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mercoledì 23 gennaio 2019

Glass


Titolo: Glass
Regia: M. Night Shyamalan
Anno: 2019
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

L'orda, ossia Kevin Wendell Crumb e le sue altre numerose personalità, ha catturato un nuovo gruppo di ragazze e si prepara a "sacrificarle" alla Bestia. È però sulle sue tracce il vigilante David Dunn, che grazie all'aiuto del figlio e alle sue visioni psichiche arriva presto a un confronto con il feroce avversario. Entrambi però finiscono catturati dalla polizia e dalla psichiatra Ellie Staple e rinchiusi in un istituto psichiatrico, lo stesso dove da 19 anni è prigioniero "l'uomo di vetro", il geniale Elijah Price. Per lui sarà finalmente l'occasione di dimostrare al mondo che le sue teorie sugli esseri dotati di superpoteri sono reali. Nel mentre il figlio di David, la ragazza sopravvissuta all'Orda e la madre di Elijah cercano di salvare i propri cari dalle cure di Ellie Staple.

Glass chiude una trilogia che probabilmente non era stata pensata in origine.
Visto il successo o l'insuccesso di alcuni suoi film, Shyamalan ha ben pensato di concentrare in un capitolo finale tutta la summa, l'apoteosi degli scontri e tutta la sua ideologia sui fumetti e poi sui super eroi.
Glass è un film che mi ha fatto riflettere sulla sua necessità. Andava fatto?
Perchè a tratti il film è davvero sconclusionato, con cadute e ribaltoni nella sceneggiatura che si fa fatica a credere, dettagli importanti a cui non si da logica e infine un elemento che mi piace solo quando riesce ad essere funzionale e non un pretesto...quello per cui ci troviamo di fronte al film col più interminabile numero di finali.
Glass, che poi è il villain di UNBREAKABLE, risulta affondare proprio quando mette insieme troppi personaggi in un terzetto a cui si aggiunge la psichiatra e poi il figlio di David e la fanciulla scappata dalle mani della Bestia e per finire la madre di Elijah. Quando si guardano tutti quanti fuori dall'ospedale nel terzo atto non sapevo se ridere o piangere.
Ovviamente non va cestinato tutto. In primis alcuni dialoghi, quando non appaiono ripetitivi e monotoni, costruiscono, e qui forse la parte più bella del film, una bella metafora sulla logica dei super eroi costruendo intorno un’architettura filosofica e pop.
In più la speranza che parte degli intenti incanalassero la storia sul fatto che i tre super in realtà potessero essere degli egomaniaci incapaci di distinguere tra realtà e fantasia non era male.
Una parte dell'atmosfera, la regia, il fatto di saper essere cattivi quando bisogna esserlo (se avesse lasciato quel finale, forse avrei cambiato giudizio), il cast che cerca di mettercela tutta (McAvoy tra un po esplode) ma alla fine bisogna capire anche aspetti produttivi dove da un lato il buon Blum non smette di credere nel talento del regista ma anche della Disney che qui ci ha messo lo zampino.
Glass non era quel film che tanto aspettavo e su cui non riponevo nessuna aspettativa alla base, senza nessuna roboante premessa, e forse e uno degli elementi che mi ha in parte salvato dal massacrarlo del tutto. D'altro canto non posso certo mettere da parte il fatto che dalle domande ci si aspetta delle risposte e qui tante premesse sono state vanificate con l'impressione che la saga potrebbe andare avanti e allora staremo a vedere.


mercoledì 5 dicembre 2018

Blackkklansman


Titolo: Blackkklansman
Regia: Spike Lee
Anno: 2018
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Anni 70. Ron Stallworth, poliziotto afroamericano di Colorado Springs, deve indagare come infiltrato sui movimenti di protesta black. Ma Ron ha un'altra idea per il suo futuro: spacciarsi per bianco razzista e infiltrarsi nel Ku Klux Klan.

L'ultimo joint di uno dei maestri del cinema americano non smette di perdere la sua carica eversiva e ironica.
Un film grottesco, parecchio crudo e razzista, che senza celare nulla della sua facciata iniziale, manda avanti un'indagine, un caso che sembra qualcosa di assurdo quando poi invece scopriamo che è esistito eccome e che come forse vorrebbe dire Lee potrebbe risuccedere anche oggi.
Un film diverso dai soliti che sceglie sempre una narrazione secondo i suoi canoni e legato ad una poetica iconoclasta che punta a dissacrare i luoghi comuni della società bianca o gli errori del passato che per tanti diciamo che errori non sono stati e ora più che mai vorrebbero tornare in auge.
Senza avere quei voli pindarici su un'azione e alcune scene di violenza efferata come capitava in altri suoi film, il regista si confronta proprio con aspetti più controversi burocratici e amministrativi che altro, mettendo tutto in mano ad una coppia di attori che riescono nella loro semplicità ad essere quanto più diretti possibili.
Lee da sempre coglie degli aspetti nel suo cinema che ne fanno un artista in grado di evidenziare quei particolari che non sembrano interessare a tutti.
E lo fa sempre di più andando controcorrente dai tempi di FA LA COSA GIUSTA nel suo immaginario dove bianchi e neri vivono assieme odiandosi fortemente.
Nel 2018 anche se la vicenda è ambientata negli anni '70, Lee ci dice che il razzismo non è mai finito anzi, sembra essere l'incipit di ogni suo film e il suo immaginario negli anni è stato fortemente diviso e diverso dagli altri che si misuravano sui film con tematiche razziali.
La sua politica è sempre stata antagonista ad un certo tipo di sogno americano radicale ed esteticamente dirompente, scegliendo e spesso mostrando invece la semplicità con cui la comunità afro sembra non solo averci fatto l'abitudine, ma sbeffeggiandola e deridendola al contempo stesso.

sabato 10 novembre 2018

Halloween


Titolo: Halloween
Regia: David Gordon Green
Anno: 2018
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Da 40 anni Laurie Strode si prepara per il ritorno di Michael Myers, lo psicopatico che ha massacrato i suoi amici durante la notte di Halloween del 1978. E per tutti quegli anni Laurie è rimasta chiusa in casa, imponendo la stessa reclusione anche alla figlia Karen, con l'intento di proteggerla dall'inevitabile ricomparsa del mostro. Quando Myers viene trasferito dall'ospedale psichiatrico di Smith's Grove le paure di Laurie si rivelano fondate: il prigioniero infatti trova il modo di scappare e naturalmente si reca ad Haddonfield in cerca dell'unica preda sfuggitagli nel '78.

Solo due parole su Green, regista capace di intrattenere con film commerciali a volte particolarmente stupidi e insignificanti per spostarsi poi su territori inesplorati dell'indie con risultati più che piacevoli.
Halloween è una bestia difficile da trattare vuoi perchè alla base abbiamo uno dei maestri supremi della settima arte che è il buon Carpenter, vuoi perchè anche se a molti non sono piaciuti, ci ha messo la mano pure quel pazzo furioso che io stimo molto di Zombie che negli anni è riuscito a creare un suo stile di cinema ben definito e con Halloween ha picchiato davvero duro.
Questo poteva sembrare il classico sequel che nessuno voleva, fatto alla veloce, senza anima e senza prendere spunto dai film precedenti.
Invece Green mantiene lo scheletro dell'originale, 40 anni dopo, e mettendo tre donne di tre generazioni diverse a scontrarsi con Michael in uno scontro finale crudele ma quanto mai emblematico nel voler ancora una volta dimostrare come questa battaglia fino alla fine tocca alla famiglia Strode e tocca alle Donne.
Il cast è azzeccatissimo con alcune vecchie glorie che riescono a togliersi la polvere di dosso e mantenere quel polso duro fino alla fine, ognuno ovviamente schierato secondo il suo codice deontologico.
La violenza e il gore non manca anche se diventa secondario nel cercare di dipanare di più la suspance e i colpi di scena a differenza dei jump scared che rischiavano di incasellare il film verso litorali meno piacevoli.
Il ritmo, la colonna sonora, la fotografia, i colori sparati e quel senso di ritrovarsi in quelle lande desolate che Myers a colpi di slasher straziava senza nessun riguardo sono alcuni dei fattori che fanno da padrone.
Davvero il lavoro per quanto concerne la caratterizzazione dei personaggi è stato lodevole e inaspettato come il ruolo dello psichiatra, del poliziotto, e della famiglia Strode, ripeto tre generazioni diverse di donne che nel finale combattono Myers con tutto quello che hanno, la forza della disperazione e un odio di non voler più avere a che fare con un serial killer che ha distrutto l'anima della famiglia e ucciso gli amici più cari.

sabato 18 novembre 2017

Happy Death Day

Titolo: Happy Death Day
Regia: Christopher Landon
Anno: 2017
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Tree si sveglia sempre nello stesso giorno, quello del suo compleanno, e nello stesso letto, quello di Carter, senza sapere come ci sia finita. Ma alla fine di quel giorno Tree muore, per le coltellate di un maniaco che indossa una maschera da bambino piccolo. Per spezzare l'incantesimo Tree deve individuare e fermare l'assassino.
Con un film in cui il momento di svolta è accompagnato dalle note di Confident di Demi Lovato, a sottolineare con enfasi che la nostra eroina ha deciso di affrontare di petto il nemico, occorre confrontarsi seguendo canoni critici differenti dalla norma.

E si ritorna a ripescare soggetti e trame del passato.
Qui RICOMINCIO DA CAPO che incontra l'horror anni '80 sul modello di SCREAM e altri suoi ibridi.
Un'idea che ha un elemento interessante ovvero mischiare il cinema di genere con questo schema di ripetere le giornate all'infinito a meno che non venga superata una prova o raggiunto un obbiettivo.
La parte iniziale del film è la migliore se non altro per la protagonista che a tutti gli effetti è di un'antipatia rara che seppur una bella fanciulla, diventa la solita cheerleaders bionda senza carattere e anima. In realtà non sarà poi così e uno sicuramente dei fattori positivi e proprio quello di caratterizzare bene il suo personaggio e altri coprotagonisti.
Il problema grosso del film arriva quando il regista prova una mossa azzardata e controproducente, a meno che non si abbia un talento alla scrittura che di solito non coincide mai con la regia, unendo commedia romantica e thriller slasher.

Dopo che Tree capisce che il nerd di una notte e via forse può aiutarla a risolvere il mistrero e scoprire chi c'è dietro la maschera, il film sembra riprendersi contando su un buon elemento, ma dopo poco il colpo di scena diventa assolutamente prevedibile (peraltro già a metà film) e le false piste non ottengono nulla di buono a meno che non ci troviamo di fronte all'ennesimo pubblico che fagocita qualsiasi cosa senza avere niente da dire e senza capire che la logica serve e bisogna tenerla allenata. Questo film proprio da questo punto di vista ne esce proprio male senza nessun guizzo e con un climax finale telefonato e prevedibile.  

domenica 15 ottobre 2017

Lowriders

Titolo: Lowriders
Regia: Ricardo de Montreuil
Anno: 2016
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Ambientata nella zona orientale di Los Angeles, il film parla del mondo delle vetture lowrider e dei graffiti. La storia è incentrata su un adolescente la cui lealtà è messa a dura prova quando si trova costretto a scegliere tra il padre e lo zio criminale.

Prendete FAST & FURIOUS mescolatelo con ONCE WERE WARRIORS ed 8 MILE e conditelo con SIN NOMBRE aggiungendo infine il jolly con Theo Rossi.
Quelllo che ne esce non è nulla di buono ma anzi macchinoso, già visto e squisitamente pieno di clichè. Dalla famiglia sudamericana povera che pensa al grande mito americano, quello delle macchine, costruendo la perfetta lowrider, ovvero quel tipo di vettura le cui sospensioni sono state modificate in modo tale da poter abbassare la macchina il più vicino possibile al suolo oppure per farle compiere delle evoluzioni, diciamo che sappiamo subito di cosa stiamo parlando.
Uno potrebbe già fermarsi qui senza andare oltre per capire nell'immediato dove andrà a parare il film. Eppure anche gli inseguimenti sono abbastanza fiacchi, i combattimenti tra gang a volte sanno di ridicolo e la caratterizzazione dei personaggi è stereotipata anche quando uno come Theo Rossi cerca di dare un po di sostanza (e il fratello maggiore che ha rotto i legami con il padre e si è fatto una gag tutta sua) senza di fatto uscirne bene nemmeno lui.
Una trama che purtroppo non ha richiesto tanto sforzo dello sceneggiatore e il regista, De Montreuil, voleva solo avere l'ok per potersi cimentare in un montaggio frenetico che a volte rischia pure di distruggere quel poco di buono che il film stenta a mettere in luce.


domenica 4 giugno 2017

Get Out

Titolo: Get Out
Regia: Jordan Peele
Anno: 2017
Paese: Usa
Giudizio: 4/5
Chris è un ragazzo di colore destinato, come molti, a compiere l'infausta impresa di andare a conoscere la famiglia della sua fidanzata. Quest'ultima, all'apparenza dolce e innocente, manca di comunicare ai suoi il colore della carnagione di Chris, e quello che parte come normale weekend si trasforma presto nel più inquietante (e razzista) degli incubi.

Get Out è una vera sorpresa nel vasto panorama degli "horror"indipendenti contemporanei. Prima di tutto perchè dimostra ancora una volta, come ho sempre espresso, l'ennesima dimostrazione di quanto questo genere (molto vario e vasto) si dimostra ancora una volta in grado di comprendere la realtà sotto profili che non si vogliono vedere.
Scappa! cerca di analizzare una delle tante urgenze nella nostra società che ancora danno riprova di quanto non siamo cambiati dal punto di vista dell'accettazione dell'Altro culturale. Una scintilla impazzita che sposa il pretesto di un'indagine sociologica abbastanza semplice ma con un risultato drammatico e forse tremendamente attuale.
L'uomo di colore nel 2017 sta ancora sul cazzo alla comunità ariana? Non dovrebbe, penserebbero la maggior parte degli esseri umani. In realtà la risposta è sì.
Il film è abile a giocare sui luoghi comuni, sulla satira sociale, sui contrasti e i dialoghi taglienti.
Diventa mano a mano che la narrazione prosegue un continuum di trovate originali e il fatto che faccia maledettamente ridere in alcune parti è dovuto al suo non essere politicamente corretto come tanti film sugli afro.
Qui la battaglia del regista e verso tutti a partire dalla servitù di colore nella casa della fidanzata.
Peele, attore comico qui alla sua opera prima, distrugge in un attimo tutti i clichè e i luoghi comuni di tanti benpensanti e soprattutto il populismo contemporaneo che diventa uniforme in tutti i colori.



domenica 19 febbraio 2017

Last Showing

Titolo: Last Showing
Regia: Phil Hawkins
Anno: 2014
Paese: Gran Bretagna
Giudizio: 3/5

La storia è incentrata sulla giovane coppia Martin e Allie che si dirige verso il cinema locale per vedere l'ultimo show horror notturno, inconsapevoli del fatto che diventeranno i protagonisti della storia dell'orrore. Englund interpreta l'ex proiezionista Stuart che è stato retrocesso dal progresso della tecnologia e che decide di vendicarsi su una generazione che non richiede più le sue abilità. Il film verrà realizzato con un budget di 2 milioni di dollari. Le riprese dureranno quattro settimane e si terranno nel nord ovest dell'Inghilterra.

Last Showing è un thriller vecchia maniera girato in unica affascinante location, un cinema, e con tre attori principali e poche comparse. Da un lato un proiezionista vecchia scuola che ama dirigere dalla cabina di proiezione e dall'altra parte una giovane coppia che vogliono guardarsi uno slasher e passare una piacevole serata prima di passare al dessert.
Niente di nuovo dunque. Hawkins però cerca fin da subito di dosare bene la tensione e non esagerare con morti e uccisioni telefonate che porterebbero subito ad un finale e un climax abbastanza scontato ma vira verso una storia più complessa e grottesca dove il nostro Robert Englund può divertirsi approfondendo un personaggio tutt'altro che prevedibile.
Una pellicola dove ci sono pochi ma buoni colpi di scena, il finale è piacevole e lascia una strada aperta, lavorando insistentemente sull'immedesimazione verso questo protagonista che si trova in una situazione quasi kafkiana e che mano a mano diventa sempre più realistico con dei tratti inquietanti giocati davvero bene.

Un indie british che con i suoi due milioni di dollari e alcune scelte poco scontate di sceneggiatura riesce ad essere mediocre senza nessun guizzo, una messa in scena che alterna alcuni colori molto accesi e un attore sempre in parte che cerca di salvare l'intera baracca dal resto del cast che punta su un protagonista purtroppo davvero inespressivo.

lunedì 30 gennaio 2017

Split


Titolo: Split
Regia: M.Night Shyamalan
Anno: 2016
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Anche se Kevin ha mostrato ben 23 personalità alla sua psichiatra di fiducia, la dottoressa Fletcher, ne rimane ancora una nascosta, in attesa di materializzarsi e dominare tutte le altre. Dopo aver rapito tre ragazze adolescenti guidate da Casey, ragazza molto attenta ed ostinata, nasce una guerra per la sopravvivenza, sia nella mente di Kevin – tra tutte le personalità che convivono in lui - che intorno a lui, mentre le barriere delle le sue varie personalità cominciano ad andare in frantumi.

Night Shyamalan è da diverso tempo che non gode più di alcuni privilegi a Hollywood.
A mano a mano ha visto diminuire i budget dei suoi film, le major hanno scommessso meno su di lui, nemmeno fosse un appestato, con il risultato che l'autore ha continuato a fare di testa sua.
In realtà questa strana conseguenza ha sancito una piccola nuova rinascita del regista che con pellicole deliziose come LADY IN THE WATER e THE VILLAGE (gli unici film davvero interessanti del regista) ha saputo conquistare il pubblico grazie ad una preciso modo di impiegare la suspance e l'atmosfera.
Ora Visit, il film precedente, ha più o meno delle caratteristiche anomale con questo Split. Prima di tutto l'idea alla base del film rimane la cosa migliore. L'autore purtroppo non riesce a mantenere le aspettative dovendo sempre e per forza aggiungere elementi a dispetto di una trama che se mantenuta su alcune traiettorie legate alle personalità sfaccettate, avrebbe già avuto molto da dire e su cui concentrarsi.
Gli omicidi e il climax finale con il raptus di violenza stonano proprio con tutto quello che c'è stato prima di buono rompendo nettamente ogni barriera e catapultando il film su elementi sovrannaturali (la Bestia) a dispetto della realisticità della narrazione nei primi due atti.
Questo elemento si rivela purtroppo una scelta radicale che trasforma gli intenti psicologici del film in un'orda e un accozzaglia di violenza e scene irreali che minano quel poco di credibilità che il film con fatica si era conquistato.
Ma veniamo alla destrutturazione finale. Si parla di 23 personalità e il film ne esamina 5.
Tutti sanno come agisce una psichiatra, la dott.ssa Fletcher (che simpatica citazione) non si mette ad indagare, non è la psichiatra che diventa detective.
La prima parte è il pezzo migliore. I dialoghi tra "Kevin" e la Fletcher, soprattutto all'inizio, sono ottimi oltre ad essere la riprova che il regista se non spinge troppo il pedale può farcela trovando un tema sempre interessante e poco abusato dalla cinematografia (almeno non con questi numeri).
Un'altro elemento che non aiuta, nei thriller psicologici, è proprio quello di non dover aggiungere altro quando si ha un disturbo di personalità. Gli elementi ci sono già tutti...e allora sentire l'orda e poi la bestia con questa "trasformazione" che diventa quasi ironica per quanto non sta in piedi.
La bestia che si arrampica sui muri, che riesce a gonfiare il corpo, i colpi di fucile che non gli fanno niente, nemmeno le lame riescono a trafiggerne il corpo.
Davvero un peccato perchè McAvoy, pur non facendo scintille è convincente. Ancora più di lei la talentuosa protagonista Anya Taylor-Joy.
Continuo a fare il tifo per Shyamalan e i suoi lavori low-budget sperando che si concentri meno sull'azione e rimanga più strutturato sulla storia e gli intenti del film.
Twist finale....l'uomo di vetro e il cameo finale di Willis a dir poco penoso....

domenica 29 gennaio 2017

Darkness

Titolo: Darkness
Regia: Greg McLean
Anno: 2016
Paese: Usa
Giudizio: 1/5

Quando una famiglia torna a casa da una vacanza al Grand Canyon, portano involontariamente con loro una forza sovrannaturale che preda le loro paure e vulnerabilità, minacciando di distruggerli dall'interno, consumando la loro vita con conseguenze terrificanti.

Darkness, titolo emblematico per una porcheria che poteva non essere fatta o meglio pensata, continua a far parte del repertorio infinito di horror scialbi e scontati. Merchandising su un tema che ormai appare così scontato, che ormai sono poche le opere che riescono a dare letteralmente i brividi.
Darkness sembra la prova del fuoco dei mestieranti di Hollywood. Il pacchetto è preconfezionato, la struttura è la solita (anche Wan è scontato e commerciale ma con CONJURING almeno qualcosa di bello è riuscito a regalarlo) diventando così uno tra i tanti che arriva al cinema a dispetto di pellicole molto più interessanti. Nel film poi incontri Bacon che è così imbarazzato e svogliato che pensa più al look e alla camicia stirata che non a quello che succeda in casa e il destino di sua figlia.
Se mettiamo da parte il figlio semi-autistico insensibile a qualsiasi cosa paurosa che normalmente impressiona i ragazzini della sua età e che finisce in un dirupo del Grand Canyon senza farsi nulla, trova delle pietre maledette di alcuni spiriti (ovviamente vendicativi) e diventa il tramite per uccidere la sua famiglia creando un varco attraverso il muro di camera sua buttando della vernice nera sulle pareti...beh...gli elementi scontati sono così tanti ed elementari da riportare la struttura narrativa e il plot ai minimi storici dove si fatica a cercare di essere presi d'assalto da un'atmosfera che non fa quello che dovrebbe.


venerdì 18 novembre 2016

In a Valley of Violence


Titolo: In a valley of violence
Regia: Ti West
Anno: 2016
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Nel 1980 un vagabondo di nome Paul arriva in una piccola città per vendicarsi contro i teppisti che hanno ucciso una persona a cui lui era molto affezionato. Mary Anne ed Ellen, le sorelle che gestiscono un albergo nel paese, staranno dalla sua parte e faranno di tutto per aiutarlo nell'impresa.

Sembra che negli ultimi anni, soprattutto in America, ci sia una corsa all'oro. Come se il western post-moderno fosse diventato il petrolio, diventando un nuovo sotto-genere a cui ridare linfa e instillare codici e registri narrativi diversi e complessi. I casi di recente, fortunati e che hanno saputo dare risalto ad un genere quasi morto, sono davvero molti.
In a valley of violence purtroppo è uno di quei film che sulla carta potevano creare un certo margine di interesse, almeno per gli attori e per la regia molto action, ma che invece dimostra di essere uno dei film più fiacchi e vuoti, nonchè in diversi momenti imbarazzante, di quest'anno.
A cercare di dare una nuova linfa al genere c'è il conosciutissimo Ti West, giovane e addetto all'horror che ha saputo girare qualche interessante film, ma che probabilmente voleva dare la prova di essere in grado di cimentarsi anche con i cow-boy (pessima scelta).
Tutto non funziona nel film. Dal cast caratterizzato malissimo senza nessuno spessore ma in cui predominano gli stereotipi, Hawke non solo non ci crede ma probabilmente dopo i Magnifici sette
e avendo sperimentato molto ha deciso di regalare una performance dell'eroe solitario.
Paul arriva in un villaggio per vendicarsi di cosa...della morte del suo cane e chi trova...quattro assi di legno tenute in alto da quattro chiodi e con una popolazione che non arriva a dieci abitanti.
In più l'azione è imbarazzante, i dialoghi tra Paul e il cattivo di turno, un John Travolta patetico e che probabilmente non si rende conto dove sia finito e cosa stia facendo e la ciliegina sulla torta, senza contare i camei imbarazzanti di gente interessante come Larry Fessenden

martedì 15 novembre 2016

Oujia-L'origine del male

Titolo: Oujia-L'origine del male
Regia: Mike Flanagan
Anno: 2016
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Nella Los Angeles del 1965, una madre vedova e le sue due figlie introducono un nuovo trucco alle loro consuete frodi spiritiche per ravvivare l'attività di famiglia, finendo per attirare senza volerlo un autentico spirito maligno nella propria casa. Quando la figlia più giovane viene posseduta dall'implacabile entità, questa piccola famiglia dovrà fare i conti con paure inimmaginabili per poterla salvare e rispedire il suo possessore nell'aldilà.

Ouija all'apparenza sembra solo un gioco rivelando invece una componente spiritica che diventa in questo caso l'espediente su cui ingranare l'elemento di forza e cercando di spaventare con tecniche e strumenti ormai ampiamente abusati.
L'origine del male in realtà crea un enorme sbadiglio in chi cerca anche solo lontanamente uno spiraglio per poter vedere qualcosa che riesca a creare tensione e generare seppur in modo limitato un'atmosfera soddisfacente.
Nulla di tutto ciò. Oujia entra nel filone degli horror moderni e commerciali che non vanno mai a fondo, creando una storia banalotta e prevedibile anche se in questo caso almeno il finale sembra dare qualche piccola soddisfazione.
Il nucleo familiare senza padre in cui le due figlie per sbarcare il lunario ed aiutare la gente al lutto fingono di evocare gli spiriti dei loro cari defunti seppur non originale può rivelare spiragli coinvolgenti.
Se non è l'originalità la nota di questo film, non lo sono nemmeno i jump scares e alcune trovate che sembrano macchinose per far confluire la storia verso una drammaticità più che telefonata (e parlo ovviamente delle ossa umane trovate come sempre nella cantina).
Flanagan è un regista che ci sa fare, ha dimostrato talento dirigendo film che all'apparenza potevano sembrare banali ma che hanno dimostrato di avere spessore e coraggio. Purtroppo Oujia forse perchè una sorta di merchandasing e perchè doveva mantenere una certa struttura senza la possibilità di metterci nulla di nuovo, paga un duro prezzo che viene, come dicevo prima, salvato dall'essere un disastro totale per il colpo di scena finale.


martedì 20 settembre 2016

Election year

Titolo: Election year
Regia: James De Monaco
Anno: 2016
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Durante la campagna elettorale presidenziale americana prendono piede le proteste contro la "notte del giudizio" che alcuni ritengono sia solo un metodo del governo per ridurre la popolazione povera e le relative spese di assistenza. La candidata alla presidenza senatrice Charlie Roan - che visse una terribile esperienza 18 anni prima durante uno dei primi "sfoghi" - intende eliminare la notte in cui ogni crimine è concesso. Ma i cosiddetti Nuovi Padri Fondatori, che l'hanno introdotta, non stanno con le mani in mano. Sostengono Edwidge Owens, un religioso rivale di Charlie, ma soprattutto vogliono usare la prossima notte del giudizio per eliminare la rivale.

Continuo ad essere perplesso sul successo di alcune saghe nel territorio esageratamente vasto di tutto ciò che possa comprendere l'horror.
La saga di PURGE, come quella di SAW, OUJIA, vari e fastidiosi remake, PARANORMAL ACTIVITY, INSIDIOUS, SINISTER, è tutta merda solo confezionata in modo diverso e con titoli e locandine che suscitino un'interesse che nasconde un'ingenuità senza fine.
James De Monaco è un altro furbo che ha saputo farsi un sacco di soldi partendo da un'idea nemmeno troppo scema, anzi. Il primo era un modesto home-invasion che non mi ha fatto esaltare ma come dicevo, partiva da un'idea così vasta per il potenziale che era normale che finisse per diventare una baracconata nelle mani sbagliate e soprattutto da uno che si è lasciato andare senza argomentare e dare contenuti al tema.
Un problema forte del film sono i personaggi. Visti e rivisti, banali, americani fino al midollo, senza una caratterizzazione e degli obbiettivi che non vadano oltre la schiavitù a cui li imprigiona il loro stesso sistema e i loro valori.
Con la carta della politica, del governo pieno di borghesi corrotti, e con alcune scene che definirle patetiche non rende l'idea, spero sia il capitolo conclusivo.
Frank Grillo, un attore che forse può essere funzionale solo in ruoli fisici, non ha il talento da protagonista e non è quasi mai convincente se non come allenatore Frank Campana.
Poi c'è la figa di LOST e alcuni neri che servono, ma guarda un po, come carne da macello e abili fornitori di consigli per la campagna politica.
Ma poi diciamocelo...più che anarchia qui ci sono psicopatici e si parla di follia. Cosa c'entra l'anarchia. Questo film è yankees fino al midollo e la sua squallida rappresentazione è forse l'unica nota di merito per una trilogia abbastanza inconsistente e che sembra girare a vuoto.



sabato 9 gennaio 2016

Visit

Titolo: Visit
Regia: M. Night Shyamalan
Anno: 2015
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

La quindicenne Rebecca raccoglie in video le confidenze della mamma, che racconta come a 19 anni si sia innamorata, contro il volere dei genitori, di un insegnante. Qualcosa di grave ha causato una rottura permanente con i suoi che solo ora, dopo 15 anni, l'hanno rintracciata e hanno espresso il desiderio di vedere i due nipoti, Rebecca e il tredicenne Tyler. I ragazzi sono d'accordo e quindi la mamma, lasciata dal marito e con un nuovo compagno, ne approfitterà per andare a divertirsi con lui in una breve crociera. Tutto questo è solo l'inizio di un documentario amatoriale che Rebecca intende girare sulla visita ai nonni, che non ha mai visto. Vorrebbe conoscere il motivo della rottura dei rapporti, ma la mamma non glielo dice: saranno i nonni, se riterranno, a dirlo ai nipoti. I nonni si rivelano gentili e li portano nella loro grande casa, tra i boschi e la neve. Ma ben presto sotto la superficie della calorosa accoglienza si aprono le crepe prodotte da comportamenti strani e inquietanti che, giorno dopo giorno, mettono i ragazzi alle prese con una situazione misteriosa e pericolosa.

Shyamalan non se la sta passando bene e il suo cinema diventa lo specchio dell'anima del regista.
Il problema di fondo di The Visit è proprio legato al soggetto più che alla messa in scena.
Pur essendo un mockumentary con errori grossolani di sceneggiatura (le solite scelte di camera e inquadrature avvolte nel mistero) oltre che di passaggi tecnici e tanto altro ancora.
Proprio questo sotto-genere è diventato a tutti gli effetti una "moda" commerciale inutile e spesso patetica, soprattutto quando non si ha nulla da mostrare e la storia appare un pretesto per dar luce a un inutile prodotto di marketing. Sono passati troppi anni da quando poteva cercare di essere un valore aggiunto e creare quell'indiscutibile suspance di fondo facendoci diventare ancora più parte attiva dello spettatore. THE BLAIR WITCH PROJECT oppure a V/H/S o CRONICHLE, WHAT WE DO IN THE SHADOWS, LAKE MUNGO, TROLL HUNTER, DIGGING UP THE MARROW, EXIT THROUGHT THE GIFT SHOP.
Certo è diventata anche la scelta funzionale di molti registi al loro esordio per ragioni legate ad un low-budget di fondo.
In questo caso i carnefici sono anziani e pure psichiatrici.
Una scelta che non ho apprezzato perchè la trovo di bassa lega e su cui il regista poteva almeno cercare di trovare una deriva che fosse accettabile e che ponesse la malattia e il disagio psichiatrico con un po più di nobiltà e serietà d'intenti.
Senza nulla togliere ad alcuni momenti in cui i nonnetti e soprattutto lei, riescono a creare quella tensione palpabilissima e potente, con alcune immagini di sicuro impatto visivo, ma che purtroppo soccombono di fronte ad uno script traballante, in cui a parte il colpo di scena dei veri nonni che assale completamente lo spettatore (certo magari qualcuno aveva giù avuto il sentore di chi realmente si nascondesse in quella casa) tutto il resto procede in modo molto schematico e prevedibile.
Con dei nonni molto bravi e credibili lo stesso non si può dire dei nipoti. Forse la scelta era voluta così come ad un tratto viene quasi da prendere le parti dei nonnetti con questi nativi digitali in fondo solo interssati a filmare da dietro le telecamere chi hanno di fronte ma senza la voglia o l'interesse di guardarle negli occhi.


domenica 3 gennaio 2016

Gift


Titolo: Gift
Regia: Joel Edgerton
Anno: 2015
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

La vita matrimoniale di Simon e Robyn procede a gonfie vele, fino a quando Simon non incontra Gordo, un ex compagno di liceo smanioso di rivivere i vecchi tempi. Gordo sommerge la coppia di regali, passando dall'essere un tantino invadente a risultare una presenza scomoda e inquietante. Ma quando i due decidono di liberarsi di lui, un oscuro segreto dal passato di Simon farà dubitare Robyn del marito e delle persone a lei più vicine.

Nell'agosto del 2012, Joel Edgerton aveva scritto una sceneggiatura per un thriller psicologico intitolato Weirdo. Inizialmente non se ne seppe più nulla, poi con qualche modifica, soprattutto al nome, è uscito THE GIFT (era meglio Weirdo...).
Ci troviamo di fronte ad un thriller, stalker thriller per essere precisi, molto ben bilanciato fino al finale con un bel colpo di scena drammatico e potente e un finale aperto.
In un crescendo di suspance che riesce sempre a non essere esagerato e cercando di scavare nei suoi personaggi oltre che creare tensione, l'opera prima dell'attore e regista riesce in più a creare una struttura narrativa con due parti separate e coinvolgenti.
In più poi è hitchcockiano. Avevo iniziato a vedere questo film con delle aspettative medie e anche se poi alla fine non sono rimasto così colpito, dall'altro sono stato perlomeno contento del buon lavoro di scrittura, un cast che c'è la mette tutta e un reparto tecnico tutto sommato buono.
Poi Edgerton chi lo avrebbe mai detto.
Interpretando Gordo è stato molto bravo, un personaggio inquietante come l’inferno, che agisce nei non detti e non risulta nemmeno così banale come invece in alcuni colpi di scena del film si poteva credere. The Gift non è poi così originale, ma scorre piacevolmente creando comunque una buona suspance senza esagerare e mostrare più del dovuto.

venerdì 30 ottobre 2015

Green Inferno

Titolo: Green Inferno
Regia: Eli Roth
Anno: 2013
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Un gruppo di studenti attivisti viaggia da New York fino in Amazzonia per salvare una tribù morente, ma si schianta nella giungla e viene imprigionato dagli stessi indigeni che voleva proteggere.

La carneficina degli attivisti e dei media.
Eli Roth è un regista che omaggia e contamina senza brillare certo di originalità. Pupillo del suo mentore, Tarantino, si è sempre ritagliato ruoli da interprete ed è diventato uno dei nomi saldi per l'horror post-contemporaneo mediatico.
A mio parere non ha mai aggiunto o dato spessore al genere, rimanendo sulla bassa soglia, con punte di exploitation a volte persino gratuite.
Green Inferno è un ulteriore conferma di un talento furbacchiotto e nulla più.
Omaggiando i cannibal-movie, di cui il nostro paese è stato precursore (in particolar modo Deodato) Roth sfrutta la comunicazione globale, l'attivismo, i social e tutto il resto per rendere più hi-tech il film e modernizzarlo quanto basta.

Se da un lato non voglio iniziare con tutte le critiche concernenti lo sviluppo di alcuni contenuti e la cultura antropologica che sta dietro, quello che mi preme far capire di questa pellicola farlocca è soprattutto il puritanesimo del cinema americano. Roth non sembra assolutamente criticarlo, il quale tollera assai meglio la morte più selvaggia di un seno denudato, e sembra essere molto più importante la banalità dei meccanismi posti in evidenza, i quali dopo aver trattato del turismo sessuale, del delirio consumistico e il capitalismo selvaggio arriva all'attivismo, senza dare nessuna critica interessante ma evidenziando aspetti già noti come il falso leader carismatico e una protagonista affascinata più da un'idea e da un leader, che non dalla causa, protetta dal padre che è un famoso avvocato dell'Onu. Il finale poi con la dichiarazione della protagonista sulla tribù amazzone è di una banalità sconcertante.  

martedì 28 luglio 2015

Stretch

Titolo: Stretch
Regia: Joe Carnahan
Anno: 2014
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Quando realizza di avere a disposizione solo una notte per ottenere il denaro necessario a ripagare un enorme debito, un autista di limousine è colto dal panico. Pronto a tutto pur di trovare la somma, porterà in giro per la città un cliente alquanto folle. Mentre la notte avanza, per soddisfare i desideri del suo cliente l'autista andrà incontro ad incontri molto pericolosi.

Stretch è uno di quei film cazzata americani, pieni di ritmo, di elementi "pulp"(il termine più abusato negli ultimi anni nel cinema) a gogò, di scene inverosimili e attori cvhe non si prendono mai sul serio.
Il tutto però sempre ad un livello in cui la realtà e le scene davvero improbabili ruotano l'una attorno all'altra, ponendone i limiti ma per alcuni aspetti anche qualche punto di forza.
In alcuni momenti il film sa essere anche divertente, certo è una corsa contro il tempo, quindi è sempre il ritmo a fare da padrone. La recitazione è particolarmente esagerata e gli attori sono così convenzionali e stereotipati che è più facile immedesimarsi nella limousine piuttosto che nel protagonista.
Il fatto che il protagonista sia Patrick Wilson di certo non aiuta contando la limitata capacità espressiva e l'enfasi pari a zero dell'attore.
Se si guarda la filmografia di Carnahan, i film sono tutti action americani. Praticamente sono tutti dei copia/incolla di un mestierante senz'anima e senza meriti.
The Stretch è un film idiota che fa sorridere, forse tra tutte le menate girate dal regista è il film costato meno e meno ambizioso e forse l'unico meritevole per una serata in cui si ha bisogno di spegnere il cervello.


domenica 19 aprile 2015

Whiplash

Titolo: Whiplash
Regia: Damien Chazelle
Anno: 2014
Paese: Usa
Festival: TFF 31°
Giudizio: 3/5

Andrew studia batteria jazz nella più prestigiosa ed importante scuola di musica di New York, è al suo primo anno e già viene notato da Terence Fletcher, temutissimo e inflessibile insegnante che a sorpresa lo vuole nella propria band. Il ragazzo è eccitato dalla possibilità ma non sa che in realtà sarà un inferno di prove, esercizi e umiliazioni come non pensava fosse possibile. Gli standard richiesti da Fletcher sono mostruosi e progressivamente alienano sempre di più Andrew dalle altre parti della sua vita.

Whiplash non è uno dei più bei film musicali del cinema, come qualcuno l’ha definito, ma pur con un viaggio di formazione abbastanza tipico, riesce ad essere incisivo e a far assaporare lo sforzo e il duro allenamento che sta dietro alcuni ottimi musicisti. 
In questo caso poi la sfida del protagonista e la sua testardaggine si scontrano con un’autorità quasi militaresca che sviluppa un rapporto esclusivo e morboso tra allievo e maestro (un perfetto J.K.Simmons) che all’interno della Juilliard di New York si muove come gli pare, entrando ed uscendo, sbattendo fuori studenti, lanciando oggetti, abbaiando insulti e facendo in sostanza quello che gli pare purché dia lustro alla scuola, diventando capace di fulminare all’istante come di diventare il miglior confidente.
Buona la regia (un trentenne che all’attivo vanta già quattro film) sicura, senza troppi movimenti di camera, ma mantenendosi ferma e lasciando che siano i musicisti e Fletcher a muoversi. 
Interessante anche la fotografia con un’insistente presenza di arancione e giallo soprattutto negli interni della scuola.

Whiplash è un film sicuramente incalzante e pieno di ritmo e brio, ma allo stesso tempo stona in alcuni parti diventando, se non proprio prevedibile, uno sforzo che ha pur sempre una certa dose d’inverosimilità.

mercoledì 3 dicembre 2014

13 Sins

Titolo: 13 Sins
Regia: Daniel Stamm
Anno: 2014
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Il film racconta la storia di un brillante coordinatore dei servizi sociali che sta annegando nei debiti. Sta per sposare l'amore della sua vita quando riceve una misteriosa telefonata, è un gioco a premi con una telecamera nascosta. Può decidere se partecipare e portare a termine 13 operazioni per ricevere un premio in denaro di oltre $ 6.000.000. Accetta la sfida e migliaia di dollari appaiono improvvisamente nel suo conto in banca e si rende conto di essere troppo coinvolto. Intrappolato, il suo bisogno di completare il gioco si intensifica, mentre i compiti diventano più estremi, fino ad arrivare a un devastante punto di non ritorno.

Di solito i thriller d'azione a differenza di altri generi devono, soprattutto nei primi minuti, cercare di impastare già una buona e intricata serie di elementi di genere tali da inchiodare sulla poltrona il pubblico. 13 Sins da questo punto di vista parte bene, un ritmo veloce, un cast misurato e interessante, il tutto unito ad una buona regia.
Stamm al suo quinto film, sforna forse il film meno idiota e più funzionale al genere e a cercare di non entrare in quel tunnel senza senso legato al paranormale e tutte le commercialate che in questi ultimi anni stanno prendendo piega come un'epidemia purulenta di quasi solo schifezze.
Se è vero che il gioco è soprattutto show e lo show fa audience, allora Stamm non regala nulla di nuovo a parte qualche intuizione, ma non di storia, bensì di tecnica
Ed è qui che 13 Sins diventa una rincorsa ad un'estetica sempre più accattivante, sorvolando il finale, senza discostarsi da tutta una serie di film e registi che hanno già trattato la materia in modo più serio, maturo e soprattutto convincente.

lunedì 22 settembre 2014

Anarchia-La notte del giudizio

Titolo: Anarchia-La notte del giudizio
Regia: James De Monaco
Anno: 2014
Paese: Usa
Giudizio: 1/5

2023. E' la notte dello Sfogo annuale, in America, quando ogni crimine è lecito dal tramonto all'alba. E' così che la società è diventata pacifica per il resto dell'anno. Mentre la gente si barrica in casa, un gruppo di individui si trova per strada nel bel mezzo del massacro. A cercare di portarli al sicuro sarà un uomo con una propria disperata missione.

Era difficile fare così male, ma forse era ancora più difficile allungare un discorso che già nel primo capitolo sembrava destinato a soccombere, sopratutto quando nel calderone produttivo il fattore fretta incide così tanto e la storia poteva dirsi conclusa se non si allargava la narrazione fuori dalle quatro mura di casa.
Al di là del guizzo molto anarchico in termini di soggetto, una notte in cui viene permessa ogni tipo di violenza, De Monaco, sceneggiatore e regista, sembra davvero aver esaurito quel barattolo da cui pensava di poter attingere all'infinito e diventando a tutti gli effetti, un mestierante come tanti che non ha saputo slacciarsi da una pura estetica commerciale e modaiola.
Anarchia infatti sembra far parte proprio di quel filone di nuovi pseudo horror o ibridi, che senza far parlare in termini di sceneggiatura, cerca la soluzione facile con intrattenimenti spesso alla mercè del non-sense più elevato e di manierismi di ogni sorta che hanno solo il patetico effetto di sembrare inutili acessori in grado di aumentare il pedo della drammatizzazione.

mercoledì 2 aprile 2014

Insidious 2

Titolo: Insidious 2
Regia: James Wan
Anno: 2013
Paese: Usa
Giudizio: 1/5

Sequel del film horror del 2011 che vede protagonista la famiglia Lambert alle prese con una casa infestata da inquietanti presenze.

Quando l'America ha un problema con il paranormale prima chiamava Shyamalan, poi è passata a Wan. Ora questo regista malesiano piace così tanto a Hollywood che dopo SAW, EVOCAZIONE, FAST &FURIOUS 7, sta diventando in tutto e per tutto, uno degli ingranaggi insostituibili della grossa macchina produttiva destina a vendere fumo per l'eternità.
Senza aver visto il primo capitolo, sono passato subito al secondo, come per V/H/S/2.
Ora Wan nei suoi precedenti lavori aveva, nel suo totale approdo commerciale, cercato comunque di fare dei prodotti almeno sofisticati, come nel caso di L'EVOCAZIONE, che con tutti i difetti del caso e sul genere, almeno diventava un vero cocktail in cui non mancava nulla, prendendo pure i giro, forse involontariamente, il genere stesso (che ormai vanta possessioni,maledizioni,streghe,incubi,aldilà,possessioni,esorcismi,chiromanti,donne represse che viaggiano in piani paralleli con il solo compito di spaventare bambini che andrebbero certificati,etc)
Ora facendo un lavoro sui nomi, non sanno più dove andare a prendergli, questo sequel è così incasinato che non si capisce davvero nulla.
O Wan si è bevuto il cervello oppure la produzione gli ha chiesto dichiaratamente di fare un film fasullo in cui alla fine non si comprendesse niente (e diciamo che toccando argomenti del genere, niente sembra più facile).
Quando poi il regista comincia a infilare piani diversi, tra realtà e finzione, sogno e aldilà, allora bisogna solo spegnere, per non farsi trasportare in un incubo narrativo che più che paura, fa male, per la sua povertà rimasta così dichiaratamente e ostinatamente commerciale.