugno 2018

Desierto



Titolo: Desierto
Regia: Jonas Cuaron
Anno: Messico
Paese: 2015
Giudizio: 3/5

Moises viaggia con un gruppo di immigrati attraverso l'infernale deserto di Sonora nel tentativo di attraversare il confine con gli Stati Uniti quando improvvisamente si imbatte in Sam, un vigilante squilibrato che detta legge alla frontiera. Inizia così una caccia, durante la quale Moises dovrà cercare di vincere in astuzia il suo rivale per sopravvivere e non diventare l'ennesima vittima di una terra abbandonata da tutti.

Nel 2014 è uscito un film per alcuni aspetti simile. Si chiama Beyond the Reach americano, c'era Michael Douglas ha fare il cecchino, era pure lui ambientato nel deserto ma la trama era diversa meno politicamente e socialmente interessante del film del figlio del celebre regista.
Qui i confini sono fatti apposta per dividere e provocare tensioni, scontri e morti in una fascia desertica dove non solo non cresce nulla ma anche i confini sembrano labili senza nessuno a pattugliare ma lasciando mercenari liberi di fare ciò che vogliono.
In questo senso l'elemento più incredibile del film è proprio dato dal fatto che questa gente potrebbe morire e nessuno mai lo verrebbe a sapere dando così un'occasione ghiotta a tutti gli psicopatici (di cui l'America ne è piena).
Molto meglio dunque rispetto al film di Leonetti, qui l'intento e l'idea seppur abbastanza elementare e con alcuni copi di scena abbastanza telefonati (pensando soprattutto al finale) il ritmo è formidabile, il cast è perfetto, e l'ansia e l'atmosfera da incubo sotto un sole famelico fanno tutto il resto.
Un film anche questo senza una distribuzione ma passato direttamente in home video.

domenica 25 marzo 2018

Mediterranea



Titolo: Mediterranea
Regia: Jonas Carpignano
Anno: 2015
Paese: Italia
Giudizio: 4/5

Ayiva lascia il Burkina Faso per cercare di raggiungere l'Italia dove spera di poter trovare un lavoro che gli consenta di aiutare sua figlia che è ancora una bambina e sua sorella che se ne occupa. Parte come clandestino con l'amico Abas e, dopo la traversata del deserto in Algeria, si imbarca. Trova lavoro come raccoglitore di arance a Rosarno in Calabria. Le difficoltà sono numerose ma si accrescono quando parte della popolazione locale aggredisce gli immigrati.

Lo dico di nuovo. Jonas Carpignano è uno dei registi più interessanti del nostro cinema.
Giovane, impegnato, contemporaneo in tutti i sensi e con un interesse appassionato verso la comunità dei rom in particolare quella insediata a Gioia Tauro dove il regista ha deciso di trasferirsi.
Mediterranea prima di A ciambra apre il sipario su una questione drammatica di cui come sempre nessuno parla in particolare il nostro cinema. Quando lo fa finisce nascosto in qualche festival per dare la possibilità solo agli appassionati di averne accesso.
Mediterranea quando si parla appunto di stranezze produttive e distributive fa davvero arrabbiare per il fatto che sia stato presentato alla semaine de la critique a Cannes nel 2015 senza mai uscire nei cinema nonostante raccontasse una storia che ci appartiene.
Forse la distribuzione nelle sale di A ciambra potrà risolvere questo problema.
Rosarno e la tratta. O meglio la tratta che spesso e volentieri porta a Rosarno dove per chi non lo sapesse scoppiò nel 2008 la faida tra gli immigrati e la gente del luogo. Il film mostra quindi come climax finale della storia il primo conflitto esplicito e cruento tra migranti e cittadini e dove forse avviene anche l'unico ostacolo del film. L'apice dello scontro a parte essere macchinoso, sembra portare solo un punto di vista ovvero quello dei nordafricani e non invece degli abitanti del posto che non si vedono quasi mai se non in pochissime scene dove abusano delle donne, toccano il culo ad una ragazza e dicono dalle finestre ai protagonisti di fare silenzio.
Ancora una volta il giovane regista sospende il giudizio narrando per immagini e sguardi il dramma delle vite di alcuni protagonisti, di chi fino alla fine non molla e non si ribella e chi invece sopraffatto dal dolore e dalle ingiustizie decide di armarsi con quello che trova.

martedì 20 marzo 2018

Sangue di Cristo


Titolo: Sangue di Cristo
Regia: Spike Lee
Anno: 2015
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Quando al dottor Hess Green viene introdotto un misterioso artefatto maledetto da un curatore d'arte, Lafayette Hightower, viene incontrollabilmente attirato da una nuova sete per il sangue che travolge la sua anima. Tuttavia, non è un vampiro. Lafayette soccombe rapidamente alla natura vorace di questa sofferenza che trasforma Hess. Presto la moglie di Lafayette, Ganja Hightower, va in cerca del marito e viene coinvolta in una pericolosa storia d'amore con Hess che mette in discussione la natura stessa dell'amore, della dipendenza, del sesso, e dello stato della nostra società apparentemente sofisticata.

L'ultimo Spike Lee Joint è stranamente un horror. Un thriller, un dramma con risvolti erotici.
Un'opera abbastanza fuori dagli schemi per quanto concerne l'approccio che l'autore disegna e a cui fa sfondo la vicenda. Un altro film molto bello è uscito negli ultimi anni che parla di vampiri in salsa black, l'indie Transfiguration.
Un altro film black che tratta quindi il vampirismo come metafora dell'integrazione razziale. Mentre nell'altro film il protagonista era un ragazzino qui sono gli adulti.
GANJA & HESS è, infatti, un oscuro film horror della Blacksploitation datato 1973 che il nostro ha deciso di “rifare”, con il titolo Da Sweet Blood of Jesus (Il sangue di Cristo).
Film a bassissimo budget girato in due settimane e supportato dalla tecnica del crowdfunding.
Premetto che quando ho sentito parlare del pugnale di Ashanti non ho resistito a quella monumentale scena dove veniamo a conoscenza di questo coltello nel film Bambino d’oro e dove Eddie Murphy prendeva in giro la spiritualità tibetana.
Tantissima musica molto diversa e con temi e atmosfere che cambiano di scena in scena senza di fatto lasciare quasi mai il film senza qualche brano che lo caratterizzi. Una scelta singolare dal momento che diverse scene giocano sull'atmosfera e sulla suspence sospendendola così in alcuni casi o dandole un intento diverso proprio a causa di questo cocktail di generi musicali.
Elegante e raffinato, dai costumi alle scenografie, Lee dimostra una scelta estetica di ampio gusto che riesce ad essere funzionale in tutta quanta l'opera.
Un'opera che cerca di essere onirica, con rimandi per alcuni versi alla cultura e alcune profezie vodoo, l'ipnosi, cercando spesso di deviare sul surreale, riuscendoci, ma non sempre soprattutto nell'ultimo atto, leggermente approssimativo e chiudendosi come fa con il triangolo di personaggi in un circolo vizioso da cui ne uscirà trascinandosi in una pozza di sangue tra presunta disperazione e un’insistita vena erotica glamour che non riesce così bene a gestire.





lunedì 19 marzo 2018

Sole Alto


Titolo: Sole Alto
Regia: Dalibor Matanic
Anno: 2015
Paese: Croazia, Serbia, Slovenia
Giudizio: 4/5

Sole alto racconta l’amore fra un giovane croato e una giovane serba. Un amore che Matanić moltiplica per tre volte nell’arco di tre decenni consecutivi: stessi attori ma coppie diverse. I paesaggi sono utilizzati come orizzonti emotivi, prima ancora che geografici, e gli stessi attori come simbolo di ciclicità. I due ragazzi, invece, no: i due ragazzi non possono essere gli stessi, perché i loro vent’anni sono cristallizzati dentro una giovinezza, innocente e fragile, che ci parla (anzi: che ci deve parlare) di ieri, di oggi e, soprattutto, di domani.

Sole Alto è un film con una co produzione importante per cercare di portare a segno frammenti di storie di una guerra che finalmente vuole mostrare alcuni squarci anche grazie al cinema.
Chi vuole farsi una rapida idea di quanto e del perchè si odino così tanto serbi e croati potrà avere qualche risposta dopo la visione di questo film a tre episodi, tutti con diversi annessi e con gli stessi protagonisti in ruoli diversi.
Amore e guerra in tre atti, sotto il Sole alto dei Balcani.
Lo stesso regista croato ha raccontato l’aneddoto che ha ispirato il film, al tempo stesso curioso e sintomatico di quanto l’odio sia sempre radicato in terra ex-jugoslava: "Qualsiasi storia sentimentale o flirt avessi, mia nonna ripeteva sempre la stessa frase: purché non sia una di quelli"
Matanic è bravo a mostrare i sentimenti a differenza dell'azione che quasi non appare mai nel film come lo dimostra il climax della prima storia con quel colpo di pistola che vale per tutto il film.
La collaborazione tra questi paesi almeno per portare alla luce questo film è già un segnale che forse non si vuole più nascondere una parte di storia tormentata e di orrori indicibili.
Il film diventa ancora più interessante mostrando itinerari e periodi diversi ma tutti in un qualche modo collegati dal filo visibilissimo dell'odio profondo verso "gli altri" senza quasi mai dare spiegazioni o arrivare al perchè e soprattutto da dove e perchè è nato quest'odio diventando l'unica ragione di vita di queste popolazioni.
1991-2001-2011. Tre grandi storie tutte nei medesimi villaggi che sembrano fare un escursus veloce ma a tratti così pesante da dare un piccolo quadro su un conflitto che ha generato mostri e creato paure e traumi che solo da poco si cerca di analizzare e portare alla luce.
Matanic ci ha provato riuscendo a fare un film di guerra importante che si dirama per portare alla luce storie drammi e amore.

sabato 18 novembre 2017

Dust-La vita che vorrei

Titolo: Dust-La vita che vorrei
Regia: Gabriele Falsetta
Anno: 2015
Paese: Italia
Festival: Divine Queer Film Fetival
Giudizio: 4/5

Epopea favolosa di otto disabili fisici e psichici che vvono all'interno di un istituto, il cottolengo di Torino, da oltre cinquant'anni.

Dare la possibilità di raccontarsi in questa società soprattutto quando si vive rinchiusi tra le mura di un ospedale dovrebbe essere sacrosanta. In questo caso il viaggio sperimentale di Gabriele Falsetta, spinto oltre il teatro e il cinema con l'inebriante messa in scena delle esistenze mai vissute di 8 pazienti del Cottolengo, cerca proprio di dare un'identità a queste micro storie raccontate nell'arco di '21. Sette uomini e una donna che da oltre cinquant’anni vivono i loro disagi di natura psichica e fisica con vite interrotte, nascoste o dimenticate all'interno di una struttura chiusa al mondo, in cui sono stati mandati lì inizialmente per un breve periodo per poi scoprire dai famigliari che da lì non potranno più uscire. Alcuni ne parlano con dei toni sofferti come di chi è stato preso in giro dai propri familiari e senza di fatto avere la possibilità di scegliere.
'21 minuti di giochi, danze, sorrisi, voci incomprensibili e vite desiderabili, messe in scena in location reali, dalla sala prove nello scantinato alle sedie usate da Cavour prima e dal sindaco di Torino oggi e muovendosi poi per alcune aree di Torino come la Porta Palatina e così via.

Interpretazioni spontanee e travolgenti, per un cortometraggio sperimentale e vibrante, realizzato con la complicità di Giulio Baraldi della giovane casa di produzione Kess Film, arrivato in competizione nella sezione Spazio del 33esimo Torino Film Festival e disponibile in Video on demand.  

mercoledì 15 novembre 2017

Alena

Titolo: Alena
Regia: Daniel Di Grado
Anno: 2015
Paese: Svezia
Giudizio: 3/5

La vita di Alena è tutt'altro che facile. Dal minuto in cui arriva nella sua nuova scuola, Filippa e alcune delle altre ragazze si divertono a prenderla di mira incessantemente. Josefin, la sua migliore amica, non sopporta di vederla soffrire e si prepara a prendere misure drastiche, nonostante sia morta da oltre un anno.

L'esordio di Di Grado è un adattamento di un celebre graphic novel di Kim W. Andersson oltre che essere un piccolo horror indie che tratta molti argomenti. Dal bullismo in questo caso femminile "ben peggiore di quello maschile", alla competizione, alla bisessualità, alla paura di rivelarsi per ciò che si è veramente. Con un bel piano sequenza il regista ci mostra questo nuovo collegio dove Alena sembra già dall'inizio nascondere un segreto spaventoso.
Pur non avendo molti elementi originali, il film regge per un buon impianto di suspance e un'atmosfera che grazie ad una buona fotografia riesce a trovare alcuni jump scared interessanti.
Un film dove la recitazione non è mai sopra le righe e riesce a scorgere alcune caratterizzazioni interessanti che sanno dare spessore al personaggio. Il flashforward iniziale non è male ma diventa prevedibile alla fine del primo atto e il climax finale anche se arriva come un pugno allo stomaco è abbastanza telefonato.
Bella e originale nei titoli di coda, l'idea di continuare a lasciar recitare l'amica della protagonista. Ancora una nota sul fenomeno del bullismo trattato nel film, bisogna ammettere che la scrittura è riuscita a non rendere banale questo fenomeno ma incastrarlo in una fitta rete di personaggi facendo scontrare la giovane mentalità adolescenziale borghese con la regola imposta dalla preside e altri personaggi che costruiscono la galleria funzionale dove far combaciare le storie.
Infine il personaggio di Josefin sembra esssersi ispirato ai J-horror nipponici ma ricorda anche l'horror inglese, sotto certi aspetti, NINA FOREVER.



Fuck you prof 2

Titolo: Fuck you prof 2
Regia: Bora Dagtekin
Anno: 2015
Paese: Germania
Giudizio: 2/5

Zeki Müller, rude ed eccentrico insegnate presso il liceo Goethe, si offre di portare i suoi studenti in viaggio d'istruzione in Thailandia quando scopre che la compagna e collega Lisi Schnabelstedt vi ha spedito in beneficenza un orsacchiotto di peluche al cui interno egli ha occultato una partita di diamanti, eredità del suo passato criminale. Partecipano alla spedizione anche i pupilli dell'istituto rivale Schiller capitanati dallo sprezzante professor Hauke, vecchia fiamma di Lisi.

Diciamo che l'ironia, le battute ad effetto, il gioco forza tra gli attori, un trama che seppur parlando di scuola e istituzioni riusciva ad essere divertente erano il corollario di fattori che hanno fatto sì che il primo capitolo diventasse un successone al botteghino.
Un film comico ed esilarante sul tema della commedia adolescenziale con qualche lezione di vita.
Tutto questo era il primo capitolo di FUCK YOU PROF!
Era purtroppo intuibile già dai limiti del primo film, aspettarsi un secondo capitolo più scialbo e meno d'impatto.
Se nel primo capitolo tutte le carte dovevano scoprirsi, qui sappiamo già tutto e il film sin dall'inizio non ha quel ritmo e quella carica che consente un'altra visione di più di due ore.
Purtroppo anche quella piccolissima premessa sul sociale che il primo capitolo aveva, qui diventa quasi una trashata (ma senza stile) per provare una comparazione.

Il primo capitolo con 60 milioni di euro al box-office aveva sbancato il botteghino tedesco puntando senza mezzi termini al formato politicamente scorretto e al linguaggio esplicito di tanta commedia americana che va dai fratelli Farrelli a Paul Feig e all'ambientazione scolastica con strizzatine d'occhio a diversi film. Purtroppo non si può dire lo stesso del secondo e una trasferta estiva non basta a far decollare una scrittura che sembra fatta appunto da dementi.

domenica 15 ottobre 2017

Pan

Titolo: Pan
Regia: Joe Wright
Anno: 2015
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Nella II Guerra Mondiale, il piccolo Peter è un orfano a Londra, impegnato a scontrarsi con la mefistofelica suora direttrice, che in segreto vende bambini al pirata Barbanera. Prevelevato da una nave volante di quest'ultimo e portato sull'Isola che Non C'è, capirà di essere l'elemento fondante di una profezia che riguarda la sua stessa identità: imparerà a volare e affronterà Barbanera, in compagnia dell'avventuriero Uncino e della dinamica Giglio Tigrato .

Alla fine per essere un prequel è abbastanza onesto l'ultimo film del poliedrico Wright Joe (visto che i Wright cominciano ad essere diversi ormai). Un film d'avventura recitato bene, con stile, movimenti di camera azzeccati, un cast che svolge bene il suo ruolo (in questo il regista ha una particolare verve nel lavoro con gli attori) e forse un po troppa c.g che in più momenti stona o diventa facilmente trash (la battaglia in cielo tra aerei e galeoni volanti non si può vedere).
Ora Wright si trova ad avere un budget colossale e deve riproporre questo fenomeno dei fantasy moderni rivisitati che annientano ancora di più lo spirito della storia. MALEFICENT, BIANCANEVE E IL CACCIATORE, non facente parte delle fiabe ma simile nello svolgimento e anche IL SETTIMO FIGLIO e rischiava di arrivarci anche ALICE IN WONDERLAND di Burton che all'ultimo ha scansato questo terribile destino pur girando di fatto due semi schifezze.
Qui ci troviamo nell'universo Disney dentro un altro universo che appartiene ai classici.
Troviamo la Londra cupa e fumosa di Dickens, il mare dei caraibi di JACK SPARROW, HUNGER GAMES e una storia d'amore che poteva essere interessante ma è devastata da dei dialoghi banali e telefonati e infine le bellissime sirene. Se contiamo la flemma di Jackman che sembra uscito da ONE PIECE e Delevigne, il resto fa in fretta a scomparire lasciando dietro il sipario proprio Peter e non Pan e la sua straorduinaria storia che nulla c'entra con questo film ucciso inesorabilmente dai suoi sceneggiatori.

Il mito di Berrie è lì nascosto dietro le pagine dolorose di un autore eccezionale che ha una biografia ancora più spaventosa del destino di Peter Pan e che non è stato sufficientemente caratterizzato nel film NEVERLAND.

sabato 23 settembre 2017

Closet Monster

Titolo: Closet Monster
Regia: Stephen Dunn
Anno: 2015
Paese: Canada
Giudizio: 3/5

Il film Closet Monster racconta la storia di Oscar Madly, un adolescente creativo e motivato che esita a diventare adulto. Destabilizzato dai suoi strani genitori, insicuro della sua sessualità, ossessionato delle immagini di un pestaggio di gay a cui ha assistito da piccolo, Oscar sogna di scappare dalla città che lo sta soffocando. Un criceto parlante, la sua immaginazione e la prospettiva di un amore, lo aiuteranno a confrontarsi con i suoi demoni surreali e a scoprire se stesso.

Closet Monster è quel tipico indie che non ti aspetti. Leggero, delicato, ma con un paio di scene che colpiscono per la loro originalità e intenti come ad esempio nel primo atto, l'addio tra la mamma e il bambino dove questo le sputa addosso e la reazione sempre del figlio verso il padre quando questo fruga nel suo guardaroba e il protagonista lo lascia a terra.
Senza contare poi l'incidente scatenante che provoca uno shock terribile in Oscar e della brutale immagine del pestaggio/stupro non si capisce esattamente cosa venga fatto alla vittima e dove la regia è attenta a non mostrare cosa succede.
Un divorzio. Una situazione difficile. Una coppia di genitori perfetta che sembrava amarsi per sempre e poi la dura verità. Una madre che lascia tutti in cerca di qualcos'altro.
Ed è qui che inizia il percorso verso la crescita che la storia decide di mettere da parte per arrivare con un guizzo temporale all'adolescenza. I timori e il viaggio alla ricerca di se stessi sono solo alcuni dei temi che Dunn alla sua opera prima mette in mostra per cercare di dare un quadro intimo e minimale sulla difficoltà e le fragilità che abbracciano un giovane in questa fase di scoperta.
La sessualità poi emerge forte facendo diventare il film verso la metà uno strano queer con una sua connotazione precisa, riuscendo a portare a casa delle sequenze molto interessanti e senza mai esagerare ma essendo provocatorio e intimista al punto giusto.


domenica 10 settembre 2017

February

Titolo: February
Regia: Oz Perkins
Anno: 2015
Paese: Canada
Giudizio: 3/5

In un austero college privato di matrice cattolica, due studentesse restano sole perché i rispettivi genitori non si sono presentati a prenderle per un periodo di sospensione delle lezioni. Una terza ragazza fragile e sbandata si è incamminata verso il college al freddo e al gelo e viene raccolta in macchina da una coppia di cinquantenni. Intanto, al college iniziano a manifestarsi strani comportamenti..

Ci metti un po all'inizio a capire chi sono le protagoniste e quali sono i diversi nomi dal momento che sembrano essere inizialmente tre poi quattro nella storia o nelle varie storie tutte comunque collegate. Un film praticamente tutto votato al silenzio, una camera e una regia pulita e molto autoriale che cita e ricorda tanto nostro cinema del passato e un'amore sconfinato per i classici.
Perkins ci mette un po a partire lasciando dilatati i tempi, ma non troppo, per scoprire chi lo popola, mostrarci questo college isolato, spettrale e labirintico, e alcuni personaggi a partire da Bill questa sorta di prete che si prende cura del destino della protagonista visto che le ricorda la figlia standole sempre col fiato sul collo ed entrando nella sua stanza quasi di soppiatto, il direttore Gordon personaggio molto enigmatico e criptico e infine un altro tipo in una rimesssa inginocchiato davanti ad un forno enorme che si mette a pregare Satana.
Pur non scoprendo le carte e lavorando molto sulla suspance, Perkins lavora tutto di sguardi, di primi piani, segue queste ragazze anche abbastanza simili nell'aspetto, almeno le due bionde, per questi corridoi vuoti e bui con una fotografia di ghiaccio che aumenta ancora di più questa sorta di limbo temporale in cui sembrano trovarsi tutti.

I personaggi rappresentano una copertura di quello che invece è una sorta di disegno malvagio e satanico di chi abita vicino a questa struttura e forse controllano una delle tre protagoniste rivelando in realtà chi si nasconde dietro questi personaggi (donne che hanno parrucche senza sopracciglia e tutto il resto). Con un sotto filone satanico con rimandi alla possessione, il film di Perkins, figlio del celebre attore, è sicuramente tra gli horror più importanti della stagione. 

venerdì 8 settembre 2017

Lure

Titolo: Lure
Regia: Agnieszka Smoczynska
Anno: 2015
Paese: Polonia
Giudizio: 4/5

Polonia anni ’80. Spinte dalla curiosità di scoprire le meraviglie della vita sulla terra, Srebrna e Zwota, due sirene carnivore, si mischiano agli esseri umani trovando lavoro in un nightclub. Assunte nel locale per la loro bellezza e per le loro incantevoli doti canore, le due creature si ciberanno degli esseri umani, vittime del loro fascino. L’amore però si insinuerà nel cuore di una delle sirene creando problemi fra le due.

Finalmente anche le sirene tornano in voga nel migliore dei modi. La tradizione e il folklore che avevano dato vita al celebre racconto di Andersen qui sembrano di nuovo approcciarsi all'idea di partenza, attingendo da questo nuovo aspetto del folklore scandinavo, per raccontare tutt'altro, riuscendo a dare atmosfera a questa fiaba dark davvero bizzarra che unisce teatralità e umorismo in un modo talvolta sarcastico e a volte enigmatico e quasi da b-movie.
Cinema d'autore a tutto tondo come poche sanno fare in questi ultimi anni sono diverse le registe ad aver contribuito a rendere multiforme il cinema di genere come Evolution della Hadzihalilovic e Raw
di Ducournau.
Due film straordinari che ora con questo film scritto da Robert Bolesto, e che sembra strano che arrivi dalla Polonia, invece danno l'idea di quanto sia importante scoprire questi paesi e le interessanti opere indipendenti di alcuni registi e sempre per rimanere in Polonia bisogna ricordare l'ottimo Demon del mancato Wrona.
The Lure è sporco, mostra due bellezze inusuali, un corpo e una coda che non hanno niente della Sirenetta e sguardi famelici per due sorelle che cercano di capire come funzionano gli esseri umani e diventando freaks di turno e concubine ideali per la loro grande madre nel nightclub.
Un film girato in modo assurdo, con continui cambi di regia, una fotografia coloratissima e un sacco di intuizioni originali contando che il film spesso ricorre ad una sorta di musical atipico e grottesco con tante stranezze cinematografiche e come è stato definito da qualche critico trattasi di cinema predatorio contando che ha un timbro molto poco commerciale ed è adatto ad un pubblico di nicchia. Splendida inoltre l'enigmatica colonna sonora e i brani che sanno dare risalto e spessore.
Un film bellissimo che dimostra cosa si vuol fare a tutti i costi senza pensare all'aspetto commerciale ma disegnando una storia nuova con queste due sorelle della mitologia e del folklore che mancavano nel cinema in modo intenso come questo che sicuramente diventa il più importante film di genere sul tema delle sirene finora contando anche l'interessante opera ma minore sempre sullo stesso tema ovvero il Siren di Bishop americano del 2016.
Un film magnifico Lure dove però dal secondo atto la trama si perde leggermente lasciando spazio a guizzi di regia e ad una galleria di scene molto belle ma in alcuni momenti slegato narrativamente, riuscendo comunque a regalare un sacco di elementi nuovi e preziosi su queste creature a differenza del film di Bishop caratterizzandole molto di più e uscendosene con alcune particolarità che riportano e descrivono alcune caratteristiche di questi esseri mitologici e magici e della loro adattabilità alle regole e ai codici della nostra società.





domenica 3 settembre 2017

Late Phases


Titolo: Late Phases
Regia: Adrian Garcia Bogliano
Anno: 2015
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Ambrose McKinley, un cieco veterano di guerra, si trasferisce in una piccola comunità in cui i residenti muoiono in numero sempre più crescente, vittime, a quanto sembra, degli attacchi di alcuni cani. Dopo essere a sua volta scampato ad un attacco, durante la sua prima notte nella nuova casa, Ambrose scopre che i colpevoli non sono cani, ma creature molto più terrificanti.

Datemi Nick Damici è io ve ne sarò sempre riconoscente anche in questa versione cieca che sembra citare tra le righe Bubba Ho-Tep.
Il braccio destro del fedele Jim Mickle che speriamo di vedere al più presto (visto che è solo uno dei nuovi registi emergenti horror davvero in gamba) non capita di vederlo spesso soprattutto nei lungometraggi quando non è impegnato come sceneggiatore ad esempio nella serie Hap & Leonard-Season 1. In Late Phases fa la parte di un cieco che si trova dopo un incidente a dover passare il resto dei suoi giorni in un paesino con altre persone della terza età come lui e dove manco a farlo apposta arrivano una lunga serie di efferati omicidi compiuti da un licantropo.
Damici significa anche vecchia scuola il più delle volte come Bogliano ci tiene a mettere in scena. Dalle atmosfere anni '80, al make-up dei licantropi a metà tra Lobos De Arga e i GREMLINS e alle mille citazioni tra le righe che richiamano Dante e Landis.
Un cast che include anche Tom Noonan e Larry Fessenden, una trasformazione in lupo girato in un unico piano sequenza girato con una certa maestria.
Tutto ma proprio tutto sembra ricordare i vecchi film di genere senza contare il climax finale scontato ma che sembra o meglio mi ha ricordato LUNA DI MIELE STREGATA con Gene Wilder.
Alla fine dopo alcuni minuti in cui il film si dilunga senza un perchè arriviamo allo scontro vero, quello che però anzichè far paura butta tutto sulla parodia volontaria o involontaria che sia.
Da qui potrebbe essere divertente per qualcuno e noioso e senza un perchè che ne giustifichi gli intenti per qualcun altro come me che alla fine si trova di fronte all'ennesimo film nostalgico senza pretese e la voglia di poter narrare qualcosa di nuovo o che almeno abbia degli elementi originali.


City of Tiny Lights

Titolo: City of Tiny Lights
Regia: Pete Travis
Anno: 2015
Paese: Gran Bretagna
Giudizio: 3/5

La pellicola è ambientata nella multiculturale e contemporanea Londra, dove niente è quello che sembra. Tommy Akhtar è un fan del cricket, un figlio devoto e un investigatore privato fannullone. Il suo ufficio si trova sopra una ditta taxi di taxi, gli piacciono l'alcol e le sigarette, ed è fortemente cinico. Tommy, una mattina, trova una prostituta di alta classe, Melody, in cerca di aiuto. Vuole che trovi la sua amica Natasha, che è stata vista l'ultima volta mentre incontrava un nuovo cliente al bar Mayfair. Non ha molta fortuna nella ricerca di Natascia, ma trova il cadavere di un uomo d'affari pakistano Usman Rana, e prima di rendersene conto, viene coinvolto nel pericoloso e sinistro mondo del fanatismo religioso e degli intrighi politici.

L'ultimo film di Travis dopo alcuni esordi non proprio gratificanti e un paio di film azzeccati, trova qui di nuovo nell'indi e nella produzione low-budget, i canoni e i criteri per sviluppare il suo ultimo poliziesco quasi tutto in esterni per i quartieri di Londra.
Un'opera artigianale, un noir con un'atmosfera cupa e contemporanea dove il nostro improvvisato investigatore deve in due ore di film risolvere un caso di quelli scomodi e con intenti politici alle spalle e una corruzione che come sempre abbraccia parte delle proprie amicizie.
Il risultato è una regia tecnicamente mediocre che cerca di inquadrare al meglio le mille sfumature in cui il film s'addentra quando più si avvicina al climax. Una fotografia che cerca di fare il possibile senza colpi di genio ma con quei rallenty forzati e cambi di luce repentini anche se lavora con due colori freddi molto accesi per quasi tutto l'arco della narrazione. Un finale abbastanza scontato e un manipolo di attori che cercano di fare il possibile con Riz Ahmed in un ruolo da protagonista, non facile, ma che cerca di convincere il più possibile.
Interessi, capitali, amicizie, tutto piano piano emerge nel film, con i flussi di ricordi e i tasselli che si incastrano con una facilità disarmante accompagnati da una colonna sonora a tratti interessante.
Basato sul romanzo omonimo del co-sceneggiatore Patrick Neate, il film è un ritratto unico di una Londra contemporanea narrata come una brulicante metropoli multiculturale dove nulla è come sembra. Nel finale pur avendo alti e bassi soprattutto legati al ritmo e alcuni dialoghi della sceneggiatura, avrebbe forse giovato qualche colpo di scena in più e un secondo atto più sintentico.


giovedì 3 agosto 2017

Zinzana

Titolo: Zinzana
Regia: Majid Al Ansari
Anno: 2015
Paese: Emirati Arabi
Giudizio: 4/5

Intrappolato in una cella senza luce, in una remota stazione della polizia, un uomo è tormentato dai ricordi della moglie e del figlio. Per poter uscire dalla prigione si trova costretto a fingersi pazzo.

Trovarsi estasiati di fronte all'ennesimo film sconosciuto proveniente dagli Emirati Arabi mi lascia come sempre sgomento per cosa mi sono perso, ma dall'altro la gioia di riuscire con il dovuto ritardo a guardare un film così maledettamente ispirato e di genere.
Zinzana conosciuto anche come Rattle the Cage, è il film che non ti aspetti. Un thriller teso e tutto d'atmosfera, girato in un'unica location (una prigione) e con due attori e una piccola galleria di personaggi secondari che entrano ed escono dalla stanza, ognuno con i propri segreti e misteri.
Il film è l'esordio di Majid Al Ansari, un regista molto in gamba che mette subito in chiaro cosa abbia in mente con un film pulito, tecnicamente di grande livello, teso, semplice, claustrofobico, folle e violento.
Anche se ci sono alcuni aspetti che non convincono e in cui la sospensione d'incredulità deve essere messa da parte con una certa difficoltà e mi riferisco all'intento che spinge l'antagonista a giocare a guardia e ladri con la vittima, così come la scena della coperta e altri stratagemmi che sembrano utilizzati per avere quel gioco forza di cui il regista ha bisogno per mandare avanti la storia.
Ali Suliman, il villain, sembra il sosia ebreo di Michael Fassbender e anche come mimica gli assomiglia molto. Guardando Zinzana ci si accorge come non siamo affatto distanti dal cinema europeo, orientale o americano. La pellicola pur non avendo una sceneggiatura memorabile e dei dialoghi che a volte risultano macchinosi, ha un ritmo incredibile e il cast così come la messa in scena ritorno a dire che fanno il resto.
Un film costato poco che ancora una volta rivela le mille facce della settima arte e i risultati ottimi che possono arrivare quando si hanno le idee chiare su ciò che si vuole fare.


Partisan

Titolo: Partisan
Regia: Ariel Kleiman
Anno: 2015
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

L’undicenne Alexander vive in una sorta di comune alla periferia degradata di una città senza nome. Capo della piccola comunità composta da donne e bambini è un solo uomo adulto, Gregori, figura carismatica che governa incontrastata elargendo affetto e regole ferree, insegnando ai bambini a coltivare la terra ma anche a uccidere, sia per procurarsi il sostentamento vitale che per difendersi da un mondo esterno che Gregori descrive loro come ostile, ingiusto e crudele. Alexander però è sveglio e curioso, durante le sue missioni omicide al di fuori dalla comune raccoglie piccoli oggetti e viene in contatto con gli abitanti di quel mondo esterno, cominciando a porsi qualche domanda sulle regole imposte da Gregori e su quel padre padrone di cui ha sempre accettato la weltanschauung.

Il punto di domanda è questo: c'era davvero bisogno di inserire la parabola dei bambini killer?
Partisan è un bel film con tanti elementi che non funzionano o meglio che non ho gradito anche se rimane affascinante e in alcuni momenti magnetico per la potenza e la poesia delle immagini.
Fino ad un certo punto anche la sceneggiatura sembra funzionare con il mistero più grosso che rimane celato fino al secondo atto.
Senza contare i dialoghi e la messa in scena che nel primo atto raggiunge la perfezione grazie a dei tempi abbastanza dilatati e un incidente scatenante che apre il sipario a chissà quale alternativo scenario distopico e grazie ad una possente interpretazione di Cassel nel ruolo del leader carismatico Gregorie in un contesto tutto sommato alternativo e molto particolare, come la location in cui vivono.
E'proprio il gioco, la struttura del gruppo, che seppur portata alle estreme conseguenze, il fatto di stare relegati e nascosti dalla società in un limbo di isolamento in cui si incatena dentro una propria quasi sottocultura, e infine il ruolo della donna e il suo significato in questa sorta di harem dove il protagonista accoglie madri e bambini vittime di maltrattamenti.
Nonostante il bel finale aperto e un climax che appare di fatto abbastanza scontato, il film di Kleiman ha il difetto di voler esagerare in un contesto che non lo richiedeva esplodendo lampi di violenza quasi per certi aspetti gratuita. L'autocompiacimento della regista che dimostra comunque di avere padronanza del mezzo cinematografico rischia di essere proprio uno dei suoi limiti portando a livelli alti un certo tipo di simbologia, trovando un neofita come Jeremy Chabriel, di impressionante intensità espressiva e capace di comunicare ed esprimere stando fermo immobile.



Talvar

Titolo: Talvar
Regia: Meghna Gulzar
Anno: 2015
Paese: India
Giudizio: 4/5

Drammatizzazione del doppio omicidio di Noida, avvenuto nel 2008 e balzato agli onori della cronaca. Vittime furono una quattordicenne e la domestica che lavorava per conto della sua famiglia.

Ispirato ad un reale caso di cronaca, un film indiano che racconta un indagine sull'omicidio di un'adolescente e del suo servitore. Talvar si inserisce nel filone dei film di genere indiani che trovano spesso e volentieri spazio e distribuzione su piattaforme on line senza quasi mai riuscire ad essere distribuiti nei cinema ma trovando di rado qualche festival internazionale.
Guilty altro titolo con cui il film è uscito, sembra mantenere inalterato lo schema e il lavoro di scrittura. Attingendo da un caso di cronaca che ha fatto molto discutere l'opinione pubblica, è un film che Gulznar riempie di particolari, in cui la caratterizzazione dei personaggi è curatissima consentendo appunto di approfondire gli usi e costumi di un paese remoto, la cui cinematografia drammatica è quasi sconosciuta in Occidente dal momento che in molti pensano che l'India sia solo Bollywood e limitando così la diversità di una cinematografia molto variegata e complessa.
Un'altra opera in cui non c'è un personaggio trainante, o meglio c'è un protagonista principale ma il lavoro corale sviluppato dal regista è ottimo tale da mantenere una buona alternanza tra momenti concitati ed altri più riflessivi, che mettono in evidenza i paradossi della giustizia con momenti decisamente surreali.

Da uno spunto di cronaca, Talvar è una radiografia impietosa che fa male, denunciando la mentalità dominante all'interno degli apparati di polizia indiani, fra cialtronaggine, meschine rivalità professionali, stupidità, carrierismo e sete di potere. Un bel film di "denuncia civile" con un epilogo che coinvolge anche il sistema giudiziario, lasciando l'amaro in bocca come si evince da quel problema che "il 90% delle prove presenti nella scena del crimine vennero di fatto distrutte a causa della negligenza della polizia" come disse il CBI nella realtà. Perché la polizia, che per prima venne sul posto, non si occupò di non fare avvicinare nessuno nella scena del crimine, giornalisti, visitatori, amici, parenti, vicini, tutti circolavano nella scena del crimine come se fosse parco giochi. Sembra fantascienza ma è tutto reale e nel film acquista un penso ancora più sconvolgente.

sabato 8 luglio 2017

Phantasm-Ravanger

Titolo: Phantasm-Ravanger
Regia: David Hartman
Anno: 2015
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Per 37 anni, il pubblico ha seguito Reggie, Mike e Jody nelle loro imprese per fermare il malvagio Uomo Alto e la sua armata di sentinelle. Ora, l’acclamato franchise di Don Coscarelli giunge a un grande ed epico finale con battaglie multidimensionali tra varie timeline, pianeti alieni e realtà alternative, con in gioco il destino del mondo.

Che bello ritornare ogni tanto a territori inesplorati e saghe che sembravano tramontate da tempoe che dopo innumerevoli anni raggiungono piattaforme scollegate senza mai vedere l'ombra di un cinema. Lande desolate in cui veniamo a conoscenza di mondi a metà tra il sogno e la realtà, tra la magia e la tecnologia, tra l'horror e l'ironia/parodia.
Credo, nel mentre, di essermi perso qualche capitolo. Infatti il nuovo Ravanger in alcuni momenti rammenta il suo passato facendo i conti con i capitoli precedenti come ogni buona saga sa e dovrebbe fare. Ravanger fino a prova contraria dovrebbe essere il quinto capitolo della saga di Coscarelli nel 1979. Proprio il nostro caro regista qui lascia per un attimo il timone restando comunque nel reparto produttivo per dare spazio ad Hartman che fino a prova contraria aveva girato solo un film d'animazione piuttosto vergognoso che non starò a citare.
Qui tutto profuma o meglio puzza di povertà. Il che spesso e volentieri non è un limite o una colpa ma anzi può trasformarsi in piacevoli sorprese se pensiamo a tutta una branchia dei b-movie americani e tantissima altra roba che non starò a citare.
Dal punto di vista tecnico poi gli vfx in primis, a volte davvero di un'amatorialità inquietante ma anche divertente sono seguiti a ruota da una recitazione spesso approssimativa in cui però bisogna ammettere che tutti ci mettono cuore e anima anche se il risultato rimane comunque approssimativo.
Tutto il comparto tecnico supera a stento la sufficienza e la regia, comunque decente, di Hartman è lontana qualche migliaio di chilometri dall’estetica sfrenata di Coscarelli, potentissima anche con pochi mezzi e come ha dimostrato in diversi e sconosciutissimi film oltre che epidosi per i MOH trattando uno degli scrittori che amo di più come Lansdale.

Il climax comunque lo regala sempre Tall Man (interpretato da un volto storico come Angus Scrimm, recentemente scomparso) un villain un po’ particolare, che riesce a modificare spazio e tempo saltando da una dimensione all’altra. Il suo obiettivo è quello di reclutare un esercito di morti (che vengono trasformati in micidiali sfere killer) per conquistare e distruggere il mondo.