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lunedì 27 luglio 2020

Odio l'estate


Titolo: Odio l'estate
Regia: Massimo Venier
Anno: 2020
Paese: Italia
Giudizio: 3/5

Le famiglie di Aldo, Giovanni e Giacomo, che non si conoscono e sono molto diverse tra loro, partono per una vacanza in Puglia e si ritrovano, a causa di un disguido, a dover condividere l'abitazione

Forse non sarà l'ultimo film ma di sicuro è decisamente il migliore di questi ultimi anni.
IL RICCO, IL POVERO E IL MAGGIORDOMO non si poteva vedere, Fuga da Reuma Park sembra quasi uno sketch che non un film vero e proprio, per non parlare di COSMO SUL COMO' e LA BANDA DEI BABBI NATALI.
Le prime commedie forse perchè più cinematografiche che teatrali annoiavano meno ma erano un compendio di clichè e stereotipi troppo romantici e fati apposta per accomodare e mettere tutti d'accordo.
Qui ritorna al timone Venier e il film sembra mischiare dramma famigliare, convivenza forzata, disastri matrimoniali e figli non così perfetti come ci si potrebbe aspettare.
Ci sono a mio avviso dei tocchi di apertura mentale in più come i figli delle due famiglie diverse che hanno rapporti sessuali, le tre mogli da sole che fumano una canna e si fanno il bagno nude, elementi questi che portano in tutti i sensi ad essere meno appannati e chiusi ma invece ridendo di situazioni tragicomiche molto reali e spontanee. In più è uno sguardo al passato dove ritorna la partita in spiaggia, il trio racconta in scenette e momenti esilaranti la loro storica amicizia.
E'un ritorno in grande stile gettando un occhio ai drammi post contemporanei come un'attività di famiglia che chiude, una moglie frustrata che getta tutto sul marito, un figlio sempre attaccato all'IPad, una società in cui le regole sono inesplicabilmente a volte ferree e solo a volte flessibili.
Vedere il trio così affiatato e che continua a invecchiare bene era il regalo più grosso che potessero fare a chi li ha amati e seguiti da sempre.

mercoledì 1 luglio 2020

Lesbian vampire killers


Titolo: Lesbian vampire killers
Regia: Phil Claydon
Anno: 2009
Paese: Gran Bretagna
Giudizio: 3/5

Mentre tutte le donne della ridente cittadina di campagna Welsh vengono morse e rese schiave da un manipolo di vampire lesbiche risvegliate grazie ad un'antica maledizione, la popolazione maschile congiunge le proprie speranza in una coppia di due giovani smidollati, inviati come sacrificio nella brughiera.

Gli inglesi e le parodie di solito vanno sempre a braccetto. Lesbian vampire killers dal titolo molto accattivante cerca di infilare in un cocktail di sangue svariati ingredienti vampiri, lesbismo, satira, ultra gnocche, paesino sconosciuto e pieno di bifolchi e giovani protagonisti ingrifati che fuggono dalla realtà scegliendo il paesino in questione dove troveranno di tutto in pub affollati da redneck e cacciatori di vampiri con figlie vergini.
Il film in sè ha un buon ritmo, non si avvale di una storia corposa dove a metà del secondo atto diventa un film d'azione/horror tra combattimenti, preti che inseguono leggende millenarie e streghe che cercano di tornare in vita grazie alle loro adepte per conquistare il mondo.
Insomma un bel troiaio che però riesce a divertire e intrattenere senza nulla di originale ma dosando con astuzia un budget di certo non oneroso e l'idea di non prendersi mai davvero sul serio.



venerdì 27 marzo 2020

Jojo Rabbit


Titolo: Jojo Rabbit
Regia: Taika Waititi
Anno: 2019
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Nella Germania del 1945, Johannes Betzler detto “Jojo” ha dieci anni ed è un fanatico nazista, al punto di avere come amico immaginario e consigliere Adolf Hitler. Con il padre apparentemente disperso al fronte, vive solo con la madre, attiva nella resistenza. Le sue convinzioni, infatti, gradualmente muteranno, attraverso il classico “coming of age”, quando scopre che la madre nasconde in casa Elsa, una ragazza ebrea.

Jojo Rabbit è un film molto furbo e diciamolo subito, una marchetta perfetta per uno dei registi e autori più furbi della nuova Hollywood che però in fin dei conti pensava di brillare agli Oscar quando così per fortuna non è stato. Taika Waititi lo seguo dai suoi esordi e con quel mockumentary di What we do in the shadows mi ero divertito davvero molto e facevo il tifo per lui. E’un abile scrittore da commedie scanzonate, uno a cui la battuta riesce bene ed è abile a districarsi coi generi. Quello che l’ha fatto diventare un mestierante è stato il suo ingresso alla Disney/Marvel con il tremendo Thor-Ragnarok quando invece l’anno prima a briglie sciolte aveva diretto l’amabile Hunt for the Wilderpeople.
Jojo Rabbit tratta una materia che passa di default nel filone (deve essere visto e non si può attaccare per nessun motivo) è scritto in maniera discreta, cerca di fare una summa che non era mai stata fatta, ironia e olocausto, fuga dal mondo dei sogni e nazismo, coming of age e storia d’amore, condendo tutto con una messa in scena perfetta, una galleria di attori estremamente funzionale e un ritmo che riesce ad alternare abilmente dramma e azione, comicità e tragedia. Un film di opposti però sapientemente bilanciati, un film che sembra fatto e pensato per accrescere il successo di un autore che ormai nel giro di pochi anni è diventato potentissimo e continuerà ad esserlo, un film che strizza l’occhio agli Academy e agli Oscar ma che di fatto si è portato via solo una statuetta e tanti, tanti sentimenti e qualche lacrimuccia facile.
Jojo Rabbit è un film che è stato pubblicizzato troppo, che ha voluto far parlare tanto di sé con il risultato che al botteghino è andato bene ma allo stesso tempo conferma come Waititi secondo me dia il suo meglio nell’indie, nell’autorialità profonda dove non sono le maestranze a dettar legge o la produzione.

lunedì 23 marzo 2020

Au poste


Titolo: Au poste
Regia: Quentin Dupieux
Anno: 2018
Paese: Francia
Giudizio: 3/5

Un uomo viene convocato in un commissariato per spiegare la sua posizione dopo il ritrovamento di un cadavere di fronte alla sua abitazione.

Più vado avanti a scoprire le sue opere e più mi rendo conto che Quentin Dupieux aka Mr.Oizo di cui al momento mi manca solo Steak è un regista inclassificabile, il che è un bene visto il talento, il continuo viaggiare nei generi, spiazzando continuamente lo spettatore e regalando quel non-sense, quel realismo assurdo, un horror grottesco come è capitato per Daim che se penso ad alcune scene ancora mi viene da ridere. Ormai non si può più discutere il talento e la follia dell’autore francese.
Dopo alcune incursioni americane, comunque interessanti dal momento che ha sempre avuto carta libera, qui siamo nel teatro da salotto, nella commedia dell’assurdo, un Kafka ribaltato, un palcoscenico di vita che nel climax finale viene solo voglia di alzarsi e applaudire o mandare a stendere il regista.
Tutto giocato su una sceneggiatura scritta dallo stesso autore e affidata al talento di due attori che non hanno bisogno di presentazioni. Quello che ne esce ha il sapore di un talento nel saper scrivere i dialoghi e nell’approfondire gli aspetti più sconclusionati della quotidianità, dare valore a momenti che non sembrano avere nessun significato. Au poste è meno anarchico e demenziale rispetto ad alcuni dei suoi film precedenti, cercando e provando a mettere in discussione il principio di causa ed effetto capovolgendo sempre il piano del significato e cambiando discorso da un momento all’altro in base all’umore del commissario e dei suoi gregari, che come spesso nel cinema di Dupieux, sono mezzi menomati e non sembrano completamente a posto.
A mezza strada tra sogno e realtà, metacinema e demenzialità qui possiamo tranquillamente parlare di un esercizio di stile che per fortuna gli è venuto bene sapendo padroneggiare ormai abilmente tecnica e soprattutto recitazione e anche direi un po’ di improvvisazione. Un divertissement puro suo e degli attori che riesce comunque a regalare in alcuni momenti e dare sfogo ad alcuni sconclusionati ragionamenti delle forze dell’ordine durante gli interrogatori.

lunedì 30 dicembre 2019

Beetlejuice-Spiritello porcello


Titolo: Beetlejuice-Spiritello porcello
Regia: Tim Burton
Anno: 1988
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Una coppia di giovani sposi muore in un incidente stradale. Tornano come fantasmi nella loro vecchia casa che però è abitata da una famiglia di cialtroni di città. Dopo aver cercato di spaventarli, i due chiamano in aiuto uno spiritello simpatico, sboccato e pasticcione, a nome Beetlejuice, che, dopo alcune difficoltà iniziali, riuscirà nell'impresa

Beetlejuice è in assoluto uno dei miei film preferiti di Burton. Inquietante, colto, maturo, con tanto horror e tante risate, con un aldilà pressochè perfetto dove tra le tante cose ci viene mostrata una burocrazia assurda come succedeva in Brazil e per finire alcune canzoni e balletti indimenticabili.
Beetlejuice poi crea e distrugge, mondo normale e mondo straordinario, una casa che sembra infestata dove all'interno c'è un plastico della stessa città in cui è ambientata la vicenda e dove all'interno dimora il demone evocato. Un gioco di scatole congeniale e sempre perfetto che riesce a dare quel taglio particolareggiato alla storia, rendendolo un film indefinibile e una prova di riuscita coniugazione di generi.
Un cult assoluto dove a conti fatti non sembra mancare proprio niente e dove anzi Burton sembra inventarsene sempre una nuova senza mai smettere di aggiungere elementi nuovi e quasi sempre solidi per la narrazione. Di fatto crea forse involontariamente una sua piccola mitologia del soprannaturale con personaggi indimenticabili, libri esoterici e soprattutto la costruzione del ruolo narrativo di spirito. Tra i ghost-movie, tra le tante etichette che il film si porta a casa, sicuramente è uno dei più ambiziosi, originali, uno dei più ben fatti e divertenti anche se come dicevo con alcune scene grottesche che rimandano molto anche ad un certo espressionismo contaminato dalla pop art del regista. Una creatività fortissima che sembrava non avere confini, un esperimento fino ad allora che non si era mai visto in una commedia, diventando un unicum nel panorama cinematografico del periodo e un’autentica lezione di scrittura cinematografica moderna


domenica 27 ottobre 2019

Toy Story 4


Titolo: Toy Story 4
Regia: John Lassetter
Anno: 2019
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Woody, Buzz e gli altri vivono sereni con Bonnie, anche se la bambina non ama Woody come lo amava Andy e lo lascia spesso nell'armadio. Woody però rimane ricco di premure verso di lei e, quando Bonnie affronta il primo giorno d'asilo, si infila nel suo zaino per farle compagnia. Finisce così per contribuire alla creazione di Forky, un giocattolo costruito dalla bambina con una forchetta/cucchiaio che però crede di essere spazzatura e vuole solo buttarsi via. Woody cerca di fargli capire l'importanza dell'amore di una bambina, ma non riesce a convincerlo prima che lui salti giù da un camper in corsa. Il cowboy si lancia allora in un'avventura per ritrovarlo, arrivando a conoscere nuovi giocattoli e a ritrovare la sua vecchia fiamma, Bo Peep.

Lassetter era il timoniere del primo capitolo della saga, uno dei film d'animazione americani più importanti del cinema che ha saputo cambiare le regole, introdotto intuizioni perfette, facendo della sua semplicità e originalità il punto di forza e infine è riuscito a creare una saga divertente, semplice, ironica, con tanti elementi e situazioni fondamentali per tutti i tipi di target dai più piccoli agli adulti.
Il quarto capitolo ormai vede una schiera di personaggi affiatati che abbiamo conosciuto nei capitoli precedenti. Il ritmo è ottimo, gli obbiettivi e la storia funzionali e interessanti.
Lo script porta fuori i giocattoli inserendo di nuovo l'ambiente esterno e facendo interagire i nostri personaggi con gli umani e la realtà che sta fuori. Per essere un film per bambini ci sono tanti piccoli pretesti e qualche libertà le maestranze se la sono presa. Parlo ad esempio per la scena in cui Bo Peep si rompe un braccio, la bambola e i suoi sgherri nel negozio d'antiquariato che vogliono strappare un circuito dal corpo di Woody, i due pupazzi della fiera con occhi rossi inquietanti che per rubare le chiavi alla vecchietta dell'emporio vogliono farla fuori, alcune battute con qualche doppio senso lasciato lì per chi è in grado di afferrarlo, la spontaneità dei bambini che a volte per un giocattolo si traduce in rifiuto o crudeltà e infine la tecnologia che impone mode nuove e oggetti tecnologicamente sempre più all'avanguardia.
Insomma in un film di 100'non manca proprio niente e ovviamente l'elemento che più spicca in assoluto sono i sentimenti, la caratterizzazione dei personaggi, il nuovo arrivato Forky semplicemente pazzesco introducendo nuovamente la crisi d'identità, Woody sempre leader, i personaggi femminili molto più forti e decisivi mentre Buzz in questo capitolo è più ritirato. I problemi per i giocattoli possono tradursi con l'essere datati, avere difetti di fabbricazione, tutto questo ovviamente fa sì che non vengano scelti dai bambini molto intransigenti.
E'un film che promuove valori, l'amicizia, l'amore, il fatto di non avere una visione manichea degli eventi e dei personaggi ma rendendoli tutti buoni con le loro difficoltà che vanno solo smussate. Il finale lascia davvero pensare che possa essere l'ultimo capitolo e se così fosse, ha scelto un modo di chiudere la saga davvero congeniale e al passo coi tempi.




Troppo forte


Titolo: Troppo forte
Regia: Carlo Verdone
Anno: 1986
Paese: Italia
Giudizio: 3/5

Oscar Pettinari fa la comparsa a Cinecittà anche se racconta di film di avventura di cui è stato il coraggioso protagonista. L'avvocato Giangiacomo Pignacorelli in Serci gli sente raccontare le sue imprese e gli propone una truffa nei confronti di un importante produttore americano. Dovrà fingere di essere investito dalla sua potente auto per poi spillargli denaro. Oscar, a cavallo della sua moto, esegue ma a investirlo è Nancy, la protagonista del film che il produttore stava per realizzare. La ragazza viene subito sostituita e si trova senza soldi ospite della trasandata abitazione periferica di Pettinari.

Al suo sesto film, Verdone abbassa leggermente i toni per una commedia molto divertente e girata molto bene grazie anche all'aiuto di Leone, ma sembra non avere quelle idee, quegli sprizzi e quell'originalità che lo aveva contraddistinto nelle opere precedenti.
Senza stare a usare di nuovo uno schema corale con più storie, il personaggio di Oscar è sempre lui, con le sue ansie e i suoi tormenti, il carattere da buono e la faccia angelica che non gli permette di essere un antagonista nel cinema come vorrebbe.
Ci sono alcune slapstick che seppur funzionano potevano essere scritte o girate meglio come quella ad esempio con Sordi. Rimangono comunque una galleria di trovate, dei soliti noti attori che ricompaiono, di alcune gag e battute coinvolgenti, la rimozione della milza dove Oscar s'è sempre vantato di aver perso durante una pericolosissima scena del film "La palude del caimano" o la natura mitomane schizofrenica del Pignacorellio o ancora la scena del flipper e l'incredibile sfida in moto col Murena.



Sacco bello


Titolo: Sacco bello
Regia: Carlo Verdone
Anno: 1980
Paese: Italia
Giudizio: 4/5

Nella notte tra il 14 e il 15 agosto a Roma. Un bulletto sta per partire con la sua "sprint" in compagnia di un amico per la Polonia, in cerca di facili congressi carnali. Un capellone in tunica bianca distribuisce volantini dei Bambini di Dio ed è catturato dal padre, esuberante comunista, che lo trascina in un consiglio di famiglia. Un timido giovanotto mammone in partenza per Ladispoli è agganciato da una bella spagnola.

Uno dei migliori film di Verdone. In parte un film manifesto per quegli anni in cui di nuovo in uno schema corale in tre storie diverse, l'autore romano riflette sul nostro paese dandone un quadro veritiero, appassionante, al passo coi tempi, estremamente ansioso e disilluso.
Tre storie e contesti completamente differenti per cercare di indagare e studiare più elementi possibili cercando sempre di vivere di contrasti per quanto concerne le scelte di tre personaggi completamente diversi: Leo il timido impacciato, Enzo il burino e Ruggero il figlio dei fiori.
La Polonia e le donne facili, gli incontri con spagnole affascinanti, comunità hippie come quella dei figli dell'amore eterno. Verdone riesce a mantenere un ritmo per tutta la pellicola incredibile dove passiamo sempre da una situazione all'altra, dove la tensione e l'atmosfera sale fino alla tragedia che in maniera pacata attraversa tutti e lascia i personaggi in balia di se stessi continuando a inseguire i loro sogni e illudersi che tutto vada bene.
Sono tutti malinconici in fondo, loro e quelli attorno, i dialoghi e le scene riescono a diventare epocali e memorabili perchè tangibili e pieni di imperfezioni, con protagonisti illusi di poter cambiare il mondo o le persone attorno a loro. Il dialogo di Ruggero, Don Alfio, il professore e Anselmo è diventato forse il più famoso del film riuscendo a sistemare più questioni e vedere gli sguardi diversi delle istituzioni e della chiesa che si affacciano sui giovani di oggi, sulle mode, le tendenze, sfuggendo dal moralismo e rimanendo invece interessati da questi cambiamenti ideologici.

Verdone ha sdoganato nel suo cinema il modello del personaggio sfigato che col passare del tempo ci si affeziona per la sfortuna, il fatto di essere esageratamente impacciato e ansioso e il suo buon cuore.

giovedì 24 ottobre 2019

Borotalco

Titolo: Borotalco
Regia: Carlo Verdone
Anno: 1982
Paese: Italia
Giudizio: 4/5

Sergio, imbranato e grigio venditore porta a porta, assume l'identità di un affascinante viveur per far colpo sulla bella Nadia. Ma a poco a poco il vortice delle menzogne sulle quali ha costruito il suo rapporto con Nadia lo porta a non riuscire a liberarsi del personaggio che millanta di essere, con tragicomiche conseguenze. Verdone sceneggia e dirige un film molto divertente, originale e costruito in maniera eccellente.

Verdone ha avuto una fase come regista, sceneggiatore e attore molto intensa, viva e brillante. Con molta astuzia e avendo avuto alcuni maestri di rara importanza, l'autore romano ha saputo tradurre molto bene l'ansia e i paradossi di questo paese, in alcuni film che rimarranno delle commedie nostalgiche importantissime e molto divertenti, per certi versi dei veri e propri cult che non tramonteranno mai, avendo sempre quell'importanza storica di farci rivivere un'epoca passata.
Un personaggio tragicomico senza essere così demenziale come lo era Fantozzi.
In questa commedia sugli equivoci, sul ritratto spensierato di una generazione che credeva ancora nella musica come forma artistica e non puramente commerciale.
Borotalco è una ricostruzione realistica dei sentimenti dei giovani di allora un po come ECCE BOMBO di Moretti, di una certa epoca poi detta, della trasformazione tecnologica, degli evasori, dei sognatori che sperano di incontrare Lucio Dalla e di molte altre situazioni e questioni nostre nazionali con il montaggio, le gag, il ritmo e i dialoghi sempre calzanti.
Un film che narra della difficile barriera tra realtà e fantasia che investe i cialtroni come il simpatico e cazzaro Manuel Fantoni (cargo battente bandiera liberiana è storia..)alle fantasie della Vandelli che come Sergio frustrati dalla normalità e da amori di poco conto, reagiscono con una fuga verso un mondo che non è il loro e non corrisponde a quello reale.

venerdì 9 agosto 2019

Scappo a casa


Titolo: Scappo a casa
Regia: Enrico Lando
Anno: 2019
Paese: Italia
Giudizio: 1/5

Michele è, per sua stessa orgogliosa definizione, "uno stronzetto viziato egoista" il cui unico obbligo è "rendersi la vita spensierata a profusione". L'uomo ha "la pretesa di decidere del suo destino: mica posso essere me stesso": infatti è un meccanico calvo e senza un soldo, ma si reinventa sui social ricco seduttore grazie ad un vistoso parrucchino e ad alcune auto di lusso prese a prestito dai clienti della sua officina, naturalmente a loro insaputa. Il suo motto è "I don't give a fuck" e si dichiara favorevole "alla disuguaglianza ingiustificabile", discriminando praticamente tutti, in particolare ne(g)ri e immigrati. Ma il destino cospira contro di lui, e un viaggio di lavoro a Budapest si trasforma da gita di piacere in incubo: Michele si ritrova senza documenti, smartphone e auto di lusso, e viene scambiato per un clandestino. Inizia così il suo calvario fra centri di respingimento più che di accoglienza e distretti di polizia programmaticamente ostili allo straniero. I suoi unici alleati saranno un medico e una bellissima donna africani che vanno in cerca di una vita migliore, invece che "spensierata a profusione".

Ormai se pensiamo alle commedie siamo sempre più allo sbaraglio capitanati da una cerchia di attori/registi/sceneggiatori che andrebbero messi in riformatorio a guardare i classici del cinema italiano.
Scappo a casa è un film inutile, difficilmente sopportabile, con un tasso di idiozia e demenza inarrivabile (certo esiste di peggio nel nostro cinema) e non arriva mai a dire nulla di valido, sostenere qualcosa che non sia banale e condito solo da stereotipi (e pure quelli più brutti).
Enrico Lando entra nella top ten dei registi italiani più immaturi che si siano mai visti nel nostro cinema, lavorando per cercare di deformare ancora di più la commedia all'italiana trasformandola in una galleria di volgarità, pretenziosità e dialoghi di indubbio gusto.
Il tema del razzismo trattato in maniera inusuale? Scappo a casa di cui si salva forse solo l'ultimo minuto che non è proprio un happy ending, lascia un comico esperto come Aldo Baglio senza collare e il risultato e un susseguirsi di situazioni e mimiche imbarazzanti che stufano dopo pochi minuti. Il resto degli attori sono squallidi a parte i figuranti di colore che almeno rimangono se stessi, ma vedere la Finocchiaro stufa e annoiata probabilmente per l'inconsistenza del suo ruolo non è che la ciliegina sulla torta di un film che si trascina sforzandosi solo di avere un montaggio a tratti adeguato.
La parte migliore, se ne possiamo trovare una, è certamente il primo atto dove scopriamo gli eccessi, le nuove mode, gli hobby, la solitudine dei social e altri elementi di certo attuali e sempre più inquietanti nella nostra società per dare monito di come siamo sempre più popolati da giovani/adulti immaturi con una scala di valori discutibili. Ancora una volta si cerca di trattare un tema importante ridicolizzandolo senza mai dargli sostanza e drammaticità. Quando si cerca di mettere una toppa lo si fa con qualche momento sdolcinato dove i buoni sentimenti cercano di sopraffare lo spettatore, il quale ormai dovrebbe essere stanco di questi trucchetti da quattro soldi.

Addio fottutissimi musi verdi


Titolo: Addio fottutissimi musi verdi
Regia: Francesco Capaldo
Anno: 2017
Paese: Italia
Giudizio: 2/5

Ciro è un grafico che non riesce a trovare impiego stabile e ospita spesso in casa gli amici Fabio e Matilda, i quali litigano così costantemente che Ciro non riesce a dichiarare a Matilda i suoi sentimenti, nemmeno mentre lei sta per partire per l'estero in cerca di fortuna. Ciro è inoltre il dirimpettaio di sua madre, che lo controlla dalla finestra di fronte e lo rifornisce di manicaretti perché non diventi "sciupato". Tutto cambia quando, per accontentare Fabio, manda il curriculum a un sito che promette di diffonderlo nello spazio. La notte stessa viene rapito dagli alieni e, superato lo shock iniziale, scopre che questi hanno davvero bisogno di un grafico. Gli extraterrestri hanno però anche una ragione più sinistra per stazione così in prossimità al nostro pianeta...

Il cinema si sà è una forma d'arte complessa, diversa dai video virali su youtube o sul web.
Spesso chi si inoltra in questo impervio cammino si trova a dover fare i conti con una materia e una sostanza che devono intrattenere per un lungo arco di tempo cercando coerenza e originalità.
Pur trovando esagerato il successo dei the jackal, il film è davvero una commedia di indubbio gusto inguardabile, sfiancante e priva di ritmo, idee e originalità.
Continue allusioni che non portano da nessuna parte rimanendo dei non detti che servono solo a prendere tempo, battute vecchie e riciclate, citazioni a profusione ma di quelle brutte, effetti speciali esagerati e una recitazione che porta tutti sopra le righe.
Dispiace veder rovinato così l'esordio di un gruppo di youtuber, un film gonfio di aspettative che sul pressbok veniva definito “la carica surreale e lo spirito dissacrante del gruppo creativo”, quando non solo non si ride ma la noia si deposita e si dipana troppo presto nello spettatore che si aspettava almeno qualcosa che non fosse una lunga galleria di stereotipi, auto citazioni, e un Ciro Capriello davvero inguardabile e fastidioso con tutte quelle sue smorfiette che reggono per la durata di un paio di minuti. Speriamo che operazioni di questo tipo non si vedano più, dando soldi e possibilità a coloro che fanno cinema e non intrattenimento spiccio sul web.

sabato 8 giugno 2019

Morte ti fa bella


Titolo: Morte ti fa bella
Regia: Robert Zemeckis
Anno: 1992
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

A Beverly Hills, due donne si combattono da tempo: Madeline Ashton, stella del musical, ed Hellen Sharp, scrittrice di successo. Sono ormai non più giovani e creme e belletti rientrano nell'uso quotidiano per sconfiggere il processo d'invecchiamento. Madeline è abituata a portar via gli uomini alla rivale e l'ultimo ad essere stato circuito è Ernest Menville, un medico specializzato in chirurgia plastica, che ha sposato. Non basta, però: le due donne vogliono l'eterna giovinezza e fanno ricorso alla misteriosa pozione della celebre maga Lisle. Il dottor Ernest, già frastornato dall'aggressività di sua moglie, si ritrova costretto a ingurgitare la pozione per poter curare per sempre le due donne, per una volta alleate. Il medico però si ribella e, insultato, scompare per rifarsi una vita, vivere una vita normale: fare dei figli e poi invecchiare senza ambizioni di vita eterna. Molti anni dopo la sua morte sarà l'inizio della fine per le due donne...

Zemeckis è stato un importante regista americano che al di là di aver diretto una trilogia diventata cult, si è sempre interessato al cinema a 360° dirigendo tra i progetti più diversi e disparati.
Come tutti i grandi registi e autori, nel suo capello magico alcune opere sono state possiamo definirle minori, progetti incauti che non hanno saputo mordere a dovere (CONTACT, FORREST GUMP, VERITA' NASCOSTE, POLAR EXPRESS, A CHRISTMAS CAROL, WALK, FLIGHT).
Il film in questone del 1992 invece è ancora oggi una delle commedie grottesche più ispirate e divertenti di quel periodo. Zemeckis qui dimostra con una macabra commedia satirica la sua vena più funzionale, insieme a quella ironica, dove non la smette mai provocare la scienza arrivando a costruire tesi sinoniche con quel periodo, arrivando a costruire la sua metafora più matura e complessa scritta con l'ausilio dei sempre presenti Martin Donovan e David Koepp (che per il cinema scrivevano tutto e di tutto)
L'idea di poter diventare immortali.
Il processo di invecchiamento corporeo in relazione inversa ai ricordi della giovinezza perduta era materia già trattata da diversi registi ai tempi di Zemeckis trattandoli in chiave sci fi come Gilliam in BRAZIL. Qui quasi tutta l'azione come un dramma da camera è concentrato in una villa con atmosfere gotiche ed evidenti rimandi alla letteratura e filmografia horror.
Dalla seconda parte anche se seminato da elementi narrativi sparsi nel primo atto, c'è tutta quella critica alla vanità del mondo delle star, ossessionato dalla conservazione del corpo e dalle icone dello star system. Il desiderio di cercare di aderire a una immagine interiore che si discosta da quella esteriore, mentre si scoprono le prime rughe e la chirurgia estetica prova a riempire vuoti che sono solo mancanze di autostima e di affetto vengono prese alla lettera e il gioco al massacro tra le due protagoniste ai danni dell'unico maschio inutile e succubo diventa tutt'altro che scontato.

lunedì 3 giugno 2019

Yattaman


Titolo: Yattaman
Regia: Miike Takashi
Anno: 2009
Paese: Giappone
Giudizio: 4/5

Yattaman 1 e Yattaman 2, quando non sono in officina a fabbricare Mecha come il prodigioso Yatta Can, sono in giro a salvare il mondo dalle mire malvagie dei servitori di Dokrobei, la bellissima Miss Dronio e i suoi due lacché, Boyakki e Tonzula. In ballo c'è il ritrovamento della Pietra Dokrostone, capace di regalare un potere immenso al suo possessore: nelle mani sbagliate comporterebbe la fine del mondo così come lo conosciamo.

Yattaman è stato un progetto ambizioso e complesso che ci ha messo tre anni prima di venire alla luce. Parlando del maestro e di come riesca a ritagliarsi una sua idea e politica di cinema in qualsiasi genere in cui graviti è una prerogativa e una peculiarità che hanno solo lui ed altri folli colleghi come Sion Sono e Tsukamoto solo per fare due nomi, ma per fortuna almeno in Oriente la lista è lunga.
Riuscire a dare vita ad un live action originale senza perdere la visionarietà, ma anzi allargandola e adattandola ad un target diverso e senza farla diventare una pattumiera trash come ultimamente è successo per Tiger Mask non era semplice.
Si ride, l'azione è folle e mai macchinosa, i personaggi sono caricature al limite rendendo spassosi i dialoghi e le slapsticks. I combattimenti poi e gli inseguimenti sono curati molto bene, riuscendo a cercare di essere all'altezza senza mai sfociare nel ridicolo e infine la fruizione e come sempre relegata ad un target che unisce bambini e adulti.
Yattaman proprio per gli argomenti di cui tratta, un cartone animato, pareva un'operazione folle.
Ed è proprio in progetti come questi che si vede l'autorialità e l'esperienza. Sembra più facile girare un kolossal ad ampio budget dove le regole da aderire sono sempre le stesse, piuttosto che mettere mano su, ripeto, un'operazione folle come il film in questione.
Miike ancora una volta ci è riuscito alla faccia di tutti gli apocalittici e i critici che aspettano un passo falso dell'outsider nipponico. Ancora una volta chapeau!



Queen Kong


Titolo: Queen Kong
Regia: Frank Agrama
Anno: 1976
Paese: Gran Bretagna
Giudizio: 2/5

La regista Luce Habit scova a Londra il tipo adatto per terminare il film che sta realizzando in esterni nella giungla di un'isola tropicale. Il ragazzo si chiama Ray Fay; è un hippie, non sa nulla di recitazione ma ha la faccia adatta per interpretare una storia di avventure: il problema è che lo trovano adatto, ma per ben altri scopi, anche le donne di una tribù di amazzoni che sono solite sacrificare gli uomini alla loro divinità Queen Kong. Le selvagge rapiscono il giovanotto, lo depongono su un altare e lasciano che la misteriosa divinità ne faccia quello che crede. Ma Queen Kong, che è una super-gorilla femmina, apprezza i bei lineamenti del giovane e, invece di mangiarlo, se ne innamora. Luce Habit, derubata del primo attore, non rimane con le mani in mano e, organizzata una spedizione, libera il ragazzo, cattura la gigantessa e la trasporta a Londra accarezzando l'idea di ricavarne grande pubblicità.

Queen Kong è una brutta parodia di KING KONG che solo in alcuni momenti riesce a strappare una risata. Frank Agrama non è stato un regista proprio brillante arrivando all'attivo con due film e svolgendo più che altro un ruolo da mestierante per le major.
Siamo dalle parti del cinema di genere che tanto piaceva a Dino De Laurentis quando scommetteva su delle vere e proprie sfide arrivando e contribuendo a cult immortali come Barbarella e arrivando a puntare sulla distribuzione di questo rifacimento "serio" del classico di Ernest B. Schoedsach, a differenza di altri esperimenti in chiave erotica come QUEEN KONG di Monica Strambini con la Nappi o SUPER KONG.
Il film è di una banalità e semplicità sconcertante dove il budget semi inesistente porta a soluzioni campate in aria e improvvise soluzioni di macchina che soprattutto nel taglio e nel montaggio appaiono piuttosto evidenti.




lunedì 22 aprile 2019

Shazam


Titolo: Shazam
Regia: David F.Sandberg
Anno: 2019
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Thaddeus è un bambino trattato con freddezza dal fratello maggiore e dal padre, finché non si ritrova improvvisamente in una caverna di fronte all'antico mago Shazam, che lo mette alla prova. Si fa però tentare da sinistre presenze e fallisce il suo test, così continuerà a vivere ossessionato dall'occasione che ha perduto. Dagli anni 80 si arriva ai giorni nostri, quando Thaddeus finalmente riesce a ottenere terribili poteri, ma il mago a sua volta trova un giovane a cui donare straordinarie capacità. Quando questi dice Shazam acquisisce infatti la saggezza di Salomone, la forza di Hercules, la resistenza di Atlante, il potere di Zeus, il coraggio di Achille e la velocità di Mercurio.

Era da tempo che un film Dc non mi divertiva. I film dei super eroi quando non cercano di prendersi troppo sul serio come ultimamente sta succedendo devono assolvere questo compito, divertire. Shazam è il migliore film della Dc degli ultimi anni, decisamente superiore a tanti goffi tentativi di spolverare una casata che stava soccombendo sotto il peso titanico della Marvel.
Wonder Woman e Aquaman non valgono la metà del film di Sandberg.
La Dc ha forse capito che togliendo lo scettro del potere a Snyder si è accorta di quanti sceneggiatori in gamba, colti e straordinariamente nerd esistevano in circolazione.
Shazam deve tutto al suo saper sposare un'ironia travolgente e tantissima azione.
Dura 132 minuti e non pesa. Il protagonista deve tenere per tutto il film una smorfia da bambino e funziona, così come funziona il suo approccio ai super poteri (cerca di divertirsi e ne combina delle belle come accadeva tempo addietro a Peter Parker). Poi attenzione quando si pensa che sia solo per ragazzi. Gli sceneggiatori, abili ancora una volta, mettono in scena alcuni elementi non da poco
(il villain uccide prima il fratello e poi il padre) la violenza non manca e i dialoghi sono irriverenti, sboccati e ironici, con tante parolacce ma cercando di essere meno volgari di un Deadpool qualunque.
Sandberg arriva dall'horror e si vede proprio nelle scene più tetre e buie del film. Non mancano citazioni a profusione, evito di spoilerarle, ma alcune sono davvero succulente.
Si potrebbe quasi girare una soap opera sulle peripezie giuridiche che hanno imperversato su questo progetto infatti tratta uno storico personaggio a fumetti nato per la Fawcett Comics nel 1939 con il nome di Capitan Marvel e poi passato alla DC Comics, dove ha perso il nome originario che è finito alla Marvel Comics. Nel film non si contano le battute sul nome da supereroe di Billy una volta trasformatosi, senza che si arrivi mai a chiamarlo Capitan Marvel. Basta essere dei nerd come il sottoscritto per ricordarsi le battaglie del secolo Marvel vs Dc (che non è detto che non vedremo in futuro) per non ricordarsi l'epico scontro tra Thor vs Capitan Marvel.



Lenny to the nines


Titolo: Lenny to the nines
Regia: Jeremy Puffet
Anno: 2018
Paese: Belgio
Festival: Torino Underground Cinefest
Giudizio: 3/5

Quando lungo il suo cammino Lenny incrocia qualcuno vestito con una divisa o un costume, viene sopraffatto da un desiderio irresistibile di urinare, ma vi è una pulsione ancora più grande e più difficile da reprimere: la necessità di appropriarsi dell’identità delle persone incontrate.

Con 15.000 di budget, Puffet tira fuori questo viaggio on the road con un ritmo incredibile.
Lenny qualsiasi cosa incrocia, madre/figlia, commesse, poliziotti o altro, ha questa profonda ossessione compulsiva di dover entrare nel personaggio, scappando subito dopo aver pisciato per far perdere le tracce (la scena con la divisa da poliziotto le batte tutte).
Con una fotografia coloratissima, un montaggio scoppiettante e tanta ironia grottesca, lasciando da parte il non sense, in 16 minuti non sembra mancare davvero nulla fino ad un finale esplosivo che non poteva che chiudere nell'unico modo possibile una vicenda destinata ad arrestare il giovane biondo protagonista nella sua corsa contro il tempo.

sabato 20 aprile 2019

Father's day


Titolo: Father's day
Regia: Adam Brooks, Jeremy Gillespie
Anno: 2011
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Ahab è ossessionato dalla vendetta, violenta, brutale e indomabile vendetta nei confronti dell'uomo che ha ucciso suo padre. A dargli una mano arriva John, un prete e Twink. Insieme partono per un'epica avventura per trovare questo mostro, Chris Funchman, noto anche come il Killer della Festa del Papà.

Gillespie. Ricordatevi questo nome. Per me era stato già in passato un talento e una sicurezza.
Poi sono arrivate tante cose un po della Troma e altri horror indipendenti notevoli per arrivare poi al top Void, uno degli horror migliori degli ultimi dieci anni.
Si fa tanto il nome di Adam Brook ma il suo contributo rispetto a quello del collega non vale il paragone.
Father's day è tanto Troma, è tanto trash, weird, grottesco, volgare, fratelli che scopano le sorelle e altri elementi che i fan di un certo tipo di cinema ma soprattutto di genere apprezzeranno.
Si ride tantissimo e di gusto. Astron-6, lo scrittore e regista di Father's Day , è in realtà un nome composito di cinque diversi ragazzi, che probabilmente sono cresciuti affittando quei nastri Troma, e sembra che abbiano cercato di assimilare ogni ispirazione che hanno mai avuto da loro in un film.
Qui si parte da un trauma, dal famigerato serial killer Chris Fuchman (sì, pronunciato "Fuck-Man"), che ha ucciso padri per qualcosa come trent'anni nei modi più efferati possibili (alcuni omicidi citano il nostro cinema neo gotico italiano) con un mascherone di gomma tremendo e tutta una serie di accessori che forse non vedrete in nessun altro film.
Father's Day fagocita tutto, motrando senza pudore e senza remore tutto quello che la censura vorrebbe toglierci ma che invece per gli autori della Troma sono diventati il leitmotiv del loro modo di fare cinema. La festa del papà ha l'unico scopo di intrattenere con rimandi a tanto cinema e citazioni (Ahab è la variante scemotta di Plissken) alcune delle quali davvero disgustose.



giovedì 11 aprile 2019

Dirty Shame


Titolo: Dirty Shame
Regia: John Waters
Anno: 2004
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Sylvia è una donna di mezza età, sposata e totalmente assorbita dalle faccende di casa, che si nega alle gioie del sesso. L'incontro con Ray-Ray Perkins muterà radicalmente la sua apertura nei confronti della carnalità.

John Waters è uno dei registi che mi ha regalato più sensazioni e adrenalina per quanto concerne la settima arte. Facente parte della vecchia scuola, diciamo che lui, l'esercito della Troma e pochi altri registi hanno saputo essere così sfacciatamente in grado di regalare tutto ciò per cui il pubblico adora il trash. Quando da noi si parlava o aveva successo la commedia scollacciata, che non ho mai amato, non facevo che prendere le distanze per appiopparmi quelle che considero le vere commedie scollacciate dove tette, sesso e tutto il resto diventano le vere protagoniste distruggendo ogni tabù e puritanesimo e facendo incetta di eccessi e contraddizioni.
Un film divertentissimo, con un ritmo straordinario e un cast al suo meglio nel non prendersi sul serio e nel cercare pur esagerandone i toni e le maniere di continuare una battaglia che in quasi tutto il suo cinema diventa una regola e una missione, ovvero la battaglia tra puritani e sessuomani, metafora di una società che Waters da questo punto di vista ha sempre definito preistorica e dove la religione ha sempre assunto un ruolo decisivo.
Spesso la critica maggiore mossa all'autore è quella di essere esagerato nelle scelte e nella messa in scena, ma d'altronde in un paese che pone il massimo divieto, come la censura americana, il fatto che Waters sia tornato alla sua vena più dissacratoria con un'insistenza esplicita che da tempo mancava non può che aumentare e di nuovo provocare la sua idea di cinema in un America sempre più bigotta, conservatrice e moralista.


lunedì 11 marzo 2019

Sun of a beach


Titolo: Sun of a beach
Regia: AA,VV
Anno: 2013
Paese: Francia
Giudizio: 4/5

Una delle più belle metafore sul riscaldamento globale.
Una spiaggia, un gruppo disomogeneo di persone e il sole che stermina tutti.
Semplice ed essenziale come i corti dovrebbero essere.
In sei minuti il team di registi e tecnici con un animazione marginale, riescono a cogliere l'obbiettivo riuscendo a regalare come dicevo una buona metafora ambientalista, azione, horror e ironia.
Famiglie e ombrelloni nonchè silicone dei seni. Tutto si scioglie. Persino i muscoli finti dei palestrati e così via..
Quando il sole scende, tutto prende fuoco e la via di scampo non sembra nemmeno essere il mare..

Chillerama



Titolo: Chillerama
Regia: AA,VV
Anno: 2011
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Anche l’ultimo drive-in americano sta per chiudere i battenti. Durante la serata di chiusura, milioni di coppiette parcheggiano le loro numerose auto per assistere alla maratona cinematografica di pellicole dell’orrore talmente rare da non essere mai state proiettate. Ma se, improvvisamente, un pazzo riesumasse il corpo di una sposa cadavere e rimanesse infetto trasformandosi in zombie?

Con tutto il bene che gli voglio e per tutta la libertà e il coraggio di fregarsene altamente di tutto, Chillerama anche se mi sono divertito a vederlo, mi ha lasciato schierato tra i moderati soprattutto contando che tra i diversi episodi, nonostante il fil rouge, ci siano delle importantissime differenze.
Prima di tutto la standing ovation alla location. Il drive-in. Dimora incontrastata di Lansdale.
Poi c'è il virus e infine il trash e tante tette e cazzi che volano.
Detta così dovrebbe essere una sorta di droga per i fan di genere, una vera e propria antologia horror sulla scia di Creepshow 2, e almeno così appariva prima di veder modificate alcune regole e godere da parte dei registi di una totale libertà che in alcuni casi è stata provvidenziale ma in altri ha siglato un totale imbarazzo.
L'omaggio ai b movie del secolo scorso può essere una possibilità enorme per cambiare le regole dei vecchi classici.
Il migliore in assoluto è il primo, quello girato dal regista del divertentissimo 2001 maniacs
remake di TWO THOUSAND MANIACS. In questo caso l'omaggio è riferito al sotto genere dei monster movie che arrivavano come missili dal Sol Levante.
Wadzilla infatti parla brevemente di un giovane che si sottopone ad una cura per incrementare la forza del proprio sperma che, ben presto, diventerà un mostro che mangia le persone.
"Lo sperma che uccide" è una log line simpatica per un corto divertente che al di là dello stile tecnico, assolutamente senza prendersi mai sul serio, esagera senza mezzi fini per arrivare al climax finale. Infine l'ultimo episodio Zom-b- movie, una parodia di tutti gli stereotipi dei film di zombie degli anni ’70 e ‘80 non esalta, ma strappa qualche risata.
Quelli che pur avendo delle idee godibili, a mio avviso, non hanno alzato la bandierina dell'ok sono stati I was a teenager werebear, orsi omosessuali sulla scia di GREASE, RAGAZZI PERDUTI e HAPPY DAYS e The diary of Anne Frankenstein dove Hitler è il dottor Frankenstein e la Cosa è un rabbino ebreo nerboruto che uccide tutti i nazisti.