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lunedì 22 aprile 2019

Suffering Bible



Titolo: Suffering Bible
Regia: Davide Pesca
Anno: 2018
Paese: Italia
Giudizio: 2/5

Il film è diviso in 5 atti (dedicati, ognuno, a un comandamento). A questi si aggiunge un sesto segmento che fungerà da introduzione e anche da epilogo.

Il cinema di Davide Pesca ha evidenti limiti di budget il che comporta una messa in scena piuttosto amatoriale ma curata nei dettagli come solo un regista che ama i suoi progetti è in grado di fare.
L'autore del progetto vanta i meriti migliori sicuramente negli aspetti tecnici a dispetto di una scrittura che riserva diverse lacune e non riesce sempre ad essere pungente o funzionale alla vicenda narrata. C'è da dire che quando si intraprendono gli estremi percorsi del gore e dello splatter è difficile cercare di ritagliarsi una sceneggiatura valida dal momento che è altra la materia da promuovere. Pochi in passato ci sono riusciti e parlo di maestri come Buttgereit nel bellissimo Schramm o Der Todesking con cui il film di Pesca ha alcuni elementi in comune col secondo citato e non parlo solo della divisione in capitoli.
E'la prima volta che mi avvicino al cinema di questo outsider italiano, diversamente il cinema indipendente amatoriale italiano continua a profusione a ritagliarsi produzioni, purtroppo auto finanziate, con progetti che rischiano di non essere mai distribuiti.
All'interno del progetto non mancano alcune citazioni come quelle ad un certo tipo di cinema sempre indipendente e grottesco come quello di Cipri e Maresco oltre al già citato Buttgereit. Difficile non notare la somiglianza in un cristo grasso e laido. Poche location, ambienti malsani con una scenografia ridotta all'osso che in un qualche modo serve ad aumentare lo smarrimento fisico dei personaggi. C'è tanta voglia e ricerca di promuovere una visione dell'estasi mistica, in questo caso la tortura, il sangue e la carne diventano simboli importanti di un'ideologia religiosa malata.
Martiri ma senza chiamare in causa il capolavoro di Laugier (vi prego) qui siamo in altri territori, in lande desolate dove l'avvicinamento alla santità, alla salvezza e al divino passa attraverso il sacrificio, ma senza quella ricerca che ha portato Anna a scoprire quel passaggio segreto nel sotterraneo.



giovedì 11 aprile 2019

McBetter


Titolo: McBetter
Regia: Mattia De Pascali
Anno: 2018
Paese: Italia
Giudizio: 2/5

Insieme alla fidanzata Melanie, il ricercatore universitario Malcolm si reca in visita nella villa del suocero Joe McBetter, arcigno imprenditore nel settore dei fast food, marito della giovane Patricia e padre del piccolo Little Joe. Durante un colloquio con Joe, Malcolm cerca invano di convincerlo a rivedere la sua strategia di mercato, concentrando i suoi sforzi sugli insetti anziché sulla carne. Vistosi brutalmente respinto dal suocero, Malcolm trova conforto nella fidanzata, che, da novella Lady Macbeth, lo spinge a portare avanti la propria idea anche con metodi violenti. Ha così inizio un vortice di terrore e sangue, che coinvolgerà tutti i presenti nella lussuosa villa.

Ancora una volta mi ritrovo a visionare l'indie horror italiano per non usare invece i termini, trash, low budget e una messa in scena amatoriale dove di professionale c'è forse solo la locandina.
Mcbetter non avevo proprio idea di cosa fosse. Pensavo ad una falsa riga di McDonald in cui si provasse a lavorare su una metafora contro la multinazionale americana. In realtà, nonostante non ne venga però fatta alcuna menzione sui titoli di testa e forse solo nella trama, McBetter è una rilettura in chiave moderna della tragedia di Macbeth, quando il film non viene inflazionato e ucciso da una recitazione amatoriale da film porno, dove purtroppo tutte le azioni non riescono ad avere effetto per il semplice fatto che non c'è nessun mordente a rendere d'effetto ciò che i protagonisti fanno, azioni a volte senza senso, catapultati in stanze dove poco prima erano in esterni a fare qualcos'altro di poco chiaro, imprigionati in un limbo spazio tempo dove sembrano ricorrersi tra le camere di questa cascina abbandonata nelle lande.
Solo verso il finale quando il film abbandona i toni da commedia per diventare marcatamente horror e in parte splatter, sembra esserci una lieve miglioria in tutto il reparto soprattutto nel montaggio, forse tra gli elementi tecnici la parte migliore.
L'esordio di De Pascali parte da un'idea per nulla ingenua. Cerca di sfruttare un'unica location non avendo possibilità di budget e punta su alcuni dialoghi e un menage a trois i punti cardine del film. De Pascali ha cercato, presentandolo ad una "premiere" nel febbraio del 2018, di far approdare il film nelle sale operazione purtroppo e per evidenti limiti fallita. Alla fine McBetter è uscito direttamente su supporto digitale, in catalogo Home Movies disponibile dalla fine di gennaio 2019.

mercoledì 23 gennaio 2019

Suspiria(1977)


Titolo: Suspiria(1977)
Regia: Dario Argento
Anno: 1977
Paese: Italia
Giudizio: 5/5

Desiderosa di perfezionarsi, Suzy, una giovane americana, vola in Germania, all'Accademia di Friburgo, la più famosa scuola europea di danza. Vi arriva in una tempestosa notte di tregenda e scorge una ragazza che ne fugge. Poi suona invano al campanello dell'Accademia: non la fanno entrare. Così deve riprendere il suo taxi e andarsene altrove per la notte. Intanto, la fuggitiva, Pat, trova rifugio da un'amica, ma è ossessionata da qualcosa che non vuole spiegare. Una mano sconosciuta sbuca da oltre la finestra del bagno e trucida la ragazza, mentre l'amica cerca invano di entrare. Il mattino dopo, Suzy ci riprova e stavolta l'algida miss Tanner la accoglie con fredda cordialità e la presenta all'insegnante, madame Blanc. Questa le rivela la tragica sorte di Pat e la ammonisce a stare attenta alle amicizie. Poi le spiega che per motivi tecnici non potrà alloggiare all'Accademia, ma in città, presso un'allieva del terzo anno, Olga. Suzy comincia a conoscere le altre allieve e nota che il clima non è sempre amichevole, ma i problemi veri saranno altri, quando inizierà a capire in quale luogo è veramente capitata.

Suspiria è uno dei più importanti horror mai realizzati.
Ci troviamo di fronte ad uno dei film più ambiziosi di Argento, dove tutte le sue caratteristiche e il suo modo di fare cinema, trova tutte le risposte e crea un'opera ancora oggi assai valida e in grado di misurarsi con tutti gli altri prodotti finora realizzati guadagnandosi il titolo di cult.
Una storia semplice con risvolti complessi e ancora una volta quel bisogno di avvicinarsi all'esoterismo e alla magia chiamando in causa le streghe, la stregoneria, le fiabe e la Regina Nera.
Sono proprio gli stravolgimenti ad avere la meglio sul plot narrativo.
Un'accademia che diventa un bosco oscuro, i bambini e le colf che diventano guardiani di segreti spaventosi e stanze magiche dove all'interno può nascondersi il male puro. Mettendo da parte l'equazione strega=male assoluto su cui la scienza non sembra avere dubbi e nel film risulta profetica nelle sue parole
Le streghe fanno il male. Nient’altro al di fuori di quello. Conoscono e praticano segreti occulti che danno il potere di agire sulla realtà e sulle persone. Ma solo in senso maligno”, il film è un percorso personale del maestro romano di grande fascino visuale e in grado di aver partorito un sacco di idee originali e di grande effetto.
Ma veniamo al dunque.
Il film è un caleidoscopio di colori che come insegnava il grande Mario Bava, proprio l'uso del colore, se impiegato ad hoc, riesce a regalare quadri di un fascino irresistibile grazie all'occhio preciso di Tovoli. Senza stare a dire quanto il talento di Bassan, le musiche dei Goblin, qui a mio avviso raggiungono l'apice, e un cast che riesce a regalare un'immedesimazione nei personaggi molto difficile e intensa.



Suspiria(2018)


Titolo: Suspiria
Regia: Luca Guadagnino
Anno: 2018
Paese: Italia
Giudizio: 4/5

La giovane danzatrice americana Susie Bannion arriva nel 1977 a Berlino per un'audizione presso la compagnia di danza Helena Markos nota in tutto il mondo. Riesce così ad attrarre l'attenzione della famosa coreografa Madame Blanc grazie al suo talento. Quando conquista il ruolo di prima ballerina Olga, che lo era stata fino a quel momento, accusa le dirigenti di essere delle streghe. Man mano che le prove si intensificano per l'avvicinarsi della rappresentazione, Susie e Madame Blanc sviluppano un legame sempre più stretto che va al di là della danza. Nel frattempo un anziano psicoterapeuta cerca di scoprire i lati oscuri della compagnia.

Quando ci si trova di fronte a film come questi bisogna azzerare le aspettative e godersi lo spettacolo. Guadagnino non è un regista per cui nutro una stima particolare, a parte il fatto che usa spesso la Swinton come musa che qui si fa addirittura in tre.
Un film che si ispira al cult di Argento, e che sinceramente sono rimasto colpito per come abbia saputo strutturare una scenografia così ambiziosa. Il clima politico che va di pari passo con l'indagine del dottor Josef Klemperer, un personaggio ambiguo che riesce a non deludere mai, regala al film quell'atmosfera in cui presto potrebbe esplodere qualcosa e tutti sanno e osservano in silenzio come il gruppo di donne mentre fumano nel loro salone.
Un film che mi ha fatto pensare anche all'horror di Refn e Aronofsky dove però qui il valore aggiunto apportato dalla danza e dalle coreografie raggiunge l'apice che non si era ancora visto.
Danza unita al sangue, all'atto magico e che diventa mezzo salvifico e dall'altro tortura spezzando ogni radice e lasciando il corpo in un'agonia infinita in un limbo di psicosi.
Meno fiaba, ma se come le streghe sono tornate di Iglesia, dobbiamo aspettare il sabba finale per vedere le budella, il sangue e le decapitazioni, ci troviamo di fronte ad uno scenario potentissimo, non gestito ottimamente con alcuni usi della c.g malsani a mio avviso, ma una strage e un fiume di sangue incredibile dove vengono partoriti mostri uno dopo l'altro dal sangue nero della terra.
Ecco il finale troppo, con l'ultima creatura che mi ha lasciato perplesso, il tema dell'Olocausto che non se ne può più, forse sono solo questi gli elementi che non mi hanno convinto ma per il resto ci troviamo di fronte a uno degli horror più belli degli ultimi anni, italiano fino al midollo con un cast incredibile, dove svetta Madame Blanc, ma anche il resto delle streghe anziane spaventa per come riesce ad entrare nella catarsi del personaggio, basta citare la scena in cui si divertono con i poliziotti o quelle cene bellissime, dove maestre e discepole siedono l'una accanto all'altra.






lunedì 24 dicembre 2018

Setta


Titolo: Setta
Regia: Michele Soavi
Anno: 1991
Paese: Italia
Giudizio: 4/5

Investito una sera un vecchio, la giovane maestra Miriam lo porta a casa sua per i primi soccorsi. Quello, poco più che contuso, farfuglia che era diretto all'ultima tappa della sua vita, poi scende nel sottosuolo del cottage (vastissimo di cui la maestra ignora l'esistenza, abitando da poco in affitto), dove esiste un profondo pozzo. Il vecchio, Moebius Kelly, presiede una setta la quale sostiene che è da laggiù che verrà l'atteso anticristo vendicatore.

Michele Soavi è uno dei miei registi italiani contemporanei preferiti.
Un maestro a cui per qualche ragione che non starò a dire non gli fanno fare film, ma è costretto a stare in un limbo di fiction, film demenziali e serie che spero non guarderà mai nessuno.
Un talento sprecato insomma che con soli tre film a mio avviso è diventato un outsider.
Ovviamente parlo della SETTA, Dellamorte dellamore e Arrivederci amore ciao.
Quasi un adepto, un apostolo di Argento, Soavi mette in scena la sua personale visione del male e dei suoi devoti come in quegli anni capitava ai maestri del genere nel nostro cinema e non solo.
Un film dalle tematiche piuttosto elaborate dal momento che convergono molti aspetti legati al metafisico al preternaturale, al sovrannaturale, ad un certo simbolismo nascosto attraverso agende, fazzoletti, insetti, simboli misteriosi, che sfociano in un mix di premonizioni e incubi in cui ci viene raccontata un'altra storia sull'Anticristo, tra le migliori nel cinema, che lo rendono a mio avviso un gioiello autentico se non, addirittura, un capolavoro.
La Setta anche a distanza di tanti anni resta un grandissimo film, denso di sublime atmosfera, testimonianza inequivocabile dello stile consapevole e prezioso del regista, della sua padronanza assoluta del mezzo cinematografico in cui se vogliamo trovare un punto debole dobbiamo aspettare il climax finale che assieme a qualche esplosione di troppo rovinano parte di quell'atmosfera magica ed esoterica che ripeto è raro sentire, immaginare e fruire sia nel nostro cinema che in quello internazionale

sabato 15 dicembre 2018

Wicked Gift



Titolo: Wicked Gift
Regia: Roberto D'Antona
Anno: 2017
Paese: Italia
Giudizio: 3/5

Ethan ha dei sogni spaventosi. Lo psichiatra lo rassicura: i sogni sono solo un fenomeno psichico, non hanno un significato. Quello che si può dire, sostiene, è che probabilmente sono associati alla sua solitudine, al fatto che ha paura. Ethan infatti vive solo ed è introverso. Al lavoro - si occupa di grafica pubblicitaria e siti web - ha un socio, Andrea, che è l'unica persona di cui si fida. A Ethan piace Alice, avvenente barista, e in quel senso le cose sembrano andare per il verso giusto. In ufficio, Ethan discute dei suoi sogni con Andrea, che è propenso a credere all'esistenza di qualche entità soprannaturale e, in particolare, alle maledizioni. Il giorno dopo, Ethan e Andrea sono a un corso d'aggiornamento.

Ed eccoci all'esordio di D'Antona, che poi proprio esordio non è dal momento che prima di questo film ha esordito con svariati corti, una serie e altro ancora. Fino all'inferno il suo secondo film è un'opera citazionista che mi ha divertito abbastanza e ha dimostrato il talento e tutte le migliorie apportate al film. Wicked Gift è più complesso poichè non è proprio un horror ma un thriller di genere che cita diversi registi della nostra tradizione e mischia il tutto con il j-horror nipponico a cui il film elargisce tante strizzate d'occhio. Una buona messa in scena, un montaggio che assieme alla colonna sonora rimangono i punti di forza a dispetto di alcune prove attoriali non proprio convincenti e alcuni dialoghi eccessivamente prolissi.
Rimane un film meritevole che per essere nel girone degli indie low-budget italiani cerca di prendersi sul serio rispetto ad altri suoi simili grazie, credo, agli intenti del regista che lasciano ben sperare contando la mano e l'attenzione per i particolari che mi ha davvero stupito.
Nella limitatezza dei mezzi, il regista e la sua troupe che rimangono per ora anche nei film successivi, sono riusciti a far decollare le ambizioni di questo film, rendendolo un prodotto comparabile con tutto il panorama degli horror indipendenti.
Wicked Gift è la sfida e poi la prova che dalla dimensione amatoriale del fan-film, D'Antona è riuscito ad essere proiettato nel professionismo. Per meritocrazia pure. Quasi un miracolo di questi tempi.

mercoledì 5 dicembre 2018

Tito e gli alieni



Regia: Paola Randi
Anno: 2017
Paese: Italia
Giudizio: 3/5

C'è un professore napoletano nel deserto del Nevada che spende la vita ad ascoltare il suono dello Spazio alla ricerca di una voce. La voce cara della consorte morta diversi anni prima. Scienziato mesto a un passo dall'Area 51, segue un progetto, o almeno dovrebbe, per conto del governo degli Stati Uniti. Il suo torpore esistenziale è interrotto quotidianamente da Stella, giovane wedding planner per turisti che credono ancora agli alieni. Un pacco postale e una registrazione video gli annunciano un giorno l'arrivo di Anita e Tito, preziosa eredità del fratello morto a Napoli. Introverso e laconico, il professore si attrezza, letteralmente, per accogliere i nipoti. Anita ha sedici anni e sogna un tuffo in piscina con Lady Gaga, Tito ne ha sette e desidera sopra a ogni cosa parlare ancora col suo papà. Sorgenti formidabili di nuova energia, Anita e Tito riavvieranno il programma e il cuore dello zio.

Qualcuno ricorda Leggenda di Kaspar Hauser il cult italiano di Davide Manuli praticamente sconosciuto al genere umano. Ecco non saprei spiegare il motivo ma il terzo film della Randi per il suo essere totalmente slegato da tutto e artisticamente molto alternativo ha qualche piccolo aspetto in comune.
Location desertica e abbandonata, un cast tenuto in piedi da Mastrandrea e una storia abbastanza originale e di sicuro atipica.
Sembra quasi un'opera filosofica dove la speranza diventa il centro nevralgico del film.
Un'attesa nella fattispecie in cui ogni maledetto giorno potrebbe/dovrebbe arrivare o giungere un segnale dall'universo che dona il senso della durata del lutto. Ascoltare ogni notte in laboratorio la stessa traccia registrata sulla segreteria telefonica e misurare la forza della fissazione mortale.
Dalla solitudine iniziale del suo protagonista, il professore, che sembra l'unico ormai a credere in quell'assurdo progetto subisce ormai ai limiti della stanchezza e delle sopportazione l'arrivo di qualcosa che andrà a modificare la sua vita, le abitudini e gli agenti esterni con cui interagisce.
Un film che dalla metafora della ricerca degli alieni parla di sofferenza e solitudine e cerca in modo a volte ironico uno scontro generazionale tra chi ormai è abituato alla rinuncia e alla perdita e invece i giovani d'oggi che nella loro fretta e curiosità riescono a creare quel conflitto che può portare ad un cambiamento.




lunedì 3 settembre 2018

End-L'inferno fuori


Titolo: End-L'inferno fuori
Regia: Daniele Misischia
Anno: 2018
Paese: Italia
Giudizio: 3/5

Claudio è un importante uomo d'affari, cinico e narcisista. Una mattina, dopo essere rimasto imbottigliato nel traffico delle strade di Roma, arriva finalmente in ufficio nonostante il notevole ritardo, ma rimane bloccato da solo in ascensore a causa di un guasto. Subito dopo averlo bloccato per infastidire un'impiegata. Peccato sia proprio il giorno in cui Claudio deve concludere un lavoro cruciale per la sua azienda. Ma questo inconveniente sarà solo il primo di tanti altri. Mentre cerca di non farsi sopraffare dalla disperazione per aver perso l'appuntamento, si rende conto che sta succedendo qualcosa di terribile. Parlando al telefono con la moglie e consultando le news si rende conto che la città è in preda al delirio, colpita da un virus letale che sta trasformando le persone in essere disumani e aberranti. Bloccato nell'ascensore, fermo tra due piani, Claudio dovrà affidarsi al suo istinto di sopravvivenza per affrontare l'apocalisse che travolge la città eterna.

Nonostante ci siano vari fan del cinema di genere ormai saturi di vedere zombie o vampiri, l'opera prima di Misischia ha più di un merito. L'ambizione è quella di riportare in sala l’horror in uno dei suoi sottogeneri più popolari e sfruttati allo stremo negli ultimi anni in campo televisivo e a dirla tutta con i pochi strumenti che il regista aveva il risultato non è affatto male.
Certo sulla durata si poteva togliere qualcosa dal momento che il film soprattutto dal secondo atto fatica a mantenere ritmo e suspance nonchè la reiterazione di eventi che finiscono col diventare prevedibili e dunque meno spaventosi che si uniscono ad alcune scelte e azioni non colte dal protagonista, ma palesemente ovvie, che sembrano fatte apposta.
Scelta ancora più difficile e ambiziosa è quella di scegliere un'unica location mentre sugli attori ci accontentiamo.
Una sfida che sembrava voler chiedere ai giovani cineasti italiani, non raccomandati, se sapessero/potessero fare del buon cinema con poche idee e tanto sforzo.
La risposta è sicuramente sì anche se negli ultimi anni mi è capitato di vedere horror italiani indicibili e imbarazzanti pur avendo un discreto budget.
The End non è tra questi, cerca di avere spessore e caratterizzare bene un attore moderno che incarna i valori dell'egoismo e della corruzione, che dovrà pagare sulla sua pelle se vorrà cercare di mettersi in salvo.


giovedì 30 agosto 2018

Generi



Titolo: Generis
Regia: Marcello Macchia
Anno: 2018
Paese: Italia
Serie: 1
Episodi: 8
Giudizio: 3/5

Gianfelice Spagnagatti è il protagonista interpretato dallo stesso Capatonda, è un uomo sulla quarantina che vive la sua vita monotona e senza balzi, gli si propone una donna, Luciana, e un lavoro, che lui rifiuta per ritornare ad essere se stesso, fare la sua solita vita piena di film e serie TV. Ma all’improvviso una porta si apre e lo stesso protagonista si trova catapultato in un genere cinematografico dove dovrà salvare la pelle e cercare la porta per ritornare nel suo mondo, anche se a fine episodio lo catapulterà semplicemente in un altro genere.

Dopo la fallimentare serie del 2016 Mariottide-Season 1, Macchia torna dietro la macchina da presa per dirigere, scrivere e interpretare lo stesso personaggio in questa divertente serie a episodi.
A differenza però rispetto alle precedenti produzioni qui può beneficiare di un'attenzione maggiore dal punto di vista produttivo con la Lotus Production, società della Leone Film Group, che non ha badato a spese nel ricreare in ogni episodio un'ambientazione diversa e Now TV, della piattaforma Sky, per Sky Generation.
Ambientazioni diverse, location suggestive, una piccola galleria di figuranti speciali abbastanza noti, un'ottima colonna sonora e una fotografia e una color correction che sanno il fatto loro.
Otto episodi da '40 che passando attraverso il genere comico, demenziale e la commedia esplorano un genere cinematografico diverso:Western, horror, fantasy, commedia sexy all’italiana, super eroistico, quiz e il noir.
Di sicuro quello che brilla di più per ironia e trovate e l'episodio horror sul friggitore dove Gianfelice sembra attingere da tutto il suo repertorio comico e con alcune scelte tecniche e una messa in scena coraggiosa senza farsi mancare il teatro dell'assurdo, le gag e il non sense generale. Inoltre l'episodio è talmente ben strutturato da far ridere con poco ed è qui la vittoria e il pregio più grosso dell'ultima fatica del comico. A differenza della serie dove l'esagerazione portava all'effetto inverso della risata qui tutto assume uno spirito e un'idea propria di cinema che assieme al suo secondo film Omicidio all'italiana speriamo continui su questa strada.



mercoledì 1 agosto 2018

Inferno(1980)



Titolo: Inferno(1980)
Regia: Dario Argento
Anno: 1980
Paese: Italia
Giudizio: 4/5

Una ragazza di New York scopre che la casa dove abita è sede di una delle tre Madri degli inferi (le altre due si trovano in altre case rispettivamente a Roma e a Friburgo). La poverina muore orribilmente, ma fa in tempo ad avvertire il fratello che riuscirà a sventare l'orribile minaccia

Lasciando il giallo da parte e sposando il thriller horror Argento dopo Suspiria (1977) continua a seguire il filone della trilogia delle Tre Madri, in cui si sarebbe narrato della triade di streghe tesa a governare il mondo: Mater Suspiriorum, Mater Tenebrarum e Mater Lacrimarum.
Lo fa con il suo secondo film proprio sul filone paranormale prima del disastro finale ovvero il terzo capitolo che non ha caso coincide con il periodo finale della filmografia di Argento quella più disgraziata e per alcuni aspetti dove manca proprio il genio del regista romano. Per anni ho sperato che la terza fase, la TERZA MADRE, potesse completare la grande opera argentiana con una nuova apoteosi e di fatto Inferno apriva e nello stesso tempo chiudeva il ciclo essendo un capitolo auto-concluso e auto-esplicativo, bastava a se stesso.
C'è una nuova formula non solo narrativa che non sempre convince soprattutto nella continuità di una trama quasi assente, per investire tutto invece sugli elementi estetici, di un modo di girare e studiare l'inquadratura che diventa manifesto per un epoca in cui l'horror era già pienamente sdoganato diventando il manifesto programmatico di una estetica della violenza senza necessità di raccontare una storia, di abbandono al virtuosismo puro senza trama musicale, si sente la mancanza dei Goblin ma il lavoro di Keith Emerson è molto più sperimentale
Come già in Suspiria (1977), ma in modo molto più accentuato, sono le singole scene, simili a quadri a se stanti, a essere piccoli capolavori.
Più ancora che in Suspiria (1977) però i colori dominano cambiando di scena in scena.
Per ogni azione corrisponde un colore specifico, e questo ha lo strano effetto di accentuare la paura.
Espediente questo già usato da Mario Bava nei suoi primi capolavori.
Il secondo capitolo della trilogia delle Tre Madri riesce a essere più violento e più splatter di tutti i precedenti film e in alcuni casi tale violenza è gratuita, e non segue un filo molto logico.


venerdì 5 gennaio 2018

Fracchia contro Dracula

Titolo: Fracchia contro Dracula
Regia: Neri Parenti
Anno: 1985
Paese: Italia
Giudizio: 3/5

Ormai sul punto di essere licenziato per evidente incapacità, il Geom. Giandomenico Fracchia, agente immobiliare, cercherà di rifilare un lugubre castello in Transilvania a un uomo praticamente cieco.

Fracchia è stato un altro dei personaggi interpretati da Paolo Villagio dopo Fantozzi. In questo capitolo possiamo definirlo un alter ego. Le analogie sono svariate soprattutto con questo Fracchia contro Dracula a differenza di FRACCHIA LA BELVA UMANA. Commedia ironica che cerca di coniugare le gag di Fracchia e l'immancabile Filini finito a riciclarsi un ruolo da co-protagonista anche in questo capitolo.
Partendo dalla ricostruzione di una Transilvania comunque appagante per quanto concerne costumi, location e musiche, il film pur essendo trash e un b-movie perfetto, ha in sè tutti gli elementi per cercare di provare a "spaventare" in qualche scena (forse quella del morso alla figlia dell'oste o Frankenstein che uccide la figlia di Dracula) ma per il resto il ritmo e la messa in scena ricorda a tutti gli effetti come dicevo un capitolo di Fantozzi.
Rimane comunque un esperimento interessante cercando di inserire l'horror e partendo da esso scardinarne gli ingredienti cercando di fare un film di genere.
Limitatissimi gli effetti speciali che comunque hanno una loro piena funzionalità così come il cast molto azzeccato che unisce attori variegati e tra le maestranze va ricordata la presenza di Tovulo alla fotografia, direttore che curò tra i tanti film anche SUSPIRIA di Dario Argento, e qui la sua mano si sente parecchio

Pur essendo molto leggero quest'ultimo Fracchia rimane una bella parodia italica sui vampiri e i classici, in più il personaggio di Isabella Ferrari è lì per ammazzare i vampiri essendo una specie di figlia di Van Helsing e forse è da qui che Joss Wedhon ha preso spunto per la sua serie tv più celebre con la cacciatrice di vampiri bionda e affascinante.

domenica 24 dicembre 2017

Catacomba


Titolo: Catacomba
Regia: Lorenzo Lepori, Roberto Albanesi
Anno: 2016
Paese: Italia
Giudizio: 3/5

Catacomba unirà 4 episodi diretti da Lorenzo Lepori e un episodio cornice diretto da Roberto Albanesi. Un povero malcapitato, interpretato da Simone Chiesa, comincerà a sfogliare il fumetto mentre intorno a lui si prepara un bagno di sangue e di follia.

Baionetta Movie Production di Lorenzo Lepori, in collaborazione con la New Old Story Film di Roberto Albanesi e Simone Chiesa, omaggia il filone fumettistico erotico/horror degli anni settanta/ottanta con la nuova antologia “Catacomba” che si presenterà in se come il primo film che si ispira e cita esplicitamente quella che è stata una specialità tutta italiana nell'exploitation: il fumetto per adulti le cui connotazioni estetiche non hanno eguali all'estero. Importante quindi la collaborazione estetica dell'omonimo Lorenzo Lepori come disegnatore.
Anche qui una bella perla del trash horror italiano.
Con un budget mai così povero e Low nel senso ampio del termine, devo dire che nonostante tutto non funzioni dal punto di vista tecnico, amatorialità portata al parossismo, il film ha un suo perchè.
Certo non lo difendo a spada tratta ma ho trovato più congeniale un film come questo che non, sempre per rimanere nel underground horror italico, una merda come In the market (che aveva di certo molti più soldi e l'elenco dei film che potrei elencare e molto vasto).
Un omnibus sado-orrorifico contraddistinto da 4 storie legate con una cornice dove sicuramente alcuni spunti e alcune scene possono sembrare quasi inaspettate nel loro taglio splatter e gore (le due streghe che si cibano delle budella del malcapitato all'inizio e l'orgia con il Gran Maestro) mentre altre sono puro divertissement comico e trash a tutti gli effetti (la chiacchierata in toscano dove il tipo si sfoga sugli amici della moglie che lo cornifica).
La storia peggiore è quella finale di Paganini banalmente perchè è l'unica che prova a prendersi sul serio a differenza delle altre facendo il passo falso.
Pur esibendo senza paura e vergogna i propri limiti soprattutto tecnici (recitazione improvvisata, fotografia sovraesposta, vento in camera, audio che va e viene), uno stile a volte grezzo (movimenti irregolari che non riescono sempre a seguire i movimenti dei personaggi, zoom bruschi) e tante, tante ingenuità, alla fine Catacomba fa ridere parecchio, fa schifo in alcuni momenti, ma di sicuro vince la sfida su tanti film horror italiani usciti negli ultimi anni (anche con firme alla regia e budget molto più alti).

Riccardo va all'inferno

Titolo: Riccardo va all'inferno
Regia: Roberta Torre
Anno: 2017
Paese: Italia
Festival: 35°Torino Film Festival
Giudizio: 2/5

In un Fantastico Regno alle porte di una città di nome Roma, vive in un decadente Castello la Nobile Famiglia Mancini, stirpe di alto lignaggio che gestisce un florido traffico di droga e di malaffare. Qui, Riccardo Mancini è da sempre in lotta con i fratelli per la supremazia e il comando della famiglia, dominata dagli uomini ma retta nell'ombra dalla potente Regina Madre, grande tessitrice di equilibri perversi. Tornato a casa dopo un lungo ricovero in un ospedale psichiatrico, Riccardo inizia a tramare per assicurarsi il possesso della corona, assassinando chiunque ostacoli la sua scalata al potere.

"L'unico perdono possibile resta sempre la vendetta"
Riccardo va all'inferno è uno dei film trash italiani più costosi degli ultimi anni.
Al TFF come sempre nella sezione After Hours il pubblico sembrava "domandarsi il perchè" dopo la prima del film. Qualcuno rideva, qualcuno agitava la testa confuso come per chiedersi cosa avesse visto, ma l'atmosfera generale era di stupore anche se in senso negativo.
E'difficile cercare di essere critici e seri con un film che diciamoci la verità "si prende sul serio" pur non riuscendoci. Torre vuole portare la tragedia quella shakespiriana di Riccardio III ai giorni nostri. Vicende di mafia mischiate in un mondo che prende prestiti un po ovunque dal cinema e inserisce un nutrito cast di attori che pur scimmiottando e recitando sopra le righe, riescono almeno a creare un'impalcatura che per certi versi regge la tragicommedia.
C'è da dire che non è mancato il coraggio alla regista. Di questi tempi in cui è sempre più difficile provare il cinema di genere in Italia, quest'opera al di là dei pregi e dei difetti ha coraggio da vendere. Alcuni momenti e squarci che la scenografia disegna sono interessanti come il Regno del Tiburtino, il bestiario periferico, alcuni settings visionari, i mascheroni che sembrano uscire da Trash Humpers, ma poi tutto comincia a diventare tessera di un mosaico non suo dai costumi e una vena dark che sembra uscire da DARK CITY, un'amore incondizionato per Terry Gilliam, la cura Ludovico Bis di ARANCIA MECCANICA, etc
Quello che non regge è il taglio da musical che in diverse parti spezza quanto di buono e orrorifico l'atmosfera e il ritmo cercavano di fare, in alcuni momenti davvero noiosi e in cui per quanto Ranieri si sforzi di dare dignità e spessore al personaggio, assume in dei momenti un taglio farlocco e volontariamente o involontariamente comico.
Nel cast Sonia Bergamasco riesce ad essere utilizzata bene con un personaggio, una genitrice mefistotelica, che seppur già visto ha i suoi momenti di svago e di potenziale originalità. Camei a volte non sfruttati a pieno come quello della Calderoni e di Frezza purtroppo potevano regalare qualcosa di più.
Come film corale, revenge-movie e dramma grottesco Riccardo non sempre vince alternando momenti statici e tragicomici con altri in cui allo sforzo non è conseguita la riuscita.
L'unico successo al di là del coraggio, è che questo è il più bel film della regista finora.
Nel suo disordine e caos, nella sua ossessione per il corpo e la mutilazione, per i freak e quanto di più storpiato e deturpato, quest'opera con tutti i suoi infiniti limiti ha qualcosa di affascinante.



sabato 27 giugno 2015

Giardino del sonno

Titolo: Giardino del sonno
Regia: Matteo Monti, Davide Zagagnoli
Anno: 2002
Paese: Italia
Giudizio: 1/5

Il “Giardino del Sonno” è un macchinario che consente ad un gruppo eletto di retrocognitivi di viaggiare nei piani spettrali, agganciare i residui psichici dei defunti e raccogliere informazioni sugli accadimenti del passato. Il gruppo in questione si trova all’interno di un grande castello per indagare su un caso sanguinoso. Parte il primo viaggio e misteriosamente uno dei sei componenti del gruppo rimane intrappolato da una forza oscura…

Cinema di serie Z.
Indecente, penoso, raccapricciante, indecoroso, abominevole e vergognoso, senza esagerare con gli insulti e con le prese di posizione.
E pensare che non esiste nemmeno la scheda su IMDB.
Vincitore per non si sa bene quale motivo al TOHORROR film festival di Torino (forse viene da pensare che non ci fossero altri titoli in concorso).
Dai creatori di KARNAZA e LA PIADINA ASSASSINA, sembrano trailer di Maccio Capatonda, il Giardino del Sonno è un film che cerca purtroppo, senza averne la consistenza, di prendersi sul serio mettendo in scena "retrocognitivi", sette, effetti speciali fatti così male da non riuscire a giustificarli, una recitazione bassa e imbarazzante, e la presenza a caso e senza nessun senso di Carlo Lucarelli, oltre che un montaggio penoso che presenta errori indicibili.

Un film che cerca di presentare scenari horror inquietanti e claustrofobici, in tre o quattro location che sembrano perlopiù scantinati, senza contare la trama un po' troppo ingarbugliata e macchinosa, che poteva forse risultare funzionale per un albo di Dylan Dog.

Festa

Titolo: Festa-Season 1
Regia: Simone Scafidi
Anno: 2013
Paese: Italia
Episodi: 10
Giudizio: 2/5

Giulia Crespi è scomparsa misteriosamente insieme a nove compagni di classe di un liceo milanese. Avevano organizzato una festa nella villa in collina di uno di loro, ma nessuno ha mai fatto ritorno. Che fine hanno fatto i ragazzi? Un filmato inviato ai loro genitori e girato la sera stessa della scomparsa rivela una realtà inaspettata. Ma chi è che ha girato quel filmato? E perchè? La verità sembra non essere nascosta solo nel contenuto di quel video.

"Sarebbe interessante capire quali difficoltà non si incontrano! L’horror è un genere difficile perché non riesce ad accaparrarsi sovvenzioni statali, inoltre per essere venduto all’estero deve essere girato in inglese e ha bisogno di contenuti grandguignoleschi."
Uscito direttamente su Dailymotion e Youtube in dieci episodi da circa '9, scandito uno per settimana, questo lavoro che ha fatto abbastanza parlare di sè su diversi siti è un atipico thriller 2.0 sperimentale e indipendente, ideato e creato esclusivamente per il web.
Ho provato a guardarlo senza avere la minima aspettativa e senza partire, come spesso capita con il cinema italiano in genere (anche se questa serie avrebbe ben altri appellativi dal momento che non è un film ma una serie), con i miei soliti pregiudizi.
Dicevo ho provato ma la quantità di elementi inconsistenti, i frame montati ogni cinque minuti e alcune note elettroniche che destabilizzano la linearità e la narrazione della serie ne hanno purtroppo sancito diversi limiti di contenuto e di forma.
Recitato non male, ma peggio, prendendosi un divieto di 18 anni (?) e commettendo gigantesche ingenuità davvero imperdonabili al regista, pur abbracciando i canoni del filone mockumentary, (scelta sempre più abusata nel cinema, spesso per ovvi motivi di budget, vedi ad esempio il riuscito GERBER SYNDROME) purtroppo diventa ripetitiva e monotona, con alcune uccisioni che sembrano così assurde da non provare nessun tipo di empatia verso i personaggi.
E' inutile cercare punti a favore dicendo che l’intera sequenza della festa, infatti, è stata creata in una sola notte, girando dal tramonto all’alba, sottoponendo agli attori una prova attoriale consistente e lasciando ai loro personaggi la facoltà di improvvisazione.
Anche se vero, il risultato è davvero spiazzante in termini di ingenuità narrativa, di dialoghi e soprattutto per tutti i film che cerca di citare e per la quantità di errori in cui incappa.
La frase finale di Matteo che parla in chat con Andrea lascia di fatto basiti, nel senso che ci si aspettava forse una costruzione di maggior spessore, elemento che non traspare mai in tutti e dieci gli episodi.
Sono rimasto colpito dalle recensioni entusiaste e i commenti positivi su questa serie.
Se è doveroso rilanciare il cinema di genere italiano e il thriller (perchè la FESTA non è un horror), però non bisogna nemmeno regalare pareri positivi a caso.
Il coraggio a Scafidi non manca e nemmeno in parte la messa in scena.

Spero che il giovane regista riesca meglio nei prossimi lavori, magari lavorando di più sugli intenti e sul soggetto e scegliendo se può degli attori capaci.

giovedì 13 novembre 2014

Vitriol

Titolo: Vitriol
Regia: Francesco Afro De Falco
Anno: 2012
Paese: Italia
Giudizio: 2/5

Lola Verdis è una ragazza di 25 anni laureanda in architettura presso l'università Federico II di Napoli. La sua tesi di laurea consiste nel documentare tramite una handycam le correlazioni che sussistono tra costruzioni e simbologia massonica nella Napoli del periodo borbonico. Il ritrovamento di un oggetto fuori dal comune la porterà ad una concatenazione di scoperte su un antico ordine esoterico la cui cultura è occultata da tempo, l'Ordine Osirideo Egizio.

Vitriol nonostante tutto, per essere un film indie italiano di genere, con un budget palesemente limitato, ha dalla sua alcune buone intuizioni che porteranno sicuramente De Falco, giovane napoletano famoso per videoclip, a far meglio convergere la sua idea di cinema.
Prima di tutto un merito è stato quello nonostante tutto, di averci creduto e di aver puntato su un soggetto assolutamente non facile, che ricalca una matrice culturale importante e da questo punto di vista la sua originalità trova alcuni buoni punti di forza.
Al di là dello stile tecnico che non mi è piaciuto, poichè troppo incline a quel modus operandi commerciale, solito del nostro cinema, e con quei passi falsi che trovano nel mockumentary, terreno fertile della cinematografia moderna spesso e volentieri una strada spianata ma che non è sinonimo di riuscita.
Vitriol è tratto da un vero progetto documentaristico non portato a compimento, L’ordine Osirideo egizio e i misteri si susseguono, tra antichi palazzi e strutture artistiche di una Napoli come non abbiamo mai visto, guidando i due protagonisti alla ricerca e alla scoperta della mappa per raggiungere la città nascosta, culla della civiltà umana:Arcadia.
Senza stare a dare un giudizio sul limite più forte del lungometraggio, gli attori davvero insopportabili che sembra stiano recitando per uno spot pubblicitario, Vitriol punta comunque su un soggetto forte e sentito, mischia massoneria e altri elementi e alla fine, comunque, resta quel barlume di speranza che porterà quasi sicuramente De Falco a fare molto meglio.






sabato 16 novembre 2013

Tulpa

Titolo: Tulpa
Regia: Federico Zampaglione
Anno: 2013
Paese: Italia
Giudizio: 2/5

Lisa, una ricca donna d'affari la cui vita è totalmente incentrata sul lavoro e sulla carriera, è assidua frequentatrice del famigerato club “Tulpa” un posto molto esclusivo in cui i soci realizzano le loro fantasie erotiche... Quando i suoi amanti iniziano a morire uno dopo l’altro, tra orribili supplizi, per evitare uno scandalo la donna comincia ad indagare in prima persona, con conseguenze da incubo...

Ho aspettato molto l'ultima attesissima pellicola di Zampaglione. Ho visto i suoi due film precedenti e sinceramente dopo il trailer ero molto ansioso per questa sua ultima pellicola che mischia thriller,club privati,filosofie zen e killer.
Zampaglione è uno di cui si parla spesso riferendosi all'odierno cinema horror nostrano.
Forse uno dei pochi nomi di punta rimasti anche se il nostro regista arriva da una carriera musicale e a parte SHADOW, aveva diretto una commedia grottesca carina NERO BIFAMILIARE piaciuto molto alla buona anima di Monicelli. Dunque ad essere sinceri uno dei motivi del suo successo oltre i contatti giusti e la fama come musicista (preferisco tacere sull'apporto musicale dei Tiromancino nella musica italiana commerciale perchè altrimenti direi cose molto cattive) e anche e soprattutto quello di essere tra gli unici ad esistere e ad avere i soldi per girare film.
Con questo suo thriller disegna un quadro molto simile e per certi aspetti fedele agli horror di Argento e altri, il soggetto e la Gerini non sono male e la storia parte pure bene per poi dare il suo peggio nell'impianto di plainting and pay off con una totale assenza di colpi di scena.
Il problema è che sfatando un mito, non è che mi basta avere Sacchetti, peraltro un mio idolo, e l'amico Gensini per scrivere una sceneggiatura e dunque per avere sicuramente un certo successo con un soggetto che ha detta sua era estremamente originale.
L'alchimia tra il club privato Tulpa, l'amicizia con il proprietario Arquint (killer nel precedente SHADOW) la buona messa in scena iniziale con una struttura ordinata che mostra molto bene anche l'assetto lavorativo e la vita della protagonista, sono forse gli aspetti riusciti meglio della pellicola, assieme ad un ottimo assetto tecnico supportata da un ottimo lavoro sul sonoro e una caldissima fotografia.
"Credo di aver totalmente spiazzato il pubblico, nessuno si aspettava dopo l’elegante Shadow, un giallo così estremo, sporco e senza alcuna regola… dividere così tanto è motivo di grande orgoglio , vuol dire che ciò che ho fatto ha una sua personalità ed il caos in rete ha evidentemente portato buoni frutti. Mi piacerebbe far base in UK per girare film, lì c’è lo spazio giusto per il mio cinema di sangue.” Io credo che Zampaglione non abbia spiazzato nessuno, forse solo se stesso, o una parte di pubblico celebroleso (non sembra ma sono tantissimissimi) riconfermando una strano bisogno di conformarsi con le basi del nostro horror (è come se fosse quasi un fato mosso da un oracolo quello che conduce i registi su questo golgota) senza però riuscire a mostrare qualcosa di nuovo e originale.
Qualche scena di sesso non basta anche se la Gerini ci mette "l'anima".

Notte eterna del coniglio

Titolo: Notte eterna del coniglio
Regia: Valerio Boserman
Anno: 2006
Paese: Italia
Giudizio: 2/5

Un'inaspettata guerra nucleare tra Stati Uniti e Cina porta alla distruzione di moltissime città in tutto il mondo.
In una di esse sopravvivono alcuni nuclei famigliari, opportunamente dotatisi di bunker antiatomici in tempi non sospetti. I vari bunker comunicano tra loro tramite webcam a collegamento satellitare. Non hanno altro modo per tenersi in contatto, né tantomeno pare pensabile uscire in superficie, dove ci sono solo macerie e ceneri radioattive.
E allora chi è che all'improvviso si mette a bussare ai portelli d'ingresso dei bunker?

Il post-apocalittico in un semi-horror italiano era una cosa che non potevo assolutamente perdermi soprattutto contando che è pure low-budget per non dire amatoriale 400.000 euri.
Certo si è risparmiato sul cast (...)davvero penoso a mio avviso, si è cercato di dare peso alla fotografia e al montaggio contando poi che le location vedi la trama sono parecchio risicate.
Che dire di questo ennesimo tentativo di cercare di fare qualcosa che possa molto lontanamente avvicinarsi ad un'idea di film?
Ma poi perchè dopo quel cazzo di DONNIE DARKO in quasi tutti gli horror con le maschere c'è sempre un coniglio? Non fa più paura come quasi nessun mostro e via dicendo...
Dopo un libro che è stato brutalmente criticato da quasi tutti ha fatto capolino il film, di cui si è parlato in rete per anni, presentato a un festival di Torino, coprodotto dalla RAI e subito divenuto leggenda.
Hanno finalmente deciso di mettere in rete, con fruizione gratuita, il film tratto dal libro di Giacomo Gardumi "La notte eterna del coniglio".
Cosa dire dunque di un film che gioca molto sulla tensione espressa dagli attori (purtroppo) dalla serie brutale di omicidi messi a segno da un coniglio che riesce ad entrare nei bunker sigillati e dalla mancanza di risorse che genera panico e crea tensione nei diversi blocchi famigliari.
Il fatto che Boserman scelga proprio la strada dell’apologo riflessivo e del mistero celato fino all’ultimo per raccontare una storia di distruzione e apocalisse, tralasciando completamente l’aspetto più spettacolare e fantascientifico che la vicenda avrebbe potuto supportare, è anche purtroppo l'elemento debole dal momento che appare chiaro dopo venti minuti chi sia il nemico.
Comunque nel finale è vero che Boserman sembra avercela messa davvero tutta con pochi soldi e tanto ammore creando per certi versi qualcosa che nel panorama italico sul genere post-apocalisse mancava, ed è un peccato che nessuna produzione abbia incoraggiato la regia con qualche soldino a scanso di produrre poi cacate micidiali che ottengono buoni incassi al botteghino.
Il cinema italiano dovrebbe credere e investire di più sui generi in modo tale da poter dare possibilità a gente motivata e talentuosa di fare davvero cinema.

lunedì 1 luglio 2013

Gerber Syndrome

Titolo: Gerber Syndrome
Regia: Maxi Dejoe
Anno: 2011
Paese: Italia
Giudizio: 3/5

Un nuovo virus tiene in scacco l'Europa. Decisamente peggiore dell'influenza aviaria e di tutte le altre pandemie che hanno allarmato le organizzazioni sanitarie mondiali, il morbo di Gerber è una malattia a metà tra un'influenza e l'Aids. Scoperto in Germania nel 2008 e ormai diffuso in tutto il mondo, si contrae entrando in contatto con sangue o saliva infetti e si manifesta con una febbre molto alta e aggressiva. Ma ben presto la sindrome di Gerber rende gli esseri umani simili a zombie. Il virus si sta diffondendo a macchia d'olio, perché gli infetti perdono il controllo e tendono a essere violenti, attaccando chiunque capiti loro a tiro. Una volta contagiati, non c'è scampo. Il terzo stadio della malattia conduce, infatti, alla morte. Ecco perché è stato istituito un centro sanitario dedicato, il CS, in cui i malati vengono messi in quarantena e allontanati definitivamente dalla società. Una troupe televisiva decide di realizzare un documentario su questo nuovo e temibile virus, seguendo il lavoro di Luigi, un ventitreenne addetto alla sicurezza, incaricato di intercettare gli infetti segnalati e portarli al CS, e quello di un medico in prima linea, il dottor Ricardi, che si sta occupando del difficile caso di Melissa, una ragazza contagiata accidentalmente.

Ultimamente ho visionato davvero parecchi horror italiani e di questi forse uno dei primi con venature sci-fi riuscito è questo Gerber Syndrome di un giovane regista torinese.
Un film maturo, certo che soffre ancora di tutti i difetti di un'opera prima, ma che dall'altra è un bene perchè mostra comunque la voglia e l'interesse di cercare di dare una propria impronta e sapersi imporre con uno stile personale.
Dopo alcuni corti passati al TFF arriva l'esordio con il suo primo lungometraggio.
Il film è stato girato low-budget con un manipolo di attori sconosciuti ma funzionali, ed è ottimo in questo caso l'aver preso nomi non noti (penso soprattutto legato ad un problema di budget) ma che in realtà aiuta ancora di più lo spettatore nel duro lavoro dell'immedesimazione che noi viviamo e assistiamo sotto gli occhi di un medico, di una guardia e di una ragazza malata e il suo toccante dramma famigliare.
Mai banale ed evitando come la peste inutili soluzioni che debbano far versare una lacrimuccia, il film è un mockumentary quasi tutto telecamera a spalla che sembra adattarsi alla forma scenica di altri film horror recenti.
Mi è piaciuta molto l'idea di non mettere in scena zombie o creature create dallo stesso virus ma invece qualcosa di molto più reale, molto più vicino, che attaccando il sistema nervoso, porta ad una paura primordiale anche molto più sentita nello spettatore perchè fondamentalmente più vera e vicina a noi.
Un film sul contagio e sulla pandemia, tema che oggi, insieme al cinema post-apocalittico, sta diventando una delle risorse petrolifere più saccheggiate dall'industria cinematografica e dagli autori internazionali.
Per fortuna che i risultati finora visti segnano un risultato che lascia ben sperare.

martedì 21 maggio 2013

Morituris

Titolo: Morituris
Regia: Raffaele Picchio
Anno: 2012
Paese: Italia
Giudizio: 3/5

Sarà un caso, ma è di nuovo la VII Commissione, ora presieduta da Maria Grazia Cappugi, ad aver negato il nulla-osta al film di Picchio, lo scorso 6 novembre. Impedendo nei fatti a “Morituris” di uscire anche per pochi giorni nelle rare sale italiane reperite: a Roma, Torino, Milano e Bologna. Nella prospettiva dei censori neanche il divieto ai minori di 18 anni bastava a punire il film. Siamo nel campo del cine-sadismo, tra torture e amputazioni: due ragazze dell’Est e tre ragazzi della Roma bene, a loro volta stupratori, si ritrovano coinvolti in un circo degli orrori animato da antichi gladiatori romani. Fantasmi assetati di sangue riemersi dalla ribellione di Spartacus del 73 a.C., votati a massacrare chiunque si pari loro davanti. Del resto una lapide posta all’ingresso del loro territorio di caccia avvertiva: “Hic sunt leones”.

Come tutti gli amanti dell’horror ci si trova instancabilmente di fronte ad ogni genere di prodotto o di film che arriva da canali commerciali oppure indi a tutti gli effetti.
Dividiamo subito cosa funziona e cosa no.
Non funziona la trama, troppo campata in aria e troppo già vista con i soliti abbellimenti modaioli e le scelte tristi e abusatissime come ad esempio quella di partecipare ad un rave.
Non funziona l’idea secondo me troppo inconsistente e che in un attimo smorza quanto di credibile il film, è non era affatto facile, riesce perlomeno nel primo atto a creare, ovvero quello di far crollare tutto sull’elemento sovrannaturale in questo caso dei gladiatori che vivono nel sottosuolo romano.
Non funzionano a tratti i dialoghi, troppo soporiferi e inconcludenti come quello iniziale nell’auto tra i tre ragazzi e le due ragazze che non sembra mai finire.
Non funziona la fotografia curata da Daniele Poli troppo scuretta in tutti gli esterni del bosco e in certi passaggi quasi impenetrabile dalla fitta rete di foglie.
Quello che funziona invece è il ritmo e per un horror italiano è già un tassello importante. Funzionano i personaggi, quasi non ci si crede ma è così, per quanto il burino romano risulti davvero fastidiosissimo. Funziona la violenza e qui si arriva al merito più grande dell’esordio di Picchio.
Questo è un forte segnale di quella che potrebbe essere una rinascita dell’horror italiano contemporaneo.
Probabilmente pochi altri come Zampaglione, ma comunque nomi in parte affermati, avevano dato modo di preferire una visione più drastica del cinema di genere come d’altronde è la summa regola dell’horror in generale.
Un rape-no-revenge movie che forse proprio per il suo amore per il cinema cita e trita numerosissimi film recenti e non da L’ULTIMA CASA A SINISTRA,I SPIT ON YOUR GRAVE,MARTYRS,HUMAN CENTIPEDE,IN THE MARKET,AT THE END OF THE DAY,etc…
Funziona in ultimo la crudeltà con cui Picchio decide di condire il suo cinema senza regalare nulla e senza dover trovare per forza un compromesso incorniciando grazie a Stivaletti una bella immagine finale.
Un film molto ambizioso che però proprio grazie a questo riesce a staccarsi da alcuni recenti flop horror italiani.