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giovedì 3 dicembre 2020

Dark and the Wicked


Titolo: Dark and the Wicked
Regia: Bryan Bertino
Anno: 2020
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

I fratelli Louise e Michael sono costretti a tornare nella fattoria di famiglia, nell’entroterra americano, per assistere la madre nell’accudimento del padre, costretto a letto e ormai in fin di vita. Louise e Michael si rendono però ben presto conto che la madre assume comportamenti particolarmente strani e paranoici, frutto non solamente dello stato di salute del marito, ma anche di qualcosa di diverso, misterioso e sinistro. Con il susseguirsi di eventi agghiaccianti e inspiegabili, i fratelli comprendono che una forza invisibile e maligna aleggia sulla loro casa, ed è pronta a impossessarsi di tutti i membri della famiglia.

Avercene di Bryan Bertino e di atmosfere inquietanti senza dover far nulla di che ma sfruttando bene un senso di angoscia e una paura permanente all'interno di una piccola fattoria.
Una location, due fratelli, tanti sensi di colpa, due anziani che semplicemente non c'è la fanno più assistendo impotenti a qualcosa che si sta impossessando della casa. Qualcosa che non ci è mai veramente dato sapere, trattandosi di una presenza che sembra cibarsi della morte stessa, arcaica e intelligibile. E così tra ululati notturni di bestie che puntano il gregge di capre, visioni inquietanti notturne, entità malvagie, mali invisibili, presenze e possessioni, suggestioni e allucinazioni, entriamo nell'orrore domestico e soprannaturale dell'ultimo intenso dramma di Bertino, a mio avviso il suo film più personale e maturo dopo Monster(2016).
Un'opera che si prende molto sul serio con pochi e attenti dialoghi, tanti primi piani, facce devastate dall'angoscia e dalla voglia di mollare e andarsene dimenticando i fantasmi del passato per non dover soccombere ad uno stato di ossessione costante (il climax finale per Michael è un colpo al cuore). Con un ritmo lento e minimale Bertino ci mette su un vassoio una prelibatezza dolorosa e lacerante, una situazione disperata che diventa sempre più devastante non lasciando spazio alla salvezza o alla speranza.

domenica 22 novembre 2020

Legame


Titolo: Legame
Regia: Domenico Emanuele de Feudis
Anno: 2020
Paese: Italia
Giudizio: 3/5

Durante una visita alla madre del suo fidanzato nel sud Italia, una donna cerca di difendersi dalla misteriosa e pericolosa maledizione che ha colpito la figlia.

Il Legame cerca come può, difendendosi molto bene, di articolare un folk horror nostrano ambientato in Puglia con superstizioni, incantesimi, credenze arcaiche, esoterismi, trasformazioni, streghe, guaritrici e rituali.
Sembra quasi impossibile poter tradurre queste etichette in un film italiano ad opera di un regista che dopo un cortometraggio e diverse esperienze come assistente alla regia prova a dare il meglio con un'opera ambiziosa e coraggiosa che scava nel substrato etnico-religioso per mostrare un dramma mistico e rurale. Una prova di come possano ancora ad oggi scontrarsi mentalità arretrate o secolarizzate a dispetto di una donna al passo coi tempi che non riesce a vedere quella parte mistica come qualcosa di possibile almeno fino a quando Sofia, sua figlia, non comincia a vaneggiare e viene infine rapita da una "strega" dopo essersi addentrata nel bosco.
Il terzo atto, quello dove l'azione ha un forte impatto nella narrazione, riesce a regalare quanto di meglio grazie ad un make-up, quello della strega, assolutamente funzionale e un rito che riesce a prendersi sul serio staccandosi da quell'amatorialità che spesso è materia celebrale di tanti horror italiani. La fascinazione possiamo dire rappresenta un ottimo spunto di originalità spiegata come condizione psichica di impedimento e di inibizione, e al tempo stesso un senso di dominazione, un essere agito da una forza altrettanto potente quanto occulta, che lascia senza margine l'autonomia della persona.

martedì 17 novembre 2020

Long Time Dead


Titolo: Long Time Dead
Regia: Marcus Adams
Anno: 2002
Paese: Usa 
Giudizio: 2/5

Alcuni adolescenti usano un’improvvisata tavola alfabetica Ouija per le sedute spiritiche e inavvertitamente scatenano le forze malefiche di un terribile demone che vorrà sterminarli.

Siamo di nuovo su un film spiazzante che aveva tutti le carte in regola per inscenare una tragedia spiritica & vengeance degna di nota ma purtroppo il tentativo evoca solo la noia e il disgusto nel vedere idee ed effetti speciali sprecati. Adams alla sua opera prima non ha saputo dare un contributo dignitoso al genere e i suoi film successivi sono il fantasma delle possibilità vanificate. La scia degli omicidi così come la comparsa del demone sembrano scene rimontate e identiche una all'altra.
Evocare uno spirito come un jiin non è facile ma se forse uno degli unici registi che ha saputo dare vita ad un'evocazione degna di nota e di humor nero negli ultimi anni è stato Raimi con l'ottimo Drag me to hell Long Time Dead si piega ad essere meccanico nella sua struttura, ovvio per la banalità della trama per ogni decerebrato che non voglia assolutamente doversi sorbire un horror con qualche pensata in più.

mercoledì 1 luglio 2020

Antrum


Titolo: Antrum
Regia: David Amito, Michael Laicini
Anno: 2018
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Un breve documentario ci introduce alle leggende che circolano su questo Antrum, fantomatico film del 1979 che solo poche persone hanno avuto il (dis)piacere di visionare. Ogni spettatore è incappato in un tragico destino fatto di morte. La storia è pressoché basilare. Due bambini decidono di rivedere il loro cane per un’ultima volta e, in mezzo ad una foresta, attuano un rito demoniaco che li possa portare all’inferno. Luogo dove, a detta di una madre insensibile, si trova il loro cane.

L'inferno sulla terra è ben più disturbante di quello nelle sacre scritture, una coppia di redneck che sodomizza animali e ne cuoce le carni in un grosso e blasfemo forno metallico a forma di capro satanico può far molta più paura di una maledizione o della visita fugace di un mostro.
Antrum è un film indipendente furbetto che inciampa in diversi errori o tentativi irritanti e pretenziosi ormai più che abusati per incuriosire gli spettatori, partendo come un mockumentary e mostrando la maledizione legata al film per poi concentrarsi sulla storia vera e propria.
Scavare una buca per andare all'inferno, seguire i passi di un libro maledetto, tutto porta i due piccoli Hansel & Gretel a confrontarsi con una natura oscura e confusa, un labirinto metafisico dal quale è impossibile scappare lasciando nascoste tracce di degenerazione e apparizioni surreali con sembianze umane (il giapponese che cerca di fare harakiri) o creature nascoste dal buio o dalla nebbia. Il tutto in un crescendo che parte dalle fake news, continua con le prove iniziatiche dei due fratelli e finisce in pasto ai redneck. Antrum è un film che cerca di disorientare e disturbare il pubblico centellinando l'azione e puntando molto sull'aspetto tecnico con un'estetica retrò in 35mm con con graffi e puntinature vari, con una patina assai lontana dall’immagine digitale e asetticamente perfetta a cui siamo ora abituati, che riporta caratteri marcatamente esoterici e frammenti di quello che ha tutta l’aria di essere uno snuff movie. Antrum non cerca la narrazione o un'idea specifica di cosa voler mettere in mostra auto definendosi ad un concetto di esperienza visiva.



lunedì 4 maggio 2020

Field guide to evil


Titolo: Field guide to evil
Regia: AA,VV
Anno: 2018
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Field guide to evil in tempi di folk-horror e cicli antologici è una piacevolissima sorpresa per svariati motivi. Vuoi il suo essere passato inosservato, vuoi perché racchiude alcuni registi che amo molto (Evrenol, Strickland, Gebbe, Franz & Fiala, Smoczyńska) vuoi perchè tutte le storie si concentrano su leggende poco conosciute ognuna scandagliando un luogo diverso.
Sono dei corti dove il peso della narrazione si impone e di fatto riesce a far sì che alcuni lavori riescano a esercitare maggiori suggestioni rispetto ad altri, chi per gusti personali o chi perchè sembra andare ad approfondire antiche superstizioni. Favole nere tramandate nei villaggi, dove protagonisti sono mostri, elfi, demoni annidati nei boschi e miti malefici che prendono corpo. L’orrore insito nel folklore, che attraversa il tempo secolare e gli spazi geografici, condensato in un’antologia di otto racconti che esplora il lato più oscuro della tradizione ambientati in passati scaramantici e insidiosi.

The Sinful Women of Höllfall
I registi di Goodnight Mommy ci portano in Austria uno dei paesi più complessi al mondo al livello di cinema per parlarci dell'elfo Trud e di un amore omosessuale tra due donne che come tale deve essere punito perchè a quei tempi semplicemente non poteva essere accettato.
Haunted by Al Karisi – The Childbirth Djinn
Evrenol di Baskin e Housewife ci porta nella sua terra la Turchia per parlarci del demone Karisi, il demone del parto che si presenta con le sembianze di una donna ma anche di un gatto o di una capra. Uno dei corti più complessi, girato quasi tutto all'interno di una stanza e con questo alternare dialoghi e silenzi, dove gli stati della madre malata e il suo delirio in crescendo creano inquietudine e mistero. Come sempre il tocco del regista dimostra una scelta perfetta dei tempi narrativi, un montaggio eccellente e quella cattiveria innata nell'anima della politica d'intenti dell'autore che spesso e volentieri sfocia nel gore estremo.
The Kindler and the Virgin
La regista di Lure ci porta in Polonia un paese che amo alla follia per regalarci una delle storie più lente e minimali, giocata con una fotografia tetra tutta incentrata sui toni bluastri dove questa entità, una donna, sembra ammaliare questo giovane profanatore di tombe in cerca della saggezza.
Un corto molto complesso che tratta a differenza degli altri, assieme a Strickland la magia intessendola di suggestioni, inquietanti presenze, scene di cannibalismo e molto altro ancora.
Beware The Melonheads
Calvin Lee Reeder è uno dei pochi registi di cui non ho ancora potuto guardare nulla prima di questo corto. Ed è un peccato perchè pur non infilandosi come nei precedenti in una leggenda vera e propria mischia esperimenti nucleari alla Craven con protagonisti dei bambini malvagi e una sorta di potere psichico. Capitanati da un losco nano, gli umanoidi destabilizzeranno un simpatico equilibrio famigliare mordendo fisicamente con colpi bassi. Con uno stile molto sporco a tratti amatoriale e senza l'impiego massiccio di c.g, il corto di Reeder è il più bifolco tra i corti visti finora, quello che per assurdo sembra prendersi meno sul serio, un colpo alle costole che riesce a farsi portatore di una sua mitologia più cinematografica che altro, in fondo divertente.
What Ever Happened to Panagas the Pagan?
Yannis Veslemes ci porta in Grecia per una favola davvero disturbante che sfocia come contro altarino delle gioie natalizie ma a differenza del Krampus ci parla del Kallikantzaros,
creatura mostruosa che, secondo la tradizione, manifestandosi sotto stati alcolemici molto alti, vive sottoterra tutto l’anno fino al giorno di Natale, quando visita le case per arrecare οgni sorta di angherie alle persone
Palace of Horrors
Ashim Ahluwalia ci porta in India in un palazzo che sembra un incubo o una suggestione per farci entrare in un incubo in b/n dove una galleria di creature deformi sembra rappresentare e conciliare la metafora di un paese dilaniato dalle malattie e dallo sfruttamento
A Nocturnal Breath
Dalla Germania la regista di Tore Tanzt ci parla del Drude, uno spirito malevolo che lascia il corpo del posseduto per diffondere malattie sterminando greggi e bestiame lasciando la gente in povertà e vittima di ignominie e persecuzioni prima in assoluto la stregoneria. La persona come la bestia giace esanime fino a quando lo spirito non ritorna nel suo corpo
The Cobblers’ Lot
Dall'Ungheria l'ultimo segmento è di un regista fantastico che seguo da diversi anni, Strickland (Berberian Sound StudioDuke of BurgundyKatalin Varga) portandoci in una fiaba muta e onirica, suggestiva quanto ancestrale e magica, in una ricerca disperata per arrivare alla donna amata. The Princess’s Curse procede incalzante in questa rivalità fraterna in un eclatante manifesto funereo grazie ad immagini estremamente evocative e poetiche.

venerdì 27 marzo 2020

Tocco del male


Titolo: Tocco del male
Regia: Gregory Hoblit
Anno: 1998
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Un poliziotto riesce a far giustiziare sulla sedia elettrica un pericoloso serial killer che, però, minaccia di tornare. In seguito, infatti, qualcuno commette omicidi con lo stesso modus operandi. C’è sotto qualcosa di demoniaco.

Se inizi un film con un flash forward significa che sai cosa vuoi fare e poggi tutto su uno script assolutamente perfetto. Il tocco del male è il bignami dell’imperfezione, del mischio tutto e frullo assieme ogni tipo di atmosfera, riferimento, genere e poi speriamo che la faccia di Denzel faccia il resto.
Hoblit è solito trattare il thriller e il poliziesco. Qui ci sono entrambi ma con tanto soprannaturale, il che è un bene, ma che deve essere scritto in maniera convincente che la sceneggiatura non riesce.
Il risultato è una bella via di mezzo. Il film parte benissimo con una scena in cui vediamo il pregevole Elias Koteas che sta per essere giustiziato e farà una rivelazione al protagonista che diventerà il francobollo per tutto il film. Poi abbiamo il passaggio di mano, il tocco del male e il cambio dei testimoni che porteranno ad un’indagine che nel secondo atto perde molto, traballando e non riuscendo sempre ad avere quel ritmo che ci si aspetta e delude in particolare nel finale, purtroppo a causa della struttura narrativa già di fatto intuibile. Hoblit ha un budget incredibile, un cast decisamente perfetto ma è il paranormale a non riuscire mai a stupire e ad andare oltre le solite profezie da quattro soldi (Azazel) possessione demoniaca, thriller parapsicologico, teologia banalotta che sconfina nei soliti dictat del vecchio testamento e molto altro ancora Gregory Widen tiri fuori dal calderone (tra tutte le sceneggiature questa è di fatto la più confusa)


mercoledì 22 gennaio 2020

History of horror


Titolo: History of horror
Regia: Ely Roth
Anno: 2018
Paese: Usa
Stagione: 1
Episodi: 7
Giudizio: 3/5

E'un progetto complesso, didascalico, citazionista, un compendio di tutto quel vocabolario horror che i fan di genere conoscono a memoria e di cui questi episodi contengono quelle rare prelibatezza che in parte ci erano sfuggite.
Siamo di fronte a AMC Visionaries: Eli Roth’s History of Horror, docu-serie tv in 7 puntate facente parte di un nuovo show della AMC, che Roth ha voluto fare a tutti i costi come una sorta di banca della memoria di alcuni grandi maestri, delle loro testimonianze viventi con interviste ai più grandi rimasti e le loro storie, esperienze e curiosità e soprattutto retroscena.
Tanti gli ospiti, da quelli a lungo termine come alle comparse. Nomi sulla bocca di tutti che prevedono scrittori, registi, sceneggiatori, attori, produttori. King, Tarantino, Peele, Blum, Englund, Blair, Zombie, Nicotero, Curtis, Elijah Wood, Landis, Linda Blair, Jack Black, Hedren, etc.
7 episodi per sette tematiche differenti che vanno dallo slasher in due puntate, possessioni demoniache, mostri, vampiri e fantasmi.
History of horror è una sfida in parte vinta se contiamo che progetti di questo tipo sono atipici, quanto allo stesso tempo una carrellata di notizie che tutti i fanatici dell'horror conoscono quasi a memoria fatta eccezione per le curiosità legate a particolari sul set a detta degli autori.
Resta comunque una visione molto convincente, con tanti spezzoni di cult dell'horror, dell'analisi di un sotto genere che piace più alle donne che agli uomini, l'impatto che i singoli aspetti hanno avuto sulla società e sull'immaginario collettivo e che negli ultimi anni è diventato un fenomeno di massa con produttori assatanati e saghe interminabili e opinabili con tanto tempo rubato da saghe come TWILIGHT o THE WALKIND DEAD e in tutto questo, tantissimo cinema che rimane fuori, ai posteri, e che avrebbe dovuto chiamarsi forse History of American horror.
Se si pensa che proprio Roth che ama il cinema di genere italiano e avendo fatto dei remake molto discutibili tenga fuori Bava, Argento, Fulci, Deodato e tanti altri senza stare a pensare al cinema europeo come quello orientale, l'operazione fa storcere il naso sperando che se ci sarà un futuro, verrà analizzato anche un altro continente e il peso specifico che ha comportato in parte per la nascita del cinema horror americano.
Gli episodi hanno comunque un buon ritmo alternando sketch, frasi memorabili, scene indimenticabili e diventate cult per alcuni film, il tutto in una durata di 40'.


venerdì 10 gennaio 2020

Heretics


Titolo: Heretics
Regia: Chad Archibald
Anno: 2017
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Una ragazza viene rapita da un uomo sconosciuto che sostiene di volerla proteggere, fino all’alba, da una pericolosa setta che le sta dando la caccia. Durante le ore con il suo rapitore però la giovane si ammala gravemente. Solo il trascorrere del tempo rivelerà la vera origine della sua malattia il cui ultimo stadio non è la morte ma la mutazione.

Con tutto il bene che voglio ad Archibald, alla sua coraggiosa filmografia, al suo amore per l'indie horror e al suo sodalizio con la Black Fawn Films, ho trovato il suo ultimo film una sorta di ripetizione su tante trame che vedono protagoniste sette sataniche o neo-pagane o come vogliono chiamarsi che hanno l'obbiettivo di far resuscitare un demone o il diavolo stesso (cambiano spesso i nomi ma la sostanza è la stessa in questo caso Abaddon). Di fatto deve esserci una predestinata che ha sogni e allucinazioni che non riesce a capire, un mentore che rapendola deve spiegarle qual'è lo scopo della sua vita e cosa vogliono da lei quelli della setta, per finire una persona a lei cara che in realtà rema contro.
I luoghi comuni per dirla tutta, sono gli elementi dominanti di una storia che a parte il climax finale è pienamente prevedibile sotto ogni punto di vista. Archibald e soci sono coraggiosi nello sfruttare alcuni personaggi, al di là della caratterizzazione, in modo molto funzionale come la ragazza di Gloria, Joan, che per arrivare al suo scopo uccide chiunque le si ponga davanti senza la benchè minima esitazione (poliziotti, la mamma della protagonista). Il problema grosso del film al di là di alcune scene d'effetto, ma che parlando di folk-horror è impossibile non annettere, è il vuoto cosmico che dalla seconda metà del secondo atto la sceneggiatura diventa veramente una sequela di luoghi comuni tutti indirizzati al rituale finale e alla scena della mattanza. Un body horror sulla possessione, un thriller esoterico, una lenta trasformazione verso il male assoluto con qualche ingenuità di troppo. Sembra esserci stata molta fretta per la pre-produzione del film e gli esiti sono dietro l'angolo senza nascondere qualche scena che si ripete dando quel senso di noia durante la visione.



lunedì 30 dicembre 2019

Beetlejuice-Spiritello porcello


Titolo: Beetlejuice-Spiritello porcello
Regia: Tim Burton
Anno: 1988
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Una coppia di giovani sposi muore in un incidente stradale. Tornano come fantasmi nella loro vecchia casa che però è abitata da una famiglia di cialtroni di città. Dopo aver cercato di spaventarli, i due chiamano in aiuto uno spiritello simpatico, sboccato e pasticcione, a nome Beetlejuice, che, dopo alcune difficoltà iniziali, riuscirà nell'impresa

Beetlejuice è in assoluto uno dei miei film preferiti di Burton. Inquietante, colto, maturo, con tanto horror e tante risate, con un aldilà pressochè perfetto dove tra le tante cose ci viene mostrata una burocrazia assurda come succedeva in Brazil e per finire alcune canzoni e balletti indimenticabili.
Beetlejuice poi crea e distrugge, mondo normale e mondo straordinario, una casa che sembra infestata dove all'interno c'è un plastico della stessa città in cui è ambientata la vicenda e dove all'interno dimora il demone evocato. Un gioco di scatole congeniale e sempre perfetto che riesce a dare quel taglio particolareggiato alla storia, rendendolo un film indefinibile e una prova di riuscita coniugazione di generi.
Un cult assoluto dove a conti fatti non sembra mancare proprio niente e dove anzi Burton sembra inventarsene sempre una nuova senza mai smettere di aggiungere elementi nuovi e quasi sempre solidi per la narrazione. Di fatto crea forse involontariamente una sua piccola mitologia del soprannaturale con personaggi indimenticabili, libri esoterici e soprattutto la costruzione del ruolo narrativo di spirito. Tra i ghost-movie, tra le tante etichette che il film si porta a casa, sicuramente è uno dei più ambiziosi, originali, uno dei più ben fatti e divertenti anche se come dicevo con alcune scene grottesche che rimandano molto anche ad un certo espressionismo contaminato dalla pop art del regista. Una creatività fortissima che sembrava non avere confini, un esperimento fino ad allora che non si era mai visto in una commedia, diventando un unicum nel panorama cinematografico del periodo e un’autentica lezione di scrittura cinematografica moderna


Nightmare Cinema


Titolo: Nightmare Cinema
Regia: AA,VV
Anno: 2018
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Cinque estranei convergono in un cinema infestato di proprietà di The Projectionist (Mickey Rourke). Una volta all'interno, i membri del pubblico assistono a una serie di proiezioni che mostrano le loro paure più profonde e i segreti più oscuri su cinque racconti.

Nightmare Cinema arriva come un piccolo tesoro da custodire, uno di quei tanti esperimenti per rilanciare gli horror antologici fortemente voluto da Mick Garris che a parte avere un problema nelle trasposizioni dei film di King e aver diretto due filmetti dimenticabili, ha fatto sì che nascesse Masters of Horror-Season 1 Masters of Horror-Season 2 e Fear it Self-Comunità-Season 1.
Il primo episodio inizia col botto in media res ed è firmato dal frizzante Brugues il quale aveva diretto un film bello originale sugli zombie Juan of the dead e un episodio di ABC OF DEATH 2. In questo caso The Thing in the Woods fa le cose per bene risultando splatter, trash e in parte gore con tanto umorismo macabro e una mattanza notevole contando che il pezzo forte rimane il finale.
Samantha è l'unica superstite di un gruppo d'amici riuniti in una baita per festeggiare. Un killer che indossa maschera da saldatore, ha letteralmente fatto una strage. Alla resa dei conti, Samantha si trova faccia a faccia con Fred, suo vicino di casa segretamente innamorato. Questa volta, però, la catena di delitti non è dovuta ai deliri di un folle, ma è legata ad un misterioso oggetto piovuto dal cielo.
Mirari di Joe Dante è una sorta di omaggio cronemberghiano e carpenteriano quando ci si lascia nelle mani del chirurgo amico del futuro sposo allora i danni o i colpi di scena possono assumere effetti esagerati quanto divertenti e inquietanti come la maschera della protagonista.
Anna porta sul viso una cicatrice, frutto di un incidente d'auto, sin dall'età di due anni. Dietro consiglio del compagno David decide di sottoporsi ad un delicato intervento di chirurgia estetica facciale, senza immaginarne le conseguenze.
I primi due episodi hanno un ritmo forsennato, ci pensa Mashit di Kitamura a cambiare decisamente i toni, l'ambiente, il ritmo e la narrazione con una storia di possessioni demoniache in un convento del Messico dove tra bambini che camminano come ragni sulle pareti abbiamo un grand gruignol finale d'effetto, simboli esoterico-satanici sparsi un po ovunque senza farsi mancare il prete locale che si scopa una delle suore.
Peter, un bambino ospite di una comunità religiosa, si uccide gettandosi dal tetto di una chiesa. Il tragico fatto è seguito da una serie di fenomeni demoniaci, che si manifestano con lacrimazione di statue, rapporti sessuali tra padre Benedict e le suore e bambini posseduti. Ospite indesiderato del sacro luogo è infatti Mashit, "una entità infernale, confinata a causa di perdizione e incesto al ruolo di demone, la cui missione è quella di torturare i bambini e spingerli al suicidio."
Penultimo abbiamo il buon Slade che è davvero un peccato che non lavori quanto dovrebbe visto il suo spiccato talento dimostrato un pò ovunque tra horror e serie tv. In questo caso se ne esce con questo This Way to Egress
Helen, moglie divorziata con due bambini di nove e undici anni a carico, si reca dal dott. Salvadore, psicologo che l'ha in cura. La donna, depressa e munita di pistola nella borsa, è afflitta da visioni inquietanti, durante le quali intravede alcune persone con aspetto deforme.
Probabilmente il segmento più interessante dove succedono cose in una specie di orrendo ospedale che sembra trasformarsi e dove le pareti così come le creature deformi che lo popolano non sembrano mai essere le stesse e in questo luogo che si aggira con l'aria spersa la nostra protagonista. Slade è bravo a creare molta tensione quasi citando tra le righe l'atmosfera di Silent Hill o Citadel.
Dead di Garris

lunedì 21 ottobre 2019

Bambola assassina (2019)

Titolo: Bambola assassina (2019)
Regia: Lars Klevberg
Anno: 2019
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Buddi è la nuova bambola creata dalla potente industria Kaslan. In uno stabilimento nel Vietnam, dove la bambola viene assemblata, un dipendente viene rimproverato e licenziato, ma prima ha il tempo di modificare il software di una delle bambole togliendole ogni limite e ogni remora. Poi si suicida. Negli Stati Uniti, Karen è una madre single, con una storia poco passionale con Shane. Andy, figlio adolescente di Karen, non vede di buon occhio la relazione della madre e soffre anche per il trasloco familiare appena compiuto. Per farlo felice, Karen, che lavora in un grande negozio, gli porta a casa un Buddi restituito da una cliente perché difettoso. Andy si rende conto che il bambolotto è un po' particolare, ma, proprio per questo, se ne appassiona. Le cose però si fanno presto complicate. Infatti, la bambola - alla quale viene dato il nome di Chucky - è proprio quella modificata e molti guai sono perciò in arrivo.

Essendo un fan di Don Mancini, avevo una certa paura di fondo a dovermi scontrare con l'ennesimo reboot di una saga che in un modo o nell'altro ha sdoganato la bambola assassina, in un film che a conti fatti arriva trent'anni dopo l'originale.
Negli ultimi anni sulla falsa riga dell'idea di Chucky e il vodoo, sono stati prodotti tanti cloni, ibridi, tentativi di creare qualcosa di innovativo e arrivando negli ultimi anni a farlo coincidere con la possessione demoniaca virata verso Annabelle 2 con risultati molto scarsi ma che sono piaciuti molto ai neofiti dell'horror.
Klevberg che aveva diretto l'inutile Polaroid, uno di quegli horror che sembrano ripetersi sulla falsa scia di altri prodotti simili e quasi sempre brutti, riesce, forse complice anche un buono script, a portare a casa un film che non sfigura di fronte agli originali.
Certo il film a tutti i limiti del caso a partire dal terzo atto, forse una delle parti più caotiche e sconclusionate, ma l'idea di adattarlo ai nostri tempi, di partire da una interessante critica al consumismo, la caccia al Buddi (ma quello biondo, non quello coi capelli rossi) diventa se vogliamo un sostituto del cellulare per i bambini e quindi un modo per le famiglie di togliersi i marmocchi di turno è un ottimo spunto. Buddi poi è stato pensato con una storia abbastanza originale che ne giustifica la nascita, è caratterizzato come spesso negli horror non avviene e ha una sua identità molto diversa e meno spinta rispetto ai film di Mancini, non è volgare e sboccato, ma docile, non ha istinti sessuali forti e non ha quel sottile humour della saga che in questo caso in un paio di punti avrebbe giovato.

lunedì 7 ottobre 2019

Marianne-Prima stagione

Titolo: Marianne-Prima stagione
Regia: Samuel Bodin
Anno: 2019
Paese: Francia
Stagione: 1
Episodi: 8
Giudizio: 4/5

Una famosa scrittrice horror torna nella sua città natale e scopre che lo spirito malvagio che la perseguita in sogno sta provocando il caos nel mondo reale

I francesi nell'horror hanno sempre fatto scintille.
Marianne è un compendio di così tanti elementi mischiati che ne sanciscono variazioni su generi ormai ampiamente abusati, una trama opprimente e allo stesso tempo per un mood claustrofobico infarcito di elementi.
Un'operazione commerciale con tanti obbiettivi tra cui sicuramente quello di spezzare una monotonia di scrittura e puntare tutto sull'azione e i jump scared (davvero..davvero troppi). Un prodotto dove il soprannaturale, il disagio reale, la città che richiama demoni e segreti con i suoi inquietanti sacrifici, i personaggi (pochi ma buoni) che cercano di divincolarsi da una caratterizzazione spesso accennata e confusa.
Marianne mischia spesso i piani temporali, regala tanto di quel sangue che si fatica a credere ma allo stesso tempo, pur essendo pensata per un pubblico giovane (vietata ai minori di 14 anni) non riesce mai a far paura e inquietare davvero a causa del suo ritmo troppo accelerato e di una protagonista sfacciata che non sembra mai avere paura di nulla (nonostante quello che le succeda ha dell'incredibile). Un canovaccio con troppi elementi, spesso sbilanciati, che non sembrano dare mai una calma per soffermarsi a pensare a cosa stia succedendo, una continua burrasca, come il mare e le onde che si infrangono sugli scogli di Elden.
Sembra la risposta europea, con i tocchi classici dell'horror americano, delle Terrificanti avventure di Sabrina-Season 1 con più sangue e il taglio ancor meno teen.
In fondo i parti mentali di una scrittrice che diventano reali si sono già viste. I richiami sono tanti come le citazioni all'interno della serie.
Streghe, possessioni, sedute spiritiche con cani indemoniati, demoni che escono dal grembo materno, personaggi che svaniscono nel nulla senza più tornare se non sotto forma di fantasmi, tremendi incubi d'infanzia, un manipolo di amici fedeli che diventano a loro insaputa vittime sacrificali e per finire forse una delle cose più belle, la cittadina di Elden, con i suoi grigi paesaggi marini.
Dal punto di vista tecnico il risultato è impeccabile. Marianne, per l'enorme quantità di dettagli e formule andrebbe visto tutto insieme senza lasciare grossi buchi per non perdersi in una trama che allo stesso tempo se si fosse presa più tempo, togliendo elementi e approfondendo ancora di più quanto chiamato in causa, poteva risultare ancora più accattivante. Il risultato finale è comunque buono, averne di serie di questo tipo, e messe in scena con coraggio e tante formule narrative.

venerdì 9 agosto 2019

Astral


Titolo: Astral
Regia: Chris Mul
Anno: 2018
Paese: Gran Bretagna
Giudizio: 3/5

Studente di metafisica, Alex scopre la pratica della proiezione astrale e la possibilità di viaggiare in una dimensione diversa dalla nostra. Ancora alle prese con il dolore per la prematura scomparsa della madre quando era bambino, Alex decide allora di usare la proiezione astrale per tentare di entrare in contatto con lei. Mentre i suoi esperimenti aumentano di giorno in giorno, Alex inizia a isolarsi da tutti coloro che si prendono cura di lui, andando incontro a un continuo deterioramento delle sue condizioni mentali.

"La prima cosa da fare è trovare un posto comodo. Stare sdraiato sulla schiena e riposare gli occhi. Se senti il bisogno di spostarli, ignoralo. Concentrati sul tuo respiro. Inganna il cervello come che il corpo stesse sognando: questo attiva la paralisi del corpo, uno stato di transizione tra veglia e sonno. Quando succede questo, puoi separarti dal tuo corpo fisico paralizzato. Concentrati sulle parole: sono in totale pace, connesso a tutto ciò che esiste. Ho il potere di viaggiare dove voglio andare. Sarò protetto mentalmente, fisicamente e spiritualmente."
Astral è un indie passato inosservato pressochè ovunque, senza l'ombra di una distribuzione e tutto questo è un gran peccato perchè l'esordio di Mul andrebbe tenuto d'occhio proprio per il suo declinarsi sull'occulto e il soprannaturale senza rovinarlo con effetti in c.g e creature che servono solo da maschera per il vuoto della scrittura.
Mul probabilmente come il protagonista o l'insegnante dell'università, sembra particolarmente attratto dall'occulto, riuscendo a sondarlo in maniera atipica, mai scontata, tranne qualche scena nel finale che proprio per regalare intrattenimento e azione mostra una possessione facendo vedere i demoni, riuscendo a non risultare ridicolo ma coerente con il resto del film.
Dopo una prima parte interessante dove il regista si prende tutto il tempo per raccontarci cos'è un viaggio astrale e come poterci entrare, non senza i rischi che uno psichiatra e una medium gli fanno presente, Astral persegue un percorso da omnibus dell'horror mettendo in campo demoni, uomini ombra e pure appunto la possessione demoniaca in una scena che sembra citare Raimi.
Con un cast di giovani che riescono a risultare maturi e interessanti, Astral non è certamente esente da difetti, ma riesce molto bene a fare quello che dimostra di saper fare senza fare ricorso a troppi elementi esterni rimanendo sempre focalizzato sul punto di partenza.
La scena finale poi è crudelmente perfetta girata con due lire come tutto il resto del film, dimostrando ancora una volta come anche nel low budget sia possibile dimostrare di saperci fare con idee brillanti e poco abusate

giovedì 4 luglio 2019

Hole in the ground


Titolo: Hole in the ground
Regia: Lee Cronin
Anno: 2019
Paese: Irlanda
Giudizio: 3/5

Sarah sta costruendo una nuova vita con suo figlio ai margini di una piccola cittadina rurale. Un incontro terrificante con un vicino misterioso frantuma la sua già fragile anima, gettandola in una spirale paranoica sempre più disturbante. Dovrà scoprire se i cambiamenti inquietanti del suo bambino sono collegati a una minuscola buca nella foresta che confina con la loro casa.

E'difficile non amare alla follia le fiabe nere e gli horror rurali. I perchè sono tanti e nascono da presupposti che coincidono con le mille facce di madre natura, della selva oscura e di tutto ciò che è confinato fuori dalle nostre grigie città.
Negli ultimi anni sono arrivate diverse opere accattivanti e affascinanti unite dal bisogno di narrare quel folklore locale che appartiene di norma a ogni paese.
Hole in the ground ha tutti gli elementi per entrare a far parte di questo piccolo universo se non fosse che i rimandi e le somiglianze con Hallow che ho semplicemente adorato, sono davvero tante, tali da far perdere parte del fascino dell'opera dell'esordiente Lee Cronin.
Tanti i sotto testi e le metafore del film a partire da una vena ecologista a delineare l'intero intento dell'opera: stiamo distruggendo così tanto la natura che la risposta è una forza oscura rigurgitata dalle viscere della terra che si prenderà la sua rivincita sacrificando ciò che pensiamo di amare di più, i nostri affetti, la nostra famiglia e tutto il resto.
Due attori, una location e solo qualche sparuta immagine della creatura di turno.
Il resto sono pensieri e parole, suggestioni e giochi d'atmosfera.
Cronin nel cappello magico non mette molti elementi ma riesce a inquadrarli molto bene grazie ad una fotografia e degli effetti sonori che meritano una standing ovation
Uniche pecche l'aver esagerato e tirato un po troppo per le lunghe la "possessione" del piccolo Chris



martedì 2 luglio 2019

Pet Sematary(1989)


Titolo: Pet Sematary(1989)
Regia: Mary Lambert
Anno: 1989
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Da un romanzo di Stephen King. La famigliola di un dottore si stabilisce in un villaggio del Maine. Poco dopo l'arrivo, il gatto di casa è ucciso da un camion. L'animale è sepolto nel locale cimitero che tutti ritengono stregato. La notte seguente infatti, il gatto ritorna, trasformato in malevola creatura.

Ancora una volta come lettore e fruitore del cinema del maestro del brivido mi ritrovo a dover fare i conti con le vecchie e le nuove trasposizioni
Sostengo che il film di Lambert così come la versione di Wallace e la mini serie di Garris abbiano in comune il fatto che tutte cerchino di essere il più verosimili possibili con i romanzi a dispetto di scelte e capolavori come quelli che hanno portato Kubrick a dirigere SHINING e che confermano di come anche la libera trasposizione sia sinonimo di ottimo risultato quando alla base ci sono le idee giuste.
Il film di Lambert pur essendo molto più televisivo, rispetto al remake del 2019 non perde e non trasfigura le regole principali, cercando di dare importanza al tema della morte e del lutto e non cercando di trovare facili sentieri per avere più carne al fuoco possibile come nella recente versione.
Pur non potendo contare su un cast brillante, il film dalla sua riesce a mantenere un equilibrio tra atmosfera e colpi di scena proprio nel suo cercare di smarcarsi da trappoloni eccessivi che come nel remake del 2019 ne hanno sancito uno dei limiti principali.
Senza stare a fare l'ennesima comparazione tra romanzo e i due diversi film, Pet Sematary non potrà mai disturbare come il romanzo toccando quei fasti che le parole e l'immaginazione pesano più di qualsiasi immagine, quel grandissimo trattato sulla morte, sul dolore, sull'elaborazione del lutto che dalle pagine del maestro del brivido prendeva vita nella nostra immaginazione,
ma di certo il coraggio con cui con i limiti del tempo si è cercato di rendere il film malato e disturbante non possono che aggiungere pregi all'opera che proprio per l'adattamento del 1989 la sceneggiatura venne curata dallo stesso King che qui si ritaglia un cameo nel funerale.


Polaroid


Titolo: Polaroid
Regia: Lars Klevberg
Anno: 2019
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Nella cittadina di Locust Harbor, Bird Fitcher è una studentessa liceale un po' complessata, con ancora le scorie di un grave trauma infantile. Appassionata di fotografia, riceve in regalo dall'amico Tyler una vecchia macchina fotografica Polaroid, che fa le foto a sviluppo istantaneo. Bird è entusiasta del regalo e per provare la macchina scatta una foto di Tyler. La sera, andando a una festa in costume, Bird nota che nella foto che ha scattato all'amico c'è qualcosa di strano.
Timida e rinunciataria, alla festa Bird se ne sta come sempre in disparte. A sorpresa, però, Connor, il ragazzo che le piace, le si avvicina e si dimostra amichevole. Bird scatta una polaroid a lui e ad altri amici. Ma l'arrivo della polizia getta un'ombra sulla festa: lo sceriffo Pembroke convoca Bird per comunicare che Tyler è stato trovato morto. Anche nella foto presa alla festa sembra esserci qualcosa di strano: un'ombra minacciosa. Bird comincia a capire che nella Polaroid alberga qualcosa di micidiale. Chi viene fotografato è destinato a una sorte orribile e per salvarsi Bird e i suoi amici fotografati dovranno cercare di capire da chi difendersi e come.

Polaroid è il tipico horror teen virato sule maledizioni e i fantasmi destinato ad ammorbare il pubblico horror nel periodo estivo.
Inventiva pari a zero. Sembra quel videogioco orientale del passato, Project Zero, dove nella foto compariva questa presenza destinata ovviamente a uccidere il malaugurato soggetto o i soggetti quando la foto non è singola ma di gruppo. Dalla maledizione non si può scappare, c'è una macchina fotografica maledetta e la solita tiritera andando a cercare di scoprire la biografia della presenza maledetta per poter placare la sua ira.
Pur essendo l'horror un genere a grande latitudine, non è solo la macchina fotografica posseduta a non funzionare (negli anni ci siamo adattati a tutto) ma il ritmo che a parte l'incidente scatenante che balza fin dalla prima inquadratura senza perdere troppo tempo ma arrivando subito al punto, sembra soporifero per tutto il tempo con una recitazione di giovani attori incompetenti che non aiuta a rendere l'atmosfera reale e coinvolgente.
La c.g del mostro finale è davvero tremenda per quanto risulti infima per qualità e per mancanza totale di idee e originalità.

Annabelle 2


Titolo: Annabelle 2
Regia: David S.Sandberg
Anno: 2017
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Nella remota provincia americana dei primi del novecento è tutto un dolly rassicurante, giochi di bimbi e genitori premurosi che sprizzano felicità all’interno di una magione isolata tra i campi. Almeno fino a che un incidente di rara assurdità e violenza non stronca la quiete familiare davanti alla tomba dell’unica figlia. Dodici anni dopo un gruppo di ragazze dal più classico istituto religioso si trasferisce in quella casa, per richiesta di quei genitori. Inutile dire che la casa non è abitata solo dai viventi.

Annabelle 2 è il manuale esatto di come non andrebbe girato un horror. Un sequel che vorrebbe essere un prequel di un horror con co protagonista una bambola posseduta. Un film destinato anch'esso al cinema e ad un pubblico ebete che crede che la maledizione alla base sia pure tratta da una storia vera.
Ormai per far soldi e audience saremmo in grado di vendere nostra madre in cambio di un pugno di like.
Il problema grosso di questa porcheria e che per evidenti ragioni di marketing fa parte di un processo produttivo già di per sè macchinoso dal momento che ci troviamo di fronte alla saga spin off prequel della saga di Conjuring 2-Caso Enfield(2016), Conjuring-L'evocazione(2013). E'questo forse l'elemento che più di tutti fa paura.
Una macchina da soldi ben oliata, una matassa così complessa che come soluzione finale spinge su un prodotto davvero incasinato e dove soprattutto per tutta la durata del film non succede quasi nulla e i primi omicidi avvengono quasi nel secondo atto.
Un film soporifero tutto ambientato dentro questa mansione per ragazze, una suora e un personaggio che di per sè è il classico stereotipo dell'horror da cui risulterà facilmente intuibile tutto il dipanarsi della vicenda dal momento che sin dalle prime scene sembra averlo stampato in faccia e non fa nulla per cercare di dare spessore risultando il peggiore e pure il più telefonato.
Un film che si è reso complesso da solo diventando un'altra di quelle centinaia di prodotti per tutti i nuovi appassionati dell'horror che sembrano aver dimenticato in cosa consista la paura.
Ridateci Chucky, quello vecchio please!
Sandberg poi non è uno sprovveduto. Come Gunn e altri simili ha un taglio ironico nella sua politica d'autore che ha sapientemente usato nel bellissimo Shazam uno dei migliori film di super eroi di sempre e che ha ridato lustro alla casa Dc devastata da Snyder

venerdì 14 giugno 2019

Prodigy


Titolo: Prodigy
Regia: Nicolas McCarthy
Anno: 2019
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Montgomery County, Ohio. Una ragazza, Margaret, riesce a fuggire da una casa in cui era segregata. Viene soccorsa da una automobilista che, con orrore, si rende conto che la mano destra della ragazza è stata amputata. Fox Chapel, Pennsylvania. I coniugi John e Sarah si precipitano in ospedale perché è prossima la nascita del loro figlio. Intanto, in Ohio, la polizia arriva alla casa di Edward Scarka, l'uomo che aveva rapito Margaret. Edward esce tenendo qualcosa dietro la schiena. Quando la porta in avanti, la polizia gli spara temendo si tratti di un'arma, ma scoprendo che ciò che teneva era la mano amputata di Margaret. Pochi istanti dopo la morte di Edward, nasce il figlio dei Bloom, Miles. Sin dall'inizio Miles si mostra un bambino particolare: a parte il fatto di avere gli occhi di due diversi colori (che non è in sé preoccupante), è molto calmo e intelligente, schiaccia i ragni e parla ungherese nel sonno (il che è già più strano). Ma, come si accorgeranno ben presto i genitori, c'è di peggio.

Gli horror che navigano nel sotto genere dei bambini posseduti o di origine demoniaca sono uno dei soggetti più abusati e i risultati negli ultimi anni sono spesso deludenti come in questo caso.
Ormai parlare di film tecnicamente girato bene dovrebbe essere un dato assolto contando che le produzioni costano sempre meno e ci si è sempre più specializzati nelle scenografie, trucchi, effetti speciali, color correction e post produzione
Purtroppo lo stesso non si può dire per delle storie che seppur nascono bene, dimenticano dopo pochissimo tempo le loro origini per promuovere un ritmo ed un'azione più legata ai jump scared o all'audio che non invece al motore propulsivo del genere: puntare alle nostre paure quelle incontrovertibili che non meritano di durare solo una manciata di secondi.
Il pubblico dell'horror che sta uscendo in maniera sempre più massiccia nei cinema è fortemente influenzato da queste tecniche le quali si allontanano dal compito e l'intento ovvero far riflettere e disturbare al contempo.
Il figlio del male non ci riesce. Tutto è disarticolato come il dialetto ungherese che il protagonista enuncia nel letto sotto effetto di un attacco che sembrerebbe epilessia ma epilessia non è.
Banale e inutile il confronto con alcuni capisaldi del genere che non andrò nemmeno a citare e scomodare per quanto è grigia e apatica la regia di Nicholas McCarthy che è stato definito uno dei mestieranti più in gamba sul genere ma basta guardare come cresce questo film per capire che è un altro specchietto per le allodole.

lunedì 3 giugno 2019

Drag me to hell


Titolo: Drag me to hell
Regia: Sam Raimi
Anno: 2009
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Christine Brown è in attesa di un'importante promozione nella banca in cui lavora. Un giorno nega all'anziana signora Ganush la proroga di un prestito che le consentirebbe di conservare la propria abitazione. La donna, che è in contatto con un Lamia, le lancia contro una maledizione che metterà il demone sulle sue tracce. Da quel momento Christine dovrà cercare di respingere gli attacchi e di trovare la soluzione definitiva per liberarsi dal Male.

Il ritorno di Raimi all'horror non poteva lasciar sperare in un risultato migliore. Un film fresco, originale, con un ritmo incredibile e un'ironia di fondo sottile e perfida e per finire uno dei finali più belli degli ultimi anni ridando enfasi al genere a lasciando da parte l'happy ending.
Gli ingredienti sono poi in parte i codici o i topoi dello stesso regista: maledizioni, streghe post contemporanee, sedute spiritiche, cose a caso che sbattono, jump scared. In questo caso molto meno sangue rispetto agli esordi per una macabra favola con una morale bella forte e un messaggio che in una società capitalista della sorveglianza sembra ormai sempre più ignorato.
Drag me to hell a differenza dei vecchi horror del maestro del brivido è certamente figlio del digitale e della c.g a differenza della resa artigianale e tradizionale degli effetti visti nella saga cult.
Pur disponendo di un budget ridotto, Raimi avendo avuto una buona scuola e ottima esperienza, riesce a dare spazio ad una funzionalissima fotografia che promuove alcuni dei passaggi più interessanti dell'opera oltre ad avere di sottofondo una soundtrack da urlo. E poi ci regala una rom, una gitana, una baba jaga, una maschera che difficilmente dimenticheremo.


mercoledì 6 febbraio 2019

Nomads


Titolo: Nomads
Regia: John McTiernan
Anno: 1986
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

La dottoressa Eileen Flax si vede recapitare al pronto soccorso un uomo in preda a un delirio psicologico, che spira subito dopo averle trasmesso un messaggio incomprensibile. La donna realizza di avere i ricordi dello sconosciuto nella mente e scopre che questi era un antropologo francese, da poco trasferitosi a Los Angeles, perseguitato da una gang di teppisti che, in realtà, si riveleranno incarnazioni di spiriti maligni.

Nomads è uno dei quei film che mi hanno fatto innamorare ancora di più dell'horror.
I perchè sono diversi. Il suo taglio antropologico unito allo stile di ripresa ansioso e indagatore che rimanda a Weir, i richiami lovecraftiani qui piuttosto evidenti, il taglio soprannaturale che chiama in causa degli spiriti malevoli e infine l'elemento che sta alla base di tutto questo, ovvero un livello di realtà differente dal nostro, che si muove appena sotto la superficie delle cose, destinato a influenzare completamente la nostra percezione del mondo, sempre che siamo così fortunati da sopravvivere alla scoperta, dal momento che come diceva lo scrittore di Providence, l'atto del conoscere diventa sempre una sentenza definitiva di morte.
L'elemento che invece meno mi aveva convinto e che rimane per me macchinoso e non una tecnica che amo nel cinema, è quella per cui lo spettatore percepisce la storia di Pommier dal punto di vista di Eileen, dal momento che il professore prima di morire le ha passato la capacità di rivivere i suoi ricordi come una sorta di transfert.
A parte questo, ci troviamo di fronte ad un mezzo cult, per nulla inflazionato dagli anni, che rimane un prodotto capace di unire intrattenimento e tante idee e stimoli interessanti per andare ad indagare il fenomeno inuat e il suo adattarsi al mondo e alla post-contemporaneità.