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lunedì 4 maggio 2020

Lodge


Titolo: Lodge
Regia: Severin Fiala, Veronika Franz
Anno: 2019
Paese: Gran Bretagna
Giudizio: 3/5

Richard, dopo il suicidio della moglie, decide di trascorrere le vacanze di Natale nel suo chalet di montagna con i due bambini e la nuova giovanissima compagna.

Goodnight Mommy era un esperimento interessante in cui le analogie con questo film sono davvero molte. Lodge però riesce a fare molto di più, dando risalto e spessore ad un'atmosfera soprattutto nella casa in montagna inquietante al posto giusto. Ci sono anche qui due ragazzini che devono vedersela con le reazioni di un adulta come nel precedente film. Qui però c'è la figura molto importante del padre e a fare da sfondo, soprattutto nel primo atto, una setta che ha devastato la psiche di Grace lasciandola come unica sopravvissuta dal momento che il guru era proprio suo padre.
Insomma gli ingredienti sono quelli di una fiaba post contemporanea dark con una dimensione di home invasion che è forse la parte migliore contando la connotazione psicologica alla base, le suggestioni, le allucinazioni e gli psico farmaci.
Con un incidente scatenante di forte impatto, il viaggio nel delirio a cui si apprestano a entrare i giovani componenti della famiglia, non si fa certo mancare nulla neppure le fantasie di un adolescente per una donna particolarmente seducente (guardandola nuda sotto la doccia).
Purtroppo alcune incongruenze finali lasciano qualche strafalcione nella scrittura che appariva minuziosa almeno prima del climax, lasciando alcuni dubbi sugli elementi che lo spettatore metteva in ordine per una degna risoluzione nell'atto finale.
Senza esagerare con eccessi di violenza, la qualità migliore del film è legata proprio alle mosse dei personaggi, al fatto di far entrare questa strana e inquietante presenza che comincia a far sparire elementi dalla casa lasciando enigmi e paure.

lunedì 23 marzo 2020

Hail Satan


Titolo: Hail Satan
Regia: Penny Lane
Anno: 2019
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

La controversa influenza dei satanisti sulla politica USA

Essere satanisti ai nostri giorni non significa sacrificare cose, o fare atti osceni in luogo pubblico o dover per forza provocare qualcosa nell’altro culturale. Satanisti al giorno d’oggi come si interroga l’attenta Penny Lane può voler dire semplicemente aderire ad un altro culto (che non per questo va condannato).
Siamo in un’epoca in cui il dio delle guerre è la religione e ad oggi ne contiamo qualcosa come più di 4600.
Ora che male può fare un culto che si interroga partendo dalle intuizioni di Milton e il suo profetico Paradiso Perduto sulle origini del dio della materia e del re dei disobbedienti.
In breve, il Satanic Temple o la Chiesa di Satana è un’organizzazione composta da attivisti nonteisti che, pur non credendo nell’esistenza di Satana, almeno una buona parte, prendono la figura di Lucifero come simbolo di un’eterna lotta al sistema opprimente, alla tirannia, alla sovranità arbitraria religiosa che prevede la sottomissione a Dio.
I membri del Satanic Temple si descrivono come pacifisti, convinti sostenitori dei diritti umani (come quelli della comunità LGBTQ) e del pluralismo religioso, a scapito di poche religioni che controllano il mondo.
Se è pur vero che a parte mettere da parte Jex Blackmore e tutti coloro che usano manifestazioni violente per circoscrivere il loro credo, dall’altra parte il documentario traccia alcuni dati di fatto importanti per sostenere la continuità e la fidelizzazione cristiana in America come ad esempio combattere i comunisti visti come il male maggiore in tempo di guerra, oppure sempre per i cristiani alcuni esperimenti nati con il solo obbiettivo di accrescere il numero degli adepti,  come il film i Dieci Comandamenti e altre operazioni semi-reazionarie.
Si ride, non ci si prende troppo sul serio, sentiamo buona parte dei benpensanti e scopriamo tutta la galleria di fesserie prodotte e volute dai media negli anni per avere un nemico in comune: Satana e i loro seguaci.
In realtà il più grande nemico del pensiero libero e delle donne come dimostrano i fatti e sempre stato il Cristianesimo e gli altri monoteismi.
I sette fondamentali “comandamenti” su cui si basa il Satanic Temple sono:
1-One should strive to act with compassion and empathy towards all creatures in accordance with reason.
2-The struggle for justice is an ongoing and necessary pursuit that should prevail over laws and institutions.
3-One’s body is inviolable, subject to one’s own will alone.
4-The freedoms of others should be respected, including the freedom to offend. To willfully and unjustly encroach upon the freedoms of another is to forgo your own.
5-Beliefs should conform to our best scientific understanding of the world. We should take care never to distort scientific facts to fit our beliefs.
6-People are fallible. If we make a mistake, we should do our best to rectify it and resolve any harm that may have been caused.
7-Every tenet is a guiding principle designed to inspire nobility in action and thought. The spirit of compassion, wisdom, and justice should always prevail over the written or spoken word.
Alla faccia dei 10 comandamenti cristiani!

mercoledì 22 gennaio 2020

Girl with balls


Titolo: Girl with balls
Regia: Olivier Afonso
Anno: 2018
Paese: Francia
Giudizio: 3/5

Dopo aver vinto una competizione, una squadra di pallavolo femminile sta tornando a casa a bordo di un minibus quando l'autista è costretto da un guasto a una deviazione, finendo nel territorio di caccia di un gruppo di degenerati. Ben presto, le ragazze dovranno lottare per salvare le loro vite e per testare il loro spirito di gruppo.

Quando ho scoperto che il villain di turno era Denis Lavant non ho potuto sottrarmi dall'ennesimo survival movie, una caccia spietata tra bifolchi cannibali assetati di sangue incappucciati aderenti ad un strana setta pagana e una squadra di pallavolo.
Girls with balls è un horror divertente che aggiunge poco al genere, tratta una storia più che abusata ma lo fa senza prendersi troppo sul serio e regalando scene d'azione, torture porn e ironia a gogò. Un film d'intrattenimento curato in vari aspetti con un cast dove lo stesso Lavant per quanto sia spettacolare, si ritrova a dover fare i conti con un personaggio per nulla caratterizzato a dovere come un po lo sono tutti i personaggi del film in particolare le final girls.
C'è la mattanza finale, scene splatter e slasher, tutti ma proprio tutti i clichè di genere, la caratterizzazione che come spiegavo prima è così lacunosa che non permette di empatizzare mai per nessuno, diventando mai credibile e di fatto non facendo nemmeno mai paura perchè tutto sa di gioco al massacro con il twist finale abbastanza scontato e banale.
Il film di Afonso decide di non prendersi mai sul serio giocando con gli stereotipi e promuovendo una visione divertente senza far mancare nulla nel panorama di genere spesso come in questo caso scontato e prevedibile ma allo stesso tempo ingenuo e divertente.



Them that follow


Titolo: Them that follow
Regia: Britt Poulton, Dan Madison Savage
Anno: 2019
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Immerso nelle terre selvagge degli Appalachi, dove i credenti uccidono i serpenti per mettersi alla prova davanti a Dio, il film racconta la storia della figlia di un pastore che detiene un segreto che minaccia di distruggere la sua comunità

Quando sento parlare di piccole comunità nascoste, di pastori, di credenze e rituali particolari quanto assurdi, immediatamente come una calamita ne vengo attratto.
Nell'esordio della coppia di registi ci sono poi due attori che meritano una menzione speciale.
Walton Goggins nel ruolo del pastore che seppur prendendo parte a film tremendi rimane un ottimo caratterista e poi lei Olivia Colman che non merita nemmeno presentazioni, trattandosi di una dea.
E bisogna subito ammettere che se non fosse stato per queste interessanti performance, il film sarebbe sprofondato ancora più in basso. Ci sono delle parti molto affascinanti soprattutto durante il rituale con i serpenti, strumenti del diavolo che decidono loro se punire o meno il fedele, mostrando così la propria prova di fede nei confronti della confraternita.
Un thriller drammatico con una difficile storia d'amore, con un segreto che non riesce a rimanere nascosto, dipanandosi e costruendo tutta una galleria di complici e non detti che porteranno ovviamente alla tragedia nel climax finale.
Un film che ha un difetto enorme legato al ritmo, alla narrazione, ai tempi troppo lunghi, ad alcune scene o schemi ripetuti. Una comunità che sembra avere diversi punti in comune con i Testimoni di Geova, staccandosi dalle regole comuni, sfidando la legge, decidendo che sia il corpo umano come prova di fede a sopravvivere dopo il morso del serpente senza andare in ospedale o scegliendo la medicina tradizionale. Un'ambientazione comunque post-moderna nella scenografia, nelle case, costumi, auto, che però allo stesso tempo sembra avere qualche analogia complessa le linee di sangue dei mormoni.
La coppia di registi sceglie di criticare apertamente il fanatismo religioso e una certa cultura patriarcale senza avere guizzi o colpi di scena d'affetto ma rimanendo sempre attento a non uscire fuori dai binari creando soprattutto dalla metà del secondo atto, un'atmosfera vagamente ipnotica che sembra trascinare tutti i membri della comunità verso un pozzo senza fondo.

domenica 15 dicembre 2019

Io c'è


Titolo: Io c'è
Regia: Alessandro Aronadio
Anno: 2018
Paese: Italia
Giudizio: 2/5

Massimo Alberti è il proprietario del “Miracolo Italiano”, bed and breakfast un tempo di lusso ridotto ormai ad una fatiscente palazzina. La crisi che ha messo in ginocchio l’attività sembra non aver scalfito i suoi dirimpettai, un convento gestito da suore sempre pieno di turisti a cui le pie donne offrono rifugio in cambio di una spontanea donazione. Esentasse. Ecco l’illuminazione di cui Massimo aveva bisogno: se vuole sopravvivere deve trasformare il “Miracolo Italiano” in luogo di culto. Ma per farlo deve prima fondare una sua religione. È la genesi dello “Ionismo”, la prima fede che non mette Dio al centro dell’universo, ma l’Io. Ad accompagnare Massimo nella sua missione verso l’assoluzione da tasse e contributi la sorella Adriana, inquadrata commercialista, e Marco, scrittore senza lettori e ideologo perfetto del nuovo credo. Preparatevi a essere convertiti!

Io c'è è una commedia a tratti divertente, soprattutto nel primo atto dove riesce a dimostrare i contenuti migliori, abile nel saper trattare un argomento di solito abbastanza tabò per il cinema italiano, ma argomentandolo sui soliti clichè che lasciano purtroppo quel solito clima scanzonato da commedia all'italiana senza mai provare a osare quel qualcosa in più.
Il cast vede sempre i soliti noti, i quali cercano di dare man forte in un film spigliato con un buon ritmo e una decorosa messa in scena. Lo Ionismo, iper-moderno come qualsiasi altro culto che potevano scegliere si dimostra al passo coi tempi provando a lanciare una frecciatina alle religioni e al fatto che siano esen tasse, Imu e tutto il resto (almeno quelle note).
Il film finisce lì, diventando poi una storia d'amore, un siparietto con le solite scene che possiamo mettere a confronto in tutte le commedie recenti all'italiana, cambiando gli intenti dei protagonisti che si addolciscono, raggruppando in un assemblea tutti i disperati clochard e alte ingenuità di questo tipo senza peraltro aggiungere o insistere sulla critica.
La stessa religione si rivela molto meno simile ad un culto della personalità che ad un'assunzione individuale di responsabilità e un'accettazione delle proprie circostanze, d'altronde è un espediente travestita da una folla di fedeli che possa garantire lo sgravo finanziario alla struttura che ne ospita il ministero, ovvero il Bad&Breakfast romano di cui è proprietario Massimo Alberti.

lunedì 21 ottobre 2019

Golem

Titolo: Golem
Regia: Paz brothers
Anno: 2018
Paese: Israele
Giudizio: 3/5

In una piccola comunità ebrea del diciassettesimo secolo, una donna crea una spaventosa creatura per difendere il villaggio da un'ostica minaccia.

Film sul Golem ne sono stati fatti tanti nel corso degli anni. Quest'ultima rivisitazione andava quindi fatta? Sì. Perchè il film in questione rivisita la storia, la riscrive per certi aspetti, cambiando punti di vista, personaggi, ambienti. Il risultato è un'opera indie sconosciuta (o almeno lo era prima di Netflix che nel bene o nel male a qualcosa dunque è pur servito) con un budget risicato che riesce ancora una volta a descrivere molto bene il folklore locale, la leggenda, il sacrificio, assaporando il gusto per la tradizione, le usanze e le leggende ebraiche sempre molto affascinanti e in alcuni casi letali per il potere di riuscire ad auto infliggersi danni collaterali pazzeschi.
Il film apre le porte ad un piccolo e sconosciuto villaggio lituano povero e pacifico che per qualche motivo ha fatto i conti con la peste uscendone integro, ma non dalle calunnie e dall'odio degli esseri umani per gli ebrei. Difatti aprendosi con un incidente scatenante di forte impatto emotivo, Hanna la protagonista, nel suo rituale per salvare chi di dovere, si scontra proprio con quei pogrom che all'epoca erano quasi la normalità nei confronti degli ebrei ritenuti quasi sempre la causa di tutti i mali (quindi la peste e il fatto di esserne scampati raggiunge i fasti di questo odio). Il Golem completamente diverso ritrasformato con una messa in scena molto interessante, in fondo nasce per questo come risposta a questo male generato in particolar modo, come in questo film, dai cristiani dove la più affascinante e oscura delle creature rigurgitate dal ricco folklore ebraico, plasmata dalla terra e animata col soffio della parola di Dio, ha il compito di difendere chiunque la evochi da attacchi e soprusi. Il film nel finale cala di ritmo rifugiandosi in scene abbastanza discutibili e con alcuni effetti in c.g non proprio perfetti mentre invece risultavano funzionali nel film precedente della coppia di registi Jeruzalem, un suggestivo mockumentary apocalittico-esoterico.
Golem ha i suoi punti di forza nella recitazione, nelle atmosfere rurali infarcite fino al midollo di arcane tradizioni ancestrali ma soprattutto nel puntare tutto sulla donna per combattere le forze nemiche. Hanna creando la creatura rivivrà proprio il suo dramma, il suo defunto bambino, rievocando le sue tristi memorie e soprattutto affondando le radici nell’interiorità di una donna troppo ostinata e forte per essere asservita alla collettività maschile.
Un film di ribellione che se non avesse fatto l'azzardo finale poteva diventare un'altra di quelle chicchè folkloristiche che mi piacciono a prescindere.

lunedì 7 ottobre 2019

Marianne-Prima stagione

Titolo: Marianne-Prima stagione
Regia: Samuel Bodin
Anno: 2019
Paese: Francia
Stagione: 1
Episodi: 8
Giudizio: 4/5

Una famosa scrittrice horror torna nella sua città natale e scopre che lo spirito malvagio che la perseguita in sogno sta provocando il caos nel mondo reale

I francesi nell'horror hanno sempre fatto scintille.
Marianne è un compendio di così tanti elementi mischiati che ne sanciscono variazioni su generi ormai ampiamente abusati, una trama opprimente e allo stesso tempo per un mood claustrofobico infarcito di elementi.
Un'operazione commerciale con tanti obbiettivi tra cui sicuramente quello di spezzare una monotonia di scrittura e puntare tutto sull'azione e i jump scared (davvero..davvero troppi). Un prodotto dove il soprannaturale, il disagio reale, la città che richiama demoni e segreti con i suoi inquietanti sacrifici, i personaggi (pochi ma buoni) che cercano di divincolarsi da una caratterizzazione spesso accennata e confusa.
Marianne mischia spesso i piani temporali, regala tanto di quel sangue che si fatica a credere ma allo stesso tempo, pur essendo pensata per un pubblico giovane (vietata ai minori di 14 anni) non riesce mai a far paura e inquietare davvero a causa del suo ritmo troppo accelerato e di una protagonista sfacciata che non sembra mai avere paura di nulla (nonostante quello che le succeda ha dell'incredibile). Un canovaccio con troppi elementi, spesso sbilanciati, che non sembrano dare mai una calma per soffermarsi a pensare a cosa stia succedendo, una continua burrasca, come il mare e le onde che si infrangono sugli scogli di Elden.
Sembra la risposta europea, con i tocchi classici dell'horror americano, delle Terrificanti avventure di Sabrina-Season 1 con più sangue e il taglio ancor meno teen.
In fondo i parti mentali di una scrittrice che diventano reali si sono già viste. I richiami sono tanti come le citazioni all'interno della serie.
Streghe, possessioni, sedute spiritiche con cani indemoniati, demoni che escono dal grembo materno, personaggi che svaniscono nel nulla senza più tornare se non sotto forma di fantasmi, tremendi incubi d'infanzia, un manipolo di amici fedeli che diventano a loro insaputa vittime sacrificali e per finire forse una delle cose più belle, la cittadina di Elden, con i suoi grigi paesaggi marini.
Dal punto di vista tecnico il risultato è impeccabile. Marianne, per l'enorme quantità di dettagli e formule andrebbe visto tutto insieme senza lasciare grossi buchi per non perdersi in una trama che allo stesso tempo se si fosse presa più tempo, togliendo elementi e approfondendo ancora di più quanto chiamato in causa, poteva risultare ancora più accattivante. Il risultato finale è comunque buono, averne di serie di questo tipo, e messe in scena con coraggio e tante formule narrative.

venerdì 9 agosto 2019

Midsommar


Titolo: Midsommar
Regia: Ari Aster
Anno: 2019
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Dani ignora l'ennesima chiamata di aiuto della sorella bipolare, rassicurata in questo dal fidanzato Christian. Christian vorrebbe rompere con Dani, ma non sa come dirglielo. Quando purtroppo le peggiori paure sulla chiamata si rivelano fondate, è troppo tardi per intervenire. Christian decide quindi di invitare Dani a partecipare al viaggio organizzato dall'amico Pelle in un curioso villaggio svedese, per effettuare studi antropologici e insieme svagarsi nel festival che celebra il solstizio d'estate.

Ari Aster era atteso alla sua seconda prova dopo il successo di critica e di pubblico enorme e forse anche eccessivo del suo primo Hereditary-Le radici del male che a dire la verità non mi aveva fatto impazzire. Continua il suo discorso sul cammino del rituale quasi legato al finale della sua opera prima con quella corona depositata sulla testa del prescelto, il neo re, che qui ha diversi punti in comune con la neo regina che non andrò a svelare.
Essendo un appassionatissimo di folk horror (d'altronde alcuni degli horror più belli di sempre, Hardy e Weir, appartengono a questo sotto filone) cercavo di non avere aspettative, sperando però che fosse una spanna sopra il predecessore prendendo le distanze da tutto ciò che avevo già visto.
Così è stato confermando tanti buoni elementi, una maturità consolidata da una ricca prova di scrittura e soprattutto di psicoanalisi dei personaggi (il fattore in assoluto migliore che riesce in questo a staccarsi da tanti altri film già visti che prendevano però solo in analisi il contesto culturale lasciando in secondo piano i protagonisti).
Un film che parla di setta ma senza condirla di luoghi comuni ma anzi cercando di entrare nel fenomeno come campo di scoperta e di rivelazione che possa creare sentimenti ed emozioni contrastanti dove anche l'antropologia di nome e di fatto ha un evolversi importante nella struttura del film e in alcune lotte tra i personaggi. Un film che inizia con un incidente scatenante che non concerne con la setta (e si parte già col botto) dimostrando come le relazioni umane ancora una volta stiano alla base di una sapiente descrizione del racconto, in questo caso mai tradizionale ma sempre scomodo e atipico per come articola la sua poetica d'autore.
Il rituale di Aster conferma come non sia un delizioso furbetto che con un buon budget cerca il disimpegno strizzando l'occhio dove gli pare. Il soggetto è originale, la setta sa il fatto suo, la luce è sempre onnipresente come i pianti del neonato che viene allevato da tutti e le bevande a base di erbe allucinogene e per finire le rune celtiche che vanno a sostituire i sigilli demoniaci.
Sono tanti i particolari, gli elementi con cui il film viene tenuto in piedi senza lasciare buchi o importanti scene senza una giusta risposta.
Chi lo sa se il film di Aster dopo tanti tentativi non così riusciti chiude una volta per tutte il filone sul paganesimo ancestrale. Speriamo di no, ma speriamo anche di poter vedere esempi così carichi di archetipi sfruttati al meglio con impianti originali e tutto il resto e un'aura disturbante per tutto l'arco narrativo.
E poi gli attori, tutti davvero bravi e mossi da domande angoscianti, egoiste, rapporti di coppia che fanno star male anche solo in poche battute, silenzi che gelano il sangue, pianti e risa continue.
Quando Aster si avvicina alle scene più drammatiche in assoluto può diventare estremamente scomodante (come lo è stato nel mio caso) o venir preso alla leggera da un pubblico che pensa alla parodia e ride non sapendo interpretare quello che succede.
Il film inizia con un crollo definitivo psicologico di Dani e così viene portato avanti per tutto il film senza mai spostare il fuoco dal suo dramma interiore che la logora ancor più dai danni arrecati da Christian e il suo gruppo di amici.
Ma se alla fine fosse tutto un trip? Il finale non è aperto sotto questo punto di vista ma se Dani si fosse svegliata dal viaggio in funghetto scoprendo come fosse tutto un incubo? Dove i riferimenti anche ad una simbologia tutta floreale ci sono e non mancano di creare inquietudine più di molte altre scene madri del film.



Tumbbad


Titolo: Tumbbad
Regia: Rahi Anil Barve & Adesh Prasad
Anno: 2018
Paese: India
Giudizio: 3/5

India, XIX secolo: ai margini del fatiscente villaggio di Tumbbad vive Vinayak, testardo figlio illegittimo del signore locale, ossessionato dal mitico tesoro dei suoi antenati. Il ragazzino sospetta che la bisnonna, strega vittima di una maledizione, ne conosca il segreto ed è da lei che scoprirà dell’esistenza di una divinità malvagia posta a guardia del tesoro. Quella che inizia con una manciata di monete d’oro, si trasforma in una brama vertiginosa che crescerà per decenni, un’avidità irrefrenabile che trascinerà Vinayak sino ad un epico regolamento di conti…

Tumbbad è l'horror folkloristico indiano co prodotto dalla Svezia che non ti aspetti in una mega produzione che si vedono purtroppo sempre più di rado.
Parte bene, forse troppo, infila così tanti elementi da farti gongolare estasiato, cresce di intensità, decollando per poi finire dritto dritto contro una montagna imprevista con un finale molto discutibile.
Horror folkloristico ma anche dramma storico e sulle classi sociali (l'emancipazione del paese e della donna) oltre che ovvi rimandi al fantasy.
L'esordio alla regia dei due registi tra le fonti di ispirazione, cita anche l’opera di Narayan Dharap, autore prolifico di letteratura horror.
La storia si muove aprendo e scandagliando varie tematiche dove la principale citata anche nei titoli di testa è l'egoismo umano che crescerà nel film di generazione in generazione, arrivando all'apice con la scelta e il bisogno di varcare la soglia dell'inferno per rubare monete d'oro al dio confinato dalle altre divinità nel grembo materno della grande dea.
Inoltre quello che fin da subito stupisce ancora una volta è l'altissimo livello tecnico con una qualità produttiva incredibile dove tutto sembra studiato e confezionato perfettamente dalle ambientazioni suggestive, la colonna sonora epica ma non troppo, effetti visivi a tratti esagerati (la nonna/strega maledetta incatenata all'inizio, Hastar e le creature mostruose e sanguinarie, il ventre venoso teatro dell’orrore) e ben utilizzati in un crescendo di gore, cura dei dettagli e altissima definizione fotografica.



lunedì 22 aprile 2019

Suffering Bible



Titolo: Suffering Bible
Regia: Davide Pesca
Anno: 2018
Paese: Italia
Giudizio: 2/5

Il film è diviso in 5 atti (dedicati, ognuno, a un comandamento). A questi si aggiunge un sesto segmento che fungerà da introduzione e anche da epilogo.

Il cinema di Davide Pesca ha evidenti limiti di budget il che comporta una messa in scena piuttosto amatoriale ma curata nei dettagli come solo un regista che ama i suoi progetti è in grado di fare.
L'autore del progetto vanta i meriti migliori sicuramente negli aspetti tecnici a dispetto di una scrittura che riserva diverse lacune e non riesce sempre ad essere pungente o funzionale alla vicenda narrata. C'è da dire che quando si intraprendono gli estremi percorsi del gore e dello splatter è difficile cercare di ritagliarsi una sceneggiatura valida dal momento che è altra la materia da promuovere. Pochi in passato ci sono riusciti e parlo di maestri come Buttgereit nel bellissimo Schramm o Der Todesking con cui il film di Pesca ha alcuni elementi in comune col secondo citato e non parlo solo della divisione in capitoli.
E'la prima volta che mi avvicino al cinema di questo outsider italiano, diversamente il cinema indipendente amatoriale italiano continua a profusione a ritagliarsi produzioni, purtroppo auto finanziate, con progetti che rischiano di non essere mai distribuiti.
All'interno del progetto non mancano alcune citazioni come quelle ad un certo tipo di cinema sempre indipendente e grottesco come quello di Cipri e Maresco oltre al già citato Buttgereit. Difficile non notare la somiglianza in un cristo grasso e laido. Poche location, ambienti malsani con una scenografia ridotta all'osso che in un qualche modo serve ad aumentare lo smarrimento fisico dei personaggi. C'è tanta voglia e ricerca di promuovere una visione dell'estasi mistica, in questo caso la tortura, il sangue e la carne diventano simboli importanti di un'ideologia religiosa malata.
Martiri ma senza chiamare in causa il capolavoro di Laugier (vi prego) qui siamo in altri territori, in lande desolate dove l'avvicinamento alla santità, alla salvezza e al divino passa attraverso il sacrificio, ma senza quella ricerca che ha portato Anna a scoprire quel passaggio segreto nel sotterraneo.



lunedì 11 marzo 2019

Khailauna


Titolo: Khailauna
Regia: Sriramm Dude
Anno: 2018
Paese: India
Festival: Divine Queer Film Festival
Giudizio: 4/5

In un quartiere popolare indiano, un ragazzino musulmano subisce la fascinazione di Ganesh sotto forma di giocattolo. Lo scontro fra culture religiose e la delicatezza poetica del mondo dell’infanzia.

Khailauna è un corto molto interessante senza trattare di preciso tematiche gbl.
Il protagonista è un giovane ragazzino che corre per le strade di Mumbay e si innamora dell'immagine di Ganesh vedendolo prima come statua per le strade e poi successivamente trovando una statuetta che il bambino colora a piacimento offendendo così la divinità secondo il parere dei genitori in particolare della madre che rombe la statuetta del figlio.
Da un lato parlando di perdita casca a pennello la scelta di una divinità come Ganesh e della sua storia che nasce proprio da una ferita e dall'amputazione della testa mentre dall'altro l'elemento a farla da padrone del corto di 12' sono, come quasi sempre si ha a che fare col territorio indiano, i colori, il fascino e le musiche che rimandano a danze e rituali indù.


lunedì 11 febbraio 2019

Primo re


Titolo: Primo Re
Regia: Matteo Rovere
Anno: 2019
Paese: Italia
Giudizio: 4/5

Romolo e Remo, letteralmente travolti dall'esondazione del Tevere, si ritrovano senza più terre né popolo, catturati dalle genti di Alba. Insieme ad altri prigionieri sono costretti a partecipare a duelli nel fango, dove lo sconfitto viene dato alle fiamme. Quando è il turno di Remo, Romolo si offre come suo avversario e i due collaborando con astuzia riescono a scatenare una rivolta, ma è solo l'inizio del loro viaggio insieme agli altri fuggitivi e a una vestale che porta un fuoco sacro. Sapendo di avere forze nemiche sulle proprie tracce decidono di sfidare la superstizione e si avventurano nella foresta, dove Remo dà prove di valore e conquista la leadership del gruppo, mentre Romolo può fare poco altro che riprendersi da una ferita. Quando a Remo viene letto il destino dalla vestale, lui decide di sfidare il volere degli dèi.

‘Un Dio che può essere compreso non è un Dio’ (frase incipit dello scrittore drammaturgo britannico William Somerset Maugham)
Il primo re credo sia uno dei film fisici più complessi e stratificati del nostro ultimo cinema.
Un frammento di un vecchio codice che sembra portare in auge valori e sfide del passato che riescono a riscattarsi ai giorni nostri con un sapiente e importante lavoro di tutte le maestranze.
Fotografia, scenografia, make up, costumi, reparto attoriale. Il primo re è un film che non sfigura di fronte ai cugini oltre oceano, alza la testa, a volte un po troppo, e guarda senza riserve tutto ciò che gli sta attorno sicuro del suo peso reale, della sua portata e del suo valore aggiunto.
Perchè è qui che va misurato il film. Una storia primordiale che riesce a dare sfumature arcaiche, sperimentali quasi, di una nuova ricerca e un nuovo passaggio per il cinema di Rovere.
Quasi una sfida in regni diversi e periodi storici affascinanti, dove l'unico obbiettivo è sopravvivere e cercare di dare un senso o una continuità alla propria vita immersi in una natura incontaminata dell'alba della civiltà.
Un anti peplum anti storico, senza geografia, dove la storia poteva raccontarci qualsiasi cosa senza bisogno di avere quell'aderenza storica precisa poichè fa parte di un periodo troppo sconosciuto, un'altra sfida ambiziosa che ho trovato anche questa vinta senza mezzi termini
Quando si sfiora troppo il fenomeno religioso, il film infila troppi dialoghi perdendo quel fascino dove filosofia, in forma primitiva e culto cercavano di trovare una sistemazione senza per forza di cose riuscirsi.
Per tutto il resto rimane un passo avanti e un riscatto per quanto ancora ci sia il volere e il bisogno di creare qualcosa di nuovo e antico.

sabato 10 novembre 2018

I am not a witch


Titolo: I am not a witch
Regia: Rungano Nyoni
Anno: 2017
Paese: Gran Bretagna
Giudizio: 4/5

A seguito di un banale incidente nel suo villaggio, la piccola Shula, di 8 anni, viene accusata di stregoneria. Dopo un breve processo e la successiva condanna, la bambina verrà presa in custodia ed esiliata in un campo di streghe nel mezzo di un deserto. Giunta all'accampamento prenderà parte ad una cerimonia di iniziazione dove le viene mostrato il regolamento che scandirà la sua nuova vita da strega. Come le altre residenti, Shula è costretta a vivere legata ad un grande albero dal quale è impossibile staccarsi. La pena per chi disobbedisce sarà una maledizione orribile, che trasformerà chiunque tagli la corda in una capra.

Per chi avesse ancora dei dubbi su come la settima arte riesca a osservare e inquadrare il mondo sotto prospettive e analisi diverse, beh questo come tanti altri documentari dovrebbe per lo meno far riflettere. Sembra una fiaba, un racconto nero, di sicuro un calvario che come a Shula, capita a numerosissime donne e bambine (senza dimenticarci di cosa succede agli albini in Africa) e dove tutto in fondo appartiene alla cultura locale, alla magia, alla potenza della stregoneria e di altri strumenti per legare le masse attorno a un sistema simbolico organizzatore di senso.
Quella che Nyoni racconta o denuncia è una storia straziante che vede questa piccola e straordinaria, nonchè coraggiosissima bambina, diventare la vittima sacrificale, il capro espiatorio, per risolvere dispute e problemi locali legati a tutta una serie di motivazioni che stanno alla base di eventi climatici, mal gestione del paese e un odio spropositato verso ciò che potrebbe cambiare le sorti della comunità.
Bambina o donna, anziana o albina, chiunque si trovi in una situazione di pericolo, in un clima che sembra parossistico dovrebbe aver paura.
Nyoni, pur confezionando un horror per certi versi, ricorre in modo formidabile ad un'ironia impertinente come solo il coro di donne sanno fare, che assume dei tratti da favola surreale e tragicomici sotto vari aspetti.
La burocrazia e le regole delle forze dell'ordine che si scontrano con le regole inossidabili della tribù che è Lei a decidere cosa bisogna e cosa deve essere fatto e come soprattutto "estirpare il male alla radice" della bambina.
Shula appunto accusata di stregoneria, viene nel vero senso della parola “internata” in un campo dove sottili nastri bianchi svolazzanti vengono attaccati come una specie di giogo alla schiena delle donne, come conseguenza di superstizioni troppo ancorate alla cultura locale.
Shula diventa la piccola Giovanna D'arco dello Zambia, come monito di un martirio senza alcuna traccia o intenzione di compassione, con un’inumanità resa ancora più aberrante dal sorriso di chi è convinto della propria legittimità.

domenica 14 ottobre 2018

Apostolo


Titolo: Apostolo
Regia: Gareth Evans
Anno: 2018
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Un uomo cerca di salvare la sorella rapita da una setta religiosa. Ma il riscatto da pagare è molto alto.

L'ultima opera di Evans si distacca completamente dalla sua precedente filmografia dove aveva dato nuova enfasi al cinema action in particolare sulle arti marziali.
Apostolo è un film completo, lungo, che si prende il suo tempo per raccontare una storia tutto sommato gradevole anche se inflazionata da troppe citazioni tra le righe e un amore cosmico nei confronti del capolavoro Wicker Man.
Apostolo è ambientato nei primi anni del '900 mette insieme molti elementi interessanti, l’isolazionismo deciso dalla comunità, il fanatismo religioso, la radicalizzazione della violenza, creature che per "proteggere" l'isola hanno bisogno di sangue (in questo caso la dea) e il declino ambientale visto sotto una chiave piuttosto originale e prendendo qualche spunto da Barker.
Gli elementi non mancano, i toni e l'atmosfera soprattutto nei due primi atti sono la parte migliore contando che verso il finale, vista la moltitudine di eventi da chiarire e da chiudere il film tende ad ingarbugliarsi un po con alcune sotto vicende destinate a concludersi troppo velocemente contando che il film dura più di due ore e su questo elemento si poteva fare di più.
Un horror di natura fanatico-religiosa dove Evans ha voluto cercare di inserire il più possibile con atmosfere venefiche un taglio soprannaturale, culti misterici e una divinità che sembra rimandare al paganesimo con una fame che da secoli sta distruggendo il mondo e le sue floride bellezze e questo forse è l'elemento più interessante del film che cerca una metafora ambientale ma anche politica per inserire i suoi codici eretici.
La location Welsh Island poi appare come una terra ormai morente grigia e scura dove tre fratelli, i primi arrivati, detengono un potere attraverso delle cerimonie in alcuni casi raccapriccianti e dove a differenza dei combattimenti qui vengono mostrate diverse volte e senza mascherare nulla scene di tortura e momenti sanguinolenti senza nessun risparmio.






venerdì 12 ottobre 2018

Camping Jesus


Titolo: Camping Jesus
Regia: Becksy Fisher
Anno: 2006
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Un documentario su un campus estivo per bambini "Kids On Fire School of Ministry" della comunità evangelica americana

Un fatto sociale inquietante.
Gli Evangelisti si stima che siano circa 80 milioni negli U.S.A, circa un quarto della popolazione totale
Camping Jesus è un horror travestito da documentario che parla di integralismo religioso.
E lo fa bene. Basta guardarlo. Sono le immagini che evocano più di qualsiasi scenario le gesta e la sofferenza di alcuni giovani protagonisti costretti a esprimere il loro amore per Gesù e la sofferenza per i sensi di colpa in maniera davvero drastica e spaventosa.
Tutto è ambientato all'interno di questo campus estivo del Nord Dakota riservato a bambini e ragazzi facenti parte della comunità evangelica americana. Questo campus è diretto da Becky Fischer, una predicatrice evangelista, un'obesa che manipola i bambini a cui viene fatto il lavaggio del cervello. Nè più nè meno e i messaggi nonchè i contenuti eviscerati da questo campus dell'orrore trattano argomenti in maniera anomala e controcorrente come ad esempio il discorso anti-ecologista "Cristo sta per arrivare a salvarci e ci porterà con lui, quindi perchè perdere tempo nella salvaguardia del nostro pianeta? Sfruttiamolo il più possibile!"
Oppure il fatto che questi bambini non vengono mandati a scuola, tanto meno in quelle pubbliche dove "si insegna che siamo degli animali". Vengono educati a casa, con libri di scienze creazionisti.
E dulcis in fundo viene loro inculcata l'importanza della guerra, delle armi, Bush diventa il loro leader e viene loro inculcata la militarizzazione.
Viene descritto l'aborto come omicidio, e gli vengono consegnati delle piccole figure antropomorfe con la loro età dalla creazione della cellula uovo.
Insomma un orrore dopo l'altro in cui questi poveri bambini devono provare la sofferenza che ha provato il loro leader cadendo spesso in trance mentre pregano o piangendo l'uno con l'altro come se l'apocalisse diventi davvero il loro unico grande obbiettivo
Dopo la release del documentario Becky Fischer ha deciso di chiudere il campus, per paura di ritorsioni. Insomma, missione compiuta anche se la felicità e il benessere legato a questi bambini resta un fatto imprescindibile.


When black birds fly



Titolo: When black birds fly
Regia: Jimmy ScreamerClauz
Anno: 2016
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

When Black Birds Fly racconta un’unica storia, ambientata in una città fittizia, una società distopica dominata da un certo Caino, considerato come una divinità, un novello Messia, che ha costruito attorno alla città di Heaven un muro, al quale è severamente vietato anche solo avvicinarsi. Cosa si nasconde al di là di questo confine? Cosa c’è di così terribile dall’altro lato? Perché i cittadini di Heaven, un paese in bianco e nero, nel quale l’unica nota di colore sono i cartelli quasi propagandistici di Caino e poco altro, devono tenersi lontano da questo orribile muro? A scoprirlo saranno due bambini, il piccolo Marius e la sua compagna di scuola Eden, che per aiutare un gatto in difficoltà raggiungeranno questo territorio misterioso, attraverso un buco, ritrovandosi in un mondo delirante e disgustoso.

Dopo l'efferato Where the dead go to die che definivo un trip allucinato, qui l'effetto delle sostanze continua diventando più politicamente scorretto, prende come chiave escatologica la religione cristiana fondendola con alcuni miti pagani e con una importante anche se eccessivamente malata lo ripeto metafora politica.
Un film difficile da guardare fino alla fine, vuoi le musiche disturbanti, il montaggio che a volte sembra un viaggio in funghetto oppure i colori e lo stile d'animazione che rischiano di far venire una crisi epilettica.
Dio, Caino, Eva, il Paradiso, l'Inferno. A questo giro ScreamerClauz sembra essersi proprio incazzato chiamando in cattedra tutti per un suo giudizio finale direi esageratamente nichilista.
Un film dove succede di tutto, perversioni, gore, scene splatter e grottesche, momenti onirici a profusione, personaggi inquietanti, animali che prendono droghe e si trasformano, allo stesso tempo però risulta indubbiamente meglio strutturato soprattutto grazie ad una struttura unitaria e non antologica che riesce ad interessare maggiormente e riesce a regalare, a sorpresa direi, dei colpi di scena niente male soprattutto nella mattanza finale.
E soprattutto la simbologia, la scenografia a compiere i maggiori passi in avanti a cominciare dal bianco e nero che viene usato per il Paradiso, un luogo fatto di ombre ed incubi, in cui tutti sono castrati dove gli sposi non possono nemmeno guardarsi nudi e per ottenere un figlio devono far parte di una grottesco rituale di auto-mutilazione da parte dei genitori in onore del dittatore Caine facendo manifestare un figlio già parzialmente cresciuto a partire da una strana larva psichedelica. 
All’interno del Paradiso le uniche cose colorate sono i poster di Caino e pochissimi altri elementi.
I colori fluo, d’altro canto, appartengono all’Inferno, un mix di psichedelia che si sposano alla perfezione con l’atmosfera dionisiaca e violenta del luogo.
Tutto il film si pone come un’allegoria del totalitarismo e soprattutto della corruzione e dell’incoerenza nella religione cristiana.
Tutto il film continua con parti mostruosi dove a sentir dire dal regista tutto il film è stato creato e composto sotto l'effetto di sostanze e nessuno stenta a crederlo contando che andando avanti nelle creazioni malate abbiamo Dio rappresentato come un uomo tra le nuvole, con una grossa corona ed al posto del volto una sfera di vetro, un Dio incazzato che non ci metterà molto a fare stragi appena si impossessano della sua donna e poi il frutto del peccato, una bacca che crea allucinazioni a chi la mangia.
Dunque fede bigotta con conseguente senso di colpa inculcato negli esseri umani servi in più una religione estremista assieme al potere tirannico che viene esercitato sul popolo, spesso senza che questo se ne accorga. Caino sottomette il popolo senza alcun rispetto e cela a tutti la verità, mentre gli abitanti del paradiso lo reputano un salvatore e credono in lui ciecamente, senza la benchè minima ombra di dubbio.
E'una favola malata ma che ai giorni nostri assurge quasi a verità.

giovedì 2 agosto 2018

Hereditary- Le radici del male



Titolo: Hereditary- Le radici del male
Regia: Ari Aster
Anno: 2018
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Ellen Graham muore insieme ai suoi misteri. Mentre la figlia Anne elabora il lutto di una complicata figura materna, nella casa dei Graham avvengono strani episodi, che sembrano presagire un epilogo tragico. Basta un movimento di macchina, lento e avvolgente, tra i sinistri diorami assemblati dalla protagonista Anne Graham per far capire a cosa andremo incontro con Hereditary. A un dramma angosciante sui traumi di una famiglia di rara disfunzionalità e insieme a un ambizioso debutto, che guarda ai maestri del passato per generare nuovi shock.

L'horror di cui tutti parlano.
Hereditary poteva davvero giocarsela molto bene se avesse mantenuto la promessa iniziale ovvero quella di valorizzare il thriller psicologico aggiungendo connotazioni horror.
Invece dopo un primo atto, più o meno dalla morte di una delle protagoniste, il film diventa un pasticcio con sedute spiritiche (davvero ridicole), possessioni e poi quel "colpo di scena" religioso finale che lascia davvero perplessi quando tocca i re dell'inferno per quanto il connubio religione-esoterismo mi piaccia molto nel cinema ma qui non siamo ai livelli di Kill List.
Peccato perchè la regia assieme agli attori sono la cosa meglio riuscita della pellicola.
Un reparto tecnico impressionante dove la fotografia, il sound designer, il montaggio e alcune riprese di camera senza contare delle inquadrature suggestive e funzionali, sono davvero potenti e studiate con molta attenzione.
Eppure sono proprio i jump scared a rovinare l'atmosfera e il pathos di un film che sulla carta poteva davvero promettere di più quando invece tenta di mischiare troppi elementi dell'horror in modo disordinato e palesemente esagerato dove anche la c.g ad un tratto perde la sua efficacia.
Un'ultima cosa. Ari Aster mostra davvero un talento che spero non vada sprecato, cogliendo molte sfumature e aspetti in disuso nell'horror. Tuttavia non è Lynch e i marcati riferimenti al suo cinema da un lato sono stati apprezzati mentre dall'alto alcune citazioni come quella forse un po troppo chiara e diretta di VELLUTO BLU direi che andava malleata un po di più. E poi c'è tanto Polanski e Shyamalan..


sabato 23 settembre 2017

Pilgrimage


Titolo: Pilgrimage
Regia: Brendan Muldowney
Anno: 2017
Paese: Irlanda
Giudizio: 4/5

Ambientato nell'Irlanda del 13° secolo, il film segue un piccolo gruppo di monaci mentre intraprendono un pericoloso pellegrinaggio per scortare la più santa reliquia del monastero a Roma. Man mano che il loro viaggio diventa pieno di insidie, la fede che tiene uniti gli uomini è al contempo l'unica cosa che potrà dividerli.

Tosto, nerboruto, straziante e a tratti poetico. Finalmente Muldowney sembra avercela fatta a superare l'ostacolo del suo esordio Savages, un thriller/horror con alcuni spunti interessanti ma purtroppo sconnesso su tutto il resto, portando a casa un dramma storico fra clan in guerra e conquistatori Normanni riesce ad essere molto intenso e prendersi seriamente.
Qui siamo dalle parti di Black Death pur senza avere come manifesto il fatidico scontro tra paganesimo e cristianesimo, ma lavorando insistentemente sulla materia spirituale come capita nell'assunto del film che da le coordinate su cosa andrà a succedere. Qui troviamo Innocenzo III e la reliquia di San Mattia tenuta nascosta negli abissi.
Un'epopea, un viaggio silenzioso alla scoperta di se stessi e dei propri demoni con il punto di vista esclusivamente dalla parte dei confratelli più giovani e altri decisamente più tormentati come il nostro tuttofare laico attanagliato da momenti di trance e una scelta di non proferire parola.
Un pellegrinaggio in cui le "fratellanze" sono ideologicamente schierate su piani diversi ma che trovano una via per viaggiare assieme e portare sana e salva la reliquia a Roma.
Un film che ricorda vagamente anche i dubbi religiosi che attanagliavano i protagonisti di Silence
in cui l'atmosfera riesce ad essere cupa al modo giusto rendendo tutto inquietante dalla natura ai vassalli doppiogiochisti, ai predoni locali paganeggianti e le leggende anglosassoni.

domenica 3 settembre 2017

Holy ghost people

Titolo: Holy ghost people
Regia: Mitchell Altieri
Anno: 2013
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

In questo thriller psicologico, la diciannovenne Charlotte chiede l'aiuto dell'alcolizzato ex-Marine Wayne per trovare la sorella, scomparsa nel profondo dei monti Appalachi. La loro ricerca li porta alla Chiesa del Comune Accordo e a un enigmatico predicatore che usa i serpenti, e la cui devota congregazione di reietti rischia consapevolmente di essere ferita a morte per cercare la salvezza nello Spirito Santo. Quello che Wayne e Charlotte scoprono durante il loro tempo in montagna - su se stessi e sulla natura della fede - li scuote nel profondo, mentre il mistero della sorella Charlotte e il suo destino comincia a dipanarsi...

Le sette, la religione, le comunità nutrite di bifolchi e tutto il resto che gravita attorno a questo irresistibile flusso di gente che cerca un simbolo a cui affidare la propria esistenza per me è materia di interesse; anche quando ho la certezza che mi troverò di fronte ad un pacco senza senso come mi aspettavo per questo film.
Un prodotto commerciale senza anima destinato a vendere qualcosa su straight to video e portarsi magari a casa qualche recensione positiva di qualche amante dell'horror o del suo sottogenere preferito trovando elementi originali quando invece Altieri si è impegnato a farcire il suo film di luoghi comuni banali e senza senso.
Sono tanti e troppi quindi non starò ad elencarli tutti ma posso solo dire che dal plot iniziale in realtà la storia avrebbe potuto prendere un altra piega o diventare già da subito qualcosa come 2001 maniacs di Sullivan oppure lo stesso Hamiltons in cui Altieri ha giocato le sue carte.
Tutto nella setta sembra proprio prendere la strada più legata a ciò che ci si potrebbe aspettare con le donne tutte chinate che prendono botte dalla mattina alla sera senza poter proferire nulla, un'equipe di uomini con delle ghigne da psicopatici, gente che si fa prendere a scudisciate per aver avuto pensieri impuri. Un prete che fa i sermoni abbracciando un serpente e il classico bifolco handicappato.
Oltre a tutti questi elementi c'è poi una messa in scena discontinua in cui tutto sembra slegato. Un film che potete tranquillamente risparmiarvi di vedere limitandovi al trailer.



domenica 2 luglio 2017

Young Pope-Season 1


Titolo:Young Pope
Regia: Paolo Sorrentino
Anno: 2017
Paese: Italia
Stagione: 1
Episodi: 10
Giudizio: 4/5

La vicenda di Lenny Belardo, salito al soglio pontificio con il nome di Pio XIII, primo papa americano della storia. La sua elezione sembra utilissima per avviare un'efficace strategia mediatica. Ma non è così facile piegarlo, né ai voleri della Curia né di chiunque tenti di manipolarlo.

"Se il Vaticano la guarderà, capirà che questa serie non è contro nessuno"
E'interessante vedere il rapporto che si crea tra un autore come Sorrentino e la serialità.
I motivi di interesse appaiono fin da subito numerosi e legati indubbiamente al talento e alla voglia di saper narrare, elemento che nell'ultima parte della filmografia dell'autore è stato criticato dai media e dal pubblico. Young Pope può essere vista sotto diversi piani e profili.
Una serie distopica credo sia la targhetta migliore per definire i toni apocalittici e implausibili con cui si plasma l'intera vicenda. Prima di tutto accade un fenomeno strano nella politica autoriale dell'outsider italiano ovvero l'ironia: i discorsi su Dio, la morte, la vita, la celebrità, l’amore, il sesso, la politica, la filosofia e l’umanità, tutti vengono trasformati da valori giganteschi in frasi a effetto, slogan vuoti, aforismi da condividere su Facebook depotenziando e riducendo ad accidente ogni snodo narrativo della vicenda. Lenny incarna tutte le contraddizioni e tutti i valori prima di tutto di un uomo e poi di un "servo"di dio. Proprio il padre del Cristianesimo viene continuamente criticato. Dio esiste? Dio non esiste? Questa frase verrà pronunciata e ripetuta come un mantra.
Il dialogo con il presidente del consiglio, Accorsi nei panni del premier Renzi anche se non dichiarato è una vera goduria per intenti e portata dei contenuti.
Lo strano rapporto tra il cardinal Voiello e Suor Mary, la passione per le donne del cardinal Dussolier che lo porterà a scontrarsi con una realtà devastante, il cardinal Caltanissetta sempre a proteggere le azioni imprevedibili del suo Lenny e così via per una galleria di personaggi meravigliosa, caratterizzata a dovere e in grado di far luce su alcune vicende e tematiche che pur non incontrando mai reali vicende di cronaca sembrano viaggiare su un terreno analogo e parallelo che suona già come una sorta di profezia sui mali reali ed eterni della santa sede.
La serie è stata spesso vista come virtuosistica e vuota (elementi già fortemente criticati nella Grande bellezza e Youth-La giovinezza) i quali tuttavia non devono per forza essere limiti ma possono avere ampie zone di interesse. Il vuoto che spesso viene criticato a Sorrentino è un vuoto esistenziale in cui l'individuo si ritrova per depressione, noia o apatia, tutte condizioni e malesseri generazionali che in fondo ci appartengono più di quanto pensiamo e che diventavano l'assist perfetto tra i dialoghi di Fred e Mick. Di nuovo una società desolata e divorata dal di dentro che proprio all'interno delle mura vaticane sembra essere ancora più devastata e innegabilmente divorata da opulenza e populismo.
Dal punto di vista della coerenza narrativa la serie riesce ad avere un buon collante nelle sue dieci ore a parte alcuni momenti in cui anche la regia sembra perdersi per qualche sconosciuta ragione come nell'episodio tre dove vediamo i genitori di Lenny partire da Venezia abbandonandolo poi all'educazione di Suor Mary. Il lavoro sul cast merita un'attenzione particolare. Jude Law per la prima volta riesce ad aderire perfettamente ai canoni e al personaggio di Belardo riuscendo a coglierne sfumature, sguardi e toni veramente in stato di grazia e regalando, grazie a Sorrentino, la sua miglior performance. Il suo personaggio si è lentamente trasfigurato, da severo si è poi addolcito e le sue parole sono state influenzate da quello che Sorrentino indica come unico, possibile miracolo umano: l’amore I suoi collaboratori da Orlando alla Keaton, Sheperd, Camara, Cromwell, Bertorelli, sono tutti semplicemente splendidi in grado di dare risalto e umanità a ognuno dei personaggi.