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giovedì 4 agosto 2016

Cell

Titolo: Cell
Regia: Tod Williams
Anno: 2016
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Siamo a Boston, la vita scorre tranquilla fino al preciso istante in cui i cellulari iniziano a squillare e un misterioso impulso annienta la volontà di chi risponde al telefono, trasformando le persone in creature sanguinarie. Da Londra a Roma, da Sydney a Rio de Janeiro solo in pochi restano misteriosamente immuni alla più grande epidemia mai rappresentata sullo schermo.

Post-apocalisse, zombie, un virus che si diffonde tramite il cellulare.
Beh non è Ninna Nanna di Palahniuk ma uno dei tanti romanzi di King tradotti per il grande schermo.
Con una messa in scena che sembra strizzare l'occhio ai b-movie, l'ennesima trasposizione di King non riesce ad essere bilanciata e a suo agio come altri film hanno dimostrato, pur godendo di un ritmo apparentemente buono anche se dopo la prima parte si perde in alcune lungaggini che fanno perdere quell'efficacia e atmosfera iniziale.
La complicità tra la coppia di attori funziona come nel film precedente sempre tratto da un romanzo di King, il 1408 che non ha niente a che vedere con questa pellicola.
Il film purtroppo devia proprio quando smette di porsi delle domande, di cercare di arrivare alla radice del problema, di cercare un contatto o una causa scatenante, per lasciare il posto a pura azione fine a se stessa che non convince.
La scena più inquietante del film e anche la migliore è quella in cui i due protagonisti passano con un trattore sopra una sterminata vastità di creature sanguinarie mentre dormono. Da un lato sembra una sorta di genocidio dal momento che verranno bruciate e che non possono reagire, dall'altro la sensazione sembra quella di schiacciare migliaia di insetti che seppur morti o infettati rimangono comunque corpi umani.


lunedì 11 aprile 2016

Cabin Fever(2016)


Titolo: Cabin Fever(2016)
Regia: Travis Zariwny
Anno: 2016
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

La trama ripercorre lo script originale del film del 2002 in cui un gruppo di studenti universitari decide affittare una capanna nel bosco per fare baldoria. I giovani tuttavia inizieranno a morire a causa di un misterioso virus mangia-carne che scatenerà l’inferno nei boschi.

Continuo ad essere dell'idea che i remake debbano avere qualche ragione d'essere solo se trasmettono qualcosa di nuovo, se riescono a dare smalto o enfasi in più o sfruttare elementi che nell'originale non erano possibili o presenti per determinate caratteristiche.
Dunque un conto era parlare di prequel e sequel come è stato per Cabin Fever 2-Spring Fever
che apportavano qualche novità introducendo aspetti funzionali.
Ora il contributo di Zariwny è quello di replicare l'originale, in quello che a tutti gli effetti appare come uno dei remake più fedeli che si ricordino (gran parte delle scene sono replicate, e persino alcuni dialoghi riprendono quelli originali), infatti la sceneggiatura è scritta dallo stesso Randy Pearlstein, co-sceneggiatore dell'originale del 2002.
Qualche scena di nudo e sesso in più il film la inserisce ma solo perchè sennò anche il ritmo avrebbe cessato di mantenere la suspance. La struttura poi sembra essere vagamente più yankee e con un infarcitura di “ragazzi nel bosco” vs bifolchi di turno maggiore, eppure fin da subito purtroppo la mancanza di originalità si sente come una denuncia piuttosto insignificante.
Se già il primo in fondo prendeva e mescolava due o tre elementi di genere già sfruttati, un remake di un film già sopravvalutato di suo, non si trova un motivo per giustificarlo.
Le scene clou poi del primo come se non bastasse, giocavano sulla sospensione di incredulità e originalità nei confronti del doveroso pubblico.
Qui lo spettatore le conosce già e dunque è ancora più inutile. Il gioco non vale la candela.

domenica 3 gennaio 2016

Hidden

Titolo: Hidden
Regia: Duffer Brothers
Anno: 2015
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Una famiglia in seguito ad una catastrofe, si ritira in un rifugio sotterraneo.

Hidden pur non essendo un horror post-apocalittico completamente riuscito, ha dalla sua diversi elementi interessanti che alla fine lasciano il pubblico forse un po perplesso ma perlomeno soddisfatto di aver visto un tentativo di confezionare qualcosa di interessante ma con diverse buche.
Un bunker, "bunker invasion", è quindi un'ambientazione serratissima in cui conosciamo meglio i personaggi e in questo i registi si prendono il tempo, forse troppo, per caratterizzarli a dovere e farci capire che diavolo sta succedendo lì fuori, dilatando la gestione dei tempi con picchi di tensione attraverso immagini, rumori, e un sonoro intriso nel mistero.
Poi il film prende una piega nel terzo atto, dopo alcuni flash-back veramente terribili, tutt'altro che scontata e con alcuni buoni momenti di azione e di tensione legato a questa epidemia che si sta generando.
E'infatti è proprio nel mistero e non nell'orrore il punto di forza del film, soprattutto in un finale che seppur furbetto cerca di dare una svolta più che mai importante.
I Duffers Brothers puntano tutto su un cast funzionale e un'atmosfera claustrofobica ben rappresentata attraverso una fotografia calda, giallastra, scura e acidula come anche la scenografia.
Proprio in questo modo hanno la possibilità di utilizzare colori cupi e tenebrosi e farci sprofondare in questa realtà da cui il trio dei protagonisti si ritrova a dover fare i conti da 301 giorni.



mercoledì 18 novembre 2015

Cooties

Titolo: Cooties
Regia: Cary Murnion, Jonathan Milott
Anno: 2014
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Un misterioso virus colpisce una scuola elementare isolata, trasformando i bambini in età pre-adolescenziale in selvaggi senza cervello. Un improbabile eroe deve guidare una banda di insegnanti nella lotta contro i mostruosi scolari.

Gli allevamenti intensivi sono sempre più nascosti e fanno sempre più schifo. Sapere che le carni che mangiamo vengono trattate senza nessun ritegno e rispetto è cosa nota a tutti.
Se la sofferenza degli animali, in questo caso dei polli e infatti di pollo fritto si tratta, potesse esprimersi, le conseguenze sarebbero le più oscene ed estreme.
I bambini ormai da anni sono stati presi di mira dalla cinematografia come metafora di un infanzia perduta, una vendetta contro il mondo degli adulti che non si prende più cura di loro, contro un sistema che li usa soltanto come merce e che gli abbuffa di antibiotici e tante altre schifezze.
Se pensiamo a pellicole interessanti su come i bambini prendano altre sembianze (dovute a svariati motivi) i rimandi possono essere IL VILLAGGIO DEI DANNATI, ma molto di più MA COME SI PUO' UCCIDERE UN BAMBINO del '76, vero cult e capolavoro del genere, oltre ad essere un precursore quasi assoluto sul tema.
Perchè comunque è di virus che si tratta, in cui questi bambini diventano voraci di carni umane e estremamente animaleschi, senza arrendersi di fronte a niente e nessuno.
L'opera prima della coppia di registi sponsorizzata dal protagonista Elijah Wood, è un mix di orrore e commedia, un impianto con un ritmo furibondo e tanta ironia, pieno di disgusto e violenza, oltre che mettere in atto una carneficina in cui i bambini vengono letteralmente presi, picchiati e infine maciullati.
Dosando tempi comici e uno stile colorato pastelloso, il duo firma un film divertente e violento, con un concept e una produzione azzeccata, anche se purtroppo con pochissime e risicate idee di sviluppo che fanno sì che la struttura narrativa sia ampiamente prevedibile.


lunedì 5 ottobre 2015

Zombeavers

Titolo: Zombeavers
Regia: Jordan Rubin
Anno: 2015
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Tre ragazze, vestite perennemente da troiette, si recano in una casa in un bosco per passare un weekend senza ragazzi e per fare in modo che Jenn si distragga dopo il tradimento subito. I tre rispettivi ragazzi però riescono a scoprire la cosa e a raggiungerle, ma il loro weekend sarà rovinato dalla presenza di un branco di castori zombie assassini.

Di questi tempi non è facile trovare spunti originali e non è un caso che quasi nessuno ci riesca quando si parla di mostri o "Animal attack" e quant'altro. Se non contiamo l'Asylum che crea porcherie a raffica senza pensare a quello che fa ma cercando di trovare un pubblico paralizzato che vuole solo rispondere alla domanda su quale mostro sia più forte di un altro allora Zombeavers diventa una trashata splatter banale oltre ogni limite, ma con qualche piccolissima scena ironica.
E inoltre sembra citare la Troma che a differenza dell'Asylum ha davvero creato dei piccoli cult e un'ironia splatter e trash senza precedenti.
Unire i soliti stereotipi per questi film di genere è diventata cosa ovvia.
Location al lago+fighe ninfomani+teenager arrapati e imbecilli+bifolchi=cazzatone col botto.
Zombeavers è un film demenziale quanto nostalgico, idiota quanto divertente che nasce come un eco-vengeance classico e mischiando molti luoghi comuni, ancorati su un'idea poco abusata, ovvero l'animale zombie quando si sa che di solito è una regola legata solo agli umani.

lunedì 1 luglio 2013

Gerber Syndrome

Titolo: Gerber Syndrome
Regia: Maxi Dejoe
Anno: 2011
Paese: Italia
Giudizio: 3/5

Un nuovo virus tiene in scacco l'Europa. Decisamente peggiore dell'influenza aviaria e di tutte le altre pandemie che hanno allarmato le organizzazioni sanitarie mondiali, il morbo di Gerber è una malattia a metà tra un'influenza e l'Aids. Scoperto in Germania nel 2008 e ormai diffuso in tutto il mondo, si contrae entrando in contatto con sangue o saliva infetti e si manifesta con una febbre molto alta e aggressiva. Ma ben presto la sindrome di Gerber rende gli esseri umani simili a zombie. Il virus si sta diffondendo a macchia d'olio, perché gli infetti perdono il controllo e tendono a essere violenti, attaccando chiunque capiti loro a tiro. Una volta contagiati, non c'è scampo. Il terzo stadio della malattia conduce, infatti, alla morte. Ecco perché è stato istituito un centro sanitario dedicato, il CS, in cui i malati vengono messi in quarantena e allontanati definitivamente dalla società. Una troupe televisiva decide di realizzare un documentario su questo nuovo e temibile virus, seguendo il lavoro di Luigi, un ventitreenne addetto alla sicurezza, incaricato di intercettare gli infetti segnalati e portarli al CS, e quello di un medico in prima linea, il dottor Ricardi, che si sta occupando del difficile caso di Melissa, una ragazza contagiata accidentalmente.

Ultimamente ho visionato davvero parecchi horror italiani e di questi forse uno dei primi con venature sci-fi riuscito è questo Gerber Syndrome di un giovane regista torinese.
Un film maturo, certo che soffre ancora di tutti i difetti di un'opera prima, ma che dall'altra è un bene perchè mostra comunque la voglia e l'interesse di cercare di dare una propria impronta e sapersi imporre con uno stile personale.
Dopo alcuni corti passati al TFF arriva l'esordio con il suo primo lungometraggio.
Il film è stato girato low-budget con un manipolo di attori sconosciuti ma funzionali, ed è ottimo in questo caso l'aver preso nomi non noti (penso soprattutto legato ad un problema di budget) ma che in realtà aiuta ancora di più lo spettatore nel duro lavoro dell'immedesimazione che noi viviamo e assistiamo sotto gli occhi di un medico, di una guardia e di una ragazza malata e il suo toccante dramma famigliare.
Mai banale ed evitando come la peste inutili soluzioni che debbano far versare una lacrimuccia, il film è un mockumentary quasi tutto telecamera a spalla che sembra adattarsi alla forma scenica di altri film horror recenti.
Mi è piaciuta molto l'idea di non mettere in scena zombie o creature create dallo stesso virus ma invece qualcosa di molto più reale, molto più vicino, che attaccando il sistema nervoso, porta ad una paura primordiale anche molto più sentita nello spettatore perchè fondamentalmente più vera e vicina a noi.
Un film sul contagio e sulla pandemia, tema che oggi, insieme al cinema post-apocalittico, sta diventando una delle risorse petrolifere più saccheggiate dall'industria cinematografica e dagli autori internazionali.
Per fortuna che i risultati finora visti segnano un risultato che lascia ben sperare.

giovedì 20 giugno 2013

Facility

Titolo: Facility
Regia: Ian Clark
Anno: 2012
Paese: Gran Bretagna
Giudizio: 2/5

Un gruppo di persone accetta di testare un nuovo psicofarmaco. In attesa di studiarne gli effetti collaterali il gruppo viene lasciato nella stanza di una clinica. Qualcosa però non funziona e la formula chimica del principio attivo produce effetti imprevisti tra i sottoposti al trattamento. La notte si trasformerà in una corsa verso la salvezza per chi sembra non aver subito alterazioni psichiche e una giornalista che, unica nel gruppo, pare aver ricevuto solo un innocuo placebo.

Osservando THE FACILITY ti trovi di fronte ad uno di quegli scenari che sai che ti piacciono tanto. Ambiente isolato, un manipolo di gente etnicamente diversa che non si conosce e un farmaco da testare che però si intuisce subito che andrà a smuovere qualcos'altro.
Un film low-budget inglese comunque con dei buoni spunti, gli attori c'è la mettono tutta compreso Aneurine Barnard (CITADEL).
Quello che purtroppo manca è una storia solida che riesca a mantenere la suspance per tutta la durata del film e purtroppo nell'atto finale deraglia un pò perdendosi dei pezzi sul selciato. Soprattutto sui due personaggi che vengono colpiti per primi dagli effetti collaterali e ognuno sviluppa un contagio diverso. Per quanto riguarda la violenza e lo splatter non mancheranno alcune scene dotate di stile ma nell'insieme anche l'impianto della scelta dei personaggi risulta qualcosa di già visto. In questi ultimi tempi poi contando che l'idea da sola non sempre basta a portare a casa un buon risultato si poteva creare qualcosa di più complesso.

Bay

Titolo: Bay
Regia: Barry Levinson
Anno: 2012
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Chesapeake Bay, Maryland. È il giorno che il cinema ha raccontato innumerevoli volte e che si colloca nel profondo del sentire Americano: il 4 luglio. La città si prepara, sindaco in testa, a festeggiare con una molteplicità di iniziative, a partire dalla gara dei mangiatori di granchi. Questa atmosfera ci viene descritta, in un collegamento via Skype, da una giovane che all'epoca (qualche anno prima) conduceva un reportage per una piccola emittente televisiva. Donna Thompson, così si chiama, ci racconta come dall'atmosfera di festa si passò nell'arco di pochissimo tempo all'orrore a causa di un parassita cresciuto a dismisura ed impegnato a divorare qualsiasi tessuto vivente

L'ultimo film di Levinson si slaccia totalmente dalla precedente filmografia per andare ad abbracciare un genere assai diverso che negli ultimi quindici anni sta riscuotendo parecchio successo. Levinson però non è un ingenuo e perciò non cade nella trappola di farsi trascinare solo dietro urla agonizzanti e mostrando a tratti qualche immagine nemmeno troppo nitida.
La sua idea nasce innanzitutto da un bisogno di denunciare gli orrori che ci stanno attorno a partire dall'inquinamento ambientale come conseguenza dell'allevamento intensivo. Un danno e un pericolo maggiore di quello che si pensa contando che modificando la catena alimentare e dando da mangiare ai pesci del pollo forse si crea qualcosa che non si vorrebbe mai vedere.
La critica poi si fa ancora più spiazzante quando come spesso capita si tenta di occultare le prove cercando di nascondere la verità tramite mezzi mediatici o anche solo con una campagna elettorale dal vivo.
Solo questi due temi sviluppati con una logica che non lascia nulla al caso ma aumenta di tensione spalmando per tutto l'arco del film una tensione molto più realistica del previsto.
L'idea poi di fare un film a basso budget, di chiamare attori sconosciuti, di usare spesso la telecamera in spalla con moltissime inquadrature traballanti potranno essere elementi che faranno storcere il naso ma che invece riescono ad essere funzionali.
Un found-footage che saprà essere accolto dagli amanti della suspance anche grazie a dei buoni effetti speciali e poi l'idea semplice ma geniale di scegliere un parassita come nemico comune per essere precisi il Cymothoa Exigua. Questo parassita dei pesci entra nelle branchie degli animali, taglia la vascolarizzazione della lingua del suo ospite e si sostituisce alla stessa agganciandosi direttamente ai muscoli. Quando poi se ne vede uno lungo tre metri che si nasconde dentro un sottomarino abbandonato allora direi che ci siamo...

giovedì 7 marzo 2013

Mosquito Man

Titolo: Mosquito Man
Regia: Tibor Takacs
Anno: 2005
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

In America si sta diffondendo una malattia mortale trasmessa dalle zanzare. Per combatterla un’azienda farmaceutica tenta di creare delle zanzare mutanti che possano evitarne la trasmissione accoppiandosi con le zanzare letali. Un detenuto che sta per essere utilizzato come cavia umana tenta di fuggire nascondendosi nel laboratorio dove però entra in contatto con radiazioni e liquido mutageno che lo trasformano in un mostro-uomo-zanzara! Anche una scienziata viene colpita (anche se marginalmente) dai mutageni e il zanzarone maschio aspetterà che questa si trasformi per tentare di accopiarvisi… Intanto passa il tempo uccidendo gente!

Mosquito Man a parte il budget e le riprese che fanno tanto televisione di serie c-1, aveva davvero degli ottimi spunti e un motore d’azione che poteva dare certo molto di più ma cerchiamo di capire da dove arriva e chi lo ha prodotto.
Sci-fi Channel è una miniera d’oro di queste cazzate quasi tutte con tema mostri o robe simili.
Delle innumerevoli pellicole che ho visto su questo canale e su questo genere quasi nulla si salva. Spesso poi alcuni di questi film visto che il successo che potrebbero avere da noi non vengono neanche tradotte oppure sottotitolate. Dicevo quasi perché quello che si salva vince grazie al grosso apporto trash, spesso e volentieri neanche voluto dichiaratamente.
Mosquito Man ci arriva direttamente dalla Nu-Image (vi ricordate SNAKEMAN,SHARKMAN,METAMORPHOSIS etc), tutti girati nel giro di un paio di anni e in cui non è così difficile notare cosa predomina nelle pellicole a dispetto di cosa viene trascurato. Come dicevo però prendendolo per quello che è ovvero un film di serie B con pochi soldi e alcuni effetti speciali che forse andavano risparmiati, riesce perlomeno a divertire come dicevo grazie ad un bel plot anche se sfruttato male. Un cast che cerca di crederci un po’ come la scena iniziale del prigioniero portato nell’industria farmaceutica per essere usato come cavia o come la protagonista o co-protagonista che quanto intuisce di essersi presa anche lei il virus non reagisce proprio come farebbe un qualsiasi cristiano.
Qualche scena mi ha ricordato la MOSCA anche se qui la creatura uccide solo con il pungiglione per succhiare la linfa vitale (sembra Cell il nemico di Dragon Ball).
Comunque tra le scempiaggini più disumane prodotte dalla Nu-Image, mosquito Man offre un notevole svago anche quando vediamo chiaramente una testa a forma di gomma rompersi in due oppure questa evoluzione dalla zanzara tigre che vola goffamente nascondendosi da una parte all’altra della città.





giovedì 27 dicembre 2012

Day




Titolo: Day
Regia: Douglas Aarniokoski
Anno: 2011
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Un gruppo di viaggiatori armati di fucili, asce e machete cammina per le strade di un paesaggio devastato, dove il ciclo naturale della vita è stato a lungo stentato. Una volta dodici, questi sopravvissuti si sono ridotti a cinque. Sono costantemente in movimento, ma quando uno dei loro membri si ammala e rallenta il ritmo, sono costretti a cercare rifugio in un casolare abbandonato.

The Day è strano perché non è affatto originale, non racconta quasi niente e fatica a decollare. Però poi travolge in quella parte centrale e finale molto disperata e violenta. Pur trattando un tema come quello post-apocalittico ormai abusato dal cinema, riesce comunque a mantenere un’aura propria senza assomigliare o prendere in prestito nulla da altri film usciti di recente il che già da solo vale una nota positif in più.
Alcune scene sono davvero apprezzabili come la disperazione di Adam che si accanisce sulla povera Mary in una scena di macabra e sofferente tortura e agonia.
Aarniokoski il cui nome è impronunciabile tanto quanto Shyamalaian non è un talento come regista in sé. Su sei film che ha fatto forse questo è l’unico che si salva, ma per capire parte della sua bravura bisogna vedere con chi ha lavorato (Gilliam e Rodriguez solo per fare due nomi che esigono rispetto).
Un cast interessante e variopinto in cui i cinque (quattro ma non voglio fare spoiler) vivono continuamente di contrasti, di un terrore e un’alienazione che giace dentro di loro e li porta ad essere feroci e crudeli quanto i “cattivi” della situazione. Proprio questa è la scelta congeniale del film che anziché mostrare zombie o feroci creature mostra ancora una volta come l’abominevole spietatezza umana non trova pari in natura.
E’ l’atmosfera a farla da padrona. Le location deserte canadesi unite alla scelta di usare dei colori saturati e tendenti quasi solo al blu e al grigio per la fotografia arricchiscono un film girato davvero con pochi soldi e di un nichilismo davvero spietato.

lunedì 24 dicembre 2012

Last Winter


Titolo: Last Winter
Regia: Larry Fessenden
Anno: 2006
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

In una base nel Circolo polare artico è in atto lo scontro tra gli interessi di una compagnia petrolifera e quelli degli ambientalisti. Un uomo viene trovato morto, e un virus pare diffondersi nella base.

Se da un lato il taglio dell’eco-vengeance e della critica ambientalista stanno diventando, per fortuna, importanti vasi da cui anche l’horror attinge trame e sottotrame, dall’altro proprio questa particolarità di genere ha bisogno di essere regolamentata da un ritmo funzionale.
Il caso di Last Winter che ritrova dopo cinque anni d’inattività Fessenden, gioca alcune parti importanti, un buon cast e delle splendide location. Qualche paragone vorrei spenderlo con LA COSA di Carpenter.
Il regista spesso insegna che se da un lato le intenzioni e la storia sono estremamente importanti (soprattutto di questi tempi) anche l’azione e i passaggi fondamentali servono come in un’equazione in cui tutto alla fine deve tornare.
Il limite di Last Winter è proprio questo. Ed è un peccato perché tutto il film è pervaso da un’atmosfera che poteva e meritava di dare quel qualcosa di più. Quando un film di questo genere comincia a essere noioso allora c’è proprio qualcosa che non funziona. Tutto questo abbinamento e i punti deboli del film sfociano poi in un finale che riassume tutti i difetti di una narrazione che non riesce a essere incalzante.

lunedì 29 ottobre 2012

Fatal Contact



Titolo: Fatal Contact
Regia: Richard Pearce
Anno: 2006
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

In seguito alla scoperta di una mutazione nel virus dell'influenza aviaria, il mondo è in preda al panico. La Cina lancia l'allarme al Servizio Segreto Epidemiologico, ma forse è già troppo tardi. Quando infatti la dottoressa Varnak cerca di isolarlo per trovare la cura, il virus si è già trasmesso da persona a persona e sembra non avere nessun controllo.

Prodotto dalla Abc, il problema del film di Pearce è che non dice nulla di nuovo e non mostra niente di sconvolgente. I film su virus batteriologici che minano la nostra sicurezza sono un vaso di Pandora del cinema hollywoodiano. Questo seppur con un budget risicato che ha puntato tutto sul cast, cerca di ritagliarsi uno spazio quasi documentaristico negli intenti, purtroppo facendo l’errore di risultare a suo modo ancora più prolisso e noioso.
A parte un paio di scene come si deve sembra di assistere ad un unico dialogo allungato, scandito solo dai diversi personaggi che devono controllare e debellare il virus. Pearce ha cercato di sfruttare il tema del virus H5N1 per creare una situazione di panico e sfruttare così un impianto composto dalle varie ansie generali che esplodono in una grande fobia generale.
Il problema maggiore è che forse un documentario avrebbe reso meglio questo concetto altrimenti si passa ad un thriller come CONTAGION di Soderbergh che riesce a risultare più funzionale è ancora più attuale.

mercoledì 20 giugno 2012

Isolation-La fattoria del terrore


Titolo: Isolation-La fattoria del terrore
Regia: Billy O'Brien
Anno: 2005
Paese: Gran Bretagna/Irlanda
Giudizio: 3/5

In una remota località della campagna irlandese, sorge la Dan Reilly. In gravi difficoltà economiche, il fattore accetta di ospitare nella sua proprietà un laboratorio che si occuperà di studi sulla fertilità animale. Ma le cose prendono una piega spaventosa quando una terribile mutazione inizia a colpire il bestiame...

Ultimamente l’horror come genere che non è sinonimo di cazzate, spesso definito come un genere infantile in cui viene solo mostrata violenza, decide come molti documentari e film-drama di denunciare alcune realtà davvero oscene come l’allevamento intensivo o esperimenti genetici che sconfinano nella bestialità.
O’Brien parte in quarta senza stare a mostrare animali che divorano vittime inermi ma anzi sondando il lavoro di questo laboratorio che come in molti casi sembra staccarsi dalla fattoria e dal resto del genere umano per sviluppare nel suo microcosmo tutti gli orrori indicibili che noi povere scimmie non potremmo mai comprendere.
L’ingranaggio che il film mette in atto è interessante, cresce mano a mano come il pathos che Robbie Ryan trasmette con la sua fotografia e dopo poco cominci a chiederti cosa fa sì che il film nella sua sottrazione riesca meglio di molti altri in cui tutto è palesato mentre qui è tutto claustrofobicamente azzerato.
Certo il ritmo è lento e i dialoghi a volte dovrebbero essere soppiantati da qualche scena che non faccia venire il latte alle ginocchia ma nel complesso, complice anche il plot narrativo, il risultato è interessante.

giovedì 14 giugno 2012

Proie


Titolo: Proie
Regia: Antoine Blossier
Anno: 2010
Paese: Francia
Giudizio: 2/5

Una famiglia di proprietari terrieri e industriali si reca nella palude limitrofa alla loro residenza per scovare un cinghiale di dimensioni mostruose. Ma saranno i cacciatori a trasformarsi in prede: verranno attaccati e decimati da una intera covata di esemplari modificata geneticamente dagli scarichi.

Proie film d’esordio del francese Antoine Blossier è un altro degli ultimi horror francesi che negli ultimi anni hanno spopolato e hanno dimostrato l’indiscusso valore europeo e l’originalità sul genere.
Prey ovvero Proie ovvero Preda è purtroppo però un passo falso.
Un film destinato direttamente all’agognato festival ma dimenticato velocemente da critici e spettatori.
Il perché purtroppo non è nella durata di neanche ’80 dal momento che è successo spesso che alcuni registi con il dono della sintesi riuscissero a fare un buon film in ora e poco più.
Il problema non è neanche legato al soggetto ovvero una critica mirata all’abusivismo e una sorta di monito ecologista, bensì il fatto che Blossier cercando di essere minimale è finito con il risultare banale senza approfondire nulla e puntando all’assoluta assenza di originalità e assenza totale di caratterizzazione dei personaggi (senza contare i buchi di sceneggiatura).
La caratterizzazione dei personaggi era fondamentale in questo film che riflette come la scusa dei mostri-cinghiali serva a far prendere coscienza a una famiglia che almeno negli intenti è sicuramente contemporanea sotto tutti i punti di vista.
Quindi il climax del film, non farò spoiler, riguarda se vogliamo la mutazione dei rapporti sociali e della mostruosità dell’uomo che accetta  l’uso scriteriato di sostanze chimiche ben consapevole dei danni ingenti che crea alla specie ma anche ai famigliari stessi.
Proie altro non è che un film d’intrattenimento che mostra dei cinghiali (mutati dai danni ambientali) che si trasformano da vittime a carnefici.
L’idea di Blossier anche se non è originale poteva prendere una strada meno convenzionale. Ad esempio il reparto tecnico funziona in maniera eccellente, la regia riesce a far passare una discreta padronanza della tensione e il montaggio come il sonoro sono ben sfruttati.
Il cast è funzionale nel dare risonanza alla storia ma il risultato non è soddisfacente.

venerdì 6 aprile 2012

Carriers


Titolo: Carriers
Regia: Alex Pastor, David Pastor
Anno: 2009
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Un virus letale sta contagiando l’intero globo. Quattro giovani ragazzi percorrono vie secondarie dell’America dell’ovest per raggiungere un’utopica regione nel Golfo del Messico in cui saranno salvi. Carriers segue la loro fuga attraverso un mondo surreale e pieno di pericoli, dove regole e leggi non vengono più applicate. I loro piani vengono meno quando la loro auto ha un guasto su una strada isolata e questo sarà l’avvio di una catena di eventi che segnerà il destino di ognuno di loro.

Ancora una volta la dimostrazione di come con un budget risicato si riesca a creare le basi per un ottimo film sull’apocalisse pandemica(tema quanto mai abusato) ma che sembra uno dei veri vasi di Pandora delle ultime stagioni.
Il merito della riuscita di questo film è sicuramente nello script, nei protagonisti (finalmente dei bamboccioni che almeno riescono a far sembrare reale la sofferenza) ma soprattutto nella densa e corposa regia dei due fratelli che con delle ottime inquadrature e uno stile quanto mai efficace e un ritmo feroce se ne escono con una perla che rimaneva lì ferma dal 2007 aspettando un produttore. Aggiungendo le tinte forti della fotografia di Benoit Debie e il lavoro eccellente di post-produzione.
I quattro ragazzi non sono sticchi di santi, sopravvivono proprio sacrificando tutto a partire dal senso di perdita e della solitudine (l’abbandono della ragazza nell’area di sosta è davvero straziante).
Pochi cazzi. Anche qui di zombie se ne vedono pochissimi ma è la suspance che si mantiene per tutta la pellicola insieme alla crudeltà degli esseri umani che ritorna in auge sfruttando alcuni meccanismi davvero notevoli che fanno la differenza.
Fantastico e disperato Carriers è sicuramente uno dei migliori horror dell’anno.
I fratelli Pastor spero che verranno premiati per la loro particolare capacità di ridare enfasi al genere e alla tematica davvero molto abusata.