Visualizzazione post con etichetta Esperimenti. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Esperimenti. Mostra tutti i post

domenica 14 ottobre 2018

Scorpio Rising


Titolo: Scorpio Rising
Regia: Kenneth Anger
Anno: 1964
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Un party di giovani ribelli degli anni Sessanta. Giovani che fanno del simbolismo il loro stile di vita. T-shirt, jeans attillatissimo, borchie, giubbotti di pelle nera e la immancabile motocicletta scattante e rumorosa. L'abbigliamento rivela un forte feticismo, soprattutto se in presenza di catene e simboli nazisti che spesso sono legati ad una perversa omosessualità.

"Ho sempre ritenuto il cinema un male. Il giorno in cui il cinema è stato inventato è stata una giornata nera per l'umanità."
Che dire quando ci si trova davanti agli spiazzanti corti di un artista icona della nuova Hollywood come Anger e il suo bisogno fisico di provocare lo spettatore con un suo linguaggio cinematografico contemporaneo colto e mai banale dove il bisogno di scatenarsi nel vero senso della parola con ironia e irriverenza riesce a non cadere mai in nulla di gratuito ma invece risulta una sorta di manifestazione dell'ego e della libertà soprattutto sessuale.
Anger sfrutta e in Scorpio Rising più che mai un suo simbolismo e i suoi rituali che servono a scandire e narrare l'ascesa dei "bikers" e di tutto quello che questa sub cultura ha generato nel bene e nel male come gli Hell's Angels esaltandone le vicende e i gesti quotidiani come rituali pagani.
Scorpio Rising in 30' fagocita simboli, accessori, mode, linguaggi, personaggi e facendolo sforzandosi di mostrare quello che Anger voleva mostrare e diventato un cult praticamente saccheggiato da numerosissimi registi che non hanno potuto trattenersi dal citarlo e omaggiarlo in tanti film a partire da Scorsese, Lynch, Hopper, etc.
Un piccolo gioiello, a suo tempo accusato di oscenità per i brevissimi inserti hard.
Anger tenterà poi di realizzarne una sorta di seguito,di cui ci resta un frammento di soli 3 minuti dal titolo "Kustom Kar Kommandos".

venerdì 12 ottobre 2018

Capsule


Titolo: Capsule
Regia: Athina Rachel Tsangari
Anno: 2012
Paese: Grecia
Giudizio: 4/5

Sette ragazze. Una villa abbarbicata su un costone roccioso nelle Cicladi. Una serie di lezioni su disciplina, desiderio e sottomissione.

Ma che bella scoperta il cinema videoarte della Tsangari. Figlia anch'essa di tanto cinema e di tante citazioni e forme d'arte diverse che riescono in questo caso ha unirsi tutte come in un girotondo dark ed esoterico per una galleria di immagini evocative e dalla innegabile grazia.
Un fascino e una ricerca della moda, della bellezza, del desiderio in cui la regista ellenica sembra voler sancire i suoi temi più personali dalla competizione al desiderio, il dominio e non ultima la sottomissione. Lo fa confezionando una pellicola di grandissimo fascino visivo e di bellezza estetica in cui nessuna componente è lasciata al caso: tutto è molto curato e controllato dai costumi alle immagini.
Un certo simbolismo potrebbe far storcere il naso dal momento che alcuni contenuti possono risultare criptici e di certo la regista non esclude una certa ricerca non solo dell'estetismo a tutti i costi ma anche di una sotto chiave narrativa e intellettuale che inserisce toni da fiaba gotica e un certo horror che cerca di rifarsi al mito del vampirismo
Un'opera ambiziosa e criptica che in fondo tratta la magia, il rituale, la cerimonia grazie a sei discepole (o replicanti) alla corte di una dominatrice matriarcale che, costituito un'ordine improntato su un'insolita dottrina iniziatica alla (ri)scoperta della natura femminile, finisce per stabilirne i rispettivi e brevissimi cicli esistenziali.

When black birds fly



Titolo: When black birds fly
Regia: Jimmy ScreamerClauz
Anno: 2016
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

When Black Birds Fly racconta un’unica storia, ambientata in una città fittizia, una società distopica dominata da un certo Caino, considerato come una divinità, un novello Messia, che ha costruito attorno alla città di Heaven un muro, al quale è severamente vietato anche solo avvicinarsi. Cosa si nasconde al di là di questo confine? Cosa c’è di così terribile dall’altro lato? Perché i cittadini di Heaven, un paese in bianco e nero, nel quale l’unica nota di colore sono i cartelli quasi propagandistici di Caino e poco altro, devono tenersi lontano da questo orribile muro? A scoprirlo saranno due bambini, il piccolo Marius e la sua compagna di scuola Eden, che per aiutare un gatto in difficoltà raggiungeranno questo territorio misterioso, attraverso un buco, ritrovandosi in un mondo delirante e disgustoso.

Dopo l'efferato Where the dead go to die che definivo un trip allucinato, qui l'effetto delle sostanze continua diventando più politicamente scorretto, prende come chiave escatologica la religione cristiana fondendola con alcuni miti pagani e con una importante anche se eccessivamente malata lo ripeto metafora politica.
Un film difficile da guardare fino alla fine, vuoi le musiche disturbanti, il montaggio che a volte sembra un viaggio in funghetto oppure i colori e lo stile d'animazione che rischiano di far venire una crisi epilettica.
Dio, Caino, Eva, il Paradiso, l'Inferno. A questo giro ScreamerClauz sembra essersi proprio incazzato chiamando in cattedra tutti per un suo giudizio finale direi esageratamente nichilista.
Un film dove succede di tutto, perversioni, gore, scene splatter e grottesche, momenti onirici a profusione, personaggi inquietanti, animali che prendono droghe e si trasformano, allo stesso tempo però risulta indubbiamente meglio strutturato soprattutto grazie ad una struttura unitaria e non antologica che riesce ad interessare maggiormente e riesce a regalare, a sorpresa direi, dei colpi di scena niente male soprattutto nella mattanza finale.
E soprattutto la simbologia, la scenografia a compiere i maggiori passi in avanti a cominciare dal bianco e nero che viene usato per il Paradiso, un luogo fatto di ombre ed incubi, in cui tutti sono castrati dove gli sposi non possono nemmeno guardarsi nudi e per ottenere un figlio devono far parte di una grottesco rituale di auto-mutilazione da parte dei genitori in onore del dittatore Caine facendo manifestare un figlio già parzialmente cresciuto a partire da una strana larva psichedelica. 
All’interno del Paradiso le uniche cose colorate sono i poster di Caino e pochissimi altri elementi.
I colori fluo, d’altro canto, appartengono all’Inferno, un mix di psichedelia che si sposano alla perfezione con l’atmosfera dionisiaca e violenta del luogo.
Tutto il film si pone come un’allegoria del totalitarismo e soprattutto della corruzione e dell’incoerenza nella religione cristiana.
Tutto il film continua con parti mostruosi dove a sentir dire dal regista tutto il film è stato creato e composto sotto l'effetto di sostanze e nessuno stenta a crederlo contando che andando avanti nelle creazioni malate abbiamo Dio rappresentato come un uomo tra le nuvole, con una grossa corona ed al posto del volto una sfera di vetro, un Dio incazzato che non ci metterà molto a fare stragi appena si impossessano della sua donna e poi il frutto del peccato, una bacca che crea allucinazioni a chi la mangia.
Dunque fede bigotta con conseguente senso di colpa inculcato negli esseri umani servi in più una religione estremista assieme al potere tirannico che viene esercitato sul popolo, spesso senza che questo se ne accorga. Caino sottomette il popolo senza alcun rispetto e cela a tutti la verità, mentre gli abitanti del paradiso lo reputano un salvatore e credono in lui ciecamente, senza la benchè minima ombra di dubbio.
E'una favola malata ma che ai giorni nostri assurge quasi a verità.

Cord


Titolo: Cord
Regia: Pablo Gonzales
Anno: 2015
Paese: Germania
Giudizio: 3/5

In un mondo post -apocalittico, dove l'inverno non ha mai fine, alcuni superstiti della razza umana vivono sottoterra. A causa delle insalubri condizioni dell'ambiente in cui vivono, il contatto sessuale è diventato pericoloso. La masturbazione è quindi divenuta l'unica esperienza sessuale possibile grazie al perfezionamento di una serie di dispositivi low-tech creati appositamente a questo scopo. In questa desolante realtà, Czuperski (uno dei commercianti di questi dispositivi) e Tania (una sesso dipendente) fanno un patto: lei gli permetterà di sperimentare nuovi dispositivi sul suo corpo in cambio del piacere. Ben presto però, il loro rapporto finirà fuori dal loro controllo.

Sci-fi. Un'unica location. Tre attori. Idee. Stop
L'esordio di Gonzalez è un fantahorror post-apocalittico (sotto genere predominante negli ultimi anni nel cinema di genere anche solo per aver lanciato la possibilità di rinchiudere persone in location isolate dove al di fuori c'è qualcosa che uccide e questa semplice idea ha prodotto migliaia di pellicole spesso e volentieri grazie a budget miseri)
Dovendo dare a Gibson ciò che è di Gibson, qui ritroviamo molti elementi già scandagliati e usati a dovere che rientrano in quella fornace dove sono i dispositivi low-tech a fare da padroni e gli umani sono schiavi della realtà virtuale (scenario che in parte stiamo andando a concretizzare)
L'alienazione, vivere in spazi claustrofobici, il sesso come esperienza virtuale, l'accoppiamento come baratto, il sacrificio, la trasformazione, ci sono ovviamente tutta una serie di elementi squisitamente utilizzati e scandagliati da registi più famosi come Cronmberg e Tsukamoto ma qui il regista utilizza proprio e insisite su questo elemento quello della cavia e le apparecchiature utilizzate con cavi e liquidi che fuoriescono dalla pelle e dalla materia e dove soprattutto si sviluppa un'inquietante rapporto ossessivo tra vittima e carnefice.
Con l'accomunante che come per STRANGE DAYS dava prova che ormai l'umanità per provare esperienze che l'appaghino cerca sempre di più qualcosa di estremo dove diventiamo proprio cavie di qualcosa a cui ci sottoponiamo e che prende il sopravvento su e dentro di noi.
Qui è di nuovo il sesso alla base dove non resta che farsi aiutare da cavi elettrici tatuati nel corpo, strumenti freddi e impersonali (ma efficaci) con cui titillare le zone del cervello responsabili del piacere orgasmico. Mi ha ricordato anche se con intenti del tutto diversi I.K.U e tante altre cose. Drammatico, violento, la ricerca di toccare confini estremamente pericolosi porterà vittima e carnefice ad un epilogo che andrà e sarà del tutto fuori controllo.



martedì 25 settembre 2018

Trench 11


Titolo: Trench 11
Regia: Leo Sherman
Anno: 2017
Paese: Canada
Giudizio: 3/5

Negli ultimi giorni della Prima Guerra Mondiale, un esperto di tunnel colpito da psicosi traumatica deve guidare una squadra alleata in una base tedesca nascosta … 100 metri sotto le trincee. I tedeschi hanno perso il controllo di un’arma biologica altamente contagiosa che trasforma le vittime in feroci assassini. Gli Alleati si ritrovano intrappolati sotterranei con orde di infetti, un’epidemia che si sta rapidamente diffondendo e una squadra di Assalitori tedeschi spediti lì per ripulire il disordine.

L'orrore della guerra ha ispirato nel corso degli anni diversi registi.
La metafora dell'orrore che si cela dentro bunker o a causa di esperimenti quasi sempre da parte dell'esercito tedesco è una peculiarità di questo sotto genere dell'horror.
Come nel film di Basset, Deathwatch, stessa epoca e stesse forze alleate, ma anche di Rob Green, Bunker(2001), Sherman cerca di fare qualcosa dove l'horror a differenza dei demoni interiori o delle suggestioni, diventa l'araldo su cui creare l'ennesima soluzione finale.
Il risultato è un esperimento terrificante e anche piuttosto originale quando penso all'orda dei soldati usati come una sorta di non-morti o infetti ma con connotati diversi grazie ad un'idea come dicevo piuttosto innovativa che strizza l'occhio a Cronemberg ma soprattutto al body horror con alcune scene splatter decisamente gustose e un'autopsia estemporanea visceralmente stimolante.
Un film che dopo una decina di minuti e giusto il tempo per elaborare il piano e trovare il gruppo di soldati ci catapulta verso un'intensità claustrofobica dove anche noi diventiamo bestie sotterranee. Un film che mischia tanti elementi, che ha visto molto cinema citando diverse pellicole e andandosi a piazzare tra le opere più interessanti degli ultimi anni sul tema war movie-horror-body horror-nazisti. Un film che a differenza di altri usciti negli ultimi anni che seguono più il filone d'intrattenimento, si prende maledettamente sul serio nella ricostruzione storica, nella scenografia e nel make-up, e le creature sembrano uscire proprio da uno di quei parti malati alla Cronemberg o compagnia simile.







sabato 9 dicembre 2017

Kuso

Titolo: Kuso
Regia: Flying Lotus
Anno: 2017
Paese: Usa
Festival: 35°Torino Film Festival
Giudizio: 3/5

Flying Lotus, musicista e rapper californiano, debutta con un film che non mancherà di far scalpore. In una Los Angeles post-Big One, seguiamo le vite parallele di alcuni sopravvissuti, tra insetti giganteschi e da incubo, decomposizioni organiche, ossessioni scatologiche, mutilazioni genitali. Un body horror ossessionato dalla pop art, che cita, ingloba, digerisce ed espelle il cinema di Cronenberg, Tsukamoto, Korine, Švankmajer, i Quay Brothers.

Notte horror al Torino Film Festival.
Quello che avviene in Kuso si può riassumere più o meno così: Los Angeles. Una ragazza afroamericana strozza il proprio fidanzato ricoperto di pustole e poi gli spalma lo sperma sul viso. Un uomo deforme affetto da una grave patologia gastrointestinale viene umiliato a scuola, scappa e incontra una creatura boschiva composta da un ano e una lingua. La nutre con le proprie feci, facendole crescere una testa. Una bionda con dermatite seborroica scopre di essere incinta, ma i suoi due amici a forma di televisori pelosi le strappano il feto (e se lo fumano). Una donna orientale striscia in una fogna cibandosi di insetti quando viene risucchiata in un universo psichedelico. Il dottor George Clinton alias il cantante dei Funkadelic defeca una scolopendra grande come un’astice su un paziente del suo studio medico. Tutto ciò è la conseguenza di un terremoto che si è abbattuto sulla California, a quanto pare.
Kuso sin dalle prime inquadrature e dall'orrore (anche se è più lo schifo che genera) mi ha ricordato un altro film malato agli stessi livelli se non di più ovvero Where the dead go to die.
Di nuovo un artista come nel film sopracitato che si interessa alla settima arte con un susseguirsi di scene, gag, vignette, tutte molto sinistre e macabre finalizzate a dare peso e consistenza a tutto lo schifo e lo squallore che cerchiamo di non vedere. Mascheroni, tute, make-up esageratissimo, scene raccapriccianti e grottesche con guizzi gore e una visceralità di fondo che da quell'inquietudine finale ad un film strano, complesso, singolare, sperimentale, scomodo e politicamente scorretto, ma più di tutto fine a se stesso, un esercizio di stile auto celebrativo come nuovo maniaco della psiche.
Un film per pochi disegnato da chi non vuole piacere alla massa (direi che su questo non c'è bisogno di stare a dilungarsi) sapendo bene di rischiare di essere mal interpretato soprattutto nel senso e negli intenti con si muovono alcuni personaggi e nella fattispecie alcuni intenti.
Kuso è un contenitore di immagini estremamente sgradevoli”, una schifezza che striscia nei liquami più infetti e purulenti e gratta tutto il marcio peggiore che si possa trovare.

Al Sundance il pubblico è scappato via...

venerdì 8 dicembre 2017

Games of Death


Titolo: Games of Death
Regia: Sebastien Landry E Laurence Morais-Lagace
Anno: 2017
Paese: Usa
Festival: 35°Torino film Festival
Giudizio: 3/5

Un gioco da tavolo, il Game of Death, ha un’unica regola: se non uccidi qualcuno, ti esplode la testa, entro 20 minuti. Sette ragazzi vi partecipano ignari, a loro spese.

Notte horror al Tff tra cornetti e caffè bollente.
Games of Death è un'opera divertente, eccentrica e con tanto splatter che sostanzialmente porta avanti un'idea di carneficina che negli ultimi anni sta partorendo tanti ibridi con l'idea di fondo che poi è sempre la stessa.
Siamo quest'anno, con tutte le opere visionate, in toni decisamente eighties, dove la stragrande maggioranza dei film si rifà ai videogiochi e a quell'aspetto ludico, spensierato, con in alcuni casi rimandi alla sci-fi e con le musiche fatte col sinth che tanto piacciono.
Games of Death dura 75', la trama è praticamente un escamotage per mostrare questo branco di buoni a nulla e tutti straordinariamente cazzoni e antipatici alle prese con questo strano gioco.
Cronemberg e Carpenter su tutti nella miriade di citazioni ma anche Battle Royale 2, Belko Experiment
e via dicendo.
Un film con un ritmo incredibile, splatter al massimo, senza guizzi di sceneggiatura ma con l'unico scopo di arrivare a far esplodere e ammazzare tutti l'uno con l'altro nel minor tempo possibile.
Da questo punto di vista il film fa centro divertendo e mostrando frattaglie in tutte le forme e maniere nonchè teste che piano piano si ingrandiscono assomigliando in alcuni casi alle deformazioni di Rob Bottin. Puro divertissement senza bisogno di spiegazioni e soprattutto di nessun tipo di background ad esempio da dove provenga il gioco, sul finale telefonatissimo e alcune scelte che muovono le azioni dei personaggi davvero lasciate al non sense totale.
Per chi vuole staccare il cervello, ridere e divertirsi prego avvicinare il dito al tasto, una piccola puntura, il sangue che arriva al nucleo del gioco e il ghigno del malefico display, in una narrazione veloce, scatenata e sgangheratissima.

giovedì 3 agosto 2017

Belko Experiment

Titolo: Belko Experiment
Regia: Greg McLean
Anno: 2016
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Una compagnia americana in Sud America viene misteriosamente isolata e i suoi impiegati cominciano a mostrare la loro vera natura quando gli viene ordinato di uccidersi a vicenda o di farsi uccidere.

Belko Experimet aveva diversi motivi per interessare. La trama, un esperimento sul sociale dove possano incontrarsi sci fi e horror, un cast di serie b dove spuntano tanti antagonisti visti in passato e una sorta di atmosfera da corporation che lascia pochi spazi dove fuggire ma che facilmente lascia intravedere gli spiragli di conseguenze inattese ed effetti perversi che porteranno ad un bagno di sangue. Lo spunto quindi seppur non così originale è interessante partendo proprio dall'idea del microchip e di queste corporation in cui gli stessi dipendenti e impiegati non sembrano mai sapere fino in fondo cosa stanno realizzando. La vicenda infatti è ambientata in Colombia, a Bogotà, uno di quei paesi del terzo mondo che manco a farlo apposta sta vivendo un clima politico teso e disperato con una sorta di guerriglia che sancisce la disuguaglianza in questi paesi come il caso e la vicenda amara di ciò che sta succedendo in Venezuela. Qui all’interno di un’azienda di recruiting americana con il compito di aiutare i suoi dipendenti ad inserirsi perfettamente nella società colombiana, le giornata sembrano trascorrere come tutte le altre, in cui i dipendenti sorridono e vestono sempre in modo impeccabile fino a quando una voce misteriosa proveniente dall’interfono rilascia una inquietante comunicazione:
A tutti i dipendenti: qualunque cosa stiate facendo, per favore fermatevi e prestate la massima attenzione. Attualmente ci sono ottanta dipendenti nell’edificio. Nelle prossime ore la maggior parte di voi morirà. La vostra possibilità di sopravvivere aumenterà solo se seguirete i miei ordini. Il primo test è molto semplice: uccidete due dei vostri colleghi nei prossimi 30 minuti. Se non ci sono due cadaveri nell’edificio nella prossima mezz’ora subirete delle conseguenze.
“L’esperimento” a Greg McLean è riuscito, sarà particolarmente apprezzato dai fans del gore contando che non mancano teste esplose, sparatorie, scazzottate e traumi vari (a un ragazzo, la testa verrà fatta a pezzi con una grande pinzatrice). Il film altro non è che una brutale e sanguinosa battaglia che scorre molto bene.

Tutto bello soprattutto nel primo atto, poi il film esaurisce tutto molto in fretta, il problema grosso è stato seminare la suspance invece di liberarla senza troppi convenevoli con l'effetto del tutto subito e un veloce climax che non sembra nemmeno chiudere la vicenda ma lasciando le briciole per altri possibili sequel.

martedì 7 marzo 2017

Frankenstein

Titolo: Frankenstein
Regia: Bernard Rose
Anno: 2015
Paese: Usa
Giudizio: 1/5

Ambientato nella Los Angeles dei giorni nostri - il film è raccontato interamente dal punto di vista del mostro. Dopo essere stato creato artificialmente e essere stato abbandonato al suo destino da una coppia di eccentrici coniugi scienziati, Adam - questo è il suo nome - viene aggredito e diventa oggetto di violenza da parte del mondo che lo circonda. Questa creatura inizialmente perfetta, diventata in poco tempo mostro sfigurato, si trova presto a dover fare i conti con il lato più brutto dell'essere umano.

Sinceramente non riesco a capire il motivo di mettere in scena così tanta inusitata violenza e sofferenza. Questa ennesima rappresentazione della creatura di Shelley oltre ad essere post contemporanea e iper moderna (che potevano essere elementi interessanti da riscoprire) crea un contorno di fatto costituito da umiliazioni e vessazioni per l'intero arco del film.
La realtà per Adam è solo violenza e sopraffazione usato come cavia e come mostro.
Ricorda per alcuni aspetti l'opera bizzarra e malata 964 Pinocchio di Shozin Fukui.
Mi ha colpito non solo la linea d'intenti limitata e volta solo ad inquadrare l'incubo in cui viene gettato Adam, ma non riesco proprio a cogliere il senso e il perchè di questa operazione che tra l'altro a parte essere di una violenza spesso gratuita, non lascia proprio spazio alla speranza e alla redenzione portando Adam ad una sola e unica scelta.
Ci sono pochi personaggi che "empatizzano" con il mostro restituendogli da un lato l'affettività che non ha mai avuto e dall'altra rendendolo una maschera di sangue e tumori, una cavia perfetta per i loro esperimenti.
Come tutti i giocattoli fabbricati velocemente e senza coglierne la logica scientifica che si sostituisce a quella divina, Rose che non è solo regista ma anche montatore e tutto il resto, ha provato un esperimento secondo me troppo autodistruttivo e pesante, trovando l'unica possibile rimedio medico per un esperimento ovvero scaricarlo in quanto imperfetto in mezzo ad una società che non può far altro che condannarlo.
Inoltre l'errore più grosso che Rose commette è quello di raccontare in prima persona dal punto di vista del mostro gli eventi e quant'altro, rendendolo una specie di intellettuale che mastica frasi apprese chissà dove. Quando poi lo conosciamo invece è l'esatto opposto, un automa senza la minima capacità di mentalizzare o avere una struttura del pensiero.





martedì 27 dicembre 2016

Los Decentes

Titolo: Los Decentes
Regia: Lukas Valenta Rinner
Anno: 2016
Paese: Austria
Festival: TFF 34°
Sezione: Torino 34°
Giudizio: 3/5

Una donna si presenta ad un casting per essere assunta come cameriera in una casa di lusso in una zona residenziale nella periferia di Buenos Aires, abitata da famiglie dell'alta borghesia, vale a dire, da persone "decenti". Ma dall'altra parte della barricata, c'è un'altra comunità dai precetti radicalmente diversi: una congregazione di nudisti, che si dimentica dei canoni sociali quanto a classe e, soprattutto, a "decenza", per abbracciare la liberazione mentale e sessuale in comunione con la natura. E la donna viene, naturalmente, rapidamente attratta dal richiamo di quest'oasi.

Il secondo film del giovane regista argentino è un film che racconta sotto certi aspetti una lotta di classe, ancora argomento pregnante in Argentina, sfruttando un paradosso molto interessante che riesce a diventare durante l'arco della narrazione il vero motore che riesce a conferire atmosfera e mistero al film. Un paradosso, il passaggio segreto dove Belen vive entrambi i mondi entrando in contatto da un lato con la borghesia di un nucleo familiare particolarmente fastidioso, dall'altro una comunità di nudisti che si sdraiano al sole, fanno bagni solitari o collettivi, praticano il sesso tantrico, a due, in ammucchiata, eterosessualmente, omosessualmente, come capita, con chi capita. Una di quelle comunità neopagane tra movimenti nudisti tedeschi del primo Novecento e frikkettonismi californiani anni Settanta, chissà come incistatatasi in quella parte di Argentina.
Dunque nudisti contro borghesi in questa nuova lotta di classe che sembra interessare al regista con messaggio anarcoide-ribellistico da vecchio cinema di contestazione e sovversione anni Settanta
(un surreal-latinoamericana) e le atmosfere di una imminente distopia, la violenza che può scoppiare anche dove il livello di sicurezza è più alto, la segmentazione delle città in zone chiuse e non comunicanti. Purtroppo tutta l'ansia e il nervoso che Belen trattiene sembra evolversi e allargarsi anche al resto della comunità per la preparazione molto grottesca di un climax finale un po troppo veloce in questo gioco al massacro che ricorda la caccia alla volpe.
Un film che volutamente non è mai inquietante ma grazie all'uso delle inquadrature fisse e di queste composizioni simmetriche che passano da un estremo all'altro risulta seppur lento e con dei dialoghi ridotti all'osso, visivamente molto curato e con diversi riferimenti letterari e cinematografici.
Un film che forse girato dallo stesso regista con più esperienza e maturità avrebbe giovato all'opera e a tutta la contestazione, che seppur datata, poteva provocare e smuovere di più.


sabato 10 settembre 2016

Rebirth

Titolo: Rebirth
Regia: Karl Mueller
Anno: 2016
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Durante un seminario sulla rinascita, un padre di famiglia viene catapultato in un turbine di violenza e seduzione.

Rebirth aveva tutte le carte in tavola per essere un thriller psicologico affascinante che tratta un tema molto attuale come quello delle new-religion.
Il cammino di auto-realizzazione per alcuni aspetti sembra avere qualche analogia con i concetti di Scientology e altre pratiche che soprattutto in questo periodo di reincanto stanno tornando di moda.
Il fatto poi di scegliere un protagonista, Kyle, come un padre di fatto tranquillo senza molta identità e senza troppe aspirazioni, funziona fino ad un certo punto per cercare di equilibrare i suoi stati emotivi e le sue reazioni di fronte al gruppo e alla "setta" che diventano mano a mano sempre più intenzionati a far parte della quotidianità di Kyle.
Quindi anche nel suo caso il percorso per cercare di scardinarne la tranquillità è per certi versi anomalo, con qualche intuizione, che però scade soprattutto nel finale troppo esagerato e che per certi versi distrugge quanto di buono era stato creato prima.
Proprio la log-line "sei libero di andartene ma non di evitarne le conseguenze" sembra profetica per quella disfatta che andrà ad assorbire la vita del protagonista e che entrerà in modo invasivo a casa sua sconvolgendo la sua vita.

Il problema grosso alla base del film è che sembra volerti far riflettere su tanti temi e situazioni che possono entrare nelle nostre vite, per curiosità, scoperta, bisogno di avere qualcuno che ci ispiri, e via dicendo, ma al contempo essere freddo e distaccato proprio da tutte le strade che vuole percorrere. Un film disordinato e caotico, che volendo muovere troppe pedine finisce con l'essere schiacciato proprio dai suoi intenti. Intenzioni che nella prima parte funzionano bene poichè portatrici di un'atmosfera e una suspance che fino alla "rivelazione" ha tutti gli elementi per tenere lo spettatore incollato allo schermo.  

giovedì 21 luglio 2016

Hardcore!

Titolo: Hardcore!
Regia: Ilya Naishuller
Anno: 2015
Paese: Russia
Giudizio: 3/5

Henry si sveglia mutilato senza ricordare la propria identità, ma capisce ben presto di essere un cyborg, ricostruito dalla moglie scienziata dopo essere stato massacrato dal crudele Akan, uno psicopatico dotato di poteri di telecinesi. Per Henry avrà inizio una fuga a rotta di collo dagli agenti di Akan, prima di prendere consapevolezza di avere una forza sovrumana.

Hardcore è puro intrattenimento per un regista che altro non fa che girare un lungo dopo la buona prova dei video girati per i Biting Elbows.
Il film è di fatto una sorta di videogioco che non si prende troppo sul serio mischiando elementi di sci-fi, tecnologie d'avanguardia, con tanto sangue e inseguimenti mozzafiato.
Un film che cerca di correre più velocemente che può per non dare modo allo spettatore di concentrarsi sulla storia e la banalità sconvolgente con cui è stata scritta.
Di fatto il film è un action tutto in soggettiva come d'altronde è stata forse la svolta per i videogiochi sparatutto dal '92 in avanti.

Non è il primo ad usare la GoPro in modo soddisfacente, ma è il primo a convogliarla solo per l'intrattenimento fine a se stesso. Al cinema con la colonna sonora giusta diventa un'esperienza abbastanza nuova e stimolante, ludica a tutti gli effetti dove i neuroni possono tranquillamente andare in letargo

mercoledì 30 dicembre 2015

Victoria

Titolo: Victoria
Regia: Sebastian Schipper
Anno: 2015
Paese: Germania
Giudizio: 4/5

Victoria, una ventenne spagnola che vive da qualche tempo a Berlino, incontra fuori da un locale notturno Sonne e i suoi amici. Sono berlinesi 'veri', così si definiscono e possono mostrarle la città ignota agli stranieri. Victoria li segue divertita fino a quando qualcuno si fa vivo per esigere dal gruppo un credito

Le riprese della copia definitiva sono iniziate alle 4.30 del mattino e sono terminate alle 6.54 senza soluzione di continuità.
Sturla Brandth Grǿvlen è un operatore probabilmente importante quanto Schipper alla sua opera prima. Sfide come queste non sono tante e non passano inosservate soprattutto quando si ha il sentore che possano essere dei fiaschi e che non riescano a vincere la scommessa.
Victoria e il gruppo di berlinesi ci sono riusciti.
Ovvio alcuni momenti sono dilatati troppo, alcune forzature sembrano accendere troppo velocemente alcuni cambiamenti della pellicola che possono sembrare esagerati. Ci sono dei discutibilissimi vuoti e delle incronguenze incredibili forse dovute ad una drammaturgia carente che non ha puntato molto sulla sceneggiatura.
Nel complesso però ci sono tanti e squisiti elementi di questo film passato inosservato presso molti festival che faranno girare la testa agli amanti di cinema come un girotondo di generi capace di travolgere per l'estrema fluidità con cui è stato progettato.
Un cast in cui alcuni giovani volti sono noti solo per indie autoriali apparsi in sporadici festival come KING SURRENDER o WE ARE FINE.
Victoria perde forse parte della sua preziosità della sua incredibile ingenuità e freschezza proprio quanto si trasforma in un action tirando fuori troppo le palle e volendo diventare straordinariamente drammatico.
Nella sua notte di incontri Victoria travolge e lascia sempre in una strana atmosfera, proprio perchè nella sua ingenuità sembra sempre essere sul punto di diventare la vittima sacrificale di questo gruppo di ragazzi affamati di vita e di illusioni.
Schipper dimostra di saper giocare bene con la suspance, regalando un film che in un piano sequenza di più di due ore non perde mai di vista l'obbiettivo e crea una miscela di elementi e empatia verso tutta la "banda" davvero irresistibile.
Victoria proprio in questo blocco unico diventa un gioco forza di incredibile impatto e realisticità.



domenica 20 dicembre 2015

Standford prison experiment

Titolo: Standford prison experiment
Regia: Kyle Patrick Alvarez
Anno: 2015
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Un film basato sull' esperimento condotto nell'estate del 1971 presso la Stanford University, durante il quale alcuni studenti assunsero il ruolo di guardie carcerarie, altri di detenuti. Nel giro di un solo giorno, i profili psicologici degli studenti erano cambiati, e l'interazione tra prigionieri e guardie era diventata violenta. Quando i prigionieri organizzarono una rivolta, lo studio fu immediatamente chiuso.

Zimbardo e il suo esperimento vengono ripresi di nuovo dopo altre due trasposizioni molto diverse tra loro tra cui spicca il film tedesco del 2001 THE EXPERIMENT a differenza del film americano un po troppo pompato del 2010 sempre con lo stesso titolo.
Alvarez come regista sembra essere più interessato e proiettato verso gli intenti delle guardie, il meticoloso lavoro di provocazione dei prigionieri, la calma forse troppo apparente dello psicologo. Con un cast che riesce dove altri film avevano fallito, questo studio sulle trasformazioni dell'animo umano, sull'abuso di potere e quasi mai sulla tortura (certo un discorso sul maltrattamento psicologico andrebbe fatto) porta ad una linearità di fondo, esaminata, bilanciata e controllata senza mai esagerazioni inutili che avrebbero imbrogliato la storia.
Con un soggetto come questo, la scelta più astuta e proprio quella di giocare su reazioni spontanee, creare disagio e suspance equilibrando dall'altra parte con la testardaggine di Zimbardo che vuole osare fino in fondo.
Dove il film da il suo meglio, anche il finale con i filmati reali è un pezzo in più che non avevamo mai visto, e con gli arresti dei carcerati, che quando si erano offerti volontari non sapevano che tutto sarebbe iniziato con un vero arresto.
Ci sono poi anche delle cadute di stile come la storia d'amore dello psicologo, il suo team mai caratterizzato a dovere, un voler ripetersi in alcune modalità senza trovare un ritmo, ma nel complesso tra tutti quelli portati alla luce finora, questa è senza dubbio la trasposizione più veritiera e più scientifica.
Alcuni studiosi misero in discussione il comportamento del professor Zimbardo sostenendo che lo psicologo agisse da “sovrintendente capo” della prigione e indirizzando alcuni discorsi alle guardie, avrebbe falsato il loro comportamento e avrebbe dato troppe istruzioni implicite su come comportarsi.

Una guardia che partecipò all’esperimento è convinta ancora oggi che fu Zimbardo a causare il peggioramento della situazione, e che fin dall’inizio lo psicologo cercò di ottenere un “crescendo drammatico”.  

martedì 15 dicembre 2015

Circle

Titolo: Circle
Regia: Aaron Hann, Mario Miscione
Anno: 2015
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Circle si apre con 50 sconosciuti che pian piano si svegliano in piedi su piccole piattaforme rosse illuminate, in cerchio in una stanza buia e nessuno di loro ricorda con precisione come ci sia arrivato. Si scopre subito che tentare di scappare è controproducente poiché mettere il piede fuori dalla piattaforma significa essere colpito da un fulmine che schizza da un macchinario futuristico sito al centro della stanza, e come se non bastasse ogni 2 minuti c’è un countdown ed al termine del quale una persona a caso è fulminata senza pietà

E' da un po di anni che sta prendendo piede questo sotto filone di genere che tratta esperimenti sugli esseri umani.
A volte si riesce ad essere originali, muovendo dei tasselli rimasti finora in ombra nella cinematografia oppure si corre il rischio, senza avere dietro bravi sceneggiatori, di crollare sotto lo stesso muro che si è voluto creare, come ad esempio in questo caso.
Un'unica location (vabbè non dico altro altrimenti è spoiler) e cinquanta attori statici, quasi tutti sconosciuti e costretti a stare in piedi, sena muoversi, pena la morte, per tutta la durata.
Circle, pur partendo da un'idea che poteva essere interessante, ha davvero così tanti limiti che risulta difficile metterne alcuni da parte pur cercando di vedere dove voglia arrivare l'intento dei registi.
Dall'uso mai azzeccato di mettere in luce e ombra alcuni personaggi contando che svariati non si vedono o forse per limiti di budget vengono inseriti in seguito, quando prima non c'erano.
Un ritmo che fa sempre fatica a decollare pur cercando di rifarsi su dei dialoghi a volte azzeccati anche se spesso non riescono a tenere alta l'attenzione e meno ancora la suspance.
Il perno centrale che destruttura tutto l'impianto del film è il non-sense che si spera abbia un potente climax in grado di far riflettere o perlomeno dare un senso alla pellicola.
A differenza di EXAM o CUBE che poggiavano su strutture, idee e registi con altri crediti, il duo che confeziona il suo esordio forse ha voluto cercare di stupire con qualcosa che facesse effetto (ma forse solo la locandina e i commenti di sconosciute testate da prendere a testate).
L'unico elemento che salvo di questo strano e confuso o meglio poco ispirato film, è l'aver scardinato una regola topica della cinematografia, eliminando il o la protagonista e lasciando dunque tutti alla mercè del raggio "alieno".


lunedì 22 giugno 2015

Cheap Trills

Titolo: Cheap Trills
Regia: E.L. Katz
Anno: 2014
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Un giovane padre e il suo vecchio amico delle superiori sono in grave crisi economica. Incontrano una ricca coppia che li aiuterà finanziariamente se sopporteranno una serie di test che spingeranno ai limiti le loro capacità mentali e fisiche.

Che cosa sei disposto a fare per soldi (soprattutto quando sfratto e altri problemi sembrano circondare la tua vita?)
Al suo primo film, Katz, scrive e dirige una commedia nera, a tratti nerissima, più che altro per l'escalation legata a torture e umiliazioni a cui sono costretti a cimentarsi i due proletari nei confronti di una coppia borghese, metafora in tutti i sensi del capitalismo, che nella loro apatia hanno bisogno di scene forti e disturbanti per passare le serate.
Di breve durata e con un ritmo che non perde smalto, "Emozioni a buon mercato" è quella pillola che farà esaltare alcuni amanti del genere, mentre nel mio caso è stato un film appena dignitoso, contando che mi aspettavo qualcosa di insolito soprattutto per quanto concerne la dose di violenza e i dialoghi a volte ridondanti.

Cheap Trills da un lato cerca di esagerare il più possibile per diventare un piccolo cult (che sicuramente lo sarà per alcuni fan del genere) soprattutto se contiamo che non ha un budget incredibile e a parte gli attori, le location sono davvero limitate ma funzionali alla narrazione.

lunedì 27 aprile 2015

Enther the Void

Titolo: Enther the void
Regia: Gaspar Noè
Anno: 2009
Paese: Francia
Giudizio: 4/5

Il ventenne Oscar e la sorella minore Linda arrivano a Tokyo. Oscar vende droga per vivere, mentre la diciottenne Linda lavora come spogliarellista in un nightclub. Una notte Oscar si reca in un locale per concludere un affare, ma gli agenti di polizia lo stanno aspettando per arrestarlo e nella colluttazione che ne segue parte accidentalmente un colpo. Oscar muore ma riemergono le memorie del passato, tra queste spiccano la morte dei genitori avvenuta in un incidente d'auto quando aveva solo cinque anni e la promessa fatta alla sorella di non abbandonarla mai.

Noè è uno di quei registi che adoro.
Adoro tutti i suoi film perchè sono crudi e portano sempre a galla sesso e violenza senza soluzione di continuità come succedeva per IRREVERSIBLE e per il suo film migliore SEUL CONTRE TEUS (probabilmente anche il film più maturo). Le sue pellicole mi lasciano sempre un buco nell'anima che con dovute difficoltà adoro, perchè sembra avere una lente che capta il marciume della società e te lo schiaffa in faccia.
Enther the void poi sembra voler scavare ancora di più dentro le coscienze, in un melodramma psichedelico e allucinatorio, aprendo squarci allucinati ed onirici in chiave sempre sperimentale dimostrando il perchè, oltre motivi di budget, il regista argentino trapiantato in Francia se ne esca con un film ogni 3-4 anni.
Un manierismo, il suo, che molti definirebbero fine a se stesso.
Cos'è il vuoto?
-la stessa idea di cinema? -un trip di effetti visivi digitali e computerizzati? -il voyeurismo innato della vittima e del suo creatore? -un vaso di pandora religioso dove spicca il libro tibetano dei morti e la reincarnazione forse infinita?
E' tutto e niente per come l'ho interpretato io, senza stati di allucinazione o visioni avute dall'utilizzo di droghe come ha invece ammesso lo stesso regista.
In 143' secondo me continua a prendere tutti per il culo perchè di immorale ci sono solo i commenti della critica e del pubblico. Per me è un continuo flash al di là della fragilità e a volte della ridodanza e dell'insistenza nel girare attorno ad alcune scene.
Oscar muore e da quel momento il trip ha inizio.

Buona visione!

mercoledì 3 dicembre 2014

Eau Zoo

Titolo: Eau Zoo
Regia: Emilie Verhamme
Anno: 2014
Paese: Belgio
Festival: TFF 32°
Giudizio: 3/5

Lou e Martin sono due adolescenti che vivono su un’isola. L’isolamento geografico e l’atteggiamento iperprotettivo dei genitori fanno maturare in loro un senso di soffocamento: un’impasse emotiva e sentimentale che mette a rischio il loro legame.

L'opera prima di Verhamme, giovane regista belga, poteva trasformarsi in un importante quadro simbolico dove far emergere tante contraddizioni della società e volgerle verso un futuro distopico meno fantascientifico e più intellettuale.
A partire dalla comunità di isolani governata da regole improntate a un ferreo isolazionismo, che nel corso della storia-non storia divengono via via sempre più rigide, trova molti elementi interessanti soprattutto tra gli scontri generazionali degli adulti (autoconservatori e rigidi burocrati) a confronto con diverse tipologie di giovani (ci sono i reazionari e imprevedibili come Martin, ma purtroppo anche i rigidi osservatori delle regole sociali, come il fratello di Lou) e il bisogno e il desiderio di libertà a dispetto della totale incomunicabilità reciproca che provano i protagonisti.
Purtroppo a causa di un epilogo finale che destruttura tutta la piramide di simboli, riportando alla tragedia shakespiriana, Eau Zoo non mantiene le promesse e perde gran parte della suspance e della credibilità della vicenda.
Sono molti gli elementi presi in prestito o citati all'interno del film così come anche i richiami letterari e soprattutto svariati film (DOGVILLE,THE VILLAGE,IL SIGNORE DELLE MOSCHE,LOST) che sotto diversi punti indagavano già alcuni temi presenti nella vicenda.
Eau Zoo oltre a comunicare troppo allo spettatore e troppo tardi (alcuni buchi di sceneggiatura comunque ci sono) poteva senz'altro, senza arrivare ad essere così macchinoso e per certi versi ambiguo, quell'opera sperimentale e indipendente di incredibile impatto, mentre invece diventa un'opera inconclusa che mostra fantastiche location, ha momenti piuttosto toccanti o accattivanti, complici anche scogliere pittoresche e cinematograficamente molto fotogeniche e alcune buone intuizioni di ripresa, il tutto infine rilegato da un cast credibile e da un perfetto uso del sonoro.

martedì 2 dicembre 2014

Mercuriales

Titolo: Mercuriales
Regia: Virgil Vernier
Anno: 2014
Paese: Francia
Festival: TFF 32°
Giudizio: 3/5

Les Mercuriales sono due torri molto alte alla periferia est di Parigi completate nel 1975 ed ispirate alle Torri Gemelle del World Trade Center di New York.
Mercuriales è anche un aggettivo che significa vivace, scaltro, mobile, quasi inafferrabile. Deriva dal greco Mercurio, messaggero tra gli Dei dell’Olimpo e maestro di commercio, arte oratoria e ladrocinio.

"Sei la puttana di Allah"
così una delle due protagoniste del film del "quasi" sorprendente esordio di Vernier apostrofa un ragazzo islamico durante un party che le dice di vestirsi perchè il vestito è troppo stretto e lei sembra una ragazza che la da al primo che incontra.
La ragazza è Joana e proprio nel giorno del suo compleanno scopriamo quanto è triste, depressa e quanto cerca di dare un senso alla propria vita in quelle periferie abbandonate francesi, metafore ormai di una squallida realtà sociale di fondo.
Mercuriales è uno di quei classici film francesi che sono destinati a farsi amare o odiare fin da subito per il loro modo naif di dare un senso alla realtà e alla narrazione, quasi tenendo d'occhio alcuni classici ma cercando di dare un quadro più sperimentale e autoriale alla trama.
Il plot alla fine è decisamente scarno e oltre a mostrare la scoperta e la realtà quotidiana delle due protagoniste, tratteggia solo tutto ciò che rimane come perimetro della vicenda, tornando solo in alcuni momenti a cercare di mantenere un filo conduttore come con il ragazzo di colore all'inizio del film e la sua lenta "scalata sociale".
Sicuramente ci sono alcuni ottimi elementi all'interno del film (il cast, la partenza in 16mm, alcune interessanti location, una buona musica elettronica, l'idea del complesso Les Mercuriales come torri gemelle in una zona popolare simbolo del consumismo, della globalizzazione e del trasformismo) ma il problema, dopo il primo atto, è proprio la strada da prendere che sembra sfuggire.
Se le storie che si intrecciano nel film sono tre, soltanto le ultime due di Joana e Lisa vengono caratterizzate a differenza della sorvegliante su cui viene detto ben poco.
In più la bellezza e l'amicizia delle due bellissime protagoniste sembra abbandonare dopo il secondo atto, una linea d'arrivo, e rimane un sottofondo in cui sta succedendo qualcosa di strano all'Europa e che vede le due ragazze quasi come due sopravvissute in una periferia lugubre e affascinante.
E' così Mercurio influenza l’andamento dei personaggi, ed essendo un pianeta diventa quindi anche un elemento chimico e una splendida metafora simbolica come riferimento mitologico legato al dio del commercio.
Vernier è in gamba ma dovrebbe concentrarsi meno sugli aspetti stilistici e provocatori e insistere un pò di più sulla storia.

lunedì 17 novembre 2014

Maze Runner

Titolo: Maze Runner
Regia: Wes Ball
Anno: 2014
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Thomas, senza ancora sapere o ricordare di chiamarsi così, si ritrova intrappolato in un ascensore che sale verso l'alto per arrivare alla Radura. Lì incontra altri ragazzi che come lui non ricordano nulla del proprio passato e che hanno fondato una piccola comunità con le sue regole. La numero 1 dice che non si può uscire dalla Radura: intorno ad essa si snoda il Labirinto, popolato dai letali Dolenti, a cui nessuno è mai sopravvissuto.

Maze Runner se non fosse per il finale che lascia più interrogativi che risposte, aprendo le porte a trilogie o vari sequel, conferma il successo degli universi distopici adolescenziali, avendo dalla sua un impianto quasi del tutto originale, un dramma avvincente se così possiamo definirlo, degli attori che per quanto bellocci, cercano di dare realisticità al dramma e una buonissima messa in scena unita ad un interessante intreccio che nelle citazioni e le rielaborazioni di vecchi cult, trova la sua contaminazione meglio riuscita.
Le noti dolenti sono come sempre quelle riguardanti il pathos e alcune spinte sul sentimentalismo becero, come la figura della ragazza e il ciccione, vittima sacrificale, che muore nel finale.
Tuttavia Ball, classe '85, al suo secondo film e che lo vede già al timone del sequel, cerca di fare del suo meglio, unendo la c.g all'importanza doverosa della narrazione, creando alla fine un buon film d'avventura che non cade mai nella retorica troppo ruffiana e che non esagera nemmeno con gli effetti speciali, riuscendo infine a creare un bel miscuglio che nella matassa dei film di genere new-tee o young adult, vanta di poter essere probabilmente il migliore.
Ovviamente a differenza dei grandi classici MAZE RUNNER è tratto dal primo romanzo della saga di successo scritta da James Dashner , che come molti sfrutta il fenomeno letterario (almeno i fanciulli leggono) iniziato dalla babbana Rowling.