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sabato 8 luglio 2017

Trespass Against Us

Titolo: Trespass Against Us
Regia: Adam Smith
Anno: 2017
Paese: Gran Bretagna
Giudizio: 3/5

Chad, il padre Colby e alcuni amici conducono da anni un’esistenza ai margini della società, sopravvivendo grazie a furti occasionali e alla destrezza di Chad, eccellente pilota. Chad, stanco di questa vita, vorrebbe trasferirsi altrove con moglie e figli, ma Colby è contrario e Chad non riesce ad affrontarlo e a dirgli di no.

Di certo Smith pur essendo alla sua "vera" opera prima non manca certo d'esperienza.
La serie SKINS muoveva già alcuni tasselli almeno per quanto concerne alcune scene d'azione e sapeva giocare bene con gli interpreti dando loro spazio e tempo per improvvisare e prendersi il loro tempo. Più o meno è quello che è successo anche qui con due attoroni come Fassbender e Gleeson (quest'ultimo riciclato su un personaggio già visto troppe volte).
Trespass Against Us aveva buone carte per poter diventare un film coraggioso e ribelle.
Un film politicamente scorretto che rifila un dito medio alle forze dell'ordine dopo un inseguimento in macchina (tra l'altro tra le cose più belle del film) tra scorribande che seppur belle da vedere sembrano dei riempitivi per dare consistenza e ritmo al film.
Purtroppo alcune manciate di scene, qualche idea interessante e le buone interpretazioni non bastano a decretare il successo, almeno per quanto concerne la sceneggiatura, di un film piuttosto piatto che esaurisce fin da subito obbiettivi e viaggio di redenzione.
Ci sono poi alcuni momenti abbastanza ridicoli come il post rapina di Chad dove il protagonista strozza come se niente fosse un pit bull, alternati invece ad una location, un insieme di roulotte, abbastanza interessante anche se già vista in diversi film così come questa sorta di comunità con il capro espiatorio interpretato dal poliedrico Sean Harris e l'idea della periferia alternativa inglese senza regole e leggi se non quelle del proprio codice criminale.
Alla fine la parte più interessante è proprio quella riuscita meno ovvero lo strano e contorto rapporto padre/figlio. Un film che poteva dare molto di più ma che preferisce la strada semplice accontentandosi senza insistere laddove poteva.


martedì 27 giugno 2017

Box 314: La rapina di Valencia

Titolo: Box 314: La rapina di Valencia
Regia: Daniel Calparsoro
Anno: 2016
Paese: Spagna
Giudizio: 3/5

Una piovosa mattina un gruppo di ladri professionisti assalta una banca di Valencia. Ciò che in un primo momento sembra essere una rapina pulita e facile, si complica quando la direttrice della filiale rivela il segreto nascosto in una delle cassette di sicurezza. Da quel momento, niente andrà come previsto.

Dopo GUERREROS Calparsoro si occupa del suo secondo lungometraggio, in un momento splendido, florido e di rinascita per il cinema spagnolo. Accompagnato da un cast di spicco tra cui emerge, anche se in minima parte, il carisma di Tosar (attore che sottolineo sta facendo incetta di film assieme al buon Mario Casas tant'è che sono i due attori spagnoli più lanciati del momento assieme a Antonio de la Torre).
Box 314 è un heist-movie ad alta tensione che parte molto bene regalando un assedio che non aspetta molto a diventare subito un pesante thriller con sotto testi narrativi che prevedono doppi giochi e manovre politiche spietate, soprattutto quando vengono messi in mezzo i servizi segreti corrotti. Le banche sono cambiate e alimentate da nuove forze e poteri, questo è solo uno degli aspetti che il regista decide di approfondire all'interno del film senza mai scavare però come andrebbe dal secondo atto in avanti nelle psicologie di alcuni personaggi principali cercando di caratterizzarli oltre il minimo indispensabile. Una scelta che si rivela funzionale solo per alcuni aspetti mentre su altri genera dubbi e qualche perplessità nella dinamica degli intrecci.
L'atmosfera e l'azione non mancano così come i colpi di scena ben dosati anche se la maggior parte andavano approfonditi di più con il risultato che alcuni di questi soprattutto avvicinandosi al climax finale sembrano piuttosto telefonati.
Buona la fotografia tutta virata sul grigio e sui toni scuri come a cercare di aumentare il clima pesante e soffocante che vivono gli ostaggi e gli ladri all'interno della banca, entrambi ad un certo punto topolini in gabbia di uno stesso labirinto che di fatto abbiamo aiutato a creare e sviluppare.


lunedì 6 marzo 2017

Hell or High Water


Titolo: Hell or High Water
Regia: David Mackenzie
Anno: 2016
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Rapinare le agenzie della Texas Midlands, solo pezzi piccoli, solo dalle casse, la mattina presto quando non ci sono clienti. Pulire i soldi al Casinò. Pagare i debiti, estinguere l'ipoteca e lasciare il ranch dove ha appena scoperto il petrolio ai suoi due figli, per interrompere una storia di povertà famigliare durata anche troppo. È questo il piano di Toby, per il quale ha bisogno di suo fratello Tanner, da poco in libertà, dopo dieci anni di carcere. Le banche gli hanno preso quel poco che aveva e ora lui deve riprenderselo, possibilmente senza spargere sangue. Due le incognite: Tanner, che è una testa calda, e un Texas ranger a un passo dal pensionamento, che come detective sa il fatto suo meglio di tutti gli altri.

Mackenzie è un giovane e brillante regista inglese. I suoi esordi non sono stati tra i migliori ma poi la sua filmografia ha saputo fare quel salto in avanti. Ha intrapreso così la strada delle storie difficili come il precedente Starred Up un prison movie duro e robusto.
Hell or High Water è l'opera più politica e ambiziosa del regista, il quale affonda un duro colpo criticando aspramente il ruolo delle banche e delle loro misure burocratiche per ottenere piccoli pezzi di terra da famiglie povere e problematiche.
Comancheria, il titolo originale, parla di tante cose strutturando appunto la critica più grossa sulle istituzioni ma portando a galla temi universali come il difficile rapporto tra due fratelli, un nucleo familiare distrutto, il senso di colpa e la scelta di fare qualcosa di sbagliato per una buona ragione arrivando anche a sacrificarsi per la causa.
Sono degli anti-eroi i nostri protagonisti travestiti solo apparentemente da criminali rapinando banche e buttandosi in inseguimenti rocamboleschi. Eppure la tensione è alta così come i sentimenti all'interno del film il quale riesce ad essere molto equilibrato senza eccedere e soprattutto senza farsi prendere dalla voglia di esagerare, rimanendo sempre molto teso ed equilibrato trovandoci immersi in un paesaggio geografico e umano rude e sanguigno.
Oltre ad essere un film solido e maturo riesce a rendere convincente anche un belloccio come Pine che qui trova la sua interpretazione migliore accompagnato dal bravo Foster (che però vediamo sempre incastrato negli stessi ruoli) e Bridges che lavora su un accento squisito.
Hell or High Water è però anche un film che si prende i suoi tempi. Per questo il trascinarsi a lungo, indeciso se puntare sul thriller o il ritratto psicologico o il western lirico e moderno, sono tutte scelte da parte del regista che rimangono tutte facciate riuscendo a inserirsi da soli nella storia dandole ancora più complessità e umanità soprattutto in alcuni dialoghi tra i due fratelli.



giovedì 22 dicembre 2016

Animal Kingdom

Titolo: Animal Kingdom
Regia: Jonathan Lisco
Anno: 2016
Paese: Usa
Serie: 1
Episodi: 10
Giudizio: 2/5

Serie drammatica ispirata al film omonimo del 2010 che segue la famiglia Cody: un ragazzo di diciassette anni rimane orfano e si trasferisce nel sud della California per vivere con sua nonna, Janine Cody, capo di una famiglia dedita al crimine.

Sembra di vedere tante cose già viste in Animal Kingdom (che purtroppo solo dal nome ricorda l'ottimo film di Michod, nonostante quest'ultimo abbia firmato il soggetto). Qui il regista infatti mantiene solo le vesti di produttore allontanandosi con molta furbizia da un progetto per una serie di 10 episodi (di cui è già stata annunciata la seconda stagione) e che purtroppo non ha lo smalto e la classe del film australiano che a parte vantare un cast memorabile riusciva in un difficilissmo compito ovvero la descrizione di una famiglia allargata di rapinatori in una durissima Australia
Possono essere tanti i limiti e le pretese da parte dei fan. Il problema più grosso della prima stagione è il concentrato di idiozia abominevole presente in questi primi episodi.
La storia banalotta che anzichè lavorare e scavare nella psicologia del protagonista lo lascia quasi sempre in secondo piano sballonzolato da una galleria di personaggi quasi tutti primari e ovviamente stereotipati a dovere. Insomma una storia che fin da subito sembra già essere ridotta all'osso. Segreti, appartenenza, integrazione, affari sporchi, qualche risicata sparatoria, feste quasi tutte nella stessa location presenti in quasi tutti gli episodi e dialoghi sboccati e penosi.
Purtroppo tutto è superficiale, un mix di clichè che sembra unire lo spirito di squadra di Sons of Anarchy, il non-sense e la tamarria intenzionale di Banshee-Season 4 ma a differenza delle serie citate che nella loro esagerazione promuovevano qualcosa di nuovo, qui siamo su un livello decisamente più basso appesantito da una storia che sembra andare avanti con enorme difficoltà e di fatto non ha mai un climax potente regalando il momento topico, tra l'altro scontato e telefonato, in un finale di stagione che doveva dare di più soprattutto contando che la produzione alle spalle non era affatto male.
Ellen Barkin interpreta lo stesso personaggio di Solo Dio perdona, ovvero la matriarca fatale e senza contare alcune interpretazioni di certo non memorabili ma efficaci per la causa, come il personaggio di Pope (lo zio squilibrato appena uscito di prigione) rimane forse l'unico ad avere qualche carta da giocare in una lia in cui a comandare non sono le norme ma il testosterone.



venerdì 23 settembre 2016

Trust

Titolo: Trust
Regia: Alex Brewer
Anno: 2016
Paese: Gran Bretagna
Giudizio: 2/5

Cage e Wood interpretano due poliziotti corrotti che scoprono una cassaforte nascosta mentre stanno lavorando nel deposito delle prove del dipartimento di polizia. Quando cercano di fuggire con il contenuto, si trovano di fronte ad ancora più corruzione che li obbliga a lottare per la loro vita e a mettere in discussione ogni loro mossa.

Ma che poliziesco davvero brutto...o meglio come è stato definito "dramedy" termine che unisce commedia e genere drammatico.
E pensare che vedendo Nicolas Cage ed Elijan Wood insieme, a parte le risate, ho pensato che magari ci potesse essere una sorta di affiatamento, soprattutto vedendo il primo che cerca di fare ridere e il secondo che fuma erba e ha un debole per le prostitute.
Nulla di tutto ciò. E'un film in cui non succede quasi niente, con tanti dialoghi, la cassaforte più difficile da scassinare della storia del cinema, la totale mancanza di azione e per il resto davvero non posso che rimanere basito di fronte a questo esordio alla regia.
Posso capire che si sono armeggiati nella speranza di fare qualcosa di diverso che parlasse di poliziotti corrotti e sfigati che ormai nessuno dei colleghi e delle donne che hanno attorno considerano.
Ma c'è qualcosa di incredibilmente soporifero in questo "dramedy" che non sono proprio riuscito a sopportare nonostante abbia visto quasi tutti i film dei due attori e soprattutto le ciofecate o i film straight to video di Cage che nessuno a parte me e pochi altri voleva vedere.


domenica 18 settembre 2016

Banshee-Season 4

Titolo: Banshee-Season 4
Regia: AA,VV
Anno: 2013
Paese: Usa
Stagioni: 4
Episodi: 38
Giudizio: 3/5

Il protagonista principale è un criminale, che dopo aver scontato quindici anni di prigione a seguito di un tentativo di rapina finito male, ritorna in libertà. Immediatamente si mette sulle tracce della sua ex amante e complice, Ana, mentre si ritrova braccato dagli uomini del boss criminale che aveva tentato di rapinare, Mr. Rabbit. Le sue ricerche lo conducono quindi in un luogo immaginario, ossia a Banshee, una piccola città della Pennsylvania abitata prevalentemente da una popolazione Amish. Banshee, come viene detto in una presentazione della serie, è una creatura femminile della mitologia irlandese che porta sfortuna e probabilmente ciò ha ispirato il nome della città, che è rappresentata come una località in apparenza bella, pacifica, ma in realtà abitata da alcune persone orribili, come Proctor, un potente gangster che nasconde le proprie attività criminali dietro la facciata di uomo d'affari e praticamente tiene in pugno la città. Il protagonista qui rintraccia Ana, che ha cambiato identità ed è nota come Carrie Hopewell, moglie del procuratore distrettuale. Dopo essersi ritrovato casualmente in uno scontro a fuoco tra il nuovo sceriffo appena arrivato in città, Lucas Hood, e alcuni criminali del posto, i quali finiscono tutti uccisi, decide di rubare l'identità dello sceriffo e rimanere in città, nel tentativo di convincere l'ex complice a riprendere il rapporto con lui.

Banshee ha qualcosa di infinitamente idiota ed esageratamente tamarro questo è vero.
Si prende poco sul serio o meglio quando lo fa non ci riesce comunque.
Diciamo proprio: e'una serie di ignoranza senza precedenti.
Eppure è adorabile, fantasticamente pieno di ritmo e di insensatezze che piacciono perchè incasellate in modo furbo, certo banale, ma d'effetto.
E'un telefilm di uomini duri che bevono in silenzio whisky, scopano senza un domani e fanno rapine con una facilità degna dei serial americani.
Ho deciso per limiti di tempo di essere coinciso e perchè sinceramente trovo esagerati e inutili tutti coloro che recensiscono, magari con due o tre pagine, ogni singolo episodio di tutte le lunghe e disparate serie che guardano.
Nel mio caso sarò estremamente veloce contando che provare a dare un giudizio su quattro stagioni tutte assieme per 38 episodi e opera folle come non ho quasi mai fatto.
Seppur con tante trovate, alcune davvero banali e scontate mentre altre quasi d'effetto, la serie trova nell'esagerazione, nella continua diversificazione dei personaggi l'elemento più imprevedibile e divertente. Poi senza stare a prendersi in giro, in Banshee ci sono un sacco di fighe, spogliarelli e altro che fanno capire quale è stato l'elemento in più della Cinemax, costola della HBO, ex canale sporcaccione dei porno softcore.
Veniamo per ordine. Che cosa c'è in Banshee: violenza, nudi, scopate, indiani, amish, freaks, checche che spaccano i culi, tette e culi, inseguimenti, sparatorie, religioni caratterizzate col culo, fbi, azione a gogò, mafiosi russi e ucraini, branchie del governo che appaiono e scompaiono, zii che scopano le nipoti, motociclisti, albini che sodomizzano, sceriffi senza uno scopo nella vita, tutori del disordine, nazisti e bambini malati.
In mezzo a tutto questo poi non esiste solo la città di Banshee, vero tesoro per gli scambi di identità, ma altri coloratissimi e insensati luoghi che danno e creano disordine e ovviamente uniscono i tasselli di una trama che come per molte altre serie tende a lavorare per accumulo.
Ho un problema grosso.
Ho visto questa serie qualche mese fa ma per strani, arcani e sinistri motivi non l'ho mai recensita. Quindi inserire le trame di quattro stagioni non avrebbe senso e quindi non lo farò.
La parola chiave di Banshee comunque rimane una: l'adrenalina, quella che piace perchè spegne il cervello.
Continuando sono davvero tanti i luoghi comuni che vengono buttati sullo schermo senza pensare alle conseguenze, come un giocattolone che forse si pensava non sarebbe mai andato oltre il primo episodio, ma che invece è stato addirittura ed esageratamente tirata avanti e non a caso le ultime due serie sono quelle che hanno i maggiori wtf.
Da questo punto di vista l'ultima serie infatti è forse quella campata più in aria e l'antagonista con quelle corna da minchione sembra una parodia del satanismo e delle new-religion.
L'unico aspetto politicamente scorretto (il vero colpo di genio se vogliamo), ma dubito che appartenesse negli intenti dei due creatori, è quello di dare potere ad un uomo comune tutto rapine e discutibile senso della morale. Come a dire che chiunque potrebbe fare lo sbirro o lo sceriffo in America (o forse un po ovunque...) e che tanto non bisogna sapere e capire niente sulla legge perchè in fondo basta trovare un minimo di coerenza e buon senso quando la circostanza lo ritiene.



giovedì 24 marzo 2016

Lupin 3

Titolo: Lupin 3
Regia: Ryuhei Kitamura
Anno: 2014
Paese: Giappone
Giudizio: 2/5

Lupin III, nipote del celebre Arsenio Lupin, è universalmente riconosciuto come uno dei ladri più famosi del mondo, tanto da far parte dell’organizzazione The Works. A capo di questo gruppo di ladri, c'è il veterano Dawson, che viene ucciso da una banda di criminali nel corso di una rapina, che ha come obiettivo un'antica collana, che a sua volta un tempo conteneva la preziosa pietra "Cuore rosso cremisi di Cleopatra". A breve, il rubino e la collana si ricongiungeranno, per formare un unico gioiello dal valore inestimabile. Lupin e i suoi amici - l'infallibile pistolero Jigen, il maestro della spada Goemon e l'affascinante Fujiko - dovranno espugnare "L’Arca di Navarone", la gigantesca cassaforte di massima sicurezza in cui il gioiello è custodito. Il loro ingegnoso piano sarà ostacolato dall’instancabile ispettore Zenigata, pronto a tutto pur di arrestare Lupin, che continua a prendersi gioco di lui e dei suoi sforzi per consegnarlo alla giustizia.

Kitamura è un regista che seppur folle e non sempre consapevole del risultato, si butta su alcuni delicati esperimenti talvolta con successo, talvolta no.
Ecco Lupin 3 nella sua impressionante durata sfiora troppi eccessi senza avere mai una coerenza per tutto il film, mancando più volte il bersaglio e il bottino che viste le aspettative di critica e pubblico dovevano essere molte.
Sembra un film girato troppo velocemente, scegliendo una trama che poteva essere molto più ambiziosa e invece è parte del fallimento del film che tra scene d’azione super cinetiche e un montaggio ultra frenetico finisce per essere uno di quei live-action persino noiosi.
Il doppiaggio e le voci dei protagonisti, poi, sono le stesse che siamo abituati a sentire nei cartoni animati. Tadanobu Asano per quanto risulti sempre carismatico diventa una macchietta e alla fine non viene da empatizzare con nessuno dei personaggi soprattutto il protagonista.
Alla fine rimane un film leggero e poco incisivo.

Nonostante la presenza di tutti gli stilemi del film d’azione, regia e sceneggiatura sono più che mai dimenticabili. Più un film per nuovi adepti, forse, che per gli aficionados storici del ladro gentiluomo. Ma è di scarso valore e soprattutto sembra fatto apposta per accontentare e soddisfare il palato di pochi nerd insaziabili.

domenica 30 agosto 2015

A somewhat gentle man

Titolo: A somewhat gentle man
Regia: Hans Petter Molland
Anno: 2010
Paese: Norvegia
Giudizio: 3/5

Dopo aver passato gli ultimi dodici anni della sua vita in carcere, il killer professionista Ulrik non sa bene come poter tornare ad una vita normale. La sua indole è fondamentalmente quella di un uomo buono e gentile, ma è il suo passato a non concedergli una vita normale. Appena uscito, Ulrik si allea con il suo vecchio amico gangster Jensen per vendicarsi del poliziotto che lo ha arrestato. Nel frattempo, comincia a riprendere contatti con il mondo esterno, trovando lavoro come meccanico presso un'officina gestita da un ometto verboso e ospitalità nello scantinato di una bisbetica signora. Quando dalla ex moglie viene a sapere che il figlio conduce un'esistenza felice con una ragazza per bene che sta per renderlo padre, Ulrik cerca di riappacificarsi con lui per dimenticare tutti quegli anni di assenza, ma deve anche affrontare le pressioni di Jensen e quelle di tutte le varie donne che gli stanno attorno.

Molland è un regista che dopo qualche passo falso è riuscito a meritarsi una buona reputazione tra i cineasti norvegesi. Questa parabola sul ruolo dell'uomo in una società fredda e cinica come viene raffigurata la capitale, è funzionale e molto ben recitata con uno scipt ben dosato, alcuni momenti morti, ma nel complesso delle scene decisamente divertenti e incisive.
Stellan Skarsgård, attore su cui non c'è bisogno di soffermarsi, riesce con quello sguardo freddo e stralunato a reggere sulle spalle tutto il film, dando vita ad un personaggio che nel senso di colpa e nelle difficoltà economiche cerca l'equilibrio tra il non rifiutarsi mai nelle richieste di sesso con qualsivoglia tipo di donna e un avvicinamento con un figlio dimenticato oltre che cercare di superare i suoi demoni personali e non ritrasformarsi in un killer
E' un film che gioca molto sui particolari, sugli eccessi e i dettagli eccentrici, senza mai annoiare ma anzi rafforzando la narrazione in un crescendo di azioni e formule che trovano un ottimo equilibrio.
Purtroppo il film non è mai stato distribuito in Italia.


giovedì 16 luglio 2015

Sound of Noise

Titolo: Sound of Noise
Regia: Ola Simmonson, Johannes Stjärne Nilsson
Anno: 2010
Paese: Svezia
Giudizio: 3/5

Tutto ha origine da due fratelli. Il primo molto dotato, già bambino prodigio, oggi è stimato direttore d'orchestra, il secondo, stonato cronico e insofferente nei confronti della musica (anche a causa di un'infanzia all'ombra del fratellino dotato), è poliziotto. Proprio a lui viene affidato il caso di alcuni misteriosi crimini collegato ad un gruppo di persone che si presentano in ambienti convenzionali per smontarli e letteralmente "farli suonare" utilizzando tutto quello che trovano.

Sound of Noise è un film bizzarro e originale che nonostante il tono spesso sconclusionato credo possa essere menzionato tra i film sul tema musicale più originali mai visti finora.
Con una storia interessante è provocatoria, vuole essere ricordato come una sinfonia anarchica di pace e libertà, tutta dettata da registri musicali senza puntare troppo sui dialoghi.
E'insieme una critica al rumore che ci circonda ogni giorno, all'egoismo e alla tediosa rigidità di alcuni musicisti svedesi e della seriosità che si nasconde dietro la musica colta.
Seppur pervaso da un umorismo solo a tratti veramente comico, come capita spesso per divesi paesi la cui comicità il più delle volte riscontra l'effetto opposto, l'opera prima della coppia di registi è una commedia irrorata da sterzate di freschezza e alcune trovate davvero innovative come le stravaganze legate ai quattro brani di cui il primo e in una sala operatoria in cui i batteristi suonano letteralmente su un paziente oppure il finale con i trattori che devastano la piazza davanti all'Opera.
Il problema però di Sound of Noise è legato in particolare al ritmo che spesso diventa ripetitivo e stancante. Alcune scelte di sceneggiatura proprio perchè non palesate al pubblico, diventano di difficile fruizione e comprensione.
Il cast c'è la mette tutta, contando che gli stessi protagonisti erano quelli del precedente corto della coppia di registi.
Uscito a Cannes, sicuramente farà parlare e sorridere, non verrà ricordato come un filmone, ma allo stesso tempo è un peccato che non raggiungerà mai le sale nei nostri cinema.


sabato 27 giugno 2015

Kidnapping Mr.Heineken

Titolo: Kidnapping Mr.Heineken
Regia: Daniel Alfredson
Anno: 2015
Paese: Belgio
Giudizio: 2/5

Nel 1983 quattro amici di infanzia decidono di mettere a segno quello che in seguito sarebbe stato definito il crimine del secolo. Loro obiettivo è Freddy Heineken, erede dell'impero della birra e uno degli uomini più ricchi al mondo. Cor van Hout, leader del gruppo e grande stratega, elabora un piano audace per sequestrare il miliardario e chiedere il più grande riscatto mai pagato per un ostaggio.

Ispirato a eventi reali, il film si basa sul libro del giornalista Peter R. de Vrier e un precedente film tv. Un film che scorre abbastanza piacevolmente soprattutto fino alla seconda metà dove comincia ad inciampare, riuscendo in un qualche modo a tenersi a galla soprattutto per merito del cast su cui svetta Heineken/Hopkins.
Buona nella prima parte soprattutto la trasposizione della storia nella Amsterdam cupa e incerta degli anni '80, accentuata da un buon uso della fotografia, con alcuni inseguimenti efficaci, altalenando action a spezzoni documentaristici sul reale fatto di cronaca.
E' un film per lo più voluto visto il successo che ebbe tale fatto di cronaca e soprattutto la cifra ottenuta dai sequestratori per il riscatto.

Il regista confeziona il suo film migliore dopo le due parentesi deludenti sul romanzo di Stiegg Larsson, ma alla fine questo ennesimo film sui rapimenti, sembra essere una contaminazione tra tanti film già visti che se non fosse stato per il cast famoso forse non avrebbe mai fatto parlare di sè.

lunedì 22 giugno 2015

Son of a Gun

Titolo: Son of a Gun
Regia: Julius Avery
Anno: 2014
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Arrestato per un reato minore, il diciannovenne JR si scontra rapidamente con la dura vita carceraria e accetta la protezione offertagli da Brendan Lynch, il nemico pubblico numero uno australiano. Poiché la protezione ha un prezzo, una volta tornato a piede libero JR è chiamato a restituire il suo debito, aiutando Lynch a ritrovare la sua libertà con un'audace fuga. Come ricompensa, potrà prendere parte a una serie di rapine milionarie che porteranno JR in rotta di collisione con il suo ex mentore non appena le cose inizieranno ad andare male.

Se è vero che pur partendo da una vicenda a tratti reale come quella del personaggio di Brendan Lynch, l'esordio alla regia di Avery, seppur infarcito di stereotipi e intrecci scontati, ha una sua anima ben delineata coadiuvata da un cast interessante e alcune scelte, come quella nel finale, che se non originali almeno non abbassano il tono generale della pellicola.
Da prison-movie, con tutta l'iniziazione del caso, si passa poi ad un ritmato heist-movie, in una sottotrama, nel secondo atto, in cui il protagonista si invaghisce di una prostituta cercando di sottrarla al suo pappone, in una love-story comunque non così banale come si pensava.
Se non sono i colpi di scena a farla da padrone nel film, è l'atmosfera che cambia di continuo, la recitazione attenta e capace di restituire quella sofferenza che in diversi ambiti attraversa tutti i personaggi legati ad un futuro tanto drammatico quanto doloroso.


martedì 9 giugno 2015

Deadfall

Titolo: Deadfall
Regia: Stefan Ruzowitzky
Anno: 2012
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

I fratelli Addison e Liza sono in fuga con il bottino rubato in casinò durante un colpo andato storto. Nel frattempo Jay, tormentato ex-pugile, sta andando alla cena del Ringraziamento con i suoi genitori, June e Chet uno sceriffo in pensione. Cosa succederà quando i loro mondi si scontranno per colpa di uno strano scherzo del destino?

Perchè abbassarsi a vedere un filmetto come Deadfall che già sulla carta sembra deludere? Semplice. Il cast. Eric Bana, quella gnocca sconcertante di Olivia Wilde e non per ultimo il Charlie Hunnam di SONS OF ANARCHY.
Un thriller purtroppo insipido nonostante alcuni elementi che potevano essere giocati in altri modi e portando ad una fuga multipla di vari reietti che poteva essere resa in modi diversi ma non di certo così scontati e deludenti.
Inseguimenti che sembrano autorincorrersi, scene di sesso troppo lunghe e allo stesso tempo insipide, qualche apprezzabile scena d'azione e di violenza che non lesina dita mozzate e un finale purtroppo molto scontato.

L'elemento forse che riesce a creare più tensione è la location immersa tra bufere di neve e luoghi impervi dove ognuno a suo modo cerca di sopravvivere scampando dalle tormente che sono di sicuro più minacciose delle forze dell'ordine e dei criminali.

domenica 19 aprile 2015

All things to all man

Titolo: All things to all man
Regia: George Isaac
Anno: 2013
Paese: Gran Bretagna
Giudizio: 2/5

A Londra, Riley, un ladro professionista d'alto profilo, viene contattato per mettere a segno un ultimo importante colpo in cui dimostrare le sue abilità. Intrappolato tra Parker, il capo di una unità di polizia dai metodi anticonformisti, e Joseph Corso, un rinomato e spietato signore del crimine, Riley si ritrova suo malgrado coinvolto in un gioco mortale che lo spingerà a tirare fuori gli artigli per garantirsi la propria sopravvivenza.

Al di là del convincente cast dove compaiono alcuni volti davvero noti, il thriller di Isaac rimane un esercizio di stile dove se non ci fossero stati attori così famosi, il film di certo non avrebbe ottenuto la stessa visibilità, che comunque a conti fatti non è stata quella sperata dalla produzione.
Una trama che troppo velocemente svela i pochi colpi di scena, giocando su una struttura assai abusata e lineare che non giova assolutamente se non all’intrattenimento e alcuni stereotipi di genere.

Si salva qualche scena d’azione ma nulla lascia suggerire alle potenzialità che Isaac non riesce a sfruttare all’interno del suo film. 
Con un budget del genere avrebbe potuto costruire una matassa di elementi molto più funzionali. Così facendo, rimane un filmetto come tanti che non sarà ricordato se non per Byrne e Sewell

venerdì 19 dicembre 2014

Point Break(1991)

Titolo: Point Break(1991)
Regia: Kathryn Bigelow
Anno: 1991
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Stati Uniti.C'è una banda che spadroneggia nelle rapine in banca. Si tratta degli "ex presidenti", quattro malviventi che indossano le maschere di Carter, Reagan, Nixon e Johnson. L'FBI gli ha dato la caccia senza esito anche perché non si è voluto dare credito alla teoria dell'agente Angelo Pappas il quale ritiene che si tratti di surfisti che in questo modo si finanziano le escursioni. Quando alla sezione di Los Angeles giunge il giovane agente Johnny Utah l'indagine si rimette in moto. Utah dà credito alla teoria del collega e si fa allenare per il surf dall'esperta Tyler che lo introduce nell'ambiente. Ha così modo di conoscere Bodhi, surfista esperto in attesa dell'onda perfetta, che è anche il capo della banda. Mentre Utah e Pappas continuano l'indagine e le rapine si succedono tra il poliziotto e il rapinatore si crea un legame. Fino al giorno in cui Bodhi scopre che Utah è un poliziotto.

Point Break rappresenta il punto di rottura ma anche di svolta di un cinema americano degli anni '90, dopo un decennio di sperimentazioni e di nuova rilettura dei generi. Nel film della Bigelow importantiussimo è stato il sodalizio con il talentuoso Jim Muro e per un modo innovativo di concepire il montaggio frammentato, divenuto in questo film precursore di alcune potenti scene d'azione e di alcuni indimenticabili inseguimenti.
La tensione del thriller e la filosofia del surf, diventano le due armi con cui la regista riesce a mantenere un ritmo e una suspance molto funzionali per tutta la durata del film, cambiando e invertendo in modo preciso e mai banale tutta una nutrita serie di location e spazi in cui veicolare l'azione.
Lo scontro generazionale tra due personaggi opposti (se vogliamo il bene e il male anche se la caratterizzazione dei personaggi e la loro filosofia è molto più complessa) è quell'amicizia impossibile che esprime la sua summa in un finale clamoroso ed estremo, come gli obbiettivi che inseguono i protagonisti del film chi mosso dalla razionalità e chi dalla totale irrazionalità.
L'anarchia, l'assenza di regole, le filosofia new-age, sono solo alcuni temi trattati da questo poliziesco insolito, vero cult d'azione degli anni '90, una storia che punta su una visione estrema dello sport, ma anche un messaggio spirituale profondo, lasciando allo spettatore la scelta di cosa sia più giusto fare e scegliere e se la follia non sia in fondo una caratteristica fondamentale per vivere la vita a 360°.

lunedì 6 giugno 2011

Botched-Paura e delirio a Mosca

Titolo: Botched-Paura e delirio a Mosca
Regia: Kit Ryan
Anno: 2007
Paese: Germania, Irlanda, Gran Bretagna, USA
Giudizio: 3/5

Ritchie Donovan è un ladro professionista la cui fortuna sembra del tutto scomparsa. Unico sopravvissuto ad un colpo ladresco dall'esito disastroso, Ritchie è costretto a prendersene la colpa e viene mandato in Russia per rubare un' antica croce dal valore inestimabile chiusa in una cassaforte situata nell'attico di un grattacielo a Mosca. L'inizio dell'operazione non è dei migliori e la situazione precipita rapidamente, quando, durante il furto, Ritchie e i suoi complici russi sono costretti a prendere degli ostaggi perchè assediati dalla polizia su un poco frequentato tredicesimo piano.

Botched è quella sorpresa negli horror indipendenti che non ti aspetti.
Passato purtroppo inosservato da noi (ma di questo oramai non c’è da stupirsi) l’opera prima di Ryan è un film anomalo nel senso che parte come un qualsiasi thriller con uno humor nero mischiato ai toni da giallo per poi aprire uno scenario di sangue e delirio, uno zar russo o cavaliere di qualche antico codice(una sorta di Ivan il terribile) contro ipotetici killer al soldo della mafia russa tutto all’interno di un grattacielo dove sembrano addirittura esserci passaggi segreti e trabocchetti.
A partire da un buon cast in cui ritroviamo Stephen Dorff(il meno convincente) è interessante seguire l’impianto narrativo fluido e irriverente oltre che abbastanza originale mischiando tutta una serie di tematiche e una buona satira(tutta la scena della rapina iniziale e anche altre scene succcessive giocano su delle slap-stick divertenti) e giocare sui due opposti ovvero americani e russi.
Sono proprio gli assurdi e i dialoghi dei personaggi che risultano tra le scelte più azzeccate, assolutamente dunque da guardare sottotitolato se volete udire alcuni accenti sboccati.
In definitiva un horror interessante e originale, con un montaggio che ogni tanto soffre di una staticità quasi forzata ma con un ritmo che grazie agli attori co-protagonisti tiene alta la qualità e soddisfa gli manti dello splatter e della risata.