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domenica 14 ottobre 2018

Scorpio Rising


Titolo: Scorpio Rising
Regia: Kenneth Anger
Anno: 1964
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Un party di giovani ribelli degli anni Sessanta. Giovani che fanno del simbolismo il loro stile di vita. T-shirt, jeans attillatissimo, borchie, giubbotti di pelle nera e la immancabile motocicletta scattante e rumorosa. L'abbigliamento rivela un forte feticismo, soprattutto se in presenza di catene e simboli nazisti che spesso sono legati ad una perversa omosessualità.

"Ho sempre ritenuto il cinema un male. Il giorno in cui il cinema è stato inventato è stata una giornata nera per l'umanità."
Che dire quando ci si trova davanti agli spiazzanti corti di un artista icona della nuova Hollywood come Anger e il suo bisogno fisico di provocare lo spettatore con un suo linguaggio cinematografico contemporaneo colto e mai banale dove il bisogno di scatenarsi nel vero senso della parola con ironia e irriverenza riesce a non cadere mai in nulla di gratuito ma invece risulta una sorta di manifestazione dell'ego e della libertà soprattutto sessuale.
Anger sfrutta e in Scorpio Rising più che mai un suo simbolismo e i suoi rituali che servono a scandire e narrare l'ascesa dei "bikers" e di tutto quello che questa sub cultura ha generato nel bene e nel male come gli Hell's Angels esaltandone le vicende e i gesti quotidiani come rituali pagani.
Scorpio Rising in 30' fagocita simboli, accessori, mode, linguaggi, personaggi e facendolo sforzandosi di mostrare quello che Anger voleva mostrare e diventato un cult praticamente saccheggiato da numerosissimi registi che non hanno potuto trattenersi dal citarlo e omaggiarlo in tanti film a partire da Scorsese, Lynch, Hopper, etc.
Un piccolo gioiello, a suo tempo accusato di oscenità per i brevissimi inserti hard.
Anger tenterà poi di realizzarne una sorta di seguito,di cui ci resta un frammento di soli 3 minuti dal titolo "Kustom Kar Kommandos".

venerdì 12 ottobre 2018

Camping Jesus


Titolo: Camping Jesus
Regia: Becksy Fisher
Anno: 2006
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Un documentario su un campus estivo per bambini "Kids On Fire School of Ministry" della comunità evangelica americana

Un fatto sociale inquietante.
Gli Evangelisti si stima che siano circa 80 milioni negli U.S.A, circa un quarto della popolazione totale
Camping Jesus è un horror travestito da documentario che parla di integralismo religioso.
E lo fa bene. Basta guardarlo. Sono le immagini che evocano più di qualsiasi scenario le gesta e la sofferenza di alcuni giovani protagonisti costretti a esprimere il loro amore per Gesù e la sofferenza per i sensi di colpa in maniera davvero drastica e spaventosa.
Tutto è ambientato all'interno di questo campus estivo del Nord Dakota riservato a bambini e ragazzi facenti parte della comunità evangelica americana. Questo campus è diretto da Becky Fischer, una predicatrice evangelista, un'obesa che manipola i bambini a cui viene fatto il lavaggio del cervello. Nè più nè meno e i messaggi nonchè i contenuti eviscerati da questo campus dell'orrore trattano argomenti in maniera anomala e controcorrente come ad esempio il discorso anti-ecologista "Cristo sta per arrivare a salvarci e ci porterà con lui, quindi perchè perdere tempo nella salvaguardia del nostro pianeta? Sfruttiamolo il più possibile!"
Oppure il fatto che questi bambini non vengono mandati a scuola, tanto meno in quelle pubbliche dove "si insegna che siamo degli animali". Vengono educati a casa, con libri di scienze creazionisti.
E dulcis in fundo viene loro inculcata l'importanza della guerra, delle armi, Bush diventa il loro leader e viene loro inculcata la militarizzazione.
Viene descritto l'aborto come omicidio, e gli vengono consegnati delle piccole figure antropomorfe con la loro età dalla creazione della cellula uovo.
Insomma un orrore dopo l'altro in cui questi poveri bambini devono provare la sofferenza che ha provato il loro leader cadendo spesso in trance mentre pregano o piangendo l'uno con l'altro come se l'apocalisse diventi davvero il loro unico grande obbiettivo
Dopo la release del documentario Becky Fischer ha deciso di chiudere il campus, per paura di ritorsioni. Insomma, missione compiuta anche se la felicità e il benessere legato a questi bambini resta un fatto imprescindibile.


giovedì 13 settembre 2018

Blind Loves


Titolo: Blind Loves
Regia: Juraj Lehotsky
Anno: 2008
Paese: Slovacchia
Giudizio: 3/5

Slovacchia, 2005. Il film segue tre anni nella vita di quattro persone cieche: Peter, insegnante di musica e compositore che condivide la sua vita con Iveta; Miro, un playboy della Roma che vive a casa con sua madre e frequenta Monika nonostante la disapprovazione dei suoi genitori; Elena, che sta aspettando con ansia il suo primo figlio e infine Zuzana, che ha appena iniziato una scuola integrata ma si trova in cerca di amore e amicizia online.

L’amore può essere dolce, stupido, e, a volte, può anche essere cieco… Trovare il proprio posto in questo mondo non è cosa facile per nessuno, ma quanto è più difficile quando si è non-vedenti? La “visione” delle persone cieche è pura ed essenziale, e spesso anche spiritosa. Fa scoprire una nuova dimensione sul senso della felicità.
Originale, così andrebbe definito il documentario del regista slovacco.
Un'opera con vari aspetti e scene surreali (basti pensare alla citazione dell'ATALANTE di Jean Vigò) in quella scena onirica e bellissima in cui Peter scende nei fondali marini e trova una piovra gigante.
Un film che spesso lascia disorientati proprio per la materia che tratta ovvero di come i cechi percepiscono il mondo. L'idea di aver fatto un film corale con diversi siparietti e descrivendo microcosmi molto diversi ma accomunati dalla cecità è un'idea valida e molto profonda che trova vari aspetti su cui fermarsi a riflettere.
Ad esempio una scena che identifica l'ansia e la paura ma allo stesso tempo diventa un aspetto della quotidianità della vita di questi protagonisti è quella della discoteca dove lei viene invitata a ballare da uno sconosciuto e il compagno per un attimo teme che possa succederle qualcosa, chiedendosi in maniera del tutto pertinente perchè mai uno che vede dovrebbe chiedere di ballare ad una non vedente. Un'opera che fa luce su degli aspetti per noi completamente nuovi dove la percezione del mondo vista dalla loro parte spesso è più essenziale e intuitiva di quanto si pensi soprattutto se può dar luce e forma ad una nuova dimensione di realtà.
Dei quattro capitoli o delle quattro storie è solo l'ultima a esprimere e descrivere la solitudine e la tristezza mentre nelle altre il bisogno o l'urgenza è forse proprio quella di concepire l'ironia alla base dei rapporti di coppia o quelli madre/figlio che esprimono tenerezza ed empatia e forse una delle uniche armi che noi tutti abbiamo per vivere sereni la nostra esistenza.



lunedì 3 settembre 2018

Mondomanila


Titolo: Mondomanila
Regia: Khavn de la cruz
Anno: 2012
Paese: Filippine
Giudizio: 4/5

Nato come racconto, premiato al Palanca Awards for Literature (importante premio letterario filippino), Mondomanila è il risultato di 9 anni di lavoro immersivo in cui Khavn ne ha realizzato per il cinema diverse versioni, prima come corto, poi come serie a episodi e infine come lungometraggio. Una commedia nera dai toni iperrealisti incentrata sulla figura di Tony de Guzman, un antieroe per cui la vita è corta, brutale e mai dalla tua parte. La sua filosofia è "prendi quello che puoi e quando puoi, godi e fotti il sistema". Nel brutale circo dei bassifondi, prostitute, yankee pedofili, casalinghe sole, tossici, e omosessuali, sono la sua unica famiglia.

Mondomanila è un trip andato a male.
Una galleria d'immagini abbastanza strazianti e di una ferocia e un nichilismo ai limiti estremi.
Il livello di degrado, di violenza, di sopravvissuti che cercando qualsiasi modo per drogarsi e sopravvivere mangiando topi in un ammasso di lamiere unito a tanti squardìci, mai belli, diventano la cartina di questa capitale in cui non sembrano esistere, almeno per i giovani, freni inibitori.
Il lavoro di De la Cruz avrà avuto sicuramente molti problemi, traversie produttive strane e molto lunghe e tutta una serie di nemici tra cui il governo filippino che dalle immagini sembra proprio fregarsene del destino degli abitanti della capitale.
Ragazzini che vogliono fare solo sesso avendo rapporti con animali e poi uccidendoli, nani che si prestano ad ogni tipo di cose, fratelli minori che per aiutare la mamma si prostituiscono dicendo che in realtà fanno massaggi e tossici degenerati che si danno al rap.
E'un calvario Mondomanila attraversandola sembra di trovarsi accanto una Sodoma un pò più moderna e globalizzata ma dall'altra parte è un grido disperato di aiuto contando che la maggior parte dei protagonisti sono poco più che ragazzini.
Il ritmo poi è scoppiettante, molto velocizzato e con frame sparsi presi un po ovunque con alcune qualità di girato non proprio pulite. Complice una colonna sonora disperata che sembra buttare tutto ancor di più nel caos.
"Non spero necessariamente che Mondomanila ispiri questa generazione, ma spero davvero che toccherà il prossimo. Sì, c’è la realtà presente, ma c’è sempre anche la speranza che questa realtà possa cambiare a un certo punto. Se tutto va bene, Mondomanila consentirà questo alle persone, perché fare affidamento sui leader non sempre funziona: a volte bisogna farlo da soli." (Khavn)

sabato 14 luglio 2018

Ladies First


Titolo: Ladies First
Regia: Uraaz Bahl
Anno: 2018
Paese: India
Giudizio: 4/5

Nata nel villaggio di Ratu, in India, tra povertà e pochi diritti per le donne, Deepika Kumari a 18 anni è diventata l'arciere donna migliore del mondo.

Emozionante. Davvero in 40' Bahl riesce a cogliere i passaggi fondamentali di questa storia che come per altre spesso nel contesto indiano sa di miracolo.
Il miracolo però non sta nella fortuna ma nella continua lotta per voler a tutti i costi ottenere qualcosa per se stessi e perchè dia per la protgonista una ragione di vita. Che siano uomini o donne, spesso gli emarginati nei paesi del terzo mondo, devono tirare fuori una forza d'animo che dovrebbe scuotere tutte le nostre fragilità e capire che si può ottenere quello che si vuole lottando dal basso con gli strumenti che si hanno grazie ad una profonda forza d'animo.
Deepika racconta un'altra lotta con cui lei si è vista chiudere quasi ogni porta per poi raggiungere i fasti in quello che è un documentario sportivo e anche biografico molto bello dove anche la tematica del tiro con l'arco è originale e poco vissuta nel cinema come nei documentari.

domenica 24 giugno 2018

Ligne Noir


Titolo: Ligne Noir
Regia: Mark Olexa, Francesca Scalisi
Anno: 2017
Paese: Svizzera
Festival: Cinemambiente 21°
Giudizio: 4/5

Una donna pesca in acque torbide, una natura sofferente, il canto spezzato del muezzin. Tutto si collega attraverso una sottile linea nera.

Ligne Noir segue la monotona quotidianità di una donna indiana che per sopravvivere è costretta a cercare in un mezzo a un fiume dalle acque torbide, qualsiasi cosa che possa essere rivenduto affinchè non muoia di fame (non sappiamo se ha marito o figli ma come spesso capita è molto probabile di sì). Attraverso delle belle carrellate seguiamo il suo pellegrinaggio in mezzo alle acque senza minimamente pensare ai rischi e ai pericoli di cosa può trovarsi sott'acqua e del pericolo di inquinamento e tossicità soprattutto dal momento che l'acqua è nera e quindi l'elemento i suspance è già dato dal fatto che nessuno sa cosa c'è lì sotto.
Un altro dramma quotidiano che dovrebbe farci riflettere sempre sul nostro modello economico e ancora una volta sottolinea l'impressionante povertà che abbraccia questo straordinario paese.

Terraform


Titolo: Terraform
Regia: Sil Van Der Woerd e Jorik Dozy
Anno: 2017
Paese: Gran Bretagna
Festival: Cinemambiente 21°
Giudizio: 5/5

Le difficoltà e i sacrifici che i minatori di zolfo di KawahIjen in Indonesia devono affrontare quotidianamente per provvedere alle loro famiglie.

Pur essendo per lo più un lavoro di fotografia che sembra uscito dal Sale della terra fotografato da Malick, il lavoro della coppia di registi inglesi, grazie ad un budget stratosferico, hanno davvero fotografato qualcosa di unico.
Il sacrificio di un padre che pur di far sopravvivere la famiglia, rischia ogni giorno la sua vita in un ambiente che ha dell'incredibile.
Cosa davvero lascia basiti? Che nonostante si sappia, nonostante sia stata denunciata tale schiavitù (e parlo soprattutto per le condizioni di lavoro) questa realtà continui ad esistere.






Yaban


Titolo: Yaban
Regia: Volkan Budak
Anno: 2017
Paese: Turchia
Festival: Cinemabiente 21°
Giudizio: 3/5

Uomini e animali del delta del fiume Kızıl in Turchia: le contraddizioni tra cultura e natura.

Portare al mascolo una mandria di buoi può non essere così facile e tutta la rete che sta dietro e il duro, lento e stancante lavoro sembra suggerirci che è una pratica antichissima (famigliare pure) che abbraccia diversi target d'età ognuno con un preciso compito.
Immagini con campi lunghissimi e primi piani per un branco di persone che sembrano quasi vergognarsi quando la telecamera si accorge di loro.
Il rapporto tra natura, gregge e uomo che arriva dritto dritto dalle sterminate pianure e dove questo gruppo di uomini a cavallo con le loro regole sembra farci tornare indietro nel tempo.


giovedì 7 giugno 2018

Giornata


Titolo: Giornata
Regia: Pippo Mezzapesa
Anno: 2017
Paese: Italia
Festival: Cinemambiente 21°
Giudizio: 5/5

La storia di Paola Clemente, bracciante pugliese di quarantanove anni morta di fatica sotto il sole nei campi del Sud, viene raccontata con le parole tratte dagli atti dell’inchiesta sui caporali che la sfruttavano e dalle compagne di lavoro che viaggiavano tutti i giorni in pullman con lei.

I corti servono anche a questo.
A ricordarci attraverso uno schema corale in undici minuti la vita e la tragedia di una donna, di una mamma che lascia marito e figli senza un perchè.
Un'altra storia di orrore sul lavoro dove Paola è morta ancor prima che arrivasse l'ambulanza a prenderla. E'morta lì accasciata su un campo assieme alle altre braccianti che già dal primo mattino denunciavano che la donna non si sentiva bene.
Un dramma incredibile e indimenticabile. La Giornata è la storia non di una ma di tutte quelle donne che non dimenticheremo mai e che hanno tutte dei nomi.
Oggi la fiaccolta è per lei: Paola Clemente.


Fratello aglio


Titolo: Fratello aglio
Regia: Andrea Parena
Anno: 2017
Paese: Italia
Festival: Cinemambiente 21°
Giudizio: 3/5

Severino, continuando un'antica tradizione agricola, coltiva l'aglio su una collina chiamata "Monfrina", nel piccolo villaggio di Mombello in Piemonte.

In circa 24' Parena con famiglia e parenti al seguito ci mostra l'antica tradizione agricola di come si coltiva l'aglio. Seppur in alcuni momenti un po troppo lento nel seguire tutti gli spostamenti e le manovre del trattore, il corto documentario del giovane autore riesce a cogliere la tradizione che sta dietro questi passaggi che potrebbero sembrare quasi medioevali ma che invece come ha fatto presente uno spettatore duranten la proiezione al cinema, possono essere utili per mostare il perchè, l'uso e la funzione di alcune tecniche e soprattutto come adoperare alcuni strumenti.
Alla fine è una lezione ancora una volta su come i nostri nonni, la vecchia scuola, aveva tutta una serie di regole e dogmi che hanno portato ad esempio la nonnina della Monfrina a vincere per ben 23 anni di seguito la festa paesana dell'aglio.



Doctor


Titolo: Doctor
Regia: Yavuz Ucer
Anno: 2017
Paese: Turchia
Festival: Cinemambiente 21°
Giudizio: 4/5

La storia di Beşir e dei suoi sogni spezzati dalla brutalità della guerra a causa della quale è costretto, insieme alla sua famiglia, a fuggire dalla Siria e raggiungere la Turchia. La vita ricomincia a fatica, alla ricerca di una nuova identità.

Besir raccoglie i cartoni per guadagnare denaro e poter raggiungere il resto della sua famiglia in Turchia. Ciò che lo spaventa è l'esame del Dna che se non corrisponde sigla definitivamente la perdita della sua identità culturale.
Mentre racconta la sua vita e la sua quotidianità lo osserviamo da dietro questo carretto costruito a modi baracchetta dove con un bastone di ferro aggancia i cartoni dai cassonetti infilandoli nel sacco.
Quando finisce il suo lavoro stanco e affaticato, Besir si concede un riposo guardando il mare, lasciando le preoccupazioni da un'altra parte, ascoltando le onde e sorridendo quando il regista gli chiede quale sia il suo sogno.


Con el tiempo

Titolo: Con el tiempo
Regia: Nicole Vanden Broeck Macias
Anno: 2017
Paese: Messico
Festival: Cinemambiente 21°
Giudizio: 5/5

Don Mateo e Doña Francisca: una coppia di anziani che ha vissuto lavorando la terra con ciò che la natura forniva loro. L’esperienza di una vita che oggi si fa invito all’uso responsabile delle risorse e a una produzione alimentare capace di dare spazio ai produttori locali, favorendo la sostenibilità.

Sembra quasi uno spot della Lavazza con quelle foto che ritraggono i coltivatori nelle loro terre natie. Da quegli spot sembra quasi che questa gente venga aiutata dalle multinazionali.
Ecco quando vedrete questo corto, in un attimo intuirete subito come vanno realmente le cose, i rischi, il capitalismo sempre più imperante, la lotta per la sopravvivenza, l'agricoltura vera, il futuro del pianeta, lo sviluppo sostenibile, il concetto di km 0 che qui viene mostrato nel modo più semplice e diretto che possa esistere.
E se non si fa qualcosa per aiutarli, rischiano come nella scena finale di scomparire sotto gli occhi di un mercato che non tollera i piccoli agricoltori.

A butcher's hearth


Titolo: A butcher's hearth
Regia: Marijn Frank
Anno: 2017
Paese: Olanda
Festival: Cinemabiente 21°
Giudizio: 3/5

Per tradizione famigliare il tredicenne Wessel sta imparando il mestiere di macellaio dal nonno. Sullo sfondo di una vita agreste, il ragazzo però si interroga sul presente e sul suo destino, pensando che forse preferirebbe lavorare con animali vivi.

Interessante questo piccolo scorcio sui dubbi che un ragazzino in un contesto carnivoro ben preciso, decide di elaborare forse perchè stanco di una pratica così metodica e che non sembra avere mai fine. Dal padre severo al nonno che sceglie di spiegare al nipote i segreti su come disossare i conigli, tagliare punti ben precisi per togliere la pelle di alcuni animali e così dicendo, fino all'orario di chiusura dove Wessel insieme al suo gruppo di amici monta in sella ai propri motorini e per finire si concede wurstel cucinati nella friggitrice della loro casettina in legno.
Il regista ci mostra una parte di Olanda che come per alcune zone della Germania non può fare a meno di spezzare questo circuito legato all'allevamento intensivo e la mattanza quotidiana di centinaia di animali.
Sembra quella condizione che debba essere per forza di cose accettate perchè inserita in un contesto culturale di appartenenza.

giovedì 26 aprile 2018

Rivincita di Casale Monferrato


Titolo: Rivincita di Casale Monferrato
Regia: Rosy Battaglia
Anno: 2017
Paese: Italia
Festival: Torino Underground Cinefest 5°edizione
Giudizio: 4/5

“La rivincita di Casale Monferrato” è il titolo del documentario d’inchiesta che racconta le vicende della città simbolo nel mondo della battaglia contro l’amianto. Meglio dire che racconta le vicende di una comunità, perché a venir presentate sono le storie di donne e uomini che da decenni lottano per veder riconosciuta la nocività delle polveri create dall’azienda Eternit, la più grande fabbrica d’amianto in Europa. Storie di dolore, che sono divenute storie di resistenza prima e di speranza poi, quando Casale, dopo aver pagato un prezzo di oltre 3 mila morti - con ancora oggi decine di nuovi casi all’anno di mesotelioma pleurico e altri tumori polmonari - mano a mano è divenuta una delle città in cui il processo di eliminazione dell’asbesto dagli edifici pubblici e privati è sostanzialmente completato. Un’operazione immane, dal momento che il nostro stivale è ricoperto da nord a sud da colate di cemento-amianto ( si stimano fino a 300 mila siti contaminati).

Torino è una città che non si ferma e non ama stare zitta e seduta.
Questo documentario girato dalla Battaglia è la dimostrazione di come una rete nazionale di cittadini si mettano assieme per dare vita ad un progetto come quello del crowdfunding.
Il documentario-inchiesta prodotto dal basso, al suo debutto nazionale al Circolo della Stampa a Torino è stato reso tale anche grazie al sostegno della Federazione Nazionale della Stampa Italiana (FNSI), l’Associazione Stampa Subalpina, al contributo straordinario dell’Associazione Familiari e Vittime dell’amianto (AFEVA ONLUS) di Casale Monferrato, con il Patrocinio e il contributo straordinario del Comune di Casale Monferrato
Combattere per la tutela della salute, perchè alcuni errori non possano più ripetersi, credere nelle istituzioni, nella legge e nella sua applicazione? Un documentario racconta il caso degli abitanti di Casale Monferrato, che non solo non si sono arresi al dramma causato dall’amianto di Eternit, ma hanno continuato a portare avanti la lotta attraverso la cultura, la memoria, le bonifiche e la cura di chi soffre manifestando per i loro diritti, per coloro che sono morti e che meritano giustizia.


domenica 22 aprile 2018

Wall of Death


Titolo: Wall of Death
Regia: Mladen Kovacevic
Anno: 2016
Paese: Serbia
Festival: Torino Underground Cinefest 5°edizione
Giudizio: 5/5

Quando Brankica aveva appena dieci anni, era lei l'attrazione principale delle fiere di paese. I suoi fratelli maggiori, delle leggende dell'ex Jugoslavia, erano acrobati sul muro della morte e lei era la principessa. Ora che i suoi fratelli non ci sono più, non rimane che lei. A 43 anni e nonna di sei nipoti, ripete gli stessi numeri correndo con la sua motocicletta lungo una pista di legno larga 6 metri. E'in bilico tra i ricordi malinconici del passato e la claustrofobica esistenza nell'ormai unico muro della morte esistente.

Istant Cult. Poco più che un mediometraggio come durata (61'20'') il lavoro di Kovacevic è molto più interessante e racconta molto di più di quanto potrebbe dire.
Entriamo nel circo, nella vita e nella quotidianità di chi ci vive dentro giorno per giorno, incontrando una famiglia di leggende acrobatiche che si confronta con un numero mortale sfidando continuamente la morte.
Il giro della morte, l'importanza di seguire un antico rituale e le tradizioni che non si possono cambiare, una promessa che sembra segnare la vita della protagonista nei confronti dei suoi fratelli e della loro morte. In fondo Brankica sembra voler convolare a nozze con il destino della sua famiglia in quel suo prolungato silenzio, quei momenti di solitudine mentre fuma spensierata e l'attenzione maniacale verso l'unica cosa che si ostina a fare.
La macchina come un documentario segue la vita di questo strano nucleo dove giovani e anziani lottano ogni giorno, sbaraccando e portando il circo e le loro attrattive di paese in paese sfidando le regole della sopravvivenza e non sembrando mai stanchi e stufi nonostante il limbo in cui sembrano essere confinati.
C'è così tanto amore in questa opera, come se il regista si fosse davvero affezzionato a queste persone e il risultato si vede eccome soprattutto dai segnali e dalle note molto personali che il regista coglie nei suoi protagonisti.
Infine uno spaccato su quello che ha prodotto la guerra tra Serbia e Croazia, un clima pesante e ancora con tanta sofferenza lasciata senza parole e senza un'adeguata soluzione per le vittime e coloro che andrebbero aiutate.
Allora i loro silenzi vanno riempiti magari sfidando proprio quel sottile confine tra la vita e la morte.


lunedì 19 marzo 2018

Caniba


Titolo: Caniba
Regia: Verena Paravel, Lucien Castaing-Taylor
Anno: 2017
Paese: Francia
Giudizio: 2/5

A Parigi, nel 1981, il giapponese Issei Sagawa (1949) uccise la compagna di università Renée Hartevelt, per poi farla a pezzi, mangiarne la carne e cercare di sbarazzarsi dei resti. Arrestato ma dichiarato inabile a sostenere il processo, tornò da uomo libero in Giappone, dove da allora ha raccontato la sua storia in svariate occasioni mediatiche.

Caniba è davvero tremendo. Camera fissa sul viso di un cannibale ormai ridotto a una sorta di vegetale a causa dei farmaci e che impiega circa qualche minuto per asserire qualche parola.
Se la prima ora del film scava facendo spesso ricorso allo zoom sul viso inquietante del protagonista, la seconda parte sembra ancora più assurda dove vediamo Issei fare l'attore porno (le scene non sono censurate) con tanto di lei che gli piscia addosso e lui che finalmente riesce a venire.
Coito finale a parte tutto il resto sono immagini di repertorio girate quando il nostro cannibale era piccolo e giocava con il fratello oltre ad una parte in cui vediamo il manga realizzato proprio da Issei sulla sua impresa antropofaga. Il fratello di Issei, diventato il suo angelo custode, compare anche nella prima parte quella più descrittiva e dove anche lui condivide un masochismo sfrenato cercando di infliggersi il dolore perfetto con filo spinato, coltelli, pungoli e spilli.
Il duo di registe sono da sempre state attirate da temi e contenuti particolari ma rispetto ai loro precedenti lavori questo a tratti mette davvero alla prova la fruizione.
E credo di poterlo dire dopo aver visto una delle opere più malate del cinema di nome Philosophy of a Knife solo per citarne uno tra i tantissimi.
Il fattore strano del documentario è l'intento alla base. Non è un saggio sul cannibalismo come qualcuno pensava, non è del tutto un biopic su Issei Sagawa (anche se forse è la tesi che più si avvicina) e non ha soprattutto nessuna scena inquietante se non l'espressione di vuoto esistenziale che alberga e di ciò che rimane dell'anima di questo uomo reso un ameba, il fantasma di se stesso.
Una gara di resistenza per lo spettatore
Issei, allora 32enne studente alla Sorbona, venne arrestato il 13 giugno 1981 mentre nel laghetto di Bois de Boulogne cercava di liberarsi di due valigie contenenti i resti putrefatti di una sua compagna di studi, l’olandese Renée Hartevelt. L’aveva assassinata, con un colpo di pistola alla nuca, due giorni prima, quindi l’aveva stuprata e poi mangiata parzialmente, partendo dal gluteo destro. Dichiarato insano di mente e inabile a sostenere un processo, venne estradato in Giappone due anni dopo: il 12 agosto 1985 è uscito dall’ospedale psichiatrico.




martedì 27 febbraio 2018

Rocco


Titolo: Rocco
Regia: Thierry Demaizière, Alban Teurlai
Anno: 2016
Paese: Francia
Giudizio: 3/5

La pornostar più famosa al mondo, Rocco Siffredi, si presta totalmente all’obiettivo per una confessione fiume: da Ortona, il paese natale abruzzese, fino a Budapest, sede della sua società di produzione, i casting a Los Angeles e le riprese dell’ultimo film a San Francisco, sempre accompagnato dal cugino Gabriele, caotico ma onnipresente foto-operatore, assistente alla regia, autista.

La prima inquadratura mostra il cazzo dell'attore sotto una doccia con un rallenty impressionante e sfruttando una fotografia in b/n.
Tutti siamo invidiosi di Rocco Siffredi e questo documentario in cui si racconta farà in modo che lo invideremo ancora di più.
Rocco ha un puto fisso nella vita. Il sesso.
Così ha deciso di non mascherarlo e di basare tutta la sua vita su quello, facendo film porno e andandone orgoglioso senza nasconderlo pur con qualche pensiero riguardo alla moglie e alla crecita e il rapporto con il figlio.
Per il resto si è divertito portando a letto più di tremila donne e arrivando alla sua età con un fisico e una salute di tutto rispetto.
Il documentario funziona a tratti, alla regia abbiano una coppia di francesi che scelgono il taglio giusto per quanto concerne la messa in scena e le interviste, sondando però solo in piccole analisi o commenti lo squallore di tutto il mercato e l'industria che c'è dietro.
Spesso si pensa che le ragazze soprattutto straniere accettino per problemi di denaro e povertà. Sicuramente in alcuni casi è così ma parte delle interviste mostrano che tante di loro vogliano far sesso e amino le situazioni più bizzarre scegliendo ognuna una propria particolarità o perversione che più le aggrada.
Rocco si racconta, la famiglia, la madre, la morte del fratello, il cugino che si è sempre portato dietro e che vive come un'ombra, arrivando però così anche al limite più forte della docu-fiction.
Rocco si racconta mentre a tacere sono purtroppo i tanti che popolano la sua vita dalla moglie ai figli con cui si vedono solo attimi di pause ludiche senza peraltro dialoghi.
Il disagio alla fine per quanto la star cerchi di non farlo trapelare è come una maschera indossata da ogni attore sociale o che lavora in rete in questa consumazione di corpi che sembra un grido agonizzante di chi cerca di salvarsi da un futuro che non sembra concedere a chi non è così famoso spazi o possibilità di redenzione.

martedì 20 febbraio 2018

After porn ends


Titolo: After porn ends
Regia: Bryce Wagoner
Anno: 2012
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

La vita fuori dagli schermi degli attori pornografici contemporanei più famosi d'America. Cosa li ha spinti a intraprendere la carriera nell'hard? Cosa succede quando abbandonano quel percorso per vivere una vita ordinaria?

Alcuni documentari trattano temi che aiutano a comprendere meglio un fenomeno o meglio cosa ci sia dietro e con quali interessi e con quale posta in gioco.
After porn ends tratta il tema di quelle attrici, quasi tutte donne a parte tre attori, che dopo la carriera si domandano cosa possono fare e come la società intende trattarle appendendo di fatto il sesso al chiodo.
La risposta non è a lieto fine, anzi. Diciamo che chi ha raccimulato tanti soldi e ha un buon marito vive in questa fortunata condizione. Poi ci sono tutte quelle che nonostante le difficoltà sono riuscite a trovare un altro lavoro, o infine chi ha perso tutto e vive di ricordi del passato come reduce dell'industria del sesso con diversi problemi legati al fisico o alle dipendenze da sostanze.
Dalle 10 interviste alle milf emergono diversi dati tutti strutturati secondo storie di vita diverse.
C'è chi per compensare un passato segnato dagli abusi sceglie il porno proprio come bisogno per, a sua volta, continuare ad essere uno strumento magari annebbiato da alcool e droga.
Chi semplicemente ha inizialmente deciso di smettere all'arrivo dei figli per poi rendersi conto che non è in grado di accettare altri lavori e il porno in due guiorni di lavoro la settimana soddisfa il fabbisogno.
Dalle interviste emerge netto un fattore di differenza: le donne assomigliano chi in un modo chi in un altro a delle reduci, persone che hanno dovuto affrontare e superare il momento dell'abbandono delle scene (in media se non sono famose durano 3 o max 4 anni)mentre gli uomini invece sembrano rimasti fondamentalmente uguali a loro stessi, praticando in prevalenza hobbies ed avendo una memoria soprattutto aneddotica di quel periodo (alcuni parlano di masturbazione assistita come a far comprendere che quello che fanno non è nemmeno sesso ma consumazione di corpi)


martedì 5 dicembre 2017

Lunadigas

Titolo: Lunadigas
Regia: Nicoletta Nesler e Marilisa Piga
Anno: 2016
Paese: Italia
Festival: Divine Queer Film Festival
Giudizio: 4/5

Lunàdigas è una parola della lingua sarda usata dai pastori per definire le pecore che in certe
stagioni non si riproducono. Il progetto racconta una realtà articolata e poco conosciuta, dalla quale emergono ragioni e sentimenti inaspettati, sempre diversi per ogni singola donna. Emozioni affini o opposte, a volte contraddittorie, dai contorni netti: compiacimenti, dolori, dubbi, certezze, pregiudizi.

Lunadigas, quest'anno in concorso al DQFF ha davvero diversi elementi di interesse e non parlo solo per quanto concerne il desiderio di una donna di non voler dare alla luce un bambino.
Il disegno e la materia trattata dalle due registe è molto più profondo con riferimenti quasi antropologici sul ruolo della donna e della sua emancipazione.
In '69 viene mostrata una carrellata di interviste con loro come protagoniste: donne, ragazze, di svariate età e ruoli sociali, filmate dentro salotti dove avvengono focus di discussione su diversi temi che riguardano la donna in quanto tale e i suoi diritti e se vogliamo i suoi doveri e non quelli che invece sembra dettare la società.
L'opera ha raccolto così tante interviste che le due registe hanno creato una vera e propria banca della memoria per tutte queste testimonianze.
Si può essere donne felici anche senza figli? La risposta è sì per una grossa parte del popolo femminile, ancora si potrebbe essere donne felici anche senza avere un figlio, a patto che il mondo intero non cercasse di sostenere a tutti i costi il contrario? Anche in questo caso la risposta è certo che sì.

La raccolta delle testimonianze è iniziata nel 2011, per cui basti pensare a quante migliaia di interviste sono ste raccolte da allora fino ad oggi (eh sì perchè continuano) ed il tutto è nato dal fatto che le due registe sarde non abbiano mai voluto avere figli, per scelta. Così hanno iniziato a lavorare insieme per Radio Sardegna nel 1991 impegnandosi da subito a raccontare cose per cui era difficile trovare un linguaggio dal momento che alcuni argomenti a volt ancora taboo, come già mostravano alcuni intellettuali del nostro paese, sembrano essere ancora avvolti da una patina di mistero.

Goonga Pehelwan

Titolo: Goonga Pehelwan
Regia: Vivek Chaudhary and Prateek Gupta
Anno: 2013
Paese: India
Festival: Divine Queer Film Festival
Giudizio: 4/5

Un documentario che segue l’atleta sordo più bravo dell’India sulla sua improbabile ricerca per raggiungere le Olimpiadi di Rio 2016 e diventa il secondo lottatore sordo nella storia delle Olimpiadi a farlo.

Davvero sorprendente questo mediometraggio indiano.
Il wrestler muto Virender Singh Yadav a parte essere un attore nato e una persona che buca la quarta parete mostrando la sua semplicità, la sua voglia di vivere e soprattutto il suo straordinario talento da lottatore. Virender però è sordo.
Proprio questo "limite" lo porta all'interno di questo documentario ad analizzare le cause per le quali l'atleta non ha mai potuto partecipare alle Olimpiadi per i normododati mentre invece ha solo partecpato alle Paraolimpiadi. Il perchè dal puto di vista burocratico è che l'atleta non sentendo il suono del fischietto non può competere. L'altra versione è che Virender è così forte che avrebbe sicuramente battuto gli atleti normodtati e questa particolarità forse non era ben accetta dal comitato olimpico.
Ancora una volta vengono analizzate diverse tematiche tra cui le disparità di trattamento e le opportunità o gli svantaggi che gli atleti disabili hanno ricevuto dal governo e dalla società.
Virender con il suo appello chiede e vorrebbe giustamente un cambiamento che ossa giovare e sostenere gli atleti disabili attraverso l'inclusione e a vincita di premi in denaro.
L'ispirazione alla base di questo documentario era un articolo di giornale che uno dei registi, Vivek Chaudhary, aveva letto. L'articolo parlava di Virender Singh, un wrestler sordo e muto che, nonostante fosse un Campione del Mondo e Deaflympics Gold Medalist tra le altre cose, non è riconosciuto e non è celebrato dal Paese e dal Governo. Il sogno più grande di Virender e uno degli obbiettivi del documentario è quello di raccogliere supporto e rendere possibile il desiderio di Virender Singh di rappresentare l'India alle Olimpiadi di Rio 2016 possa esaudirsi. Speriamo!