Visualizzazione post con etichetta Home invasion. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Home invasion. Mostra tutti i post

lunedì 4 maggio 2020

Girl on the third floor


Titolo: Girl on the third floor
Regia: Travis Stevens
Anno: 2019
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Tubi scoppiati, muri crepati e materiali non meglio identificabili non era ciò che Don Koch si aspettava quando ha convinto la moglie Liz di poter rimettere in sesto da solo la nuova casa vittoriana che hanno preso. Sconvolto, sotto costrizione e tentato dalle sue vecchie debolezze, Don finirà presto per scoprire che la residenza ha alle spalle una storia tanto oscura quanto sordida per cui non sarà tanto facile restaurarla.

Girl on the third floor è la ciliegina sulla torta dove gli ingredienti horror sulle case infestate si danno appuntamento per organizzare una bella orgia di sangue. C'è così tanto assorbimento di opere cinematografiche in questo film che citarle tutte vorrebbe dire scrivere un'altra recensione (quindi fate questo bel giochetto quando lo guarderete).
Gli spunti iniziali sono pochi e quanto mai dei classici sul cinema di genere, ma il fattore predominante è quello per cui si prendono più direzioni, dalla vicina anonima che sembra una sorta di deus ex machina sapendo in fondo già tutto, alla famigliola americana che si appresta a cambiare vita (anche se il protagonista proprio non ci riesce) e poi incursioni che avvengono in maniera esagerata, alzando sempre di più la posta fino al capitolo finale dove ovviamente viene mischiato tutto (fantasmi, mostri, orge, palline che creano trasformazioni fisiche devastanti, la casa che potrebbe da sola definirsi il mostro per le nefandezze compiute al'interno) e molto altro ancora.
Un film che solo in alcuni momenti in cui Don costruisce la nuova dimora sembra allungare e rendere noiosetto il ritmo, ma per il resto c'è tanta e concitata azione, il film non è che un bignami di tante cose già viste mischiate e raffazzonate, ma alla fine non delude mai e tra cadaveri incollati male dentro le pareti e una bella Lolita che si nutre solo di cazzi per tormentare il malcapitato ci viene concesso un bell'intrattenimento.
Due parole sulla crew. Stevens sta nella produzione dell'horror come una sorta di Jason Blum. C.M. Punk (altro lottatore di wrestling impiantato nel cinema) sembra Bruce Campbell venuto male ma senza sfigurare e per finire Sarah Brooks è una topa mozzafiato


venerdì 27 marzo 2020

Villains


Titolo: Villains
Regia: Dan Berk, Robert Olsen
Anno: 2019
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Una coppia di ladri inesperti decide di rapinare una casa di periferia ma non sa a cosa sta andando incontro.

Villains è una dark comedy, un home-invasion al contrario che non cerca di prendersi troppo sul serio. Fa il suo dovere intrattenendo senza colpi di scena importanti (il meglio avviene nell’ultimo atto) e con una struttura di fatto già vista innumerevoli volte. E’ un esercizio di stile di una coppia di registi che aveva per qualche inspiegabile ragione diretto il sequel di uno dei più importanti film di vampiri visti negli ultimi anni ovvero Stake Land.
Il problema più grosso del film rimane la scrittura, con una sequenza di eventi davvero scontati e prevedibili nonché marginali e già visti e sentiti a profusione. La messa in scena invece di quello che non è un indie, è molto curata, quasi tutto in interni in un’unica location che è la casa e le apprezzabili interpretazioni del cast con la coppia di villain psicopatici ampiamente sopra le righe. Purtroppo avrebbe giovato di più una lezioncina su come alzare di più il livello (il bambino che Gloria porta in braccio all’inizio è scontato che sia finto, la bambina rinchiusa in cantina con tanto di catene, la droga peggio utilizzata in un film e via dicendo) però ci sono anche momenti interessanti soprattutto tra i due protagonisti e la loro chimica (la scena di Jules che copre Mickey con i capelli è il momento più alto del film ed è una scena romantica)
Villains non fa mai paura, nemmeno qualche brivido, ma ha un buon ritmo e poggia perlopiù sulle interpretazioni e su eventi tragicomici.

venerdì 9 agosto 2019

Welcome home


Titolo: Welcome home
Regia: George Ratliff
Anno: 2018
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Bryan e Cassie partono dagli Stati Uniti per una vacanza da sogno nella campagna umbra. A prima vista sembrano la coppia ideale: giovani, attraenti e innamorati. Ma è subito evidente che "c'è del marcio in Danimarca": Cassie si spaventa troppo facilmente e ha continui flashback di una relazione violenta; Ryan invece non riesci a togliersi dalla testa l'immagine di Cassie che lo tradisce con un collega di lavoro - cosa effettivamente accaduta, e che i due stanno cercando di superare proprio attraverso la loro idilliaca vacanza in Italia. Appena arrivati nello splendido casale in provincia di Todi i due però si imbattono in Federico, un vicino di casa esperto di computer, che ha le fattezze seducenti di Riccardo Scamarcio e la sua capacità di comunicare ambiguità e minaccia. Naturalmente Federico non tarderà a mostrare il suo lato oscuro, nonché a manifestare un'attrazione irresistibile verso la procace Cassie, interpretata da quella Emily Ratajkowski le cui fattezze sono spesso e abbondantemente esibite sui social.

Un thriller erotico che non accenna mai al sesso o alle scene di nudo integrale prendendone le distanze. Sembra un paradosso quando invece è un elemento a mio avviso poteva essere interessante. Ogni volta che la coppia sembra essere sull'orlo di doverlo fare (la scena nella piscina ad esempio) vengono riportati a galla i legami sessuali precedenti di Cassie e pur trovando nella mansione del viagra non si riesce proprio a superare il passato di lei.
Il film però non può giocare solo su questo elemento e un triangolo dove il villain/antagonista gira in balia di se stesso per tutto il film ( ci sono alcuni non sense davvero troppo marcati) con dei dialoghi che rasentano tutti gli stereotipi già visti cercando di aggrapparsi solo ad un twist finale non così scontato quando lo stesso purtroppo non lo si può dire del resto del film.
Tanti elementi sprecati, un irrisorio lavoro in fase di scrittura che annoia ancor prima di partire, attori che cercano di fare quello che possono apparendo già annoiati da una caratterizzazione che non sembra mai evolversi se non in un finale che vorrebbe essere inaspettato quando in realtà è solo marcato dal suo eccessivo non sense.
Le video installazioni per spiare gli ospiti, l'airbnb che da paradiso si trasforma in un inferno, le roccambolesche comparsate di alcune escort chiamate per inscenare la solita farsa, il misterioso passato di Federico e infine un lento thriller ascrivibile al filone degli home invasion con echi da trap movie
Alla fine l'unico elemento funzionale è la gelosia di Bryan che con una Emily Ratajkowski, conosciuta su Tinder, tra le mani, risulta davvero in panne appena lei si gira dall'altra parte.


giovedì 18 luglio 2019

Noi


Titolo: Noi
Regia: Jordan Peele
Anno: 2019
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

In Tv uno spot pubblicizza l'iniziativa di beneficenza "Hands Across America", siamo infatti nel 1986, quando sei milioni e mezzo di americani si tennero per mano e fecero donazioni per combattere fame e miseria. Un'immagine che colpisce la piccola Adelaide e che colpirà anche il suo doppio, incontrato una notte in una casa degli specchi in un Luna Park. Ai giorni nostri Adelaide è cresciuta, ha più o meno superato il trauma, e ha una famiglia, ma di nuovo una vacanza alla spiaggia scatena minacciosi doppi e questa volta non solo suoi, bensì di tutta la sua famiglia.

Peele è sicuramente un nome ormai conosciuto tra i seguaci dell'horror per la sua astuzia, la sua maturità nello scrivere e nel dirigere, nell'essere assolutamente al passo coi tempi e per riuscire a coniugare spirito indie e main stream con risultati finora molto convincenti.
Certo la metafora sociale di Get Out rimane un binario a parte, che forse il regista non riuscirà più a ripetere. Noi è un film molto maturo che a differenza dell'esordio infila una quantità di elementi di genere che rischiavano di creare quel caos o quel cocktail mal dosato.
Invece grazie ad un cast di tutto rispetto (come lo era anche il film precedente) Lupita Nyong'o strepitosa con una mimica facciale e un uso della voce davvero inquietante, dove dai traumi senza parole vissuti sin dall'incidente scatenante iniziale, si arriva ad un uso della voce lugubre e deforme, passando poi da un registro all'altro in tempi molto veloci pur senza perdere di vista gli elementi importanti della storia.
Anche Noi è un horror politico sulle disparità e le specularità americane (“Ma voi cosa siete?”
– “Siamo americani”) dove ad un certo punto viene fatto riferimento a quest'anomala invasione da da parte di un’indefinita massa di persone, vestite di rosso e armate di forbici affilate… (“Si dice che provengano dalle fogne”) essendo di fatto più ambizioso e allegorico, appunto più stratificato e complesso per cui vale la pena riguardarlo più volte per coglierne tutte le sfaccettature e le complessità.
Doppelgänger e home-invasion, svirgolate di violino ed espressioni di pura paura.
Noi di diritto entra nella cerchia dei migliori e più intelligenti horror del 2019, ancora una volta a dimostrare come il genere possa servire a far luce in alcuni inquietanti misteri come quello scambio
iniziale della piccola Adelaide.




lunedì 24 dicembre 2018

Bad Samaritan




Titolo: Bad Samaritan
Regia: Dean Devlin
Anno: 2018
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Una coppia di ladri si imbattono in una donna tenuta prigioniera all'interno dell'abitazione che avevano intenzione di derubare

Negli ultimi anni sembra esserci un nuovo sotto filone del thriller, un mix tra heist movie e home invasion.
Man in the Dark è stato tra i migliori in assoluto, non avendo una trama originalissima, ma sapendo lavorare molto bene sulla suspance. Elemento che Devlin, con un passato su cui per ovvie ragioni non starò a ripercorrere, all'inizio grazie anche al talento di Sheenan (attore che dopo MISFITS non sembra imbroccarne una) muove i primi passi per una costruzione che lasciava dei buoni segnali su quanto potesse raccogliere dopo un primo impianto di semina convincente e non così banale in fondo.
Il problema al di là di una durata troppo prolissa, è stata quella di mettere da parte le indicazioni su cui banalmente alcuni maestri del thriller e del giallo hanno fatto la storia del cinema, mescolando tanti elementi in forma sbagliata, con il risultato di far apparire tutto troppo telefonato quando una parte della storia, prima che diventasse davvero assurda ed esagerata, convincesse a piene mani.
Clichè a gogò, un villain che sembra anticipare qualsiasi mossa in modo del tutto immotivato, una serie di non colpi di scena e infine un climax che lascia davvero interdetti come la solita solfa di prendere idee dal mondo snuff e non saperle padroneggiare assolutamente.

giovedì 18 ottobre 2018

Eat me



Titolo: Eat me
Regia: Jacqueline Wright
Anno: 2018
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Una donna tenta il suicidio e il violento intruso che le ha salvato la vita supera i limiti della resistenza umana e i confini del perdono.

Eat me è un dramma molto colorato e ricco di ritmo e dialoghi feroci che sembrano prenderti letteralmente a cazzotti in faccia. Un indie estremo, un film da camera dove c'è forse solo una scena in esterno nel bel finale.
Un film che parte col botto, una donna vuole suicidarsi e si mangia psicofarmaci a manetta, tiene in mano vibratori, pensa alla sua vita di merda e poi sviene.
Arrivano due tipi, senza spiegare il perchè ed entrambi vogliono scoparsela anche se lei è svenuta.
Uno esce a prendere la birra e tornerà solo nel finale mentre l'altro inizia questa sfida tra sessi.
Eat Me è l’adattamento cinematografico della commedia intitolata a LA Weekly
Uno scontro tra due loser. Lei cerca di suicidarsi e lui vorrebbe stuprarla ma infine si interessa della sua storia. Una specie di Venere in pelliccia senza un palco teatrale, senza la regia di Polanski, ma con due attori inferociti che quando riescono a trovare l'enfasi e la complicità giusta sparano giù duro peggio che in un dialogo pulp. Qui non si perde un attimo, il film è sempre in crescendo senza lasciare momenti di riflessione ed è un cinema molto fisico dove i due attori combattono per contendersi la scena mettendosi continuamente le mani addosso, con scene di tortura e rape & revenge.
Lei vorrebbe che lui la uccidesse ma lui non può e non riesce nemmeno a farle male quando invece lei lo provoca continuamente ed è tutto così.
Un gioco delle parti in cui anche i ruoli di vittima e carnefice si ribaltano continuamente.
I monologhi e il climax finale sono quasi da applauso.


Nights eats the world


Titolo: Nights eats the world
Regia: Dominique Rocher
Anno: 2018
Paese: Francia
Giudizio: 3/5

Sam si sveglia una mattina e si ritrova a vivere in un incubo: un esercito di zombie ha invaso le strade di Parigi e lui è l'unico sopravvissuto. Mentre contempla il suo triste futuro e come sopravvivere, apprende che potrebbe non essere l'unico sopravvissuto in città.

Il sotto filone horror sugli zombie o gli zombie movie sono ormai abbastanza abusati, per alcuni un fenomeno fatto e finito, per me fonte inesauribile di idee purchè scritte bene e con tante metafore ancora da scandagliare.
Bisogna ammettere che nonostante tutto negli ultimi anni qualche eccezione c'è stata confermando come per altri sotto filoni, di come alla fine siano sempre le storie e la realizzazione a renderle forti e interessanti.
Dicevo appunto che qualche caso c'è stato come Night of the something strange o Les Affames o ancora bisogna andare in Oriente.
I francesi di solito hanno la fama di essere abbastanza originali e spesso e volentieri sanno spiazzare senza lesinare sullo splatter o sul gore.
La ricerca di Rocher è partita da un assunto piuttosto discutibile, ma interessante, ovvero quello di limitare l'uso dei mezzi e di ogni sorta di atmosfera accattivante o di ritmo frenetico.
Nel film molte scene sembrano essere pensate e studiate quando invece sono dei topoi di non sense eppure questa continua prolissità del film e delle azioni wtf di Sam creano degli assurdi così grossi che tutto il film assume intenti che non ci è mai dato di sapere, salvo la sopravvivenza come macro tema, da sempre di questo genere.
La minaccia zombie o meglio di un'invasione è pressochè assente o inesistente come se a deciderlo fosse proprio il protagonista a partire dal suo palazzo o dall'ascensore dove uno di questi è nascosto.
Diciamo che anche i co protagonisti non aiutano molto anzi disorientano ancora di più su quali scelte intraprendere
Un film che non mi è dispiaciuto, è strano, a tratti bizzarro, ma si chiama fuori da tutti i film di recente sul filone che invece sono inclini agli inseguimenti, le lotte e la violenza.






martedì 27 giugno 2017

Los Bastardos

Titolo: Los Bastardos
Regia: Amat Escalante
Anno: 2008
Paese: Messico
Giudizio: 4/5

Ventiquattro ore nella vita di Fausto e Jesus, due immigrati messicani illegali a Los Angeles che, come molti loro connazionali, aspettano ogni giorno che qualcuno gli offra un lavoro giornaliero. Oggi il lavoro che gli è stato offerto è molto ben pagato, invece. Un uomo gli ha chiesto di uccidergli la moglie. E Jesus esce di casa portandosi una pistola nello zainetto. Con lunghi piani sequenza, Escalante racconta la drammatica normalità degli eventi, che porteranno a un'esplosione di violenza improvvisa, disperata e incontrollabile.

“Sei mai stato all’inferno?” “Sì.”
Escalante ci mostra un inferno su cui si parla poco. Quello del dramma e della profonda inquietudine dei giovani precari messicani.
I due protagonisti del film sembrano per alcuni aspetti, o vagamente, ricordano l'indiano Deep di THE BRAVE anche se in quel caso erano 50 dollari per partecipare ad uno snuff-movie, un modo come un altro per tirare a campare sacrificando la propria vita per la sopravvivenza dei propri cari.
Anche il mondo di Escalante è lo stesso. Soldi per campare in cambio di favori da parte della classe media borghese. Soldi che anche in questo caso servono per sopravvivere.
In questo caso la realisticità e la messa in scena nonchè la scelta d'intenti del regista è formidabile perlomeno nell'aver realizzato un film formalmente raffinato e interessante, ma pur sempre brutale nelle scene all'interno della casa, mantenendo una forza interna e una struttura di fondo invidiabili.
Los Bastardos (il titolo è profetico e non risparmia la critica nell'individuare chi è il vero bastardo). Un film d'impatto e brutale che nella sua apparente staticità prende forma velocemente in una risposta esplosiva e incontrollata.
Un'opera che si prende il suo tempo con le sue pause nonchè i suoi silenzi. Un film che fagocita e cita tra le righe tanto cinema contemporaneo e Escalante si vede che ha voglia di farsi prendere la mano almeno dal punto di vista della messa in scena con alcuni virtuosismi e piani sequenza.
Uno spaccato sociale forte, ambiguo, un'opera morale che chiede e vorrebbe dare voce e speranza ad una fetta di popolazione messa alla gogna dallo stesso sistema capitalistico che li esclude, di fatto, per renderli gregari di tutti e di nessuno.





domenica 28 maggio 2017

From a house on a Willow Street

Titolo: From a house on a Willow Street
Regia: Alastair Orr
Anno: 2016
Paese: Sudafrica
Giudizio: 2/5

Hazel e il suo tirapiedi elaborano un piano all'apparenza infallibile per arricchirsi nel corso di una notte. Tutto ciò che devono fare è sequestrare la figlia di un milionario e aspettare comodi il riscatto. Non hanno però previsto che la ragazza è posseduta da un demone letale.

"Il più vecchio e completo testo della Bibbia si chiama Codex Vaticanus. Si trova a Roma nella biblioteca del Vaticano. Si dice che questo manoscritto è stato redatto da Dio stesso, non da eruditi o profeti o appartenenti ad altre religioni". Questa possiamo definirla l'ultima chicca tirata fuori per cercare di trovare sprazzi di originalità in un genere che da anni ormai è abbastanza in crisi.
From a house on a Willow Street è un bello specchio per le allodole. Una interessante locandina, un mood che prevede demoni e un home invasion in salsa splatter e infine qualche citazione a caso sistemando qualche accessorio ai classici mostri di turno (le lingue che sembrano tentacoli di un polipo è abbastanza scontato anche se ci piace sempre da vedere come riferimento all'orrore cosmico che noi tutti conosciamo).
Una storia prevedibile, diretta a livello tecnico in ottimo stato con una buona fotografia quasi tutta giocata in interni, un cast che ce la mette tutta e un ritmo che almeno riesce a tenere alto il livello di intrattenimento. Un livello che però si abbassa di livello lentamente, rifugiandosi in territori ormai abusati a dovere, che non sviluppa e caratterizza al meglio i personaggi, spostandosi da Hazel a Katherine senza aver mai chiaro a chi spetta il timone e in più senza avere quell'originalità che pur non trattando un tema nuovo spesso riesce ad essere l'ancora di salvataggio per horror d'esordio come questi.
Un film che tutto sommato divertirà parecchio alcuni affezzionati che come me non hanno magari visto quasi tutti i film di genere. Gli effetti in CGI si superano in alcuni momenti diventando addirittura esagerati come le note musicali pedanti e troppo invasive.
Certo il taglio gore lascia ben sperare così come il cinema di genere e una pellicola che arriva da un paese che non è tanto avvezzo all'horror.



domenica 11 dicembre 2016

Safe Neighborhood

Titolo: Safe Neighborhood
Regia: Chris Peckover
Anno: 2016
Paese: Usa
Festival: TFF 34°
Sezione: After Hours
Giudizio: 3/5

Deandra e Robert Lerner vivono in un quartiere residenziale con il figlio tredicenne Luke. Durante le festività natalizie decidono di passare una serata fuori con gli amici e affidano il ragazzo ad Ashley, la giovane babysitter che da anni lo segue e che è in procinto di lasciare la città. Luke, deciso a cogliere la palla al balzo, è pronto come non mai a dichiarare il suo amore, che tiene nascosto ormai da tempo, alla bella Ashley. La nottata, però, prenderà una piega imprevista quando qualcuno, armato e risoluto, farà di tutto per irrompere nella casa dei Lerner.

L'opera seconda assolutamente indie dello sconosciuto Peckover seppur non così originale, oltre ad essere un gioiellino d'intrattenimento ha il pregio di giocare e mischiare molti elementi del classico horror natalizio e ammiccando al teen movie anche se ne prende presto le distanze.
Contamina proprio bene l'atmosfera grazie ad una divertentissima sceneggiatura che abbraccia la commedia, lo slasher movie, le atmosfere anni '90, alcuni aspetti dichiaratamente grotteschi e infine il lato perfido dei bambini che ormai, sembra dire il regista, stanno diventando sempre più stronzi e pericolosi.
Il film ha dei buoni colpi di scena, una struttura che devia completamente direzione depistando il pubblico e portandolo a guardare l'altra faccia della medaglia di MAMMA HO PERSO L'AEREO.
Il film è spassoso e confeziona diverse scene interessanti che non gridano mai allo splatter dichiarato o al gore ma mostrano comunque una attenta dose di tensione, atmosfera e violenza psoicologica importante e notevole. Sul finale mi trovo d'accordo con chi è rimasto colpito dalla morale discutibile del regista soprattutto contando la nota d'intenti e lo humor nero e la componente sadicamente ironica a volte davvero pesante che di fatto sembra preso un po troppo alla leggera a dare sostanza e contributo ad un messaggio che spero non venga frainteso.

Alla fine sotto un'altra analisi sembra una guerra tra sessi dove un bambino appena adolescente e vergine vuole farsi la baby-sitter anch'essa vergine. Ci riuscirà?

martedì 15 novembre 2016

Elle

Titolo: Elle
Regia: Paul Verhoeven
Anno:2016
Paese: Francia
Festival: TFF 34°
Sezione: Festa Mobile
Giudizio: 4/5

Michelle è la proprietaria di una società che produce videogiochi ed è una donna capace di giudizi taglienti sia in ambito lavorativo che nella vita privata. Vittima di un stupro nella sua abitazione non denuncia l’accaduto e continua la sua vita come se nulla fosse accaduto. Fino a quando lo stupratore non torna a manifestarsi e la donna inizia con lui un gioco pericoloso.

Il personaggio di Michelle, interpretato dalla sempre camaleontica Huppert (l'attrice feticcio di Haneke) è multisfaccettato, rivela e analizza una personalità complessa che deve fare i conti con il passato e un padre pluriomicida ora agli arresti che le crea nella sua cittadina non pochi problemi con l'opinione pubblica. E'amata da tutti ma non sa amare e questo sentimento sembra ad un certo punto esplodere diventando il gioco-forza di questa lotta-accettazione in un "gioco" perverso con uno stupratore.
Ed è proprio con uno "stupro"iniziale che il funambolico Verhoeven ci immerge fin da subito in un film complesso, teso e complicato che fa malissimo nella maniera in cui una donna accetta una condizione  di violenza e iniziale impotenza senza saperne o volerne uscire.
La psicologia con cui Elle segue minuziosamente le scene di pornografia nei videogiochi per cui lavora, il sadismo che prova a vedere il suo ex marito gongolare per lei, il piacere che prova con il marito della sua migliore amica, l'odio e allo stesso tempo il disprezzo per la moglie di suo figlio che ha avuto un bambino di colore da un altro uomo, tutto sembra poi esplodere dentro di lei sentendo il bisogno di liberarsi e offrendo il suo corpo, sacrificandosi come strumento per un carnefice che sembra rappresentare quasi una sua sorta di nemesi complessa e variegata.
Elle, diminutivo di Michelle, è un dramma psicologico, un thriller che colpisce duro e non risparmia la psiche dello spettatore e della protagonista aggiungendo un altro duro tassello su come spesso gli stupri vengano ignorati dalle donne o meglio accettati senza andare a fondo e comprenderne gli effetti collaterali, le conseguenze inattese e gli effetti perversi.

Man in the dark

Titolo: Man in the Dark
Regia: Fede Alvarez
Anno: 2016
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

La giovane Rocky, il suo ragazzo Money e l’amico Alex sono tre ladri di Detroit che sognano di fuggire in California. Decidono così di derubare Norman Nordstrom, un veterano di guerra non vedente che ha ricevuto un cospicuo risarcimento dopo la morte della figlia, investita da una ragazza appartenente a una famiglia facoltosa. Quello che doveva essere un furto facile per Rocky e i suoi compagni si trasforma in una notte da incubo e in una disperata lotta per la sopravvivenza.

Tre ladri entrano nella casa di un povero cieco che si rivela essere uno psicopatico che ingravida donne per ottenere...
Se il plot sembra essere dei più scontati (perchè solo i meno avvezzi al genere troveranno la trama o lo svolgimento originale) il film dalla sua ha sicuramente alcuni buoni elementi che pur non salvandolo lo rendono un mediocre film di genere passato abbastanza inosservato (almeno nei cinema). Dicevo appunto di quali possono essere gli elementi tutto sommato accettabili della pellicola come il fatto di giocare tutta l'azione in un'unica location, di avere una parte tecnica e un ritmo funzionali che ti tengono abbastanza incollato (seppur con alcuni tranelli e colpi di scena abbastanza scontati) e un caratterista di ferro, Stephen Lang, capace di tenere sulle spalle tutta l'atmosfera del film.
Fede Alvarez dopo il remake della CASA e la serie-tv di DAL TRAMONTO ALL'ALBA dimostra di saperci fare perlomeno con la macchina da presa e in questo caso l'uso misurato e congeniale della steadicam (che sembra il respiro di Norman) riesce a rimanere sempre incollato ai personaggi con delle buone inquadrature e sapendo sfruttare il ritmo e le risorse al punto giusto.
Proprio il fatto di lavorare in interni, come per il suo primo film, si rivela una scelta funzionale trasmettendo quella percezione di trovarsi in una casa con degli spazi angusti e lavorando molto bene sul sonoro e gli effetti che crea e l'ansia che cresce per ogni passetto falso e uno scricchiolio che porebbe rivelarsi fatale. Dimostra più che mai il regista di essere un amante dei vecchi e nuovi horror come LA CASA NERA, CUJO ma soprattutto LIVID e altri film che puntano su una sorta di assedio casalingo malato e perverso.



martedì 8 novembre 2016

Perfect Host

Titolo: Perfect Host
Regia: Nick Tomnay
Anno: 2010
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Warwick Wilson è un padrone di casa perfetto. Serve il tavolo impeccabilmente, prepara l'anatra alle otto e mezza precise e mette sempre gli ospiti a loro agio. John Taylor è un rapinatore che si presenta a casa di Warwick adducendo la scusa di essersi perso

Home-invasion che incontra il torture in un thriller in salsa black comedy. L'esordio di Tomnay anche se non è così male per quanto riguarda il reparto tecnico e gli attori tra cui l'iper tamarro Clayne Crawford di BAYTOWN OUTLAWS, ripiega su scelte e modalità convenzionali già viste e riviste. Se il fuggiasco entra in casa del padrone elegante e preciso e ovviamente la sceneggiatura ribalta la struttura facendo sì che proprio il ladro diventi la vittima sacrificale da torturare, non basta e a nulla servono alcune scelte e scene sicuramente funzionali dal punto di vista creativo e della costruzione dell'immagine che però nulla tolgono ad un finale prevedibile e scontato.
Anche la caratterizzazione dei personaggi, in particolare Warwick, se all'inizio ha una sua aura di mistero finisce presto e nel finale decisamente troppo, dicendo e mostrando numerosi elementi che non sono funzionali al film e abbassano la suspance.

Interessante per certi versi l'impiego degli ospiti di Wilson che sembrano comparse, spettatori, attori, fantasmi e allucinazioni, il tutto cercando di renderlo il più misterioso possibile fino all'epilogo finale.

venerdì 23 settembre 2016

Invitation


Titolo: Invitation
Regia: Karyn Kusama
Anno: 2015
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Will ed Eden un tempo si amavano. Dopo aver perso tragicamente il loro figlio, Eden è scomparsa prima di ripresentarsi due anni dopo, di punto in bianco, con un nuovo marito. Totalmente diversa da prima, Eden è stranamente cambiata e ha intenzione di riallacciare i rapporti con Will e con tutti coloro che si era lasciata alle spalle. Nel corso di una cena in una casa che una volta era sua, Will in preda ai tormenti si convince che Eden e i suoi nuovi amici hanno in mente un misterioso e terrificante piano.

Invitation è stato consacrato da molti come una piacevolissima sorpresa.
Mi spiace fare il bastian contrario, cioè la sufficienza se la merita per lo stile e l'arroganza e una messa in scena che prima del finale poteva significare qualcosa, pur vedendo il sosia di Tom Hardy che recita anche lui con la mascella. INVITATION come molti film che trattano le new-religion zoppica e vacilla dalla metà in avanti e gli esempi ultimamente ci sono come Faults e Rebirth solo per fare due nomi.
Questo poi ha un finale esagerato che distrugge quel poco che riusciva a garantire.
Con un inizio di una lunghezza rara (parlo della scena in macchina e della bestia che rimane incastrata negli ingranaggi) e uno sviluppo non proprio esaltante, Kusama la regista che finora ha fatto solo film orribili, riesce grazie ad astute e consolidate tecniche di furbizia ha salvarsi in corner.
Per farla breve: amori che si rincontrano ognuno con il nuovo partner, qualcosa nel clima sembra strano, l'ex di lui sta con uno stronzo che è svitato e pure con la faccia da culo, bagno di sangue.
Sarà che devo smetterla di partire facendomi prendere dall'entusiasmo, eppure la locandina, la trama, tutto mi ha fatto esaltare particolarmente. E ci casco ogni volta.
Tutto è scontato...ma non in modo che te ne accorgi solo alla fine...è palesato tutto fin dall'inizio con la completa assenza di colpi di scena.
Voleva essere una dark-comedy, invito a cena con delitto, come cerco di portare a casa un film furbacchione e modaiolo puntando su un'unica location.
Un consiglio alla "promettente" a detta di molti regista americana: licenzia Phil Hay e Matt Manfredi, gli sceneggiatori, altrimenti ti sputtani alla grande.
Qualcuno considera poi INVITATION uno degli horror più riusciti del 2015...
Qualche ancora di salvezza il film comunque la possiede. Amando alla follia questo genere, il tipo di atmosfera, il centellinare i ritmi e dare spazio ai dialoghi curando la forma all'ennesima potenza. Continuo dicendo che gli attori sono bravi a stare antipatici e questo è bene contando che dall'inizio alla fine scommetti solo l'ordine con cui verranno uccisi.
E'un film sulla perdita, sul lutto, sulla miseria a cui ci costringiamo a credere per tenerci aggrappati a qualcosa. Un film sulla persuasione e su una visione sociale apocalittica (il finale è assurdo quanto allucinante).
Guardatelo anche se non vi piace, questo è il mio consiglio.
Vi lascio un pezzo di monologo del guru di turno che mischia new-age, scemology, qualche elemento di testimonianza di Geova, e alcuni rimandi alle peggiori religioni orientali.
Il dolore è soltanto un’opzione. Tutte le emozioni negative, la rabbia, la depressione, sono solo reazioni chimiche. Si tratta di fisica, siamo tutti in grado di espellerle dal nostro corpo e cominciare a vivere la vita che desideriamo. Noi stiamo benissimo, siamo felici. Non pensate a noi come a una di quelle sette religiose strambe, siamo solo un gruppo di persone unite, che si aiutano a vicenda. Siamo in tanti, siamo individui brillanti, molti di noi vengono da Los Angeles. La nostra è comunione, connessione. Noi trascendiamo. Vi abbiamo invitati a cena, oggi, per comunicarvi il nostro benessere, per trasmettervi i nostri stati d’animo, la serenità, la sicurezza che non ci sia niente da temere.”

Hush(2016)


Titolo: Hush(2016)
Regia: Mike Flanagan
Anno: 2016
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Maddie Young, sorda e muta dall'età di tredici anni, è una scrittrice di successo che sta cercando di finire il suo nuovo romanzo. Affetta dal blocco dello scrittore, trascorre le sue giornate in una casa isolata, dove interagisce solo con il gatto e la vicina. Poi, una notte, Maddie viene presa di mira da uno psicopatico che, una volta scoperto l'handicap della donna, diventa ancora più crudele. Inizia così una lunga lotta per la sopravvivenza...

Hush è un film per certi aspetti atipico. Sicuramente non nella storia e nel protrarsi della vicenda che trova i suoi punti di forza solo in alcuni momenti, ma funziona bene su alcune trovate e giochi di inquadrature contando che la protagonista è sorda e il maniaco si muove a piacimento senza essere visto.
Purtroppo però, è qui ci metterei una nota di demerito quasi esclusivamente americana, alcune scelte sono davvero "telefonate". Il ragazzo di lei, o presunto tale, che arriva e che muore banalmente trovandosi di fronte il nemico è una di quelle scelte e modi di concepire la storia viste e riviste, così scontate direi che riescono e distruggono quell'atmosfera che il film creava e che con qualche intuizione sullo script poteva osare e dare ancora più incisività.
Flanagan di cui tutti parlano e di cui andrò a vedere i due film precedenti, punta sull'home invasion in una casa che ricorda vagamente quella di Goodnight Mommy e che con soli due attori, una balestra e pochi altri elementi crea il suo humus. Quindi un film costato pochissimo e che allo stesso tempo trova la sua forza proprio nei suoi limitati strumenti.
Diciamocelo. Lo psicopatico che scopre la sordità della protagonista cosa fa di bello? Toglie la maschera per farsi vedere (azz che colpo di scena....) come a voler dire, tanto qui siamo in mezzo al nulla, il telefono non lo usi e tu sei pure femmina e sorda quindi me la prendo comoda.
Eppure con una sceneggiatura brutta e scontata, un vero e proprio disastro che mano a mano faticavo a credere, tiene maledettamente gli occhi incollati sullo schermo dall'inizio alla fine.
Cioè sto Flanagan con una storia di scelte narrative discutibilissime per non dire al limite dell'idiozia, riesce a tenerti incollato al film. Non ci credevo ma è proprio così.

martedì 20 settembre 2016

Ones Below

Titolo: Ones Below
Regia: David Farr
Anno: 2015
Paese: Gran Bretagna
Giudizio: 3/5

Kate è in attesa del suo primo bambino, quando nell'appartamento sotto al suo si trasferiscono Theresa, un'altra donna incinta, e il suo compagno. Quando un giorno si incontrano, Kate e Theresa instaurano immediatamente un'amicizia che si intensificherà con l'avvicinarsi del momento del parto. Un'improvvisa tragedia, però, cambierà per sempre le loro vite.

A Ones Below voglio un sacco di bene perchè ha tanto di buono pur non riuscendo ad essere incisivo come forse si aspettava. E'lento, ma non troppo, british, poco famoso, indipendente, con un cast semi-sconosciuto e una trama e delle tematiche complesse le quali sono come sempre un arma a doppio taglio, ma che nelle mani giuste hanno sempre qualcosa di importante da dire.
E'un film che non punta all'esagerazione ma fa male con un finale che mi ha ricordato per certi aspetti CANAL, l'horror che quasi nessuno conosce e per altri aspetti dalla location e da altri particolari mi ha fatto pensare ad altri film molto belli che non starò a citare.
E'un film mentale, intellettuale, con poca ma concentrata azione e un lavoro che si concentra quasi esclusivamente sull'atmosfera. Un film sulla maternità, sulla neo-genitorialità, sulla fiducia, sugli affetti ma soprattutto sull'invidia.
L'errore che uno potrebbe commettere e quello di provare fin da subito a immaginare il finale o i tratti salienti del film, ma è proprio la caratterizzazione dei personaggi, qui il lavoro più lungo, e i pensieri e gli sguardi che affinano un percorso che non lascerà delusi gli amanti delle chicche di genere. Sconosciuto e senza nessun tipo di distribuzione che lo consacrerà in patria da noi, perlomeno è riuscito a conquistarsi una visibilità alla Berlinale prima di sprofondare nell'oblio.