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mercoledì 2 giugno 2021

Dans la brume


Titolo: Dans la brume
Regia: Daniel Roby
Anno: 2018
Paese: Francia
Giudizio: 4/5

Un giorno una strana foschia mortale scende su Parigi. I sopravvissuti trovano rifugio nei piani superiori degli edifici e sui tetti della capitale. Senza informazioni, senza elettricità, senza acqua o cibo, una piccola famiglia cerca di sopravvivere a questo disastro. Ma le ore passano e una cosa è chiara: l'aiuto non arriverà e sarà necessario provare ad avere fortuna nella nebbia
 
Dans la brume è un disaster movie o eco vengeance con tanto dramma, pathos e azione al punto giusto. Un film per niente scontato dove ancora una volta la metafora su come la natura voglia vendicarsi dell'uomo senza una spiegazione dettagliata su cosa abbia creato questa nebbia (sembra che si sia generata a seguito di un terremoto). Di fatto diventa un survival movie dove il nostro protagonista, un lanciatissimo Romain Duris, deve cercare di salvare la moglie ma soprattutto la figlia Sarah che per una strana malattia è costretta a vivere in una camera stagna e dove apparentemente lei come altri costretti a vivere in quella situazione a causa della malattia rimangono per lungo tempo protetti dalla nebbia. Ma colpirà davvero tutti o come una punizione divina sembra attaccare e uccidere solo gli adulti? Con un finale variabile e molto aperto, il film non manca di portare a casa alcuni colpi di scena, l'happy ending non è mai scontato e le riprese come la nebbia e Parigi sono fotografate ad hoc. Dans la brume evita di esagerare ma sceglie di concentrarsi sul concetto di salvezza e sopravvivenza dove alla fine si è disposti davvero a tutto pur di salvare i propri cari..

martedì 27 aprile 2021

Anonymous Animals


Titolo: Anonymous Animals
Regia: Baptiste Rouvere
Anno: 2020
Paese: Francia
Giudizio: 3/5

La fattoria degli orrori. Sporca, violenta e soprattutto senza pietà. Esseri umani trattati alla stregua di carne da macello da dei carnefici mascherati. Non è dato sapere chi siano o cosa vogliano, ma una volta lì dentro non c'è via di scampo. Curiosità: durante tutto il film non viene pronunciata una sola parola.
 
Anonymous Animals è un film facente parte della new horror francese. Un survival movie girato con due lire di 64' con un'idea furba e una realizzazione che poteva regalare quel qualcosa in più.
Un film muto, poche maschere e pure abbastanza bruttarelle. Un toro, un cavallo, un cervo, una mucca e tanti cani. Un gruppo spesso in disaccordo che preleva giovani, gli deposita in un allevamento e da loro da mangiare organi umani. In tutto questo le sortite sono due per le vittime. Morire come i maiali con un colpo alla testa oppure entrare in una sorta di fight club con gli animali come pubblico che fanno le puntate.
Con un finale aperto che vorrebbe essere una denuncia, il film di Rouvere è sicuramente minimale e singolare per intenti, una messa in scena pulitissima con una fotografia davvero perfetta (decisamente l'aspetto migliore del film).
Gli attori sono secondari rispetto a questi animali carnefici che in fondo non appaiono mai veramente crudeli, ma solo operai che fanno il loro lavoro all'interno di un mattatoio


domenica 18 aprile 2021

Skylin3s


Titolo: Skylin3s
Regia: Liam O’Donnell
Anno: 2020
Paese: Francia
Giudizio: 2/5

Sulla terra devastata dall’invasione aliena di molti anni prima, umani e Pilot, vivono armoniosamente insieme da quando gli invasori hanno modificato la loro genetica, sopprimendone la parte assassina. Tuttavia un nuovo virus compare negli alieni e mette in pericolo l’umanità ancora rimasta in vita.
Rose, giovane donna per metà umana e per metà aliena, dopo aver provocato la morte di numerose persone a seguito di un’incertezza durante la battaglia decisiva, mostrata nel film precedente, nel nuovo Skylines è ricercata con una pesante taglia sulla sua testa e anche questa volta hanno bisogno del suo aiuto per cercare di salvare l’umanità.

Lì per lì non avevo capito che fosse il terzo capitolo della saga. L'ultimo di una trilogia dopo Skyline, il prequel Beyond Skyline e infine questo che manco a farlo apposta è il più brutto e in ordine cronologico il sequel del primo e oserei dire il più tamarro assieme a BEYOND. Un tentativo becero di emulare qualche capitolo di Aliens con il solito obbiettivo di salvare il mondo, entrare in un pianeta ostico e distruggere i nemici.
Una trama fracassona per un ritmo e una messa in scena forse ancora peggiore.
Soliti complotti tra militari che servono cause non meglio precisate per stravolgere così i piani ambiziosi dei nostri eroi in terra straniera. Alieni che diventano aiutanti a seconda della lucina sull'elmetto.
Frank Grillo col contagocce in due poser all'inizio del film. Rhona Mitra, aka gnocca incredibile, aka mia venere dei super film di serie b a parte rare eccezioni, qui ancorata in un cimitero di macchine a guidare una meglio non precisata rivolta e per finire James Cosmo che non avendo i soldi per pagarlo muore male dopo che cerca di sparare ad alieni troppo forti.
Skylines o meglio Skylin3s percorre troppi sentieri e nessuno è portatore di speranza o di successo in termini di sceneggiatura e immagini. Un caos totale per una messa in scena anomala con un cast di perfetti sconosciuti che andavano forse bene per recitare nei Power Rangers.
Una disgrazia cosmica che ancora una volta mi infligge danni celebrali che nessuno mi rimborserà mai. Un film tra l'altro lungo, dove tra battaglie in non luoghi, con una protagonista che è una mezza aliena e mezza umana, in grado nel finale di prendere a calci in culo Jean degli X-Men e Scarlet degli Avengers. Veramente questa trilogia doveva rimanere sigillata dopo il primo capitolo. La tamarrata prequel con Grillo e Jaa almeno mostrava arti marziali a profusione e indicibili scelte discutibili ma questo è veramente il top dello squallore.


martedì 12 gennaio 2021

Proiettile vagante


Titolo: Proiettile vagante
Regia: Guillaume Pierret
Anno: 2020
Paese: Francia
Giudizio: 3/5

Lino, un genio della meccanica, aiuta la polizia evitando, in cambio, la prigione

L'action francese quando è sinonimo di metafora politica o riflessione sociale riesce a dare i maggiori fasti. Qui c'è tanto furious come piace agli americani, strizzando l'occhio per un action roboante e dedito ai clichè e gli stereotipi più classici con personaggi appartenenti ad una caratterizzazione riconoscibilissima senza colpi di scena.
Un film anomalo che come per Antigang e Paradise Beach, sacrifica delle componenti interessanti per tradurle solo in inseguimenti, combattimenti corpo a corpo e sparatorie.
Come prodotto non si può dire che a livello tecnico sia fatto male. Risulta il solito prodotto Netflix senza nessuna aggiunta. Per dire Colt 45 a confronto ottiene ben altri risultati pur facendo parte dello stesso genere, essendo francese ma più indipendente e avendo la firma di un outsider come Fabrice Du Welz uno dei registi di cinema di genere francese più interessante degli ultimi vent'anni.
Ecco in Proiettile vagante manca la regia messa al servizio dell'intrattenimento.

lunedì 4 gennaio 2021

Last Men


Titolo: Last Men
Regia: Adrien Jeannot
Anno: 2020
Paese: Francia
Festival: Capri, Hollywood
Giudizio: 3/5

In un paesaggio desertico, quasi apocalittico, un giovane uomo fugge inseguito da uno zombie. Una corse incessante, continua, che non accenna a fermarsi. Fino a quando l’unico sopravvissuto delle razza umana prende una decisione e costringe il suo inseguitore a interrompere la corsa.

Jeannot prende in prestito l'idea di It stainds at the sands red, con uno zombie che insegue la protagonista per tutto il film, per ribaltare il concetto e farci scoprire (l'elemento nascosto inizialmente è la parte più bella del corto) un protagonista che deve al suo inseguitore la vita dal momento che è stato salvato grazie a lui. Un sacrificio involontario che ha portato il nostro protagonista a tenersi accollato il suo salvatore/predatore fino al colpo di scena finale.



sabato 8 agosto 2020

Mutafukaz


Titolo: Mutafukaz
Regia: Guillaume Renard, Shoujirou Nishimi
Anno: 2017
Paese: Francia
Giudizio: 4/5

Angelino è solo uno dei migliaia di fannulloni che vivono in Dark Meat City. Ma un irrilevante incidente in motorino causato da una bellissima e misteriosa straniera sta per trasformare la sua vita... in un incubo a occhi aperti! Comincia a vedere delle forme mostruose che si aggirano intorno a tutta la città... Angelino sta perdendo la testa, o si tratta di un'invasione aliena?

Mi stavo chiedendo cosa poteva succedere a mischiare il fumetto e il talento di un ispiratissimo autore francese con la chimica e l'estro di un maestro nipponico. Il risultato è un lungometraggio d'animazione folle, iperattivo, coinvolgente, violentemente ipercinetico e con un ritmo, un'azione, un'atmosfera efficace quanto grottesca e allo stesso tempo spassosa.
E' un turbine che non accenna mai a fermarsi, con un impatto travolgente e dinamico, un caleidoscopio di colori, formule, stili, tecniche, invenzioni per una distopia urbana che attinge dai videogiochi quanto dal cinema (uno su tutti il boss Carpenter).
La megalopoli di Dark Meat City è una scoperta continua con tanti clan e zone diverse in cui spacciatori controllano il territorio, il governo è tra i più crudeli mai visti, vivono assieme razze e forme di vita umane e meta umane e dove c'è la classica seppur funzionale divisione tagliata con l'accetta tra bene e male, umani e alieni conquistatori che come i VISITORS si sono ormai omologati nella nostra società ma che le doti risvegliate del meta umano Lino vedranno come ombre che rimandano a creature tentacolari decisamente non di questa Terra.
Sangue, inseguimenti, combattimenti, sparatorie, fughe, vendette, traboccanti invenzioni visive dove compare addirittura un manipolo di "super eroi" mascherati che da secoli difendono la Terra dai costanti pericoli in corso (addirittura i nazisti).
Mutafukaz è fresco, sperimentale, con una metropoli allo sbando dove i migliori amici possono diventare degli scarafaggi, dove fanciulle di rara bellezza fanno letteralmente perdere la testa, dove mano a mano che il film procede diventa sempre più folle e ambizioso e dove l'accompagnamento sonoro tra hip-hop e dubstep crea una soundtrack da urlo.




sabato 16 maggio 2020

Les Miserables


Titolo: Les Miserables
Regia: Ladj Ly
Anno: 2019
Paese: Francia
Giudizio: 5/5

Montfermeil, periferia di Parigi. L'agente Ruiz, appena trasferitosi in loco, prende servizio nella squadra mobile di polizia, nella pattuglia dei colleghi Chris e Gwada. Gli bastano poche ore per fare esperienza di un quartiere brulicante di tensioni tra le gang locali e tra gang e forze dell'ordine, per il potere di dettare legge sul territorio. Quello stesso giorno, il furto di un cucciolo di leone dalla gabbia di un circo innesca una caccia all'uomo che accende la miccia e mette tutti contro tutti.

Nel film HAINE del 95' erano protagonisti i giovani delle periferie con il loro disagio, i difficili rapporti sociali e il sentimento d'odio verso le forze dell'ordine. Ly al suo secondo film unisce tutti i protagonisti della strada, nordafricani musulmani, sinti, orde di bambini, poliziotti in parte corrotti, famiglie che nascondono dentro le mura di casa e poi ancora traffici e segreti. I miserabili, perchè lo sono le forze dell'ordine quanto i gregari e gli aitanti nel film, è un dramma post contemporaneo sconvolgente, attuale quanto adrenalinico, un documentario sociale per come vengono inquadrate e narrate alcune dinamiche e allo stesso tempo pieno di ritmo e momenti di riflessione dove in fondo tutti a loro modo sono vittime delle conseguenze di un sistema che non sa più cosa fare.
Un film incredibile per la messa in scena, le interpretazioni, la caratterizzazione dei personaggi, il finale e troppe scene indimenticabili. L'avvento della tecnologia, l'uso dei droni, i cellulari, gli interrogatori poco ortodossi, l'abuso di potere. Quasi un road movie, una caccia all'uomo, l'inseguimento di troppe persone in un circolo pericolosissimo dove ognuno è alla ricerca di qualcosa in una sorta di western moderno nelle terre selvagge di Les Bosquets a Montfermeil.
Uno dei grandissimi meriti del film a parte dal punto di vista tecnico che rasenta la perfezione è quello di mantenere un equilibrio di giudizio senza prendere mai veramente le parti di nessuno, ma cercando un difficile quadro corale dove gli intenti di ogni attore sociale coinvolto assumono contorni e pesi molto difficili da sostenere. Tutti sanno di essere in parte nel torto e nessuno ha mai veramente la coscienza pulita in un continuum di deflagrazioni, colpi di scena, scorribande, rivendicazioni. E poi vogliamo parlare dei bambini/adolescenti. Ci voleva qualcuno che finalmente filmasse il degrado a cui siamo arrivati, l'assenza di valori, vivere la giornata di espedienti e aderendo a regole del branco per mettere a tacere gli adulti.





lunedì 23 marzo 2020

Au poste


Titolo: Au poste
Regia: Quentin Dupieux
Anno: 2018
Paese: Francia
Giudizio: 3/5

Un uomo viene convocato in un commissariato per spiegare la sua posizione dopo il ritrovamento di un cadavere di fronte alla sua abitazione.

Più vado avanti a scoprire le sue opere e più mi rendo conto che Quentin Dupieux aka Mr.Oizo di cui al momento mi manca solo Steak è un regista inclassificabile, il che è un bene visto il talento, il continuo viaggiare nei generi, spiazzando continuamente lo spettatore e regalando quel non-sense, quel realismo assurdo, un horror grottesco come è capitato per Daim che se penso ad alcune scene ancora mi viene da ridere. Ormai non si può più discutere il talento e la follia dell’autore francese.
Dopo alcune incursioni americane, comunque interessanti dal momento che ha sempre avuto carta libera, qui siamo nel teatro da salotto, nella commedia dell’assurdo, un Kafka ribaltato, un palcoscenico di vita che nel climax finale viene solo voglia di alzarsi e applaudire o mandare a stendere il regista.
Tutto giocato su una sceneggiatura scritta dallo stesso autore e affidata al talento di due attori che non hanno bisogno di presentazioni. Quello che ne esce ha il sapore di un talento nel saper scrivere i dialoghi e nell’approfondire gli aspetti più sconclusionati della quotidianità, dare valore a momenti che non sembrano avere nessun significato. Au poste è meno anarchico e demenziale rispetto ad alcuni dei suoi film precedenti, cercando e provando a mettere in discussione il principio di causa ed effetto capovolgendo sempre il piano del significato e cambiando discorso da un momento all’altro in base all’umore del commissario e dei suoi gregari, che come spesso nel cinema di Dupieux, sono mezzi menomati e non sembrano completamente a posto.
A mezza strada tra sogno e realtà, metacinema e demenzialità qui possiamo tranquillamente parlare di un esercizio di stile che per fortuna gli è venuto bene sapendo padroneggiare ormai abilmente tecnica e soprattutto recitazione e anche direi un po’ di improvvisazione. Un divertissement puro suo e degli attori che riesce comunque a regalare in alcuni momenti e dare sfogo ad alcuni sconclusionati ragionamenti delle forze dell’ordine durante gli interrogatori.

Steak


Titolo: Steak
Regia: Quentin Dupieux
Anno: 2007
Paese: Francia
Giudizio: 3/5

Nel 2016, la moda e i canoni di bellezza sono cambiati e una nuova tendenza si fa strada tra i giovani: il lifting facciale. Georges, un giovane laureato recentemente rifattosi, approfitta dell'estate per integrarsi in una banda di bulli. Blaise, un reietto perdente ed ex amico d'infanzia di Georges, amerebbe far parte del gruppo ma non è così semplice.

Steak e il tema dell’accettazione. Dupieux torna alle sue tematiche e il suo squisito non-sense, elementi che fanno sempre da padroni come alcune trovate davvero esilaranti e originali.
I Chievers, come la bella canzone elettronica, sono l’altro lato della medaglia dei Drughi (quelli più sfigati e meno pericolosi) che cercano di spadroneggiare facendo prove di forza che assumono contorni ridicoli, provocano senza un motivo in particolare bevendo latte colorato.
Omologazione, bullismo, fraintendimenti, loop temporali, battute inverosimili, il bisogno di apparire e di essere accettati per appartenere a qualcosa che in fondo non piace nemmeno.
La commedia grottesca di Dupieux non è così inverosimile, mostra un lato dei giovani e non solo e di come la totale mancanza di senso della vita porti alle soluzioni più patetiche e drammatiche, come spararsi delle graffette sui lati della faccia per avere un viso più tirato, oppure mascherarsi per farsi accettare e molto altro ancora.
Steak per certi versi è anche uno dei film marcatamente più politici che dietro gag e slapstick mostra una società che spersonalizza gli individui trasformandoli in automi e gregari perfetti come Georges e Blaise senza un minimo di autostima e portati a fare azioni sempre più pericolose a anticonservative.

domenica 8 marzo 2020

Les Garcons sauvages


Titolo: Les Garcons sauvages
Regia: Bertrand Mandico
Anno: 2017
Paese: Francia
Giudizio: 4/5

Un gruppo di ragazzi commette un orribile crimine. Un capitano si prende carico di loro ma il rapporto diventa sempre più difficile.

«Volevo provare a fare un film marittimo, con scene di tempesta, scene ambientate in una giungla con dei ragazzi. Scene difficili da filmare nell’ambito di un cinema d’autore che non è troppo fortunato, perché a basso budget. È il tipo di riprese che si può trovare nella grande produzione americana. Ma mi piaceva molto l’idea di riuscire a farcela.»
Les garcon sauvages è un film estremo per stomaci forti e per chi è avvezzo al cinema di genere, l’exploitation, il queer portato all’estremo. Una fiaba provocatoria e costipata di simbolismi fallici.
Un film gigantesco che al tempo stesso produce sentimenti ed emozioni contrastanti, con questi ragazzi alle prese con un mondo sconosciuto in cui la Natura comincia a trasformarli letteralmente in altro, nei loro opposti sciogliendo ogni tabù e travolgendoli tra amori allucinati e prove iniziatiche.
Un film perverso, volgare, romantico, che trova un suo registro specifico, una politica d’autore che verrà condannata per l’estrema libertà e provocazione di cui il film è costellato in ogni suo frame.
Un film fuori dal tempo, magico ed erotico come non capitava da tempo di vedere sullo stesso asse due elementi di questo tipo. Un film mutaforma che mi è rimasto così impresso forse perché innovativo, sperimentale ed estraneo a schemi e tendenze di tanto cinema indipendente con cui faccio i conti quotidianamente. L’opera di Mandico che dopo svariati cortometraggi presentati ai più prestigiosi festival internazionali, esplode come un vaso di Pandora tra suggestioni, scene ipnotiche e oniriche, diventando un sogno surrealista, una prova difficile da inquadrare e comprendere del tutto dopo una sola visione.
Un film che sembra un trip andato a male che genera turbolente allucinazioni visive e sensoriali, difficilissimo da catalogare per tutti i registri e i generi utilizzati soprattutto per questo immaginario sfrenato che coglie e cita così tanti universi letterari e cinematografici che bisognerebbe studiarlo a fondo per elencarli tutti.

Tous les dieux du ciel


Titolo: Tous les dieux du ciel
Regia: Quarxx
Anno: 2018
Paese: Francia
Giudizio: 4/5

Un ragazzo, che si occupa della sorella handicappata, perde il contatto con la realtà.

Il cinema francese non smette mai di stupire e godere di ottima forma in qualsiasi genere lo si ponga.
Nell’horror poi mettendo da parte gli anni di un certo tipo di cinema estremo tutto votato sula pura violenza, sembra trovare la via di mezzo, sorprendere in un film che sembra un dramma sociale ma ha qualcosa nelle radici che puzza e crea quell’impianto per cui chi è avvezzo al genere intuirà subito che una tragedia ancora più macabra è dietro le porte.
Un dramma sociale, un film di derelitti e sconfitti, di chi porta avanti una vita che spera solo che possa finire da un momento all’altro come se fosse un’agonia a cui staccare la spina. Da qui i problemi e disagi personali, un passato turbolento, un’infanzia da dimenticare per i sensi di colpa. I protagonisti del film sono freaks con enormi disagi alle spalle e nel presente, vittime di un disagio sociale che non ha saputo difenderli al tempo lasciandoli soli a procacciarsi i problemi e vedendo in faccia la morte e lo squallore. Il talento del regista, Quarxx nome d’arte eccentrico, è di mischiare ancora una volta registri e generi diversi rimanendo in questa comunità rurale perché di fatto il film rimane sempre lì tra bifolchi in un confine tra sogno e realtà, dove predomina quel lato surreale mai chiaro del tutto almeno fino al climax finale. Ma è il linguaggio, la gestualità, il fatto che anche una bambina piccola riesce ad essere maledettamente interessante facendo i conti con una manica di adulti inetti, dove i dialoghi non sono mai banali e al tempo stesso il ritmo alterna sequenze tragiche e profonde, l’incidente scatenante iniziale, con gesti folli del protagonista e momenti comici con una galleria di personaggi assurdi con delle facce mai viste.
Difficile definire in una parola il film, forse spiazzante, controverso, atipico. Un horror che prende dal sotto genere tutto il marcio che assale lo spettatore, quelle diversità che agli occhi di una bambina non esistono come la bellissima scena in cui incontra la sorella di Simon. Esteticamente è un film molto interessante dove Quarxx cura ogni oggetto, ogni scena e location preparando il lutto finale e imbastendo una cerimonia di scelte e di fatti mai banali e soprattutto inaspettati.

Dov’è il mio corpo


Titolo: Dov’è il mio corpo
Regia: Jeremy Caplin
Anno: 2019
Paese: Francia
Giudizio: 4/5

A Parigi, la mano recisa di un giovane uomo evade da un laboratorio di dissezione anatomica decisa a ritrovare il corpo a cui appartiene. Il viaggio sarà funambolico e impervio ma sostenuto dalla presenza persistente di Naoufel, con cui la mano è cresciuta e a cui ripensa costantemente risalendo il tempo fino alla sua infanzia felice. Un'infanzia bruscamente interrotta da un incidente che lo ha reso orfano e lo ha affidato a un anaffettivo parente prossimo. La mano avanza lungo la strada e dentro il tempo fino a incontrare Naoufel e Gabrielle, una cliente a cui il ragazzo consegna la pizza e il cuore. Perché suo malgrado Naoufel è un corriere, impiegato in una misera pizzeria da cui vorrebbe fuggire per esistere. Ad accarezzarne il sonno e a favorirne il destino sarà la sua mano, ostinata nella ricerca e nel 'legame'.

Jeremy Caplin è un regista da tenere d’occhio. Riesce a costruire una fiaba moderna e paranormale che osa mettere in scena e rischiare in uno spartito di generi dove i sentimenti emergono in tutta la loro complessità e armonia.
Due storie parallele in tre piani temporali differenti attraversano Parigi nel caos frenetico e nel sottosuolo. Una mano e un ragazzo, due storie che si intrecciano e un obbiettivo comune: ritrovarsi e mettersi in contatto.
Il titolo del film allude ad un cammino di scoperta, un viaggio alla ricerca di se stessi e di un’anima gemella che può essere una parte del corpo come una ragazza di cui si è sentita solo la voce al citofono.
Un film di speranze per mostrare il dolore della perdita, di angosce che trovano una breccia tra le tante insidie del mondo per superare la tragedia, i pericoli che possono arrivare inaspettati, la resilienza verso una società ostica che distrugge ogni speranza e ogni sogno nel cassetto.
Alla fine il film di Caplin volge verso un finale delicato e prezioso, affascinante e condito da una colonna sonora semplicemente straordinaria da ascoltare in loop dove il bisogno di ritrovare ciò che si è perso supera ogni ostacolo.

mercoledì 22 gennaio 2020

Girl with balls


Titolo: Girl with balls
Regia: Olivier Afonso
Anno: 2018
Paese: Francia
Giudizio: 3/5

Dopo aver vinto una competizione, una squadra di pallavolo femminile sta tornando a casa a bordo di un minibus quando l'autista è costretto da un guasto a una deviazione, finendo nel territorio di caccia di un gruppo di degenerati. Ben presto, le ragazze dovranno lottare per salvare le loro vite e per testare il loro spirito di gruppo.

Quando ho scoperto che il villain di turno era Denis Lavant non ho potuto sottrarmi dall'ennesimo survival movie, una caccia spietata tra bifolchi cannibali assetati di sangue incappucciati aderenti ad un strana setta pagana e una squadra di pallavolo.
Girls with balls è un horror divertente che aggiunge poco al genere, tratta una storia più che abusata ma lo fa senza prendersi troppo sul serio e regalando scene d'azione, torture porn e ironia a gogò. Un film d'intrattenimento curato in vari aspetti con un cast dove lo stesso Lavant per quanto sia spettacolare, si ritrova a dover fare i conti con un personaggio per nulla caratterizzato a dovere come un po lo sono tutti i personaggi del film in particolare le final girls.
C'è la mattanza finale, scene splatter e slasher, tutti ma proprio tutti i clichè di genere, la caratterizzazione che come spiegavo prima è così lacunosa che non permette di empatizzare mai per nessuno, diventando mai credibile e di fatto non facendo nemmeno mai paura perchè tutto sa di gioco al massacro con il twist finale abbastanza scontato e banale.
Il film di Afonso decide di non prendersi mai sul serio giocando con gli stereotipi e promuovendo una visione divertente senza far mancare nulla nel panorama di genere spesso come in questo caso scontato e prevedibile ma allo stesso tempo ingenuo e divertente.



martedì 7 gennaio 2020

Daim


Titolo: Daim
Regia: Quentin Dupieux
Anno: 2019
Paese: Francia
Giudizio: 4/5

Il protagonista è un uomo che si trova ossessionato da una giacca di cervo comprata mentre sta fuggendo, forse, dalla sua vita.
Si isola in un piccolo paesino montano in cui finge di essere regista, ma la giacca comincia a occupargli la mente con un proposito: diventare l’unica giacca esistente al mondo e fare di lui l’unico proprietario di una giacca.

Quentin Dupieux alias Mr Oizo è un dj ma anche un grande regista indipendente alternativo.
Come per la musica, segue un suo percorso personale che lo porta a scelte spesso bizzarre che sembrano sfiorare il trash per quanto assomiglino a dei veri e propri quadri grotteschi.
Una commedia nera dove si ride anche e molto ma per quella scelta singolare di combinare l'azione che ormai l'artista ha saputo fare sua, creandosi una sua politica d'intenti personale, un suo linguaggio tutt'altro che banale come spesso potrebbe essere frainteso.
Wrong CopsWrongRubber, tutti avevano a loro modo qualche scena madre da ricordare, e l'ultimo Daim oltre ad essere un rientro in patria per l'autore che si stacca dagli Usa, nemmeno a farlo apposta è il film più maturo, esilarante, politico, assurdo, drammatico e violento.
In un paesino di montagna dove sembrano vivere solo persone sole e disilluse dalla vita, Georges sembra filtrare attraverso il suo sguardo perso e la sua nuova telecamera digitale, il ritratto realistico di come la solitudine possa tessere la tela della follia.
Attraverso paradossi e dialoghi assurdi, obblighi e verità, giochi sull'identità e una giacca che prende sempre più forma, il film fa un ritratto con la commedia di costume fino a generare disagio. Dupieux traccia un quadro molto espressivo della noia che regna nelle province francesi più remote e lo fa senza prendersi mai troppo sul serio, arrivando a fare un'evoluzione molto netta in termini di intenti e messaggi e riflessioni presenti nel film, ma al contempo riuscendo con tutti gli enigmi iniziali del primo atto a tessere un film brillante e raffinato, sempre al confine tra commedia assurda e dramma realistico sulla follia, interpretato dagli eccellenti Jean Dujardin e Adèle Haenel.
Un film che mescola i generi passando dalla commedia nera, al dramma sociale, al grottesco, allo slasher, allo splatter fino al mockumentary. Tutti ingredienti deliziosi che trovano un'ottima collocazione in una storia che non smette di stupire e di apparire così maledettamente assurda e affascinante.


lunedì 30 dicembre 2019

Chien


Titolo: Chien
Regia: Samuel Benchetrit
Anno: 2017
Paese: Francia
Giudizio: 4/5

Jacques Blanchot ha una moglie che lo allontana da casa perché soffre di un'allergia fisica nei suoi confronti. Il figlio è scarsamente interessato a lui e il lavoro, in un negozio dove tutto è in svendita, non gli dà molte soddisfazioni. Avendo deciso di acquistare un cane si iscrive a un corso di addestramento. Finirà con l'essere addestrato.

Accettare di essere dominati da qualcuno, fare in modo di essere prevaricati dall'altro.
La dominazione di un altro essere umano e allo stesso tempo l'incapacità di Jacques di non essere dominato dagli altri. Una piccola commedia grottesca, una parabola nera su come si possa involontariamente danneggiare i nostri affetti, quelli che più ci stanno vicino, arrivando a creare un'allergia stando solo a contatto con la moglie, come l'incipit ci fa subito capire quali potranno essere gli intenti tragici del film.
Una moglie bellissima e un protagonista che sembra abbastanza squallido, viscido è connotato da una tristezza e malinconia come se fosse un giovane adulto alle prese con lo strano senso di pusillanimità visto dagli altri.
Chien solo apparentemente potrebbe sembrare un film semplice quando in realtà è molto complesso e stratificato. Controllo e sottomissione, tutto il film vive di contrasti forti, dall'apparente innocenza di Jacques fino alle esplosioni di violenza bestiale.
Persone improvvisate (addestratori di cani) che vogliono controllare le masse, la trasformazione da uomo a bestia, l'essere costretti a vivere derisi da tutti, il nichilismo di vedere la società come uno strumento in grado di spremerti fino alle ossa e approfittare della tua ingenuità. Infine l'accettazione di un omologazione che ti porta a indossare il collare tutti i giorni andando a lavoro, mandando avanti un sistema di leggi che ci mette sempre a quattro zampe, che ci vuole tutti scodinzolanti felici nonostante continuiamo a fingere che non sia così.
Il regista sceglie poi dei meccanismi che portano dalle risate assicurate fino a momenti di pura bestialità, sottomissione, tortura dove si rimane reclusi nella gabbia, si indossa il collare, ci si prende una scossa di Tazer per punizione e si finisce a mangiare crocchette.
Il film riesce ad essere paradossale dall'inizio alla fine, una favola nera di umorismo cupissimo e spesso provocatorio finendo per essere volutamente fastidioso e insopportabile.


giovedì 26 dicembre 2019

Paradise Beach


Titolo: Paradise Beach
Regia: Xavier Durringer
Anno: 2019
Paese: Francia
Giudizio: 2/5

Un gruppo di ex rapinatori si è stanziato in un vero paradiso terrestre a Phuket, nel sud della Thailandia. Divenuti commercianti, vivono giorni felici fino a quando sul posto non si palesa il diavolo in persona: Mehdi, condannato a quindici anni di carcere per la rapina, vuole la sua fetta di bottino. Il problema però è uno solo: non c'è più la torta da spartirsi...

Paradise Beach è un film davvero brutto e scontato. Belle location, un cast sprecatissimo, tante belle fanciulle, rapine, guerre tra gang, revenge-movie, esecuzioni a gogò e via dicendo tutto in un crescendo che anzichè risultare funzionale alla narrazione diventa la sua maledizione sbagliando tutto quello che poteva e giocandosela davvero male nel mettere in scena almeno un tentativo di provare a dire qualcosa che non fosse stato detto in tutti questi anni. Tutti gli elementi elencati parrebbero materia interessante anche se ormai abusata dalla settima arte. In altre mani avrebbe dato qualcosa di meritevole, ma Durringer sembra non avere polso e coraggio, perdendo ogni speranza e lasciando buchi enormi nella caratterizzazione dei personaggi.
Tutto è già visto, scontato, tanti elementi della storia non tornano, alcune scene sono così imbarazzanti che uno pensa che il film la voglia buttare sull'ironico quando invece si prende maledettamente sul serio.
Una galleria infinita di luoghi comuni, scene telefonate, clichè in ogni angolo di Phuket e dialoghi a volte così banali e sconclusionati che non ci si crede.
Il film pur essendo costato una caterva di soldi lascia dunque ancora più interdetti lasciando oltre l'amaro in bocca, la rabbia per aver perso così tante premesse che potevano almeno rimanere bilanciate senza sprofondare in maniera così eccessivamente idiota.




sabato 16 novembre 2019

Couteau dans le coeur


Titolo: Couteau dans le coeur
Regia: Yann Gonzalez
Anno: 2018
Paese: Francia
Giudizio: 3/5

Anne, dopo aver prodotto film porno, decide di cambiare registro ma gli attori del nuovo film sono al centro dell'obiettivo di un serial killer.

Una volta c'era Sconosciuto del Lago dove un killer sconvolgeva le vite di una comunità gay. Ora Gonzales senza attingere da Guiraudie, sembra lanciarsi in un omaggio citazionista a volte forzato anche se esteticamente molto interessante. Un thriller che esamina il mondo porno gay francese degli anni '70 puntando sul cromatismo, sugli eccessi della fotografia, delle gelatine, dei colori saturi, su un voyeurismo delirante e delle belle scenografie anni '70.
Un film dove al sangue si oppongono le scene di sesso, al delirio del killer le risate sui set dei film porno d'autore. Tutto questo attraverso gli occhi della bellissima Paradise, Anne, intenta a dare un senso alla sua vita, a ricongiungersi con la sua amata e a cercare di scovare l'assassino attraverso dei deliri e degli incubi premonitori.
Gonzales fa un film che cerca d'essere esageratamente d'effetto, marcato da una minimalità nel tentativo di rendere delizioso ogni piccolo dettaglio, insistendo sulla forma e rimanendo derivativo sulla sostanza. Il film procede con un ritmo notevole, il cast è ottimo, le musiche ipnotiche, lo stile impeccabile, eppure soprattutto nel finale tutto sembra procedere in maniera troppo lineare senza particolari incidenti o azioni che possano ribaltare l'effetto dei telefonati colpi di scena.
Tra pompini, cazzi che nascondono lame, pellicole, il sesso e la coazione a ripetere come le coltellate dell'omicida, la folla nel cinema porno che uccide la stessa essenza del male, i sogni altalenati alle allucinazioni e alle visioni di Anne e infine la famiglia allargata dove sembrano rifugiarsi tutti i membri della troupe Gonzales infarcisce inserendo davvero di tutto. Couteau dans le coeur esteticamente è molto bello colorato e acceso, però tutto questo appare quasi una lezione di stile, un esercizio di maniera per una storia in fondo estremamente già vista, cambiando solo il sotto genere e infilando tematica queer e tanti, tanti falli oltre che rimandi a profusione su un certo tipodi cinema thriller anni '70 in particolare quello italiano.

lunedì 7 ottobre 2019

Marianne-Prima stagione

Titolo: Marianne-Prima stagione
Regia: Samuel Bodin
Anno: 2019
Paese: Francia
Stagione: 1
Episodi: 8
Giudizio: 4/5

Una famosa scrittrice horror torna nella sua città natale e scopre che lo spirito malvagio che la perseguita in sogno sta provocando il caos nel mondo reale

I francesi nell'horror hanno sempre fatto scintille.
Marianne è un compendio di così tanti elementi mischiati che ne sanciscono variazioni su generi ormai ampiamente abusati, una trama opprimente e allo stesso tempo per un mood claustrofobico infarcito di elementi.
Un'operazione commerciale con tanti obbiettivi tra cui sicuramente quello di spezzare una monotonia di scrittura e puntare tutto sull'azione e i jump scared (davvero..davvero troppi). Un prodotto dove il soprannaturale, il disagio reale, la città che richiama demoni e segreti con i suoi inquietanti sacrifici, i personaggi (pochi ma buoni) che cercano di divincolarsi da una caratterizzazione spesso accennata e confusa.
Marianne mischia spesso i piani temporali, regala tanto di quel sangue che si fatica a credere ma allo stesso tempo, pur essendo pensata per un pubblico giovane (vietata ai minori di 14 anni) non riesce mai a far paura e inquietare davvero a causa del suo ritmo troppo accelerato e di una protagonista sfacciata che non sembra mai avere paura di nulla (nonostante quello che le succeda ha dell'incredibile). Un canovaccio con troppi elementi, spesso sbilanciati, che non sembrano dare mai una calma per soffermarsi a pensare a cosa stia succedendo, una continua burrasca, come il mare e le onde che si infrangono sugli scogli di Elden.
Sembra la risposta europea, con i tocchi classici dell'horror americano, delle Terrificanti avventure di Sabrina-Season 1 con più sangue e il taglio ancor meno teen.
In fondo i parti mentali di una scrittrice che diventano reali si sono già viste. I richiami sono tanti come le citazioni all'interno della serie.
Streghe, possessioni, sedute spiritiche con cani indemoniati, demoni che escono dal grembo materno, personaggi che svaniscono nel nulla senza più tornare se non sotto forma di fantasmi, tremendi incubi d'infanzia, un manipolo di amici fedeli che diventano a loro insaputa vittime sacrificali e per finire forse una delle cose più belle, la cittadina di Elden, con i suoi grigi paesaggi marini.
Dal punto di vista tecnico il risultato è impeccabile. Marianne, per l'enorme quantità di dettagli e formule andrebbe visto tutto insieme senza lasciare grossi buchi per non perdersi in una trama che allo stesso tempo se si fosse presa più tempo, togliendo elementi e approfondendo ancora di più quanto chiamato in causa, poteva risultare ancora più accattivante. Il risultato finale è comunque buono, averne di serie di questo tipo, e messe in scena con coraggio e tante formule narrative.

venerdì 9 agosto 2019

Villeggianti


Titolo: Villeggianti
Regia: Valeria Bruni Tedeschi
Anno: 2018
Paese: Francia
Giudizio: 3/5

Una villa sulla riviera francese. Un luogo che sembra fuori dal tempo e anche isolato dal resto del mondo. Anna la raggiunge con la figlia per alcuni giorni di vacanza. In mezzo ai familiari, agli amici e al personale di servizio, la donna deve riuscire a gestire la recente fine del suo matrimonio e la preparazione del suo prossimo film. Dietro alle risate, alle discussioni e ai segreti emergono paure, desideri e rapporti di potere.

I villeggianti è un film borghese, che non ha tanti motivi per esistere, vede la sua paladina ergersi a regina incontrastata nella modesta galleria di personaggi che popolano la villa.
Eppure pur essendo il primo film che vedo della Tedeschi come regista, stranamente viste le premesse è un film che alterna tanti stati d'animo diventando sempre di più un'antipatica riflessione sulla fragilità delle persone e delle coppie.
Un film viziato, che sembra un'autoanalisi della regista/attrice e dei mali e i vizi che la consumano, però si rimane a guardargli senza fare una piega, con l'incertezza di vedere dove vuole andare a parare, a volte da qualche parte a volte invece da nessuna in particolare.
Lo struggimento interiore, la crisi di nervi (ripetendo agli ospiti per l'ennesima volta di essere stata abusata da piccola), la rottura dei legami sentimentali, tutte queste coordinate vengono sparse durante il film in modo però molto attento e inusuale, cercando di citare un certo cinema colto, senza riuscirci ma senza nemmeno osare troppo rischiando di auto compiacersi.
Un film che sembra molto autobiografico che non annoia mai anche quando alcuni tratti sono davvero lenti e fine a se stessi. Tutti cercano di dare il loro meglio in questo film corale che come diceva qualcuno può sedurre o irritare. A tratti entrambi direi, in un rincorrersi drammatico ma poi ironico poi tragicomico peccando solo quando cerca di essere estremamente maturo.

venerdì 2 agosto 2019

Fratelli nemici


Titolo: Fratelli nemici
Regia: David Oelhoffen
Anno: 2018
Paese: Francia
Giudizio: 3/5

Manuel e Driss sono cresciuti come fratelli nelle banlieue parigine ma oggi tutto li oppone. Manuel gestisce traffici di droga, Driss è diventato un agente dell'antidroga. All'ombra di un assassinio che ha freddato in strada tre dei suoi compagni, Manuel è costretto a collaborare con Driss. Tra ostilità e risentimento e malgrado la loro diffidenza reciproca, i loro legami si riallacciano intorno alle radici comuni.

Il polar visto dagli occhi di un regista che finora si è confrontato con il western e il dramma della guerra. Pochi ingredienti: amicizia, spaccio, tradimenti e vendetta.
Oelhofen tratta una storia molto reale, che vede contrapposti due vecchi amici cresciuti assieme dai volti espressivi e intensi di Kateb e Schoenaerts (uno degli attori più in gamba della sua generazione). Guardia e ladri, poliziotti contro spacciatori e viceversa, bande criminali e signori della droga intoccabili che fanno il doppio gioco. Tutto sembra assumere i soliti clichè di genere portando a galla una vicenda già ampiamente nota nel cinema.
Quello che però il regista riesce bene a disegnare sono le traiettorie tra i personaggi, caratterizzati molto bene e con dei dialoghi che non risparmiano sofferenza e amarezze, scappando da vecchi errori e rincorrendo amori di una vita. Pochi momenti di action ma quando si presentano sono esplosivi, violenti, reali, come la strage iniziale dove Manuel come in Maryland vede tutto dalla sua prospettiva nascondendosi come può.
L'incidente scatenante, che arriva tardi, crea un cambiamento nella strategia dei contenuti del film, in cui il protagonista fugge, "è bruciato" come racconta a Driss e da lì in avanti il loro rapporto segue un parallelismo come quello di Costigan/Queenan.
Un film duro e marmoreo isolato in pochi spazi sfruttando e saltando da una location al'altra in un quartiere governato da regole e spacciatori tra marciapiedi che scottano, cemento armato, garage sotterranei che sembrano gallerie infinite, piazze e residence alveari, passando da un tetto all'altro sempre camminando con il viso coperto.
Nessuno sconto e la realtà dura di quartiere non potrà che portare a effetti perversi e conseguenze inattese.