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lunedì 16 agosto 2021

A classic horror story


Titolo: A classic horror story
Regia: Roberto De Feo
Anno: 2021
Paese: Italia
Giudizio: 3/5

Cinque persone viaggiano in camper per raggiungere una destinazione comune. Scende la notte e per evitare la carcassa di un animale morto, si schiantano contro un albero. Quando si riprendono, si ritrovano in mezzo al nulla. La strada su cui stavano viaggiando è scomparsa e c'è solo una foresta fitta e impenetrabile e una casa di legno nel mezzo di una radura, che scoprono essere la sede di un culto agghiacciante.
 
Dopo l'ottimo Nest-Il nido continua l'impavido percorso del giovane e promettente De Feo.
In questo caso dopo un'opera quasi tutta all'interno di una location, il regista apre gli orizzonti per un sud caratteristico, unendo folklore e leggende e cercando di mescolare tante etichette dell'horror in un cocktail che seppur non originale riesce a regalare un sapore che nulla ha da invidiare con alcuni recenti slasher americani. Una app, il car pooling, per far conoscere ai forestieri la propria terra (l'idea per accalappiare così i gonzi è buona), la casa del mostro e l'accostamento di tradizione mafiosa attraverso la presunta progenitura dai cavalieri Osso (mafia), Mastrosso (camorra) e Carcagnosso (ndrangheta), qui trasformati in creature cui innalzare sacrifici, naturalmente ai danni degli sventurati avventori. La mafia aiuta le persone quando lo stato è debole.
E'così per non morire di fame si è scelto di affidarsi a loro tre dando in cambio qualsiasi cosa chiedono come in parte raccontano alcune storie del passato. L'incidente scatenante per strada che lascia già presagire un senso di morte e di sciagura alle porte, una casa di legno midsommariana e quindi due primi atti abbastanza da regola per poi provare a fare il botto con cervello e furbizia strizzando l'occhio verso uno stravolgimento della caratterizzazione dei personaggi (Matilda Lutz dopo Revenge torna ad essere profetica incarnando la revenge-girl di turno) passando per un contesto metacinematografico e una critica verso il sistema cinematografico italiano attraverso i social influencer e una piattaforma che tipo Netflix ricorda una sorta di Deep Web dove troviamo all'interno gli appassionati degli snuff-movie.
Fanno più spavento le maschere dei creatori della mafia o il controllo da parte dei seguaci onnipotenti del web appassionati della pornografia del dolore? La realtà è dunque più spaventosa delle leggende folkloristiche? La risposta è sì ma non è abbastanza.
A classic horror story è un giochino divertente ma siamo anni luce distanti dagli horror europei di Weathley, Du Welz, Laugier, etc.



Record of Ragnarok-Season 1


Titolo: Record of Ragnarok-Season 1
Regia: Kazuyuki Fudeyasu
Anno: 2021
Paese: Giappone
Stagione: 1
Episodi: 12
Giudizio: 4/5

Gli uomini spadroneggiano sulla Terra ormai da troppo tempo, ma gli Dei non sono più disposti a sopportare la loro arroganza. Così, decidono di porre fine una volta per tutte alla specie umana, nociva non solo per se stessa, ma anche per qualsiasi forma di vita vegetale e animale sul pianeta. Una voce, una sola, unica voce, riecheggia in difesa degli uomini. È quella di Brunilde, la maggiore fra le Valchirie, che ha invece una proposta un po’ differente dalla cancellazione indiscriminata della specie umana dalla faccia della Terra: un torneo. 13 combattenti umani e 13 divini si scontreranno fino alla morte in un’arena per decretare infine quali saranno le sorti della specie umana, che ha, come unica speranza per continuare a sopravvivere, quella di uscire vincitrice dalla maggior parte dei combattimenti a cui dovrà prendere parte.

Record of Ragnarok è quanto di più tamarro, ignorante, spettacolare e borioso in cui ci si poteva imbattere. 12 episodi che corrono alla velocità della luce per una messa in scena tutta praticamente all'interno dell'arena a parte qualche flash back sulle origini delle divinità e degli eroi che andranno a combattere. Un anime senza nessuna pretesa, un torneo di pura violenza con pochi fronzoli, qualche dialogo imbarazzante, personaggi come sempre edulcorati e stilizzati alla perfezione e un impianto in fondo con pochissime regole, metriche basse e toni alti, mazzate e splatter a gogò.
Certo per essere un manga nipponico la mitologia e il folklore cerca di rimanere più accostato alla tradizione orientale e infatti alcuni guerrieri soprattutto umani porranno qualche domanda circa la loro fama. Nei primi 12 episodi ci saranno i primi tre incontri e viene presentato il quarto in una Londra ottocentesca dove combatteranno Ercole vs Jack lo Squartatore.
Gli altri nomi noti e meno noti sono rispettivamente: Lu Bu Fengxian (grande guerriero cinese del II secolo d.C.), Qin Shi Huang (il primo imperatore cinese, vissuto nel III secolo a.C.), Sakata no Kintoki (una figura semileggendaria del folklore nipponico), Kojiro Sasaki (spadaccino giapponese del ‘600), Raiden Tameemon (lottatore di sumo della fine del ‘700) e Okita Soji (altro grande spadaccino del periodo Edo, nell’800).
Thor vs Lu Bu
Zeus vs Adamo
Poseidone vs Kojiro Sasaki
Tra gli altri dovrebbero arrivare Buddha per gli umani, Re Leonida di Sparta, Nostradamus, Nikola Tesla, del cecchino finlandese della Seconda guerra mondiale, Simo Häyhä e Grigorij Rasputin
Gli incontri peraltro sono tutt'altro che telefonati e i colpi di scena sorprenderanno notevolmente

lunedì 9 agosto 2021

Secret ok Kells


Titolo: Secret ok Kells
Regia: Tomm Moore
Anno: 2009
Paese: Irlanda
Giudizio: 4/5

Il giovane Brendan vive nell'abbazia di Kells, un remoto avamposto medievale dove lavora per fortificare i muri dell'abbazia contro le scorrerie barbariche. Un giorno un famoso maestro illuminato arriva in queste terre straniere portando un antico ed incompleto libro traboccante di una segreta saggezza e di poteri. Per aiutare a completare il libro, Brendan deve superare le sue più profonde paure in un viaggio pericoloso che lo porterà al di fuori dei muri dell'abbazia e dentro alla foresta incantata, dove si nascondono magiche creature. Ma con i barbari in avvicinamento, riusciranno la determinazione e l'artistica visione di Brendan ad illuminare l'oscurità e a mostrare che l'illuminismo è la migliore fortificazione contro il male?

Ormai è assodato. Ogni opera di Tomm Moore per me è un istant cult. Un autore che ama il folklore locale, il paganesimo, le leggende, la natura, i simbolismi e gli animali. Opere di immensa valenza magica e con un sotto messaggio politico e ambientale. Un'eterna lotta uomo/natura attraverso creature che quest'ultima lascia trasparire per cercare di sviluppare un rapporto con coloro che ancora possiedono un'anima e credono nella Madre Terra. Song of the sea come Wolfwalkers raccontano sempre delle medesime situazioni poste in luoghi diversi con ambienti analoghi e personaggi magici portatori di luce e verità, saggezza e innocenza. Lo stile poi di Moore è sempre così riconoscibile da scriverlo tra gli autori di animazione europea più importanti di sempre in grado di rendersi un outsider mai commerciale, fruibile da tutti i target possibili e capace di stupire ed emozionare come solo un grande narratore è in grado di fare. Nelle opere di Moore non esiste mai il male vero e proprio ma rimane una condizione in cui si può sprofondare legati all'odio o al rancore. I messaggi e i simbolismi nel film coadiuvati da perfette tecniche d'animazione riescono in numerosissime inquadrature a creare dei quadri di straordinaria bellezza e fascino.


Trese


Titolo: Trese
Regia: Jay Oliva
Anno: 2021
Paese: Filippine
Stagione: 1
Episodi: 6
Giudizio: 3/5

Alexandra Trese risolve casi di omicidi e crimini legati a fenomeni soprannaturali, in una Manila in cui figure della mitologia Filippina interferiscono con il mondo moderno
 
Trese pur con i suoi limiti ci rimanda alla mitologia e al folklore filippino e già solo per questo dovrebbe destare l'interesse degli appassionati di genere. Horror, maledizioni, mostri, possessioni, maledizioni, insomma in questa prima stagione (tratta da un famoso fumetto filippino) non mancano certo gli ingredienti e la garra giusta per sparare dei colpi interessanti.
A partire dalla regia di Jay Oliva, un regista conosciutissimo, che vanta al suo attivo innumerevoli film d'animazione targati Dc (senza stare a citarli tutti perchè sono davvero tanti), la sua classe si vede in particolar modo per il ritmo e il montaggio davvero frenetici e con uno stile e un marchio impeccabili. In Trese ambientato a Manila, ogni storia tratta una leggenda dell'orrore portando alla luce in particolar modo la guerra tra i Babaylan (gli sciamani) e i Duende, spingendosi poi molto più in là chiamando a rapporto direttamente divinità e demoni, dagli Aswang alla White Lady, passando per il Tikbalang e il Tiyanak, il tutto con una storia che dal canto suo ha una sua continuità pur con tasselli indipendenti.
Grazie ad una durata di 25 minuti per episodio, la serie scorre fluida, piena di combattimenti, scene splatter e stragi senza lesinare sul sangue e sulla violenza. Certo alcuni colpi di scena e alcuni climax vengono sciorinati velocemente senza lasciare quella suspance o quell'atmosfera che ha volte viene spezzata dall'azione e soprattutto senza lasciare l'occasione di approfondire la terminologia e le varie creature che si vedono negli episodi.

mercoledì 2 giugno 2021

Eroe dei due mondi


Titolo: Eroe dei due mondi
Regia: Yang Lun
Anno: 2021
Paese: Cina
Giudizio: 3/5

Quando sua figlia scompare senza lasciare alcuna traccia, un uomo per trovarla accetta di aiutare una misteriosa donna a uccidere uno scrittore di racconti fantasy, ma finisce in un’incredibile avventura a cavallo tra due mondi, perché allo stesso tempo il protagonista del libro ha iniziato il suo piano di vendetta e le sue azioni sembrano riflettersi nel mondo reale.
 
E' difficile di questi tempi dare un insufficienza ad un film orientale in particolare ad una filmografia cinese più che mai attenta a non sbagliare un colpo in nessun genere cinematografico.
E qui gli intenti erano tanti, avventura, fantasy, azione, mostri, folklore, viaggio dell'eroe, insomma mi aspettavo qualcosa di meritevole e magari con qualche piccola dose di originalità invece il film di Lun che non parte nemmeno troppo male, diventa macchinoso e complesso con una trama a cavallo di due mondi (dove quella reale dello scrittore è pure prolissa e noiosa) piena di c.g pure abbastanza bruttarella e un'estetica troppo pompata di colori senza avere quel guizzo e quel ritmo, forse anche a causa di protagonisti non proprio al loro meglio e una storia incerta che zoppica prima degli immancabili momenti telefonati senza paradossalmente degli ostacoli ad hoc che rendano un'armonia nella narrazione.


martedì 11 maggio 2021

New Gods Nezha Reborn


Titolo: New Gods Nezha Reborn
Regia: Yang Tianxiang
Anno: 2021
Paese: Cina
Giudizio: 4/5

Tremila anni dopo che Nezha ha combattuto in mare, Li Yunxiang, un giovane fattorino della città di Donghai, scopre di essere la reincarnazione di Nezha. Mentre scopre – e cerca di padroneggiare – i poteri, i suoi vecchi nemici riappaiono, pronti a vendicarsi per l sconfitta con il Dragon Clan.
 
A distanza di pochi anni da Ne Zha campione d'incassi in Cina e miglior film d'animazione, arriva targato Netflix, un'altra versione o rappresentazione di questo mito cinese. Quest'ultimo è connotato da un'atmosfera post moderna a differenza dell'antichità del film di Yu Yang.
Li è un giovane inconsapevole dei suoi poteri facente parte di una sorta di resistenza per colpire i ricchi e ha un talento fuori discussione come pilota di moto. Sembra di vedere l'inizio di Ready player one. Questa trasposizione a differenza del precedente film di Yang non ha una tecnica e uno stile d'animazione così pulito e perfetto eppure riesce a colmare tutti i difettucci con una storia seppur canonica piena di colpi di scena e roboanti scene d'azione. Quando subentra lo scimmiotto come mentore, i draghi anch'essi presenti, tutta la galleria di mostri e personaggi caratterizzati molto bene, il film si apre ad una concatenazione di eventi causa effetto per regalare intrattenimento ma anche una desamina sui lati d'ombra di noi stessi, sui sentimenti, sulla lotta interiore e sulla scelta a volte difficile da prendere. Un film che ancora una volta riesce ad andare oltre il plot narrativo per dare forza ed enfasi ad una scheggia impazzita di quel folklore cinese che sta ritornando in auge.

martedì 27 aprile 2021

Ne Zha


Titolo: Ne Zha
Regia: Yu Yang
Anno: 2019
Paese: Cina
Giudizio: 4/5

Il giovane Nezha è nato da una perla celeste del Signore Primordiale dei Cieli. Con poteri unici e straordinari, si è ritrovato presto emarginato, odiato e temuto. Destinato da un'antica profezia a portare distruzione nel mondo, Nezha dovrà scegliere tra il bene e il male per spezzare le catene del destino e diventare un eroe.

Ne Zha è un altro validissimo esempio di messa in scena della mitologia cinese e il suo folklore dopo alcuni fasti assoluti come lo Scimmiotto, il celebre libro di Wú Chéng'ēn.
Divinità e uomini, demoni e altre creature nascoste nei cieli, nella terra e confinate sotto la terra.
Ne Zha non ha davvero niente da invidiare alle produzioni Disney e tutto il suo universo.
Un'opera intensa, un viaggio dell'eroe, un bambino/demone che incarna tanti aspetti di una personalità più che mai complessa e ambigua. Un film pieno d'azione, di effetti speciali mai esagerati, una miscela di colori e atmosfere sinuose e perfette, musiche sposate alla perfezione e uno stile d'animazione che rasenta la perfezione.
La storia è basata su un articolato testo di Xu Zonglin, vissuto durante la dinastia Ming, noto come "L'investitura degli dèi", di cui Jiaozi adatta molto liberamente gli episodi cruciali di Nezha, una figura mitologica molto amata in Cina e già arrivato al cinema, alla Tv, al fumetto e al videogame. Ne Zha spero segni l'inizio di un nuovo avvio per l'animazione cinese contando che i numeri che questo film ha mosso sono infatti quelli dei maggiori successi della storia; maggiore incasso in Cina per un film d'animazione, maggiore incasso della storia per un film d'animazione non anglofono (superando quindi tutta l'animazione giapponese), e secondo maggiore incasso della storia per un film non anglofono. Ne Zha segna anche un ulteriore passo avanti in termini di ritmo e montaggio, infatti qui l'apparato spettacolare è ancora più evoluto e al servizio di una regia spericolata e a tratti estremamente dinamica con scene divertenti altalenandole a scontri cruenti e momenti commoventi.

giovedì 15 aprile 2021

Baba Yaga-Incubo nella foresta oscura


Titolo: Baba Yaga-Incubo nella foresta oscura
Regia: Svyatoslav Podgayevskiy
Anno: 2020
Paese: Russia
Giudizio: 2/5

Una tata porta scompiglio in una famiglia portando via la figlia più piccola e facendo entrare in trance i genitori.
 
La storia della Baba Yaga è nota a tutti i fan dell'horror avendola incontrata in diverse pellicole, dalle più famose a film commerciali che la chiamavano in causa come ad esempio il recente Hellboy(2019)
 di Marshall. I russi poi dalla loro con l'horror hanno uno strano rapporto passando da film molto belli come SputnikBride, a film bizzarri e divertenti come Why Don't You Just Die e prodotti scadenti come Diggers.
Baba Yaga rientrando nel folklore russo che non è poi così sconfinato come in altri paesi, poteva davvero dare una prova di storia e intenti interessanti giocando addirittura in chiave post contemporanea e avendo la possibilità di concedersi sprazzi di originalità o archetipi da fiaba popolare. Invece è un film con una messa in scena scadente e quasi amatoriale, abbandonando tutto ad un esercizio accademico di un regista e soprattutto una scrittura che cerca il compitino senza lasciare nessun segno. L'amicizia tra i ragazzini, il bullismo, i genitori disfunzionali che dimenticano i figli, la baby sitter seducente che cerca di portare via il bambino, il vedovo rintanato nel bosco, la bambina coi capelli bianchi che comunica con le anime dei bimbi rapiti.
Il film apre tante dipanazioni con fili rossi che attraversano il mondo reale e soprannaturale senza mai una continuità o un ritmo che riesca a imbrigliare lo spettatore. Manca l'atmosfera e la suspance e la strega poi si vede poco e in quelle scene che dovrebbero essere decisive è in una pessima c.g

martedì 12 gennaio 2021

Wolfwalkers


Titolo: Wolfwalkers
Regia: Tomm Moore
Anno: 2020
Paese: Irlanda
Giudizio: 4/5

Un'apprendista cacciatrice si reca in Irlanda con suo padre per eliminare gli ultimi, temuti, esemplari di lupo. Tuttavia, le cose cambiano radicalmente quando fa amicizia con un'altra giovane.

Avercene di Tomm Moore. A sei anni dall'altro capolavoro Song of the sea, al pari di questa straordinaria opera, l'autore coadiuvato da Ross Stewart ritorna alle origini raccontandoci ancora una volta una fiaba folkloristica e andando alle radici della Madre Terra per mostrare ancora una volta la bellezza di Madre Natura in un'opera matura e politicamente in grado di mostrare come l'uomo non è in grado di abbracciare e convivere con gli elementi che gli stanno intorno.
Con una eleganza nel mischiare colori e dando risalto a tutto l'apparato estetico con un'aderenza bidimensionale senza scegliere una pluralità di forme e linguaggi, Moore trova di nuovo la profondità empatica inaspettata e in grado di essere eguagliata da pochissimi outsider viventi.
La fiaba come nei suoi altri film mischia reale e magico, mischiandoli assieme, partendo come in questo caso da un evento realmente accaduto (lo sterminio dei lupi in Irlanda nel XVII secolo da parte degli inglesi); puntando sull'adolescenza come momento fondamentale per la formazione dell'individuo (qui sinonimo di amicizia verso un diverso che appare come tale solo da chi non osa andare oltre mentre invece nel precedente film un legame inossidabile tra fratello e sorella); la curiosità di penetrare dove non si può aumentando il livello di conoscenza e consapevolezza e il coraggio di cambiare il sistema scontrandosi ancora una volta con genitori pigri e ormai al soldo del progresso della società. Un film in completa evoluzione in una parabola più che mai contemporanea e ancora una volta ecologista e ambientalista, semplice e spontanea, in grado di trasformarsi in un dramma che come per il mito delle selkies affronta in questo caso il tema della trasformazione, parlando con lo stesso linguaggio a grandi e piccoli con delle musiche straordinarie e scene di forte impatto emotivo.


domenica 22 novembre 2020

Impetigore


Titolo: Impetigore
Regia: Joko Anwar
Anno: 2019
Paese: Indonesia
Giudizio: 4/5

Una donna torna nel suo villaggio e scatena una maledizione.

Joko Anwar assieme ai Mo Brothers sono i nomi da tenere sott'occhio del cinema di genere indonesiano. Entrambi si sono dati da fare con horror, thriller, super eroi, case infestate e in questo caso si supera quello che per me era l'opera più intensa proprio dei Mo Brothers ovvero Macabre. Impetigore dalla sua ha una storia molto più ambiziosa e complessa andando a sondare il folklore locale in un paesino sperduto tra case abbandonate, una comunità che non accetta lo straniero se non in quanto vittima sacrificale o capro espiatorio e ci porta subito sui binari della narrazione ritualistica. Pezzo per pezzo scopriamo la storia di Maya con un incidente scatenante molto interessante e originale, scorrendo poi verso il paesino sperduto e mostrando tutto il caos e il degenero che verranno partoriti a danno proprio della fertilità. Sacrifici, uccisioni, antiche maledizioni, spettacoli di marionette in un film mistico quanto splatter e gore in alcuni momenti.
Anwar approfondisce, miscela, crea un cocktail di sotto generi che in molti casi e in mano ad artisti meno promettenti avrebbero deluso senza riuscire a mantenere tutte le premesse. Invece questo dramma ambizioso poggia le radici nel misticismo, in alcuni outsider dimenticati e scarnificati fuori dal villaggio, una dinastia e un mistero circa le proprie radici intrecciando la magia nera con risultati niente affatto scontati. E infine tanto sangue, muoiono quasi tutti e il film regala davvero poco in termini di happy ending come è giusto che sia.




Legame


Titolo: Legame
Regia: Domenico Emanuele de Feudis
Anno: 2020
Paese: Italia
Giudizio: 3/5

Durante una visita alla madre del suo fidanzato nel sud Italia, una donna cerca di difendersi dalla misteriosa e pericolosa maledizione che ha colpito la figlia.

Il Legame cerca come può, difendendosi molto bene, di articolare un folk horror nostrano ambientato in Puglia con superstizioni, incantesimi, credenze arcaiche, esoterismi, trasformazioni, streghe, guaritrici e rituali.
Sembra quasi impossibile poter tradurre queste etichette in un film italiano ad opera di un regista che dopo un cortometraggio e diverse esperienze come assistente alla regia prova a dare il meglio con un'opera ambiziosa e coraggiosa che scava nel substrato etnico-religioso per mostrare un dramma mistico e rurale. Una prova di come possano ancora ad oggi scontrarsi mentalità arretrate o secolarizzate a dispetto di una donna al passo coi tempi che non riesce a vedere quella parte mistica come qualcosa di possibile almeno fino a quando Sofia, sua figlia, non comincia a vaneggiare e viene infine rapita da una "strega" dopo essersi addentrata nel bosco.
Il terzo atto, quello dove l'azione ha un forte impatto nella narrazione, riesce a regalare quanto di meglio grazie ad un make-up, quello della strega, assolutamente funzionale e un rito che riesce a prendersi sul serio staccandosi da quell'amatorialità che spesso è materia celebrale di tanti horror italiani. La fascinazione possiamo dire rappresenta un ottimo spunto di originalità spiegata come condizione psichica di impedimento e di inibizione, e al tempo stesso un senso di dominazione, un essere agito da una forza altrettanto potente quanto occulta, che lascia senza margine l'autonomia della persona.

martedì 17 novembre 2020

Third Day


Titolo: Third Day
Regia: Marc Munden
Anno: 2020
Paese: Usa
Stagione:1
Episodi: 3
Giudizio: 4/5

Estate: Sam è nel bosco dove è morto suo figlio anni prima e assiste al tentativo di suicidio di una ragazza, Epona. La salva e quindi la riporta a casa, sull'isola di Osea, che è accessibile solo durante la bassa marea, perché nel resto del tempo la strada è sommersa. Giunto sull'isola, vari inconvenienti gli impediscono di andarsene; inoltre ha visioni sempre più inquietanti e capisce che gli abitanti del posto hanno strani progetti su di lui.

Recensirò Third Day in due soluzioni diverse appunto Estate e Inverno essendomi perso Autunno in una diretta Facebook di dodici ore con Jude Law divertito facendogliene passare di tutti i colori.
Tre episodi per un thriller sul folklore e i fantasmi del passato. Un padre che non riesce a digerire la morte o la scomparsa del figlio dirigendosi ogni anno in un fiume vicino a dove è successo il tragico incidente per lasciare un vestito tra le onde della corrente. Un salvataggio ai danni di una bambina che si trasforma in un'intrusione in un'isola nascosta dalla marea a cui è possibile accedere in brevi archi della giornata prima che appunto la marea nasconda la strada per accedervi.
Una comunità con le sue rigide regole, misteri sepolti, carcasse di animali lacerate praticamente ovunque, una natura ostile, un culto che viene ripreso anno dopo anno e una galleria di personaggi complessi e portatori di spiacevoli e nefaste notizie per il protagonista.
La normalità è un concetto di maggioranza. La norma di molti e non di uno solo. Così sembra procedere la storia per Sam Dawson è il non poter accettare la morte di Nathan a danni di un presunto pazzo rumeno di nome Goltan. L'inserimento di Jess Baffart aiuta molto la narrazione tratteggiando un personaggio esterno alla comunità che instaurerà un sodalizio con Sam aiutandolo e aiutandoci a risultare quella via di mezzo tra la follia che insegue Sam e i bizzarri comportamenti degli abitanti di Osea Island (93 abitanti per l'esattezza). E così un festival celtico sulle tradizioni, sulla trinità di divinità bestiali, diventa lo strumento per intrecciare diverse sotto storie e far abbracciare Sam al suo destino beffardo o meno. Tanta mistery, i Sajora come creature che vengono dal mare per cercare il male e sconfiggerlo, una festa attorno al fuoco dove vengono consumate droghe con effetti psichedelici e paure e mostri che prendono vita e infine il Cromlack il baccanale celtico.
Alcune conclusioni faranno storcere il naso come le 40 mila sterline trovate nella borsa che Sam si porta dietro dando invece la colpa ad un presunto Adey, i messaggi e in generale l'uso del cellulare che complica più che dare soluzioni, Sam che sta per annegare salvato da Jess in una scena che proprio non torna e altri piccoli particolari.
C'è tanto già visto in questa mini serie, proprio tanto. Eppure riesce a creare interesse, domande, apre a più misteri, gli obbiettivi aumentano, il ritmo è serrato, i personaggi perfetti con alcuni top come Paddy Considine, Mr Martin, davvero straordinario.
Third Day creata da Dennis Kelly e Felix Barrett,ha lo scopo e le premesse fin dall'inizio di creare un puzzle psicologico che nel dipanare i propri misteri allo spettatore tenta di intrigarlo principalmente con un'ambientazione originale e visivamente ipnotica con una regia scoppiettante e una fotografia e alcuni movimenti di camera eccellenti.

lunedì 20 luglio 2020

Gretel and Hansel


Titolo: Gretel and Hansel
Regia: Osgood Perkins
Anno: 2020
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

La trama è sempre quella: due giovani fratelli - in questa versione di sedici e otto anni, rispettivamente - si ritrovano all'interno di una foresta cupa, inospitale e spettrale, soli e costretti a badare a sé stessi. Gretel, la maggiore, e Hansel, il fratellino più giovane, incontrano Holda, una donna che si rivelerà essere una potente strega malvagia. Il resto, più che storia, è la storia

Portare i Grimm su pellicola è sempre una scommessa. Vuoi perchè alcune storie sono nell'immaginario collettivo di tutti, vuoi perchè la brevitas impone di doversi destreggiare trovando altre forme narrative e di stile portando negli ultimi anni a scenari post-contemporanei in action di revenge che poco avevano a che fare con l'anima e la drammaticità della fiaba e del suo essere una crudelissima cautionary tale (in questo caso nemmeno una delle fiabe più cruente pur essendo un'analisi lucida e netta sull'abbandono e il cannibalismo).
Perkins non poteva essere che il regista più adatto dal momento che ha nella sua indole il potere di mantenere atmosfere malsane e buie, mai scontate, dove l'ambiente gioca un importante ruolo spesso mettendo in secondo piano i protagonisti, creando suggestioni orrorifiche e sul terrore, portando ai massimi livelli la scenografia e la location composta da una foresta teutonica viva e marscecente che sembra comunicare con i protagonisti sussurrando l'incubo costante nel quale piomberanno in un paesaggio mai così macabro e inquietante.
Mantenendo lo scheletro della fiaba originale, inserendo alcuni cambiamenti del tutto funzionali, il film dal secondo atto crea un ambiguo e perverso legame di sopravvivenza tra Gretel e la strega, negando ogni soluzione commerciale ma ridando enfasi al folk-horror europeo in questo caso attraverso una matrice germanica sperimentale e funzionale a far comprendere il viaggio nell'oblio dei due protagonisti.


mercoledì 1 luglio 2020

Erik il vichingo


Titolo: Erik il vichingo
Regia: Terry Jones
Anno: 1989
Paese: Gran Bretagna
Giudizio: 3/5

Il vichingo Erik organizza una spedizione verso il Valhalla, l'Olimpo degli dei finnici, per chiedere alle divinità di porre fine all'età di Ragnarok, dissipare l'oscurità e consentire al suo popolo di vedere nuovamente la luce del sole.

Indubbiamente i Monty Pyton hanno saputo fare di meglio nella loro limitata ma importante filmografia. Erik nasceva dal bisogno di confrontarsi con un universo completamente diverso, una mitologia e una simbologia che non appartenendo agli inglesi ha sempre saputo creare un certo interesse, parlando di Ragnarok, Inrama, Vichinghi, mostri, combattimenti, divinità e tutto il resto.
Jones ha perlomeno saputo scimmiottare bene parte della materia nordica inserendo sicuramente alcuni elementi e spunti interessanti (le divinità bambine) oracoli che sembrano creature mostruose, una comunità hippie che sembrano i diretti discendenti di Atlantide. Il tutto cercando di unire seriosità almeno nelle scene di combattimento (la morte di Thorfinn) riflessione (la morte iniziale di Helga e il dramma morale del protagonista) e ironia e parodia, gestendo come poteva ma non senza lesinare, effetti che sconfinano nel trash per quanto concerne la variopinta galleria di effetti speciali.
Un filmetto simpatico, leggero, che riesce nonostante i suoi enormi limiti a sforzarsi quantomeno di raccontare una storia sulla cultura norrena con rimandi mitologicamente validi, una recitazione spesso esagitata ma con alcune caratterizzazioni interessanti e un ritmo incessante.

lunedì 4 maggio 2020

Field guide to evil


Titolo: Field guide to evil
Regia: AA,VV
Anno: 2018
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Field guide to evil in tempi di folk-horror e cicli antologici è una piacevolissima sorpresa per svariati motivi. Vuoi il suo essere passato inosservato, vuoi perché racchiude alcuni registi che amo molto (Evrenol, Strickland, Gebbe, Franz & Fiala, Smoczyńska) vuoi perchè tutte le storie si concentrano su leggende poco conosciute ognuna scandagliando un luogo diverso.
Sono dei corti dove il peso della narrazione si impone e di fatto riesce a far sì che alcuni lavori riescano a esercitare maggiori suggestioni rispetto ad altri, chi per gusti personali o chi perchè sembra andare ad approfondire antiche superstizioni. Favole nere tramandate nei villaggi, dove protagonisti sono mostri, elfi, demoni annidati nei boschi e miti malefici che prendono corpo. L’orrore insito nel folklore, che attraversa il tempo secolare e gli spazi geografici, condensato in un’antologia di otto racconti che esplora il lato più oscuro della tradizione ambientati in passati scaramantici e insidiosi.

The Sinful Women of Höllfall
I registi di Goodnight Mommy ci portano in Austria uno dei paesi più complessi al mondo al livello di cinema per parlarci dell'elfo Trud e di un amore omosessuale tra due donne che come tale deve essere punito perchè a quei tempi semplicemente non poteva essere accettato.
Haunted by Al Karisi – The Childbirth Djinn
Evrenol di Baskin e Housewife ci porta nella sua terra la Turchia per parlarci del demone Karisi, il demone del parto che si presenta con le sembianze di una donna ma anche di un gatto o di una capra. Uno dei corti più complessi, girato quasi tutto all'interno di una stanza e con questo alternare dialoghi e silenzi, dove gli stati della madre malata e il suo delirio in crescendo creano inquietudine e mistero. Come sempre il tocco del regista dimostra una scelta perfetta dei tempi narrativi, un montaggio eccellente e quella cattiveria innata nell'anima della politica d'intenti dell'autore che spesso e volentieri sfocia nel gore estremo.
The Kindler and the Virgin
La regista di Lure ci porta in Polonia un paese che amo alla follia per regalarci una delle storie più lente e minimali, giocata con una fotografia tetra tutta incentrata sui toni bluastri dove questa entità, una donna, sembra ammaliare questo giovane profanatore di tombe in cerca della saggezza.
Un corto molto complesso che tratta a differenza degli altri, assieme a Strickland la magia intessendola di suggestioni, inquietanti presenze, scene di cannibalismo e molto altro ancora.
Beware The Melonheads
Calvin Lee Reeder è uno dei pochi registi di cui non ho ancora potuto guardare nulla prima di questo corto. Ed è un peccato perchè pur non infilandosi come nei precedenti in una leggenda vera e propria mischia esperimenti nucleari alla Craven con protagonisti dei bambini malvagi e una sorta di potere psichico. Capitanati da un losco nano, gli umanoidi destabilizzeranno un simpatico equilibrio famigliare mordendo fisicamente con colpi bassi. Con uno stile molto sporco a tratti amatoriale e senza l'impiego massiccio di c.g, il corto di Reeder è il più bifolco tra i corti visti finora, quello che per assurdo sembra prendersi meno sul serio, un colpo alle costole che riesce a farsi portatore di una sua mitologia più cinematografica che altro, in fondo divertente.
What Ever Happened to Panagas the Pagan?
Yannis Veslemes ci porta in Grecia per una favola davvero disturbante che sfocia come contro altarino delle gioie natalizie ma a differenza del Krampus ci parla del Kallikantzaros,
creatura mostruosa che, secondo la tradizione, manifestandosi sotto stati alcolemici molto alti, vive sottoterra tutto l’anno fino al giorno di Natale, quando visita le case per arrecare οgni sorta di angherie alle persone
Palace of Horrors
Ashim Ahluwalia ci porta in India in un palazzo che sembra un incubo o una suggestione per farci entrare in un incubo in b/n dove una galleria di creature deformi sembra rappresentare e conciliare la metafora di un paese dilaniato dalle malattie e dallo sfruttamento
A Nocturnal Breath
Dalla Germania la regista di Tore Tanzt ci parla del Drude, uno spirito malevolo che lascia il corpo del posseduto per diffondere malattie sterminando greggi e bestiame lasciando la gente in povertà e vittima di ignominie e persecuzioni prima in assoluto la stregoneria. La persona come la bestia giace esanime fino a quando lo spirito non ritorna nel suo corpo
The Cobblers’ Lot
Dall'Ungheria l'ultimo segmento è di un regista fantastico che seguo da diversi anni, Strickland (Berberian Sound StudioDuke of BurgundyKatalin Varga) portandoci in una fiaba muta e onirica, suggestiva quanto ancestrale e magica, in una ricerca disperata per arrivare alla donna amata. The Princess’s Curse procede incalzante in questa rivalità fraterna in un eclatante manifesto funereo grazie ad immagini estremamente evocative e poetiche.

lunedì 30 dicembre 2019

Mistero di Sleepy Hollow


Titolo: Mistero di Sleepy Hollow
Regia: Tim Burton
Anno: 1999
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

New York 1799. Ichabod Crane è un poliziotto bizzarro che ha un modo molto personale di risolvere i casi. Ha l’occasione di dimostrare la “scientificità” dei suoi mezzi, nel momento in cui i suoi superiori lo spediscono nel villaggio di Sleepy Hollow dove si sono verificati misteriosi delitti. Le vittime, tutte decapitate, sarebbero state uccise da un misterioso Cavaliere senza testa, terrore di tutti gli abitanti della cittadina. Crane che si rifiuta di credere a quella che giudica una sciocca leggenda popolare, inizia ad indagare sugli omicidi ritrovandosi ben presto catapultato in una specie di incubo che i suoi metodi “illuministi” non basteranno a spiegare. Aiutato da la bella e inquietante Katrina Van Tassel, il poliziotto, porterà alla luce misteri e segreti di un mondo incantato.

Burton non è il primo a rivisitare o riadattare il classico di Washington Irving (1819), portato sullo schermo dalla Disney nel 1949 e in altre tre occasioni nel 1912,1922,1980.
Un'altra fiaba con tutti gli ingredienti dell'autore in una prospettiva che ha il sapore del fantasy come in altri suoi film ma virato in chiave fantasy e horror.
Un confronto tra scienza illuministica e superstizione irrazionale, dove l'incanto e la magia fanno la loro importante parte, dove il talento visivo e l'abilità nel maneggiare la cinepresa non si discutono di certo, ma si evince e si appura una difficoltà nel saper gestire il comparto legato alla scrittura con alcune apatie narrative che influiscono soprattutto nel terzo atto in maniera negativa sull'opera senza darle quell'enfasi in più che serviva a farlo diventare uno dei suoi film più importanti.
Il fiabesco ottocentesco ha una visionarietà che non si discute, attori tutti in parte con una menzione speciale a Walken che riesce ad essere spaventoso pur con i suoi aspetti fragili e il suo passato tormentato, un cattivo indefinito per una storia misteriosa che se scritta meglio con meno sub-plot sentimentali, avrebbe avuto ancora più atmosfera e ritmo. Invece così a lungo andare e nei compromessi finali del climax, si rimane leggermente amareggiati nonostante comunque questo suo ottavo film dimostri ancora una volta, coraggio e amore e arte nel saper trattare quelle vicende che sembrano unire storia e leggenda.


Sposa cadavere


Titolo: Sposa cadavere
Regia: Tim Burton
Anno: 2005
Paese: Gran Bretagna
Giudizio: 4/5

Nell'Europa dell'Ottocento un giovane e talentuoso pianista, infila, senza saperlo, un anello di fidanzamento al dito di una donna morta. Quando questa si risveglia, conduce Victor nel mondo dell'aldilà.

La sposa cadavere è un'altra perla dell'animazione che il noto regista ci regala dopo aver già sfornato due piccoli capolavori e aspettando il 2012 con il bellissimo Frankenweenie(2012).
The Corpse bride sempre molto malinconico, prende la struttura di un'antica storia folkloristica ebrea del XVI secolo, aggiornandola e dandole uno spirito più auto-ironico in alcuni momenti e immettendone all'interno una suggestiva storia di fantasmi e l'immancabile storia d'amore.
Per essere il terzo film in stop-motion, il film ha una storia complessa essendo stato pensato inizialmente come un titolo in carne e ossa. All'ultimo minuto si pensò però di sperimentare una nuova tecnologia, rendendolo la prima produzione d'animazione ad essere girata tramite ripresa con camere fisse e in digitale.
L'atmosfera sempre malinconica e macabra con toni cupi, la presenza importante delle noti dolenti dell'immancabile Elfman, il romanticismo dark al massimo, rendono il film una vera e propria favola nera di cui il nostro regista e autore e un poeta riuscendo a creare il target perfetto per tutte le età.
Il film riesce divertendo e struggendo al tempo stesso, ad essere efficace sotto tutti i piani, con personaggi caratterizzati molto bene in grado e dotati di un'enorme umanità in alcuni casi soprattutto quando sono i morti (come succedeva per il cult Beetlejuice-Spiritello porcello) confermando di come Burton ami e tratti il mondo dei morti con una vena divertita e dandole una mitologia tutta sua, molto classica che per certi aspetti sembra aderire ad alcune simbologie religiose messicane o dell'America latina.

domenica 27 ottobre 2019

Draug


Titolo: Draug
Regia: Karin Engman e Klas Persson
Anno: 2018
Paese: Svezia
Giudizio: 2/5

Trama: Svezia, XI° secolo. Un missionario è scomparso nella sinistra foresta di Ödmården e il re invia una squadra di soccorso per cercarlo. Tra i soldati c’è anche Nanna, una giovane donna alla sua prima missione che, rimasta orfana in tenera età, è stata allevata dalla guardia del sovrano. Una volta addentratasi nella fitta foresta insieme agli altri guerrieri, la donna scoprirà che il luogo è in realtà la casa di tenebrose presenze.

Folk horror o horror mitologici. Negli ultimi anni questa tipologia sta tornando in auge da un lato con grosse produzioni (Aster) dall'altro con tanti registi emergenti che provano a cimentarsi con il genere spesso narrando qualche leggenda locale.
Draug significa morto vivente, in questo caso donne, streghe, con in più poteri particolari.
Questo oscuro personaggio viene definito anche con la parola aptrgangr che, tradotto, significa "colui che cammina dopo la morte". Il significato originale del termine era "fantasma": queste creature - che, al plurale, assumono la denominazione di draugar - vivevano nelle tombe dei Vichinghi, diventandone il corpo, secondo quanto credevano i popoli scandinavi. Se un draug era presente in una nicchia, lo si poteva capire a causa di una luce che brillava proprio dal tumulo, una sorta di separatore tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Un Draug, dunque era una entità dalla forza incredibile e dotata di poteri magici che permettevano all'essere di ingrandirsi e rimpicciolirsi a sua discrezione: su di essi era impresso l'odore della decomposizione. Potevano cambiare forma, manipolare il meteo e predire il futuro.
Ora a me spiace per la coppia di registi ma Draug ha tanti difetti nonostante le premesse e alcuni sforzi siano palesi. Partiamo dalla fretta con cui il film è stato girato e si vede, l'improvvisazione di alcune scene, una c.g pessima che nei combattimenti e soprattutto nel trucco dei Draug e in particolare della strega che assale Nanna negli incubi è davvero tremenda senza contare tutti gli scatti con cui le Draug si muovono che ricordano parecchio i j-horror. Cercare a tutti i costi l'esagerazione comporta come in questo caso un abbrutimento soprattutto in quello che doveva essere il vero protagonista del film ovvero queste strane creature e tutta la mitologia che sta dietro.
Con un finale inaspettato e interessante, Draug purtroppo se non fosse per alcuni problemi di tecnica e realizzazione aveva dei buoni spunti vanificati purtroppo anche dagli stessi Draug che non vengono per niente valorizzati e su di loro non si sa quasi nulla.
Un film che come Hagazussa sembra girato con due lire, ma dove in quel caso la strega faceva davvero paura e il cast era decisamente migliore, qui gli attori cercano di mettercela tutta e infine anche il ruolo della protagonista passa in secondo piano, i suoi obbiettivi come altri punti della sceneggiatura sono piatti, relegando tutte le caratterizzazioni ad un accenno senza mai esplorare un po di più le storie.


lunedì 21 ottobre 2019

Golem

Titolo: Golem
Regia: Paz brothers
Anno: 2018
Paese: Israele
Giudizio: 3/5

In una piccola comunità ebrea del diciassettesimo secolo, una donna crea una spaventosa creatura per difendere il villaggio da un'ostica minaccia.

Film sul Golem ne sono stati fatti tanti nel corso degli anni. Quest'ultima rivisitazione andava quindi fatta? Sì. Perchè il film in questione rivisita la storia, la riscrive per certi aspetti, cambiando punti di vista, personaggi, ambienti. Il risultato è un'opera indie sconosciuta (o almeno lo era prima di Netflix che nel bene o nel male a qualcosa dunque è pur servito) con un budget risicato che riesce ancora una volta a descrivere molto bene il folklore locale, la leggenda, il sacrificio, assaporando il gusto per la tradizione, le usanze e le leggende ebraiche sempre molto affascinanti e in alcuni casi letali per il potere di riuscire ad auto infliggersi danni collaterali pazzeschi.
Il film apre le porte ad un piccolo e sconosciuto villaggio lituano povero e pacifico che per qualche motivo ha fatto i conti con la peste uscendone integro, ma non dalle calunnie e dall'odio degli esseri umani per gli ebrei. Difatti aprendosi con un incidente scatenante di forte impatto emotivo, Hanna la protagonista, nel suo rituale per salvare chi di dovere, si scontra proprio con quei pogrom che all'epoca erano quasi la normalità nei confronti degli ebrei ritenuti quasi sempre la causa di tutti i mali (quindi la peste e il fatto di esserne scampati raggiunge i fasti di questo odio). Il Golem completamente diverso ritrasformato con una messa in scena molto interessante, in fondo nasce per questo come risposta a questo male generato in particolar modo, come in questo film, dai cristiani dove la più affascinante e oscura delle creature rigurgitate dal ricco folklore ebraico, plasmata dalla terra e animata col soffio della parola di Dio, ha il compito di difendere chiunque la evochi da attacchi e soprusi. Il film nel finale cala di ritmo rifugiandosi in scene abbastanza discutibili e con alcuni effetti in c.g non proprio perfetti mentre invece risultavano funzionali nel film precedente della coppia di registi Jeruzalem, un suggestivo mockumentary apocalittico-esoterico.
Golem ha i suoi punti di forza nella recitazione, nelle atmosfere rurali infarcite fino al midollo di arcane tradizioni ancestrali ma soprattutto nel puntare tutto sulla donna per combattere le forze nemiche. Hanna creando la creatura rivivrà proprio il suo dramma, il suo defunto bambino, rievocando le sue tristi memorie e soprattutto affondando le radici nell’interiorità di una donna troppo ostinata e forte per essere asservita alla collettività maschile.
Un film di ribellione che se non avesse fatto l'azzardo finale poteva diventare un'altra di quelle chicchè folkloristiche che mi piacciono a prescindere.

venerdì 9 agosto 2019

Midsommar


Titolo: Midsommar
Regia: Ari Aster
Anno: 2019
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Dani ignora l'ennesima chiamata di aiuto della sorella bipolare, rassicurata in questo dal fidanzato Christian. Christian vorrebbe rompere con Dani, ma non sa come dirglielo. Quando purtroppo le peggiori paure sulla chiamata si rivelano fondate, è troppo tardi per intervenire. Christian decide quindi di invitare Dani a partecipare al viaggio organizzato dall'amico Pelle in un curioso villaggio svedese, per effettuare studi antropologici e insieme svagarsi nel festival che celebra il solstizio d'estate.

Ari Aster era atteso alla sua seconda prova dopo il successo di critica e di pubblico enorme e forse anche eccessivo del suo primo Hereditary-Le radici del male che a dire la verità non mi aveva fatto impazzire. Continua il suo discorso sul cammino del rituale quasi legato al finale della sua opera prima con quella corona depositata sulla testa del prescelto, il neo re, che qui ha diversi punti in comune con la neo regina che non andrò a svelare.
Essendo un appassionatissimo di folk horror (d'altronde alcuni degli horror più belli di sempre, Hardy e Weir, appartengono a questo sotto filone) cercavo di non avere aspettative, sperando però che fosse una spanna sopra il predecessore prendendo le distanze da tutto ciò che avevo già visto.
Così è stato confermando tanti buoni elementi, una maturità consolidata da una ricca prova di scrittura e soprattutto di psicoanalisi dei personaggi (il fattore in assoluto migliore che riesce in questo a staccarsi da tanti altri film già visti che prendevano però solo in analisi il contesto culturale lasciando in secondo piano i protagonisti).
Un film che parla di setta ma senza condirla di luoghi comuni ma anzi cercando di entrare nel fenomeno come campo di scoperta e di rivelazione che possa creare sentimenti ed emozioni contrastanti dove anche l'antropologia di nome e di fatto ha un evolversi importante nella struttura del film e in alcune lotte tra i personaggi. Un film che inizia con un incidente scatenante che non concerne con la setta (e si parte già col botto) dimostrando come le relazioni umane ancora una volta stiano alla base di una sapiente descrizione del racconto, in questo caso mai tradizionale ma sempre scomodo e atipico per come articola la sua poetica d'autore.
Il rituale di Aster conferma come non sia un delizioso furbetto che con un buon budget cerca il disimpegno strizzando l'occhio dove gli pare. Il soggetto è originale, la setta sa il fatto suo, la luce è sempre onnipresente come i pianti del neonato che viene allevato da tutti e le bevande a base di erbe allucinogene e per finire le rune celtiche che vanno a sostituire i sigilli demoniaci.
Sono tanti i particolari, gli elementi con cui il film viene tenuto in piedi senza lasciare buchi o importanti scene senza una giusta risposta.
Chi lo sa se il film di Aster dopo tanti tentativi non così riusciti chiude una volta per tutte il filone sul paganesimo ancestrale. Speriamo di no, ma speriamo anche di poter vedere esempi così carichi di archetipi sfruttati al meglio con impianti originali e tutto il resto e un'aura disturbante per tutto l'arco narrativo.
E poi gli attori, tutti davvero bravi e mossi da domande angoscianti, egoiste, rapporti di coppia che fanno star male anche solo in poche battute, silenzi che gelano il sangue, pianti e risa continue.
Quando Aster si avvicina alle scene più drammatiche in assoluto può diventare estremamente scomodante (come lo è stato nel mio caso) o venir preso alla leggera da un pubblico che pensa alla parodia e ride non sapendo interpretare quello che succede.
Il film inizia con un crollo definitivo psicologico di Dani e così viene portato avanti per tutto il film senza mai spostare il fuoco dal suo dramma interiore che la logora ancor più dai danni arrecati da Christian e il suo gruppo di amici.
Ma se alla fine fosse tutto un trip? Il finale non è aperto sotto questo punto di vista ma se Dani si fosse svegliata dal viaggio in funghetto scoprendo come fosse tutto un incubo? Dove i riferimenti anche ad una simbologia tutta floreale ci sono e non mancano di creare inquietudine più di molte altre scene madri del film.