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domenica 15 ottobre 2017

Wetlands

Titolo: Wetlands
Regia: David Wnendt
Anno: 2013
Paese: Germania
Giudizio: 4/5

In Wetlands Helen, 18 anni, soffre di emorroidi e ha una vita sessuale intensa. Un padre distratto e una madre ossessionata dall’igiene le hanno imposto di eliminare ogni sgradevole secrezione. Lei si ribella, rifiuta di nascondere il suo odore, e tra sperma, sangue, diarrea, mestruo e liquido vaginale, cerca di colmare un vuoto educativo ed emotivo, imparando sul proprio corpo ad accettare e gestire pulsioni e sentimenti.

“Fin da quando io ricordo ho avuto le emorroidi”
Così Helen fa il suo esordio sullo schermo. Con queste parole. Il resto è una sorta di coming of age sulla formazione sfinterica di una ragazza alla scoperta della sessualità, del proprio corpo e di tutta un'altra serie di ingredienti soprendenti, bizzarri, spiazzanti, politicamente scorretti, eccessivi e a tratti disgustosi.
Un film divertente e pruriginoso intrinsecamente che sa unire insieme dramma e ironia sviluppando alcuni temi che sembrano ancora dei tabù e su cui il regista e come spesso accade nel cinema tedesco non ci si fa troppi problemi a dire le cose come stanno e soprattutto a mostrarle senza remore. Si parla tanto di sessualità ma come qualcosa di normale senza bisogno di nasconderne i suoi infiniti aspetti, qui il desiderio e l'obbiettivo di Helen è un’opera di distruzione di ogni forma di tabù sociale. Il fatto più sconvolgente è che oltre ad ignorare il comune senso della decenza e del pudore, si crei da sè delle norme igieniche, come la fantastica idea di rendere la sua vagina una fogna, non lavandola, per fare in modo che paradossalmente resista maggiormente alle malattie. Così arriviamo a tante scene e scelte che giocano tra lo scandalo e il disgustoso, parlo ovviamente della scena del bagno e della caramella allo sperma...e di tutto questo fluire, secernere, evacuare che ad un tratto prima di finire ricoverata, sembra un rubinetto difettoso.
La commedia nera diventa dramma che diventa grottesco che diventa surreale e così via mischiando svariati aspetti e cercando sempre più di impressionare con scene di forte impatto immaginifico.
Mi ha scioccato anche il fatto che la sceneggiatura non sia originale e che esista un libro così perverso ad aver ispirato la sua creazione.
Un film davvero soprendente, furbo, forse troppo, giocando e insistendo ripetutamente sull'esagerazione, elemento che ad un certo punto finisce proprio per creare l'inverso e da quel momento il film prende un'altra direzione non meno interessante ma sicuramente meno eccessiva che sembra far riflettere Helen sul suo obbiettivo.


domenica 3 settembre 2017

Holy ghost people

Titolo: Holy ghost people
Regia: Mitchell Altieri
Anno: 2013
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

In questo thriller psicologico, la diciannovenne Charlotte chiede l'aiuto dell'alcolizzato ex-Marine Wayne per trovare la sorella, scomparsa nel profondo dei monti Appalachi. La loro ricerca li porta alla Chiesa del Comune Accordo e a un enigmatico predicatore che usa i serpenti, e la cui devota congregazione di reietti rischia consapevolmente di essere ferita a morte per cercare la salvezza nello Spirito Santo. Quello che Wayne e Charlotte scoprono durante il loro tempo in montagna - su se stessi e sulla natura della fede - li scuote nel profondo, mentre il mistero della sorella Charlotte e il suo destino comincia a dipanarsi...

Le sette, la religione, le comunità nutrite di bifolchi e tutto il resto che gravita attorno a questo irresistibile flusso di gente che cerca un simbolo a cui affidare la propria esistenza per me è materia di interesse; anche quando ho la certezza che mi troverò di fronte ad un pacco senza senso come mi aspettavo per questo film.
Un prodotto commerciale senza anima destinato a vendere qualcosa su straight to video e portarsi magari a casa qualche recensione positiva di qualche amante dell'horror o del suo sottogenere preferito trovando elementi originali quando invece Altieri si è impegnato a farcire il suo film di luoghi comuni banali e senza senso.
Sono tanti e troppi quindi non starò ad elencarli tutti ma posso solo dire che dal plot iniziale in realtà la storia avrebbe potuto prendere un altra piega o diventare già da subito qualcosa come 2001 maniacs di Sullivan oppure lo stesso Hamiltons in cui Altieri ha giocato le sue carte.
Tutto nella setta sembra proprio prendere la strada più legata a ciò che ci si potrebbe aspettare con le donne tutte chinate che prendono botte dalla mattina alla sera senza poter proferire nulla, un'equipe di uomini con delle ghigne da psicopatici, gente che si fa prendere a scudisciate per aver avuto pensieri impuri. Un prete che fa i sermoni abbracciando un serpente e il classico bifolco handicappato.
Oltre a tutti questi elementi c'è poi una messa in scena discontinua in cui tutto sembra slegato. Un film che potete tranquillamente risparmiarvi di vedere limitandovi al trailer.



giovedì 3 agosto 2017

Ugly

Titolo: Ugly
Regia: Anurag Kashyap
Anno: 2013
Paese: India
Giudizio: 4/5

Shalini è sposata con Shoumik, violento e autoritario capo della polizia, che detesta il precedente marito Rahul, attore squattrinato. Un giorno in cui la piccola Kali, figlia di Shalini e Rahul, è con il padre, questi la lascia da sola in macchina; quando torna la bambina è scomparsa. Si scatena la caccia al rapitore, ma rispetto alla volontà di ritrovare Kali sembrano prevalere le vendette personali e i conti in sospeso da risolvere.

Ugly è un thriller indiano passato in sordina alcuni anni fa e proiettato infine al TFF.
Un film controverso e disturbante che parla del lato nascosto dell'India, o meglio di alcuni lati oscuri e del livello ormai inquietante di corruzione che attanaglia la città ponendo in primis l'inefficenza delle forze dell'ordine indiane.
Proprio le istituzioni vengono criticate in una galleria di personaggi tutti in fondo meschini, scelte e ambientazioni degradate quanto lussuose ponendo come fatto sociale rilevante la disuguaglianza che affligge questo paese.
Un thriller vitale e dinamico che nelle sue due ore di durata non si ferma mai, in un viaggio alla scoperta di se stessi, di un paese che finalmente racconta anche storie cruente abbandonando per un attimo il contesto e l'ironia bollywoodiana. Kashyap va ancora oltre con una messa in scena ottima, un gran ritmo, un montaggio attento e delle buone scelte di camera oltre che prediligere il cinema di genere in un crime story che non si vedeva da tempo. Lo stesso cast vede alcuni attori affermati nel vasto panorama delle produzioni indiane. La critica come dicevo non si limita solo ai rapimenti di bambini (una realtà scioccante se qualcuno ha voglia di interessarsi alla vicenda) trattando però tutte quelle dinamiche che sembrano proprio nascere dal contesto culturale, in cui vediamo le forze dell'ordine che sembrano alimentate da una profonda diffidenza per i cittadini, le donne lasciate in casa a bere che non sanno come passare le giornate, una cultura in fondo sempre più misogina e in tutto questo amici che rischiano la propria vita e la propria dignità per aiutare il prossimo e un finale davvero pesante che conferma l'ottimo lavoro di sceneggiatura, nonostante alcune piccole defezioni durante l'arco temporale della storia.



lunedì 6 marzo 2017

Paris Countdown

Titolo: Paris Countdown
Regia: Edgar Marie
Anno: 2013
Paese: Francia
Giudizio: 2/5

Milan e Victor un tempo si conoscevano bene. Proprietari di alcune discoteche di Parigi, per molti anni hanno tagliato tutti i contatti fino a quando sono costretti a cambiare idea. Serki, l'uomo che avevano mandato in carcere in Messico per un affare poco lecito andato a male, è tornato in libertà e ha intenzione di vendicarsi. Milan e Victor non hanno altra alternativa che unire le proprie forze e cercare una soluzione durante una movimentata notte in giro per un mondo cambiato rispetto a come lo ricordavano loro. Con pericoli ad ogni angolo di strada e Serki alle costole, i due vecchi amici affrontano i motivi che hanno portato alla loro separazione e le bugie che avvelenano le loro esistenze, facendo scelte irreversibili che rimettono in discussione trent'anni delle loro vite.

Marie alla sua opera prima dirige un noir cupo e tutto ambientato nelle affascinanti notti parigine.
Un thriller, un polar, spinto e che cerca fin da subito di creare atmosfera attorno all'intreccio peraltro interessante, affidando l'indagine e la natura degli eventi nelle mani dei due poliziotti ormai logori dai sensi di colpa. Soprattutto la paura è quella che evidenzia il regista, quella di veder tornare un uomo sadico e pazzo interpretato da un ottimo Carlo Brandt furioso come pochi in una vendetta che travolge chiunque gli si ponga davanti e che poteva essere bilanciata con la psicologia dei due protagonisti un'ottima formula dove inserire e costruire la vicenda.
Proprio gli intenti della trama lasciavano aperte le domande su dove potesse andare a parare il regista contando che in Francia film di questo tipo funzionano e vengono scritti e girato molto bene in un continuum che poche volte trova intoppi o film minori come questo.
Marie purtroppo non riesce a trasmettere quell'atmosfera che sembrava inquadrare la dimensione complessa e multi sfaccettata dei suoi protagonisti per ruotare attorno a troppi dialoghi e girare su se stesso senza riuscire a trovare spunti che riescano a dare maggior interesse e ritmo al film. Pur essendoci alcuni ottimi momenti, proprio questi da soli non bastano a riscattare un film che aveva tante carte per riuscire ad avere un successo perlomeno di critica.


sabato 28 gennaio 2017

Repairman

Titolo: Repairman
Regia: Paolo Mitton
Anno: 2013
Paese: Italia
Giudizio: 2/5

Nella provincia piemontese Scanio Libertetti ripara macchine del caffè da bar. Lavora da casa per conto di un padrone che lo sfrutta e la sua endemica lentezza non migliora le cose, l'unico parente che gli sta vicino sembra essere un zio panettiere con aiutante mezzo scemo. Attraverso i suoi amici, molto più integrati di lui nella società, entra in contatto con una ragazza inglese con cui inizia un rapporto sentimentale. Tuttavia sembra che ciò che sia dritto per Scanio risulti storto agli altri.

A volte l'immobilismo cosmico del nostro cinema mi spaventa.
Solitudine, timidi sorrisi, gesti goffi, anti eroi con l'aria da nerd. Se mettiamo da parte quasi tutta la filmografia degli ultimi anni, focalizzata o su tamarri colossali (Di Leo & soci) oppure su timidi nerd, Repairman dello sconosciuto Mitton sicuramente ha i suoi piccoli pregi per essere un indie di lodevole fattura che si è riuscito a staccare dalle produzioni romane.
E'come dire che l'apologia dell'ingenuità fa da diapason del film, piace e diventa funzionale nel momento proprio in cui di immobilismo parla, ovvero una situazione di una disarmante semplicità costipato di quelle consuetudini che ormai sono il marchio ufficiale del made in Italy nel cinema.
Savoca, l'attore feticcio di Louis Nero (penso di aver detto tutto) sembra Battiston di serie B, muovendo il suo personaggio con l'aria da orso in un precario equilibrio tra le contraddizioni del mondo moderno che detto in poche parole parla di famiglia, lavoro, storia d'amore.
Un triangolo che se riuscisse a inserire qualche elemento in più e non si accontentasse di una sorta di breve racconto di vita (peraltro noioso) trito e ritrito.
E allora se tutto il nostro paesino provinciale non comprende Scanio etichettandolo come storto chi meglio di una giovane studentessa straniera può farci riscoprire la vita? Un'idea particolarmente originale, che non a caso ha vinto numerosi premi e riconoscimenti...
L'apologia dell'ingenuità vince e premia.


martedì 17 gennaio 2017

L’étrange couleur des larmes de ton corps

Titolo: L’étrange couleur des larmes de ton corps
Regia: Helene Cattet
Anno: 2013
Paese: Belgio
Giudizio: 4/5

Una donna scompare. Il marito indaga sulle circostanze della sua sparizione…

All'apparenza leggendo questa sorta di log-line sembrerebbe la storia e la struttura narrativa più semplice del mondo. Però stiamo parlando del duo Cattet/Forzani, due nomi che forse ai più non diranno molto, ma che nel cinema indipendente e sperimentale hanno un certo peso dopo AMER.
Film particolarissimo con atmosfere e stili di regia complessi e in disuso. Una galleria di citazioni che faranno godere gli amanti del neo-gotico italiano e dei vari Fulci e Argento.
L'indagine che fa da sfondo in questo thriller psichedelico è assurda quanto impossibile da decifrare del tutto e ancor più da raccontare. Il viaggio allucinato all'interno di questo palazzo, l'inferno, dove personaggi si alternano in un vortice sempre più angosciante e stralunato, sembra uscire dalle menti e dagli incubi malati di Polanski e Lynch. Sicuramente L’étrange couleur des larmes de ton corps ha una sorta di orizzonte più lineare rispetto alla pellicola precedente, infatti pur non negando la narrativa classica, ci riporta continuamente in un mondo surreale e straniante concentrato quasi del tutto sull’aspetto visivo, la fotografia, i frame particolareggiati e il montaggio.
Il problema è quando si inizia a mettere assieme i pezzi dopo un ora abbondante, in cui cominci, preso dal fascino delle inquadrature, a non capire più nulla di chi è l'assassino, dei dubbi dell'investigatore e della tenacia del marito.
Alla fine quello che lo spettatore si domanda rapito dalle immagini e proprio l'interesse a sapere chi è il colpevole, a svelare le trame del rapimento o del delitto. L'incidente scatenante comunque ricorda tantissimo il primo racconto poliziesco di Edgar Allan Poe "I delitti della Rue Morge" che al tempo fu una novità assoluta per tempi, modi e idee. E sì perchè come nel racconto del maestro del brivido, anche lì l'appartamento era chiuso dall'interno creando immediatamente un'ambientazione e un interrogativo di immediato interesse.



martedì 15 novembre 2016

Mole Song

Titolo: Mole Song
Regia: Takashi Miike
Anno: 2013
Paese: Giappone
Giudizio: 3/5

Reiji è un poliziotto incapace, col chiodo fisso del sesso ma con un’incrollabile determinazione. I suoi superiori decidono così di utilizzarlo come agente sotto copertura da infiltrare nella yakuza. Reiji si troverà alle prese con due organizzazioni criminali dalle opposte filosofie e composte da personaggi singolari. Tra mille disavventure, il protagonista farà la differenza nella guerra tra le due gang.

Takashi Miike ha girato così tanti film che quasi nessun sito è riuscito finora ad elencare tutta la Mole dei suoi film. Dal canto mio credo di averne visti almeno una sessantina dopo importanti retrospettive con il regista presente in sala ed essendo diventato scemo sul web a cercare di essere sempre aggiornato sulle sue ultime fatiche.
Che siano film di formazione, yakuza movie, manga, romanzi, horror e quant'altro, il fuoriclasse giapponese insieme a Sion Sono siedono sull'olimpo nipponico del cinema di genere. Mole Song sono 130' minuti di puro intrattenimento in perfetto equilibrio tra commedia ed action. Una parodia demenziale che non vuole prendersi sul serio mischiando ironia e dramma e contaminando sotto generi e qualità tecniche che non sembrano mai venir meno.
Reiji è l'imbranato sfruttato dai suoi superiori per toglierlo di mezzo senza pensare nemmeno per un attimo che il ragazzo possa farcela. Un esercizio di stile che dato in mano a qualsiasi altro regista sarebbe molto probabilmente finito nel dimenticatoio mentre qui l'inarrestabile sequela di invenzioni visive reggono un impianto narrativo surreale e sopra le righe.

Di nuovo un film completamente anarchico che si prende tutte le libertà che vuole senza limiti e imposizioni (d'altronde Miike è diventato famoso per questo da quando in passato scelse di chiamarsi fuori dalle logiche di marketing con il potente DEAD OR ALIVE) ridisegnando un suo universo pop colorato, esagerato, popolato di richiami al mondo animale e ricolmo di idee grafiche.

martedì 8 novembre 2016

Tore Tanzt

Titolo: Tore Tanzt
Regia: Katrin Gebbe
Anno: 2013
Paese: Germania
Giudizio: 4/5

Il giovane Tore cerca una nuova vita ad Amburgo e entra a far parte di un gruppo religioso chiamato The Jesus Freaks. Quando per caso incontra una famiglia e li aiuta a riparare la propria auto, ritiene che una meraviglia celeste lo abbia aiutato. Inizia una profonda amicizia con il padre della famiglia, Benno. Ben presto si trasferisce con loro al loro orto, non sapendo cosa lo aspetta.

La violenza che incontra il sacro. Tore facente parte di un gruppo di punk cristiani fanatici, senza famiglia e senza affetti, si ritroverà catapultato in una spirale di violenza dove di fatto un nucleo familiare disadattato come tanti lo tratterà come l'agnello sacrificale, il capro espiatorio per eccellenza. Non è un torture porn e non ha neanche quella esagerata dose di sangue e violenza come capita per gli horror odierni. Eppure Nothing Bad Can Happen riesce a fare, per alcuni aspetti, ancora più male degli altri perchè realistico e perchè indaga una realtà e scava dentro una psiche complessa e timorosa.
Se fosse una metafora potrebbe essere quella di Gesù Cristo che si sacrifica e si fa mettere in croce per salvare le sorti di un gruppo di persone a cui lui sembra essere molto legato. Ci sono alcuni momenti che riescono a mischiare ironia assurda (i punk cristiani che benedicono l'auto che poi riparte) alternati a stupri e mamme che schiacciano coi tacchi i coglioni del protagonista.
Vale sempre la regola di Matheson sul concetto di normalità. In questo caso Gebbe, alla sua opera prima, riesce a intuire l'assurdità di entrambe le parti, fanatici contro psicopatici, cercando di raccontarli assieme facendoli esplodere e implodere allo stesso tempo.


lunedì 3 ottobre 2016

Oculus

Titolo: Oculus
Regia: Mike Flanagan
Anno: 2013
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

In passato la famiglia Russell è stata colpita da una terribile tragedia che ha cambiato per sempre le vite dei fratelli Tim e Kaylie. Tim è stato arrestato con l'accusa di aver ucciso brutalmente i genitori. Superati i vent'anni il ragazzo viene rilasciato e prova a rifarsi una vita. La sorella Kaylie, convinta della sua innocenza, crede che a uccidere i genitori sia stata una terribile forza soprannaturale che proviene da un antico specchio custodito nella loro casa di famiglia.

Sono rimasto piacevolmente sorpreso della scrittura e dai tempi della messa in scena di questo piacevole horror. Oculus è l'esempio di come con un soggetto abusatissimo si possono ottenere ancora buoni risultati.
Flanagan comincia a starmi simpatico. E'un regista che sicuramente sentiremo ancora, che gira dei thriller solidi e di atmosfera per poi passare all'horror e al soprannaturale. E'uno che sa il fatto suo per pochi ma importanti elementi ad esempio sa come affinare la suspance e fare in modo che la tensione diventi un mood costante e avvincente. Oculus purtroppo me lo sono visto in ritardo per il semplice fatto che aveva una locandina poco convincente e avevo paura che fosse uno dei tanti ghost story a base di case infestate, commerciali e scontati. Invece gioca e lavora su molti aspetti interessanti come lo specchio che restituendo la nostra percezione diventa la nostra identità e il nostro incubo ma bisogna andare oltre questa semplice definizione per capire il lavoro, soprattutto di scrittura che sta alla base del film.
La storia come dicevo è buona, i piani temporali non diventano mai fastidiosi ma anzi aggiungono tasselli importanti e contribuiscono a dare spessore alla narrazione e gli attori dal canto loro riescono ad essere abbastanza convincenti. Poi un altro elemento che ho molto apprezzato a parte forse un finale da cui mi aspettavo qualcosa più d'effetto e l'autodistruzione della famiglia in un trauma che è sempre più in crescendo con alcune scene davvero sorprendenti, tra l'altro tutto sempre in un interno, e uno scenario impressionante capace di giocare con l'immaginario umano e portarlo alla disperazione.


domenica 18 settembre 2016

Banshee-Season 4

Titolo: Banshee-Season 4
Regia: AA,VV
Anno: 2013
Paese: Usa
Stagioni: 4
Episodi: 38
Giudizio: 3/5

Il protagonista principale è un criminale, che dopo aver scontato quindici anni di prigione a seguito di un tentativo di rapina finito male, ritorna in libertà. Immediatamente si mette sulle tracce della sua ex amante e complice, Ana, mentre si ritrova braccato dagli uomini del boss criminale che aveva tentato di rapinare, Mr. Rabbit. Le sue ricerche lo conducono quindi in un luogo immaginario, ossia a Banshee, una piccola città della Pennsylvania abitata prevalentemente da una popolazione Amish. Banshee, come viene detto in una presentazione della serie, è una creatura femminile della mitologia irlandese che porta sfortuna e probabilmente ciò ha ispirato il nome della città, che è rappresentata come una località in apparenza bella, pacifica, ma in realtà abitata da alcune persone orribili, come Proctor, un potente gangster che nasconde le proprie attività criminali dietro la facciata di uomo d'affari e praticamente tiene in pugno la città. Il protagonista qui rintraccia Ana, che ha cambiato identità ed è nota come Carrie Hopewell, moglie del procuratore distrettuale. Dopo essersi ritrovato casualmente in uno scontro a fuoco tra il nuovo sceriffo appena arrivato in città, Lucas Hood, e alcuni criminali del posto, i quali finiscono tutti uccisi, decide di rubare l'identità dello sceriffo e rimanere in città, nel tentativo di convincere l'ex complice a riprendere il rapporto con lui.

Banshee ha qualcosa di infinitamente idiota ed esageratamente tamarro questo è vero.
Si prende poco sul serio o meglio quando lo fa non ci riesce comunque.
Diciamo proprio: e'una serie di ignoranza senza precedenti.
Eppure è adorabile, fantasticamente pieno di ritmo e di insensatezze che piacciono perchè incasellate in modo furbo, certo banale, ma d'effetto.
E'un telefilm di uomini duri che bevono in silenzio whisky, scopano senza un domani e fanno rapine con una facilità degna dei serial americani.
Ho deciso per limiti di tempo di essere coinciso e perchè sinceramente trovo esagerati e inutili tutti coloro che recensiscono, magari con due o tre pagine, ogni singolo episodio di tutte le lunghe e disparate serie che guardano.
Nel mio caso sarò estremamente veloce contando che provare a dare un giudizio su quattro stagioni tutte assieme per 38 episodi e opera folle come non ho quasi mai fatto.
Seppur con tante trovate, alcune davvero banali e scontate mentre altre quasi d'effetto, la serie trova nell'esagerazione, nella continua diversificazione dei personaggi l'elemento più imprevedibile e divertente. Poi senza stare a prendersi in giro, in Banshee ci sono un sacco di fighe, spogliarelli e altro che fanno capire quale è stato l'elemento in più della Cinemax, costola della HBO, ex canale sporcaccione dei porno softcore.
Veniamo per ordine. Che cosa c'è in Banshee: violenza, nudi, scopate, indiani, amish, freaks, checche che spaccano i culi, tette e culi, inseguimenti, sparatorie, religioni caratterizzate col culo, fbi, azione a gogò, mafiosi russi e ucraini, branchie del governo che appaiono e scompaiono, zii che scopano le nipoti, motociclisti, albini che sodomizzano, sceriffi senza uno scopo nella vita, tutori del disordine, nazisti e bambini malati.
In mezzo a tutto questo poi non esiste solo la città di Banshee, vero tesoro per gli scambi di identità, ma altri coloratissimi e insensati luoghi che danno e creano disordine e ovviamente uniscono i tasselli di una trama che come per molte altre serie tende a lavorare per accumulo.
Ho un problema grosso.
Ho visto questa serie qualche mese fa ma per strani, arcani e sinistri motivi non l'ho mai recensita. Quindi inserire le trame di quattro stagioni non avrebbe senso e quindi non lo farò.
La parola chiave di Banshee comunque rimane una: l'adrenalina, quella che piace perchè spegne il cervello.
Continuando sono davvero tanti i luoghi comuni che vengono buttati sullo schermo senza pensare alle conseguenze, come un giocattolone che forse si pensava non sarebbe mai andato oltre il primo episodio, ma che invece è stato addirittura ed esageratamente tirata avanti e non a caso le ultime due serie sono quelle che hanno i maggiori wtf.
Da questo punto di vista l'ultima serie infatti è forse quella campata più in aria e l'antagonista con quelle corna da minchione sembra una parodia del satanismo e delle new-religion.
L'unico aspetto politicamente scorretto (il vero colpo di genio se vogliamo), ma dubito che appartenesse negli intenti dei due creatori, è quello di dare potere ad un uomo comune tutto rapine e discutibile senso della morale. Come a dire che chiunque potrebbe fare lo sbirro o lo sceriffo in America (o forse un po ovunque...) e che tanto non bisogna sapere e capire niente sulla legge perchè in fondo basta trovare un minimo di coerenza e buon senso quando la circostanza lo ritiene.



lunedì 18 luglio 2016

In grazia di Dio

Titolo: In grazia di Dio
Regia: Edoardo Winspeare
Anno: 2013
Paese: Italia
Giudizio: 3/5

Non c'è concorrenza con i cinesi, così una famiglia di fasonisti (i sarti che confezionano abiti per le aziende del Nord) è costretta a chiudere la propria fabbrica di fronte ai debiti e alla bancarotta. Mentre l'unico fratello cambia paese assieme alla sua famiglia, le due sorelle tornano dalla madre in campagna, una insegue le sue aspirazioni d'attrice e l'altra che prima si occupava della fabbrica per non essere sormontata dai debiti comincia a lavorare le proprie terre. La figlia di quest'ultima infine, non intende prendere la maturità e vive tutto con atteggiamento futile e superficiale, in contrasto con ogni cosa, anche nei riguardi dell'inaspettata storia d'amore della nonna vedova con un contadino.

Sono le donne le protagoniste dell'ultimo film del nostro buon Winspeare, quattro personaggi di tre generazioni diverse, tutte unite però dalla loro casa e dalla terra in cui vivono.
Un regista insolito, politicamente scorretto, sconosciuto per molti ma una garanzia per il nostro cinema e per il ritorno al Salento terreno fertile e ostile per diversi film precedenti del regista.
La crisi economica colpisce tutti anche e soprattutto nei paesini. La concorrenza investe e non risparmia neppure un potere tradizionale come quello di questi fasonisti.
Winspeare dirama e struttura un film per certi versi corale puntando sulla realisticità e la naturalezza della recitazione in dialetto contando che come spesso capita nessuna è un'attrice di professione.
Lo fa mettendo in campo risorse, regia e una linearità che cresce di continuo mantenendo una certa coerenza e un proprio stile personale. L'unica pecca è la durata che in alcuni casi appesantisce la narrazione lasciando alcuni strascichi e una macchinosità che sembra quasi collocarlo con una soap opera o una fiction. Cosa infatti costituisce il nostro mondo e ci è indispensabile come gli affetti e un'occupazione, che diano un senso e una dignità alle nostre giornate?

E allora cosa rimane per giovani e anziani. Credere nel potere dell'amore e affidarsi alla grazia di dio.

martedì 12 aprile 2016

Tocco del peccato

Titolo: Tocco del peccato
Regia: Jia Zhang-Ke
Anno: 2013
Paese: Cina
Giudizio: 4/5

Nella desertica provincia dello Shanxi (luogo natale di Jia Zhangke) un uomo noto per la sua opposizione alla corruzione, non resiste al senso di impotenza e, fucile in mano, decide di eliminare i problemi alla radice. In un centro rurale del sudovest, un lavoratore ritorna a casa dalla sua famiglia dopo diverso tempo ma non regge più ritmi e consuetudini di una vita sedentaria. In una città della Cina centrale una receptionist di una sauna cerca di cambiare vita senza successo e, ritornata a quella precedente, viene aggredita dai clienti. Infine nella città industriale Dongguan un ragazzo lascia e riprende diversi lavori tra cui uno come cameriere in uno dei molti bordelli locali travestiti da attività rispettabili.

Anche i cinesi sono stanchi della corruzione.
Con il suo ultimo film addirittura un regista come Zhang-Ke sembra interessarsi all'argomento.
E lo fa con quattro vicende che hanno a che fare con violenza e corruzione nella Cina post-moderna.
Infatti i protagonisti vengono utilizzati come casi esemplari di una corruzione che si è ormai insinuata entro i confini del Celeste Impero e si sta propagando inarrestabile, come un cancro in metastasi, attraverso il contesto geografico e socio-economico in cui essi vivono.
La vendetta o la reazione violenta divengono così l'unica via percorribile.
La violenza, come atto disperato, viene rivolta anche contro se stessi da parte di cittadini qualsiasi come noi, in fondo figure paradigmatiche che hanno poco del tragicamente ordinario.
Anche se il tema non è nuovo, evidentemente gli effetti indotti dalla rapida ascesa industriale della Cina ancora non sono ben chiari e diciamo che sull'argomento poco si è parlato.
Il degrado nuovo della Cina è presente su tutto il territorio invadendo e investendo campagne, villaggi, città industrializzate. Così la rabbia accumulata sfocia in violento desiderio di vendetta contro l'oppressore e il padrone.




Attacco al potere

Titolo: Attacco al potere
Regia: Antoine Fuqua
Anno: 2013
Paese: Usa
Giudizio: 1/5

Mike Banning è un agente della sicurezza al servizio del presidente degli Stati Uniti d'America. Brillante e intraprendente, è ben voluto dalla First Lady e da suo figlio, un ragazzino di pochi anni che sogna un giorno di servire il Paese. Alla Vigilia di Natale la donna muore in un tragico incidente, 'sacrificata' insieme a due agenti per salvare la vita del presidente. Sollevato dall'incarico e costretto dietro alla scrivania, Mike conduce una vita ordinaria a cui proprio non riesce ad abituarsi. L'attacco alla Casa Bianca da parte di un gruppo di estremisti nord coreani, che vorrebbero 'detonare' gli States, gli offre finalmente l'occasione di tornare operativo. Sopravvissuto ai colleghi caduti come mosche nei corridoi della residenza presidenziale, Mike prova a raggiungere il bunker dove il Presidente è tenuto in ostaggio con il suo staff. Mentre l'America trattiene il respiro, l'agente Banning si riprende gloria e reputazione.

Classico action americano esagerato e reazionario.
“Gli Stati Uniti d’America non negoziano con i terroristi”.
L'ultimo film di Fuqua, regista specializzato nell'action a stelle e strisce con all'attivo forse un paio di film menzionabili sicuramente non regala gloria e onore a nessuno meno che mai il paese al mondo che non può per storia e bisogno fisiologico, fare a meno della guerra che sia in casa o fuori.
Il problema di questi film estremamente propagandistici di stampo nazionalista e che purtroppo finiscono sempre per cospargere di ridicolo e di pericoloso qualsiasi paese che in un epoca storica o in un'altra colpisce gli interessi yankee, diventandone nemico da bombardare con i media ancora prima che con la forza bellica militare, e quello per cui spesso e volentieri piacciono e la gente legittima le azioni dei suoi protagonisti vedendole come le uniche possibili.

Banning è il tipico esempio di un conservatore che sa di aver fatto la cosa giusta per il suo padrone ma ha dovuto pagare un prezzo. Vive con la speranza che qualcosa di brutto possa capitare al suo stesso presidente per poter riavere fiducia. Sembra la storia di uno di quei cani tanto fedeli al loro paese che per amore incondizionato non riesce mai a ragionare o provare a pensare al significato delle sue azioni.

giovedì 24 marzo 2016

Contracted

Titolo: Contracted
Regia: Eric England
Anno: 2013
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Le malattie a trasmissione sessuale colpiscono soprattutto i giovani al di sotto dei 25 anni ma Samantha sembra non ricordarsene quando ad una festa incontra un misterioso sconosciuto, con cui fa sesso senza alcuna protezione. Molto presto gli effetti di quella notte cominciano però a palesarsi: Samantha crede di aver contratto un morbo molto virulento che ben presto si rivelerà essere qualcosa di molto più terrificante di quanto immaginasse.

Moralismo di fondo o semplice baggianata?
Contracted rientra in un filone o meglio un sotto genere dell'horror che negli ultimi anni ha infarcito parecchio la prolifica filmografia di genere.
Quello delle donne che o per sfiga o per qualche malattia sessualmente trasmissibile o un virus o per un "non so bene che cosa" perdono piano piano i pezzi.
Alcune di queste davvero sono solo ore sprecate, mentre altre sotto intendono nella loro trama e nella messa in scena, concetti interessanti e anomali.
Per certi versi maleodoranti e inquietanti come è il caso di uno dei pochi davvero riusciti, vero esempio di indie Thanatomorphose, qualcosa di unico nel genere che consiglio a pochi anzi pochissimi. Oppure per continuare sulla scia della perdita di se stessi, il mediocre Starry Eyes.
England sdogana per certi aspetti nell'indie il grottesco avvilente e involontario, quello che cercando di mostrare più che di dire, punta sul gore e affonda il pedale con sangue a fiumi e vermi che fuoriescono da indovinate dove.
Il finale poi è quasi imbarazzante con Samantha che rincorre la madre per fargliela pagare in mezzo ad una strada, ignara dei poliziotti che non capiscono cosa succede.
Per finire due parole sul rapporto lesbo e la ragazza di Samantha, vera punk fastidiosissima che ha tatuato sulle dita la scritta "leccami la figa". Eccessivamente fuori luogo.





Via Castellana Bandiera

Titolo: Via Castellana Bandiera
Regia: Emma Dante
Anno: 2013
Paese: Italia
Giudizio: 3/5

Samira ha tanti anni e un dolore grande: ha perso sua figlia, uccisa dal cancro e da una vita tribolata nella periferia di Palermo. Da sette anni la ritrova in un cimitero assolato e desolato, dove sfama cani e cuccioli prima di riprendere la strada di casa alla guida della sua Punto e a fianco di un genero ostile. Rosa ha una madre da lasciare andare e un passato da dimenticare a Palermo, dove accompagna Clara, la donna amata, al matrimonio di un comune amico. Inquieta e infastidita da una città da cui è fuggita anni prima, infila via Castellana Bandiera, un strada stretta e senza senso di marcia. In direzione ostinata e contraria arriva Samira e chiede il passo per raggiungere la sua casa a pochi metri dall'impasse. Contrariata e altrettanto risoluta, Rosa è decisa a mantenere la posizione. Irriducibili sotto il sole tenace di Palermo, Samira e Rosa si affronteranno in un duello che non contempla resa e retromarcia.

Via Castellana Bandiera gioca molto e sfrutta al massimo, forse troppo, uno dei paradossi culturali del nostro paese. La Dante sceglie la sua Palermo e una storia tratta dal suo omonimo libro del 2008, ispirato ad una vera esperienza personale.
La prima parte resta comunque la migliore a differenza della seconda in cui inserendo alcuni personaggi secondari molto discutibili, si perde gran parte dell'atmosfera creata in partenza.
E' la forza e la testardaggine delle donne che supera quella dell'uomo medio.
Sono le incomprensioni e le follie di una comunità che vengono sfruttate e portate nemmeno tanto agli eccessi per descrivere, grazie ad un astuta manovra, un paese bloccato dai limiti culturali e dall'isteria collettiva.
Meravigliose le musiche dei fratelli Mancuso come del resto le interpretazioni di Elena Cotta e Renato Malfatti senza contare gli interpreti secondari, quasi tutti provenienti dalla Compagnia Sud Costa Occidentale della regista
Via Castellana Bandiera è un western di quartiere in cui non mancano le zuffe, gli scontri, le sfide estenuanti di resistenza, e le scommesse su quale delle due donne deciderà di fare retromarcia.
E'un film strano per certi versi, anomalo quanto curioso il film della Dante



domenica 10 gennaio 2016

Fuck you Prof!

Titolo: Fuck you Prof!
Regia: Bora Dagtekin
Anno: 2013
Paese: Germania
Giudizio: 3/5

Il rapinatore Zeki Müller ha scontato l'ultima pena in prigione e ora non vede l'ora di andare a riprendersi il bottino che aveva fatto nascondere per tempo. Peccato che la sua amichetta l'abbia sotterrato nei pressi di un cantiere poi rimosso e che ora i soldi si trovino murati sotto la palestra di un liceo. Costretto dai debiti e dagli eventi, Zeki riesce a spacciarsi per supplente per avere libero accesso ai sotterranei, e non gli importa che gli venga affidata la classe più intrattabile, infatti non gli importa un bel niente di niente, ma le cose si complicano quando gli studenti cominciano ad apprezzarlo e a farlo sentire utile, per non dire indispensabile.

Fuck you Prof! è una commedia scanzonata, piena di umorismo e abbastanza volgare. In grado di coinvolgere velocemente, destruttura tutti i clichè del perbenismo e delle norme scolastiche portando alla ribalta la tamarria e la spregiudicatezza.
In tempi dove nella settima arte, soprattutto sulla scuola, si cerca di essere il più autoriali possibili, il film di Dagtekin, sembra staccarsi da tutto esplodendo in un'anarchia fine a se stessa ma comunque coinvolgente.
Tutto il film nella sua struttura è di una banalità e prevedibilità incredibile.
Eppure sono le gag, alcuni dialoghi, l'azione continua e il ritmo incessante a creare quella scoppiettante ed energica commedia che ogni tanto si apprezza di buon gusto.
Pur essendo trash, sboccato e divertente, il film di Dagtekin riesce comunque a sondare alcuni mali e tendenze post-contemporanee dei giovani e degli insegnanti più che mai reali.
Il problema a parte la recita finale che se da un lato da una cornice e un finale telefonatissimo, dall'altro ha il contro altarino nella messa in scena di Romeo e Giulietta in una versione tossica e che si rischia di non prendere mai nulla sul serio.
Il film è così, quasi inqualificabile, nel senso che alterna momenti godutissimi e con gag amabili e divertenti, ad altri momenti morti, quasi patetici e incredibilmente falsi e ridondanti.
Buona l'alchimia tra i due protagonisti.



venerdì 30 ottobre 2015

Green Inferno

Titolo: Green Inferno
Regia: Eli Roth
Anno: 2013
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Un gruppo di studenti attivisti viaggia da New York fino in Amazzonia per salvare una tribù morente, ma si schianta nella giungla e viene imprigionato dagli stessi indigeni che voleva proteggere.

La carneficina degli attivisti e dei media.
Eli Roth è un regista che omaggia e contamina senza brillare certo di originalità. Pupillo del suo mentore, Tarantino, si è sempre ritagliato ruoli da interprete ed è diventato uno dei nomi saldi per l'horror post-contemporaneo mediatico.
A mio parere non ha mai aggiunto o dato spessore al genere, rimanendo sulla bassa soglia, con punte di exploitation a volte persino gratuite.
Green Inferno è un ulteriore conferma di un talento furbacchiotto e nulla più.
Omaggiando i cannibal-movie, di cui il nostro paese è stato precursore (in particolar modo Deodato) Roth sfrutta la comunicazione globale, l'attivismo, i social e tutto il resto per rendere più hi-tech il film e modernizzarlo quanto basta.

Se da un lato non voglio iniziare con tutte le critiche concernenti lo sviluppo di alcuni contenuti e la cultura antropologica che sta dietro, quello che mi preme far capire di questa pellicola farlocca è soprattutto il puritanesimo del cinema americano. Roth non sembra assolutamente criticarlo, il quale tollera assai meglio la morte più selvaggia di un seno denudato, e sembra essere molto più importante la banalità dei meccanismi posti in evidenza, i quali dopo aver trattato del turismo sessuale, del delirio consumistico e il capitalismo selvaggio arriva all'attivismo, senza dare nessuna critica interessante ma evidenziando aspetti già noti come il falso leader carismatico e una protagonista affascinata più da un'idea e da un leader, che non dalla causa, protetta dal padre che è un famoso avvocato dell'Onu. Il finale poi con la dichiarazione della protagonista sulla tribù amazzone è di una banalità sconcertante.  

martedì 29 settembre 2015

A girl walks home alone at night

Titolo: A girl walks home alone at night
Regia: Ana Lily Amirpour
Anno: 2013
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Nella città fantasma iraniana di Bad City, un posto che puzza di morte e solitudine, i depravati abitanti non sono consapevoli di essere inseguiti da una vampira solitaria.

All'appello mancava una vampira iraniana col velo che gira su uno skateboard.
Dopo otto cortometraggi, finalmente la regista persiana nata in Inghilterra e trapiantata negli States, firma il suo esordio con un notevole film di genere che contamina il noir, il dramma e lo spaghetti-western, strizzando l'occhio all'horror ma solo perchè tratta dei signori della notte.
Una giustiziera armata di denti che si nasconde dietro gli abiti locali, che incontra e decide il destino degli aguzzini presenti nella città.
Un film in b/n con molti silenzi e un'atmosfera insolita e citazionismi a raffica, mescolando e sapendo ottenere un dramma insolito con un happy-ending, un viaggio di iniziazione con delle musiche e alcuni balletti molto coinvolgenti e soprattutto l'amore che non conosce regole neppure per i vampiri.
C'è molto nel film della Amirpour, giovane e motivata che riesce a cogliere numerosi aspetti della sua protagonista e del resto dei personaggi rimanendo sempre molto attenta ai dettagli e sensibile in ogni aspetto che tratta.

Ed è un film che ha sicuramente avuto molte difficoltà essendo di fatto low-budget. Ad esempio tra i produttori c'è Elijah Wood, il film poi sembra essere stato girato nei dintorni di Los Angeles, è di fatto una produzione americana fatta da attori iraniani.

domenica 30 agosto 2015

Bounty Killer

Titolo: Bounty Killer
Regia: Henry Saine
Anno: 2013
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Nel 2042, da oltre venti anni le multinazionali hanno preso il controllo della Terra e la loro sete insaziabile di profitto e di potere ha portato allo scoppio di una nuova guerra mondiale. Il conflitto ha permanentemente alterato la faccia del pianeta e tra le macerie si è formato il Consiglio delle nove rose, il cui unico obiettivo è individuare ogni manager responsabile - direttamente o indirettamente - di quanto accaduto. Composto da spietati assassini a sangue freddo ma anche di dilettanti, il Consiglio vuole del tutto estirpare la radice dell'apocalisse e tentare di riportare la situazione alla normalità.

Bounty Killer è il tipico esempio di come un regista con pochi soldi e mezzi, voglia a tutti i costi esagerare cercando di mischiare generi e citazioni per creare una goliardata in puro stile exploitation.
A metà tra MAD MAX, FUGA DA NEW YORK e MACHETE oltre che altre innumerevoli citazioni, dalla sua ha una forte carica di azione, inseguimenti, violenza e alcune location accattivanti, mentre purtroppo è la storia ad essere dbanale e prevedibile.
In alcune scene il trash và a pari misura con l'idiozia di alcuni dialoghi così telefonati che lo spettatore riesce quasi sempre ad anticiparli.
C'è il protagonista belloccio ma non famoso, la gnocca senza eguali, il ciccione nerd stupido e per niente divertente, e la multinazionale nemica composta di stereotipi copiati da altri film.

Il film è stato vietato ai minori di 18 anni negli Stati Uniti d'America, ed ai minori di 15 anni in Australia, per la presenza di forte violenza sanguinaria, linguaggio non adatto e contenuto sessuale con nudità....

lunedì 29 giugno 2015

Retrieval

Titolo: Retrieval
Regia: Chris Eska
Anno: 2013
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Alle porte di una Guerra Civile, un ragazzo viene inviato da una banda di cacciatori di taglie a recuperare un uomo ricercato per riportarlo nel Sud. Quando i due, però, cominciano a formare un legame inaspettato, il ragazzo dovrà prendere una difficile decisione.

La scena iniziale è forse la migliore di tutto il film con un bambino che perde la sua innocenza e tradisce alcuni schiavi che sono nelle sue stesse condizioni.
Una scelta terribile che provocherà degli effetti e delle conseguenze sulla psicologia del piccolo protagonista e anche di chi gli sta attorno e deciderà di prendersi cura di lui.
Un indie che tutto sommato riesce in un'impresa abbastanza complessa per trama, significati e intenti.
Un film che si concentra principalmente su tre personaggi inquadrandone le storie e portando gli intrecci narrativi a dei buoni colpi di scena, senza contare quello finale, purtoppo prevedibilissimo ma non abbassa di molto l'atmosfera rendendola comunque coinvolgente come le caratterizzazioni dei tre e in particolare del rapporto che cresce tra ragazzo e adulto, carnefice e vittima, in un viaggio di sopravvivenza che forse ben inquadra le condizioni dei neri ai tempi degli Unionisti e i Confederati.
Forse la pecca maggiore è nella scena della guerra, con una rivisitazione storica che paga i limiti di budget e risulta anche assurda per la messa in scena contando i due eserciti che si affrontano e in mezzo a loro i protagonisti che non sembrano quasi accorgersi di nulla.