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martedì 14 luglio 2020

Street Fighters-Animated movie


Titolo: Street Fighters-Animated movie
Regia: Gisaburo Sugii
Anno: 1994
Paese: Giappone
Giudizio: 4/5

La trama, dunque, vede Ryu e Ken Master, due ragazzi cresciuti insieme e allenati dallo stesso maestro nelle arti marziali, essere presi di mira da M. Bison, l'antagonista del film, nonché capo di un'organizzazione criminale che punta a creare super soldati tramite il lavaggio del cervello.

A più di 25 anni dalla sua uscita il film di animazione videoludico tratto dalla famosa saga di videogiochi, rimane un precursore assoluto, un film con uno stile d'animazione e un ritmo più che notevole.
Una schiera infinita di personaggi, umorismo a zero, combattimenti oltre i livelli a cui eravamo solitamente abituati e poi una fotografia, uno stile e un'atmosfera davvero cupa che riesce a dare ancora più spessore e potenza per una grande prova registica e una storia che riesce a non essere poi così banale. Il film di Sugii a distanza di anni mantiene tutta la classe e la potenza di un film che come pochi è riuscito a diventare una sorta di cult nella vastissima filmografia d'animazione, intessendo poche sotto trame ma funzionali, creando intrecci narrativi e combattimenti dove di fatto ognuno cerca di scoprire se esiste qualcuno più forte di lui.
M.Bison poi riesce a differenza di altre trasposizioni ad essere crudele al punto giusto, un vero leader dittatoriale che pur di trovare il combattente più forte al mondo manda in secondo piano i suoi affari.


lunedì 4 maggio 2020

Drive in 2000


Titolo: Drive in 2000
Regia: Brian Trenchard-Smith
Anno: 1986
Paese: Australia
Giudizio: 4/5

Crabs, dinamico giovanotto che è riuscito a strappare un appuntamento alla bella Carmen, prende in prestito l'auto del fratello per accompagnare al Drive in la ragazza dei suoi sogni. Ma il divertimento finisce presto, non appena i due giovani, assieme ad un centinaio di altre coppie, scoprono che per disposizione del governo il parcheggio è stato sigillato e di fatto trasformato in un campo di sorveglianza dal quale è impossibile uscire. Per molti ragazzi, disadattati o privi di redditi di lavoro, quella soluzione - ancorchè inaspettata - non è così negativa, dal momento che comunque fornisce loro nutrimento e riparo più regolare di quanto godessero fuori, ma Crabs non accetta la situazione e progetta la fuga...

Nel 1988 due anni dopo l'uscita del film uscì uno dei miei libri preferiti "La notte del Drive Inn" capolavoro assoluto e istant cult dell'immenso Joe Lansdale che credo di aver letto almeno sei o sette volte. Chissà se qualcosa di questa pellicola impressionò lo scrittore nella lavorazione del suo romanzo.
Per me l'Ozploitation australiano continua ad essere un mistero, una fauna incredibile di risorse e film assolutamente straordinari. Pochi ma fondamentali esempi sono stati Macchine che distrussero ParigiBody MeltWake in frightMad Max-InterceptorRazorback-Oltre l'urlo del demonioNeurokillers. Qui parliamo di un altro film che non posso che esimermi dal definirlo cult assoluto. Vuoi l'ambientazione, l'atmosfera post atomica, la crisi economica globale, un prossimo futuro dove i drive-in diventano campi di sorveglianza dove gli internati vivono a base di junk food, new wave, droga e film di serie Z.
Dove vengono riscritte le regole, il divario sociale cresce a dismisura, dove la comunità sembra rassegnarsi toccando momenti di squallore, dove un demiurgo agisce indisturbato aiutando a far sì che tutto rimanga intrappolato in una sorta di limbo che sembra un paese dei balocchi infinito.
A differenza delle pellicola sopracitate qui l'uso della violenza è centellinato. L'azione è spostata sulla disobbedienza del protagonista e degli altri internati, nel cercare di spezzare le catene di un progetto che vuole annichilire la dignità e la libertà dell'individuo infarcendolo solo di porcherie e distrazioni.
Un film che non esula da evidenti difetti soprattutto nella parte centrale ma a differenza dei media in generale che lo hanno devastato di critiche negative, rimane un b movie puro con un budget modesto che non poteva competere con film di quel periodo, ma che cerca come può di fare della scrittura e dell'originalità del soggetto il suo pezzo forte.

mercoledì 22 gennaio 2020

Lighthouse


Titolo: Lighthouse
Regia: Robert Eggers
Anno: 2019
Paese: Usa
Giudizio: 5/5

Thomas Wake è il guardiano stagionale di un faro sperduto nel nulla, su un'isola battuta da venti e tempeste, nella Nuova Scozia di fine Ottocento, mentre Ephraim Winslow è il suo giovane aiutante, propostosi volontario per le quattro settimane del turno. L'accanirsi del maltempo costringerà i due uomini ad una permanenza ben più lunga del previsto e ad una convivenza forzata che porterà in superficie demoni personali, timori ancestrali e nuove, tormentate pulsioni, in un crescendo di follia e claustrofobia.

Eggers dopo il bellissimo VVitch sceglie un'altra storia insolita, condita da alcuni ingredienti che cominciano a diventare la sua politica di genere, ovvero unire e stravolgere miti, usanze, religioni, profezie, rituali e culti fino a portarci con la bellissima scena iniziale dove i due protagonisti guardano in camera come ad invitarci nel loro personale delirio. Un film completamente allucinato, stratificato e complesso in grado di alzare le vele e dimostrare l'incredibile talento dell'autore coadiuvato da due attori che ci mettono l'anima.
Dafoe come la Swinton d'altronde sono i due attori più poliedrici e camaleontici sulla piazza.
Lighthouse è un horror psichico sulla crescente paranoia che si impossessa dell'animo umano con rimandi kubrickiani sulla solitudine (Shining su tutti), un dramma grottesco che alza sempre di più la posta complice anche l'isolamento e l'alcool che scorre a fiumi e a cui è impossibile sottrarsi, che deraglia, assorbe, limita, esagera, un film pieno e ricco di elementi, di riferimenti letterari (Melville, Woolf, Poe, Lovecraft, Coleridge) di ambienti, suggestioni e luoghi che nella loro solitudine nascondono segreti e significati.
Un film in b/n che sembra bisognoso di citare tantissimi autori che hanno fatto la storia del cinema, nel suo ergersi ad un'estetica d'epoca, espressionista, minimale, in cui la scelta anti-moderna di utilizzare per le riprese il formato 35 mm in b/n accentua ancora di più le somiglianze con il cinema espressionista muto di inizio '900.
Faro come visione, ossessione, ricerca della luce, scontro tra due maschi alfa di cui si sente il bisogno di dominare ed essere dominati, dove in questo scontro avviene una lucida e drammatica analisi delle parti più nere dell'animo umano, della meschinità, dei segreti non detti, e soprattutto dell'impossibilità di redimersi o di salvarsi
Il linguaggio poi assume risonanze molto particolari, suoni misteriosi, accenti che sembravano affondati negli abissi del tempo con un dialetto da contadino canadese nel caso di Ephraim e una pronuncia ed un lessico marinareschi per Tom.
La solitudine, l'alcool, la stretta vicinanza ad un uomo più anziano che detiene il potere portano
Ephraim ad impazzire lentamente in una parabola discendente scegliendo come vittime sacrificali i gabbiani con le dovute conseguenze che diventano visioni mostruose (sirene, tentacoli lovecraftiani, Nettuno) che ad un certo punto diventano quasi caleidoscopiche intrappolando il personaggio in deliranti complotti cercando una via di fuga peraltro impossibile.



lunedì 30 dicembre 2019

Beetlejuice-Spiritello porcello


Titolo: Beetlejuice-Spiritello porcello
Regia: Tim Burton
Anno: 1988
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Una coppia di giovani sposi muore in un incidente stradale. Tornano come fantasmi nella loro vecchia casa che però è abitata da una famiglia di cialtroni di città. Dopo aver cercato di spaventarli, i due chiamano in aiuto uno spiritello simpatico, sboccato e pasticcione, a nome Beetlejuice, che, dopo alcune difficoltà iniziali, riuscirà nell'impresa

Beetlejuice è in assoluto uno dei miei film preferiti di Burton. Inquietante, colto, maturo, con tanto horror e tante risate, con un aldilà pressochè perfetto dove tra le tante cose ci viene mostrata una burocrazia assurda come succedeva in Brazil e per finire alcune canzoni e balletti indimenticabili.
Beetlejuice poi crea e distrugge, mondo normale e mondo straordinario, una casa che sembra infestata dove all'interno c'è un plastico della stessa città in cui è ambientata la vicenda e dove all'interno dimora il demone evocato. Un gioco di scatole congeniale e sempre perfetto che riesce a dare quel taglio particolareggiato alla storia, rendendolo un film indefinibile e una prova di riuscita coniugazione di generi.
Un cult assoluto dove a conti fatti non sembra mancare proprio niente e dove anzi Burton sembra inventarsene sempre una nuova senza mai smettere di aggiungere elementi nuovi e quasi sempre solidi per la narrazione. Di fatto crea forse involontariamente una sua piccola mitologia del soprannaturale con personaggi indimenticabili, libri esoterici e soprattutto la costruzione del ruolo narrativo di spirito. Tra i ghost-movie, tra le tante etichette che il film si porta a casa, sicuramente è uno dei più ambiziosi, originali, uno dei più ben fatti e divertenti anche se come dicevo con alcune scene grottesche che rimandano molto anche ad un certo espressionismo contaminato dalla pop art del regista. Una creatività fortissima che sembrava non avere confini, un esperimento fino ad allora che non si era mai visto in una commedia, diventando un unicum nel panorama cinematografico del periodo e un’autentica lezione di scrittura cinematografica moderna


giovedì 26 dicembre 2019

Terminator 2


Titolo: Terminator 2
Regia: James Cameron
Anno: 1991
Paese: Usa
Giudizio: 5/5

Il nuovo terminator T-1000 è alle costole di John Connor per ucciderlo. Il sé futuro di quest’ultimo manda un vecchio modello di cyborg in aiuto a sua madre Sarah, che vuole sabotare la realizzazione dell’intelligenza artificiale Skynet.

Terminator 2 per il sottoscritto è Il film d'azione. Un'eccellenza in grado di portare ai fasti le scene di combattimento, il ritmo sempre incalzante, l'atmosfera che alterna stadi di paura e ansia generale, il contesto che rimanda ad un'apocalisse imminente, il cast e poi le scene memorabili almeno quanto alcuni dialoghi.
Il sequel che riesce ad andare oltre il primo capitolo. Come per Aliens, non a caso diretto dallo stesso regista, un Cameron in stato di grazia collaudatore e precursore di tecniche in c.g rivoluzionarie dalla ILM di Lucas per il cyborg di metallo liquido, il T-1000 interpretato da Robert Patrick qui semplicemente in stato di grazia.
Il film del '91 sembra davvero avere tutto, budget faraonico, rispetto al primo poi non ne parliamo, la possibilità di portare tutti i combattimenti su larga scala disponendo di alcune location indimenticabili, colpi di scena e mirabolanti effetti speciali che sembrano fare a braccio di ferro per la loro insistenza nel precipitare lo spettatore al di là di quello che normalmente era abituato a vedere e poi il continuo scontro tra terminatori.
Terminator 2 al di là dei traguardi tecnici, della messa in scena, del ritmo, del montaggio e tutto il resto, rimane un film molto politico con la lotta alle multinazionali e la loro responsabilità e ingenuità nel creare Skynet e condannare così l'umanità ad essere asservita alle macchine.
In più ha diversi elementi del cyberpunk dal tempo, lo spazio, la velocità, le vecchie e le nuove tecnologie che qui vengono rimesse in gioco completamente. Tutti i punti di riferimento della nostra vita quotidiana (le piccole certezze alle quali ci attacchiamo per sentirci al sicuro, protetti dall’imprevedibile) vengono capovolti e rimescolati, a partire dallo stesso terminator, nel capitolo iniziale prima carnefice, che qui invece diventa il protettore di John; Sarah che subisce uno switch al personaggio, funzionale quanto tosto, meno paurosa rispetto al primo film ma ancora una volta come per la Elen Ripley, mostrando una final girl senza paura e capace di vedersela in prima battuta con qualsiasi terminator.

domenica 15 dicembre 2019

Peter Pan(1924)


Titolo: Peter Pan(1924)
Regia: Herbert Brenon
Anno: 1924
Paese: Usa
Giudizio: 5/5

Peter Pan si introduce nella casa dei Darling alla ricerca della sua ombra che ha perduto in una sua visita precedente. I bambini dei Darling lo scoprono e, allora, lui se li porta via con sé, in volo verso la sua isola. Lì, nell'isola che non c'è, i bambini combatteranno contro i pirati crudeli e il famigerato capitano Giacomo Uncino. Alla fine, però, sceglieranno di ritornare a casa, dai genitori.

Brenon attore, regista e sceneggiatore immenso porta a casa l'adattamento più bello di sempre su una storia tra le più indimenticabili nella letteratura fantasy così sofisticata, grottesca e magica da lasciare ancora ad oggi tante porte aperte sui suoi profondi significati e sulla vita di Barrie.
Il soggetto di James Matthew Barrie nato da una vicenda tragica assume in questo film, i fasti più alti e ambiziosi mai visti lasciando come polvere negli stipiti della porta i lavori della Disney e di Spielbergh, Wright e P. J. Hogan .
Proverò a fare una sorta di elenco di alcune tra le scelte suggestive e memorabili del film dal momento che la trama è nota a tutti.
Il film si apre con Nana un umano travestito da cane e i suoi movimenti sono al tempo stesso incredibili quanto inquietanti.
Peter Pan è una donna.Wendy cuce l'ombra di Peter ovvero una calzamaglia su un piede. Primo bacio serafico tra Wendy/Peter. I bambini e i genitori vivono in due case diverse.
Il leone nell'isola che non c'è cerca i bambini per mangiarli. Così viene ucciso dagli indiani che proteggono il luogo sacro venerando Peter come una divinità perchè lui è il giorno e la notte.
Uncino da in pasto la sveglia al coccodrillo.
L'uccisione della madre Wendy mentre arriva volando nell'isola che non c'è, ad opera di uno dei bambini perduti, su consiglio di Trilly, gelosa, che dice al bambino che Wendy in realtà è un uccello. Nelle foglie sono nascoste le fate piccole come Trilly che Peter spazza via con la scopa.
Tutti i baci vengono dati rigorosamente in bocca, padre/figli, Wendy/Peter, Wendy/bambini sperduti.
Gli indiani che proteggono il bosco sacro dove vivono i bambini sperduti, vengono sterminati dai pirati. Uncino quando riesce a giungere nella tana dei bambini sperduti trova Peter che dorme e non avendo il coraggio di combatterlo, versa del veleno nel bicchiere che dovrebbe contenere la medicina data da Wendy.
Le sirene sono sempre spiaggiate, stanno in un lato della costa del mare di fronte al coccodrillo a cui Peter chiede aiuto per salvare i bambini sperduti, Wendy e sconfiggere così i pirati e Uncino.
Per avere il suo aiuto introduce la testa nelle fauci della bestia togliendo la sveglia in modo che Uncino non avverta l'arrivo del coccodrillo.
I bambini sperduti sulla nave di Uncino trucidano tutti i pirati con le loro spade.
Peter non uccide Uncino ma lo obbliga a buttarsi in mare dove viene mangiato dal coccodrillo, poi sostituisce la bandiera dei pirati della nave, con quella degli Stati Uniti (unica stonatura del film)e si proclama il nuovo Napoleone.



sabato 23 novembre 2019

Liquid Sky


Titolo: Liquid Sky
Regia: Slava Tsukerman
Anno: 1982
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Un alieno, che si nutre di droga e di una misteriosa sostanza che l'uomo produce durante il rapporto sessuale, trova una perfetta "sistemazione" a casa di due sbandate cocainomani. Da quel momento ogni uomo che va a letto con le ragazze muore. Quando una delle due ragazze capirà che l'alieno è la causa di tutto preferirà scomparire nel nulla con lui.

L'esordio di Tsukerman può essere inserito come uno dei film cardine di un certo filone della sci-fi. I motivi sono tanti e rigorosamente dettati da un sapiente lavoro di scrittura, una messa in scena a tratti sperimentale e surreale e una recitazione più che adeguata.
E'un film anomalo, alieni, droga, misteriose sparizioni, avvistamenti, navicelle che decidono di piazzarsi sopra un grattacielo e godersi un soggiorno sul nostro pianeta (anche se non li vediamo mai) tutto questo quasi sempre senza far ricorso all'azione ma lasciando che le cose accadino magari intuendole da un dialogo. A conti fatti l'opera è infarcita di elementi, scene e momenti suggestivi quanto originali, la Manhattan degli anni '80 con tutte quelle mode, gli stili sofisticati e alternativi dei suoi protagonisti, il linguaggio ricercato, il clima alternativo e mezzo anarchico e poi alcune suggestive musiche elettroniche che riescono in più casi a creare quell'atmosfera di cui il film in alcuni momenti sente il bisogno.
Strano, anomalo, indipendente, un precursore per tanti film a venire che non starò ad elencare.
Mi ha ricordato molto nel come viene scandita la recitazione i film di Paul Morrissey e le opere sperimentali di Andy Warhol, quelle poche con i dialoghi per intenderci.
Da un lato Margaret non può avere orgasmi nonostante ci provi in tutti i modi e questo consente all'alieno di poter scegliere soltanto lei e usarla per adescare le vittime e nutrirsi della sostanza generata dal cervello degli eroinomani al momento dell'amplesso. Ora ci troviamo di fronte ad un film ambizioso, molto psicologico per come approfondisce la sua protagonista, per come Margaret si renda conto che quei freak con cui convive e passa le giornate sono degli idioti, di come il successo sia un'arma a doppio taglio, di come tutti cerchino tutti solo di portarsela a letto e avere droga gratis, un dramma interiore sviluppato facendola disilludere su quanto capiti attorno a lei.
Liquid Sky è un film veramente difficile da catalogare, film di questo tipo ne esistono davvero pochi, ha una sua fisionomia che lo rende a tratti irresistibile e in altri momenti qualcosa di allucinato e non sempre chiaro nelle sue ambizioni e intenti , ripetitivo e a volte anche noioso quando assistiamo ai dialoghi a volte privi di senso della galleria di freak.
Un film di stampo femminista girato da un regista russo di origine ebraica trapiantato in America.





lunedì 21 ottobre 2019

Jigoku-Inferno

Titolo: Jigoku-Inferno
Regia: Nobuo Nakagawa
Anno: 1960
Paese: Giappone
Giudizio: 5/5

Un liceale stringe amicizia con un suo coetaneo che rappresenta il male assoluto. Una notte lui e il ragazzo sono in auto ed investono un ubriaco, ma lo lasciano morire senza soccorrerlo. Da quella notte la loro vita sarà una discesa all'inferno...

Capita spesso che alcuni grandi maestri soprattutto in Oriente e soprattutto in Giappone, in un preciso contesto storico e politico, non vengano distribuiti ma messi ad invecchiare in un luogo sconosciuto.
Gli artisti in questione potevano e rischiavano davvero tanto, dalla prigione, ad altre spiacevoli traversie. Nakagawa per fortuna era molto famoso e il suo cinema, almeno una parte, commercialmente aveva degli ottimi risultati.
Dispiace ancor più che un film come Jigoku,  sia rimasto intrappolato in quel limbo dove risiedono migliaia di film scomparsi. Poi per fortuna grazie ad una serie di vicende il film è riuscito ad arrivare anche da noi, attraverso rassegne coraggiose e piccole distribuzioni.
L'opera in sè raggiunge dei fasti a cui pochi sono arrivati.
Dante ripreso per dare forma ad un dramma reale che prende le direzioni più allucinate e sofferte diventando un'epopea di disgrazie, di viaggi tra realtà e immaginazione, personaggi diabolici e intenti ancor più letali e mostruosi.
Uno dei padri assoluti del j-horror (ma quello serio che non deve parte della sua fortuna ai jump scared o ad alcune mosse commerciali) deve il suo talento a diversi fattori soprattutto quelli dell'avanguardia scenica e fotografica con le luci sparate sugli attori e il campo buio che occupa il resto dello schermo, che in Oriente lasciava spiazzati per i risultati ottimali, la resa e la continua voglia di sperimentare. Inferno è una ricerca continua, estrema, azzardata, che riesce a mettere a tacere lo spettatore colto che rimarrà esterrefatto contando l'epoca in cui ci troviamo e un certo coraggio ad approfondire alcuni temi e a promuovere un taglio gore di notevole impatto emotivo.
Jigoku è uno degli horror in assoluto più belli della storia del cinema mondiale, un film ancorato nei suoi retaggi avanguardistici, che osa continuamente senza nessuna paura della censura, dove gli ultimi '40 sono un vero e proprio teatro degli orrori, un film che sembra un'insieme di quadri profetici per quello che succederà nel proseguimento della storia e dove ancora una volta gli svistamenti psichedelici fanno il resto, regalando scene a profusione di una bellezza che ormai il cinema sembra aver dimenticato.
Il film fu l'ultima produzione degli studi Shin-Toho, che si trovavano in grosse difficoltà finanziarie; Jigoku fu girato velocemente, con un bassissimo budget e si narra che molti degli attori del film abbiano partecipato all'allestimento del set dell'Inferno, pur di completare il film. Il film venne portato a termine, ma non riuscì comunque a salvare gli Studios dalla bancarotta

Tombstone

Titolo: Tombstone
Regia: George Pan Cosmatos
Anno: 1993
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

L'ex sceriffo Wyatt Earp raggiunge i suoi fratelli Virgil e Morgan a Tombstone, cittadina in pieno sviluppo economico, con lo scopo di stabilizzarsi e di raggiungere facili guadagni attraverso una attività commerciale. Ben presto, però, sarà costretto a scontrarsi con un gruppo, i Cowboys, che seminano il terrore in città. Lo scontro sarà inevitabile, e porterà a conseguenze devastanti anche per la famiglia Earp

Tombstone per me è un cult del western. Un flm imperfetto con alcune scelte discutibili, ma potente al punto giusto e con un manipolo di attori che è riuscito a dare il meglio e dove Kilmer si trova ad interpretare uno dei personaggi più interessanti e discussi della sua filmografia, Doc Holliday ovvero il pistolero più forte in circolazione, amante delle belle donne, malato terminale e provocatore nato.
La venerazione di Kilmer nei confronti di Russel emerge tutta dai suoi diario dove sembra che pur non essendo accreditato, abbia girato Kurt stesso il film, in un progetto in cui ci credeva molto. Un film di genere dove come in altre situazioni il western fa da sfondo per un film action con pochi dialoghi, situazioni didascaliche, personaggi tagliati con l'accetta e tante sparatorie e scontri tra due fazioni diverse. Il taglio politico con la descrizione dei Cowboys, di "Curly Bill" Brocious amante dell'oppio e dal suo braccio destro Ringo e del loro segno di riconoscimento, anticipava i cartelli del narcotraffico imponendo la loro supremazia e il loro controllo a suon di uccisioni e soprusi. Earp in realtà fin dall'inizio è un personaggio detestabile che pensa solo a fare i conti con il faraone, un gioco di carte europeo che ebbe grande diffusione nel far west, volendo dare un taglio al codice morale che lo impegnava a cercare di far vincere la legge su tutto. I colpi di scena del film sono telefonati, la ricostruzione rimane inequivocabilmente non male, ma siamo anni luce distanti come anche il biopic uscito l'anno seguente da opere veramente western e molto più epiche come SFIDA INFERNALE di John Ford e SFIDA ALL'OK CORRAL di John Sturges.

mercoledì 2 ottobre 2019

Seme della follia

Titolo: Seme della follia
Regia: John Carpenter
Anno: 1994
Paese: Usa
Giudizio: 5/5

John Trent, investigatore privato, viene incaricato di un caso che lo conduce ai confini della realtà: ritrovare uno scrittore di best-seller dell'orrore misteriosamente scomparso. Il detective si ritrova coinvolto in una vicenda in cui la realtà si confonde pericolosamente con la fantasia.

E'doveroso ammettere che film così ispirati e con così tanti significati fanno fatica ad uscire di questi tempi. In the Mouth of Madness è uno dei migliori horror di sempre, una storia così semplice e al contempo indecifrabile che lascia ancora ampi margini di interpretazioni chiudendo la trilogia carpenteriana e portando alle estreme conseguenze le indagini del regista sulla rarefazione del reale e il suo irrimediabile scambio con l'immaginifico (prologo e finale). Con una resa visiva eccellente per quanto concerne tutti i generi citati e tutte le dimensioni che il film affronta, reale, paranormale, sovrannaturale, spostandosi di fatto da un contesto all'altro in un viaggio allucinato e disperato che sembra non avere mai fine con toni apocalittici, atmosfere gotiche e infine i mostri che tornano sulla terra da dimensioni ignote e con umani che subiscono orripilanti mutazioni fisiche.
Un film che non è tratto dai romanzi di King ma che diventa istantaneamente una delle sue ipotetiche trasposizioni migliori, citando e strizzando l'occhio verso quell'universo di follia che si impossessa del protagonista e dei lettori in un impianto visivo semplicemente spettacolare e magistrale per quanto curi nel particolare ogni singolo frame diventando inquietante, morboso, gore e disturbante (Sam Neil in stato di grazia, quell'urlo nel pullman ancora mi sveglia la notte). Un film dalla struttura tutt'altro che semplice, un gioco che serve a sbilanciare lo spettatore a farlo mettere continuamente in discussione su ciò che sta avvenendo e le scelte dei protagonisti. Carpenter ha parlato di libri maledetti come di film maledetti nel sontuoso episodio dei MHO-CIGARETTE BURNS.
Una delle opere horror più affascinanti sul tema della realtà e immaginazione, tra continui incubi e situazioni che confondono e trasfigurano protagonista/spettatore in un alternarsi senza fine, diventando sempre più deliranti giocando sulle ambiguità fino al climax finale decisamente curioso e inaspettato.

Bug-Insetto di fuoco

Titolo: Bug-Insetto di fuoco
Regia: Jeannot Szwarc
Anno: 1975
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

In seguito a un terremoto, un tipo di insetto mai visto prima esce dalle viscere della Terra. L'entomologo James Parmiter scopre che questi insetti hanno la capacità di inescare fuochi. Gli insetti iniziano ad uccidere gli umani ed una delle vittime è proprio la moglie di Parmiter. Le cose peggiorano quando, in seguito ad un esperimento d'ibridazione compiuto da Parmiter, gli insetti dimostrano di essere divenuti intelligenti.

Bug è un pregevole film di sci-fi con risvolti catastrofici e spunti eco-vengeage che di fatto viene spesso associato alla categoria fanta-horror o il sotto filone degli animali assassini, tratto dal romanzo La piaga Efesto (The Hephaestus Plague), un romanzo di fantascienza apocalittica del 1973 scritto da Thomas Page.
Szwarc che non ha avuto una filmografia felice, riesce come mestierante ad infondere fin da subito un'atmosfera allucinata dove il film non si prende molto tempo prima di mostrare i piccoli insetti resi in maniera verosimile e in grado, nonostante il film sia del '74, di infondere allo stesso tempo una sensazione di orrore e di inquietudine risultando al contempo ripugnanti e facendo scaturire tutte le paure ancestrali dei blattofobi.
Blatte plaeistoceniche da un altro tempo che volano, alloggiano nei tubi di scappamento, non sembrano temere nulla  a parte i giochi di pressione e che ormai a detta del professore hanno esaurito le scorte del sottosuolo con l'evidente bisogno di andare a procacciarsi cibo e sostentamento sulla superficie dopo l'incidente scatenante, un terremoto a suo modo reso in maniera apocalittica come il discorso del prete.
Il film calca molto lo sci-fi, studiando l'anatomia e le caratteristiche degli insetti piuttosto che in una vera caccia, cercando di sterminarli. Proprio la fase evolutiva della creatura, per quanto in certi versi troppo repentina, diventa uno degli aspetti più interessanti di pari passo con la paranoia del professore, il suo bisogno di chiudersi in una casa isolata per poter fare tutti gli esperimenti del caso lasciando di fatto che il film evolva esso stesso in una sorta di sottile horror psicologico. Ci sono alcune scene sicuramente deliziose, l'attacco degli insetti, la metamorfosi finale, il senso di impotenza degli umani, l'aver sottovalutato il pericolo e poi il film non ha un happy ending, muoiono tutti e gli insetti vincono.

Ultimo dei Mohicani

Titolo: Ultimo dei Mohicani
Regia: Michael Mann
Anno: 1992
Paese: Usa
Giudizio: 5/5

La Guerra dei sette anni è sbarcata oltre oceano. È il 1757. Le colonie americane sono terreno fertile per sangue e morti. Inglesi e francesi si contendono le terre, mentre le tribù autoctone decidono da quale parte schierarsi e a chi giurare una presunta fedeltà. Tra loro anche Nathan, nato inglese e adottato dai Mohicani, corre tra foreste e fiumi in cerca di una pacifica convivenza tra coloni e invasori. Gli equilibri verranno presto spezzati dalla crescente tensione tra le forze europee e dai labili patti che legano gli indigeni ai due schieramenti.

Michael Mann è uno dei miei registi preferiti. Alcuni suoi film potrei vederli in loop in particolare Collateral e questo.
Il film più importante, più ambizioso di un autore che è un vero maestro dell'action, del perfezionismo, di tutto ciò che non dovrebbe mai mancare in una scena d'azione e con alcune sparatorie tra le più belle e sofisticate che il cinema abbia mai avuto modo di vedere.
Tanti fattori in questo film ne decretano un capolavoro indiscutibile, un film storico, una storia d'amore che riesce a non essere mai banale, combattimenti furibondi, sacrifici, soldati immolati, stermini di massa, complotti, alleanze tra culture diverse.
Tutto funziona alla perfezione. Location, costumi, il taglio epico, l'avventura portata ai fasti.
Nathaniel Hawkeye, Chingachgook (che rimane l'ultimo dei Mohicani), Uncas, sono un trio diventato leggenda che corre per le foreste senza indugi, combattono come delle bestie feroci tecnicamente all'avanguardia facendo sfigurare Magua e gli Uroni in un kolossal in grande stile a cui guardandolo più e più volte, mi rendo conto come non manchi davvero nulla e la colonna sonora è tra le più belle della storia del cinema.
Nat interpretato da Lewis in stato di grazia è solo la ciliegina sula torta dove l'incredibile scelta di recitazione abbraccia tutti compresi gli sconosciuti indiani che sembrano metterci l'anima. Fughe e assedi, ricostruzioni minimali, l'affresco estetico della natura con un suo peso specifico, la foresta che per i Mohicani sembra non avere segreti, Mann dimostra ancora una volta e qui più che mai, di riuscire ad unire quei silenzi e quegli sguardi che in pochi secondi, in silenzio, comunicano più di molti dialoghi, riuscendo a creare ancora più pathos e atmosfera.

Goonies

Titolo: Goonies
Regia: Richard Donner
Anno: 1985
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

I Goonies, scatenato gruppo di ragazzini abitanti nel quartiere di Goon Docks, devono dare l'addio alle case dove sono nati e cresciuti: i signorini del club del golf hanno dato lo sfratto alle loro famiglie per radere al suolo il quartiere e costruire nuovi, esclusivi, campi da gioco. Poco prima di andarsene, uno dei Goonies scopre in soffitta una vecchia mappa del tesoro, scritta da un pirata spagnolo del '600. Mettendo le mani sul bottino dell'antico corsaro, i ragazzini potrebbero salvare le loro case.

Per la mia generazione classe '82, I Goonies è semplicemente il film manifesto di un'infanzia, uno dei film più belli ed importanti non solo di quella decade ma, probabilmente, degli ultimi 30 anni.
Un cult movie indimenticabile che ancora oggi riesce ad essere brillante per una vicenda mai banale, un ritmo incredibile, un manipolo di attori e personaggi niente affatto scontati che hanno fatto la storia e alcune scene diventate leggenda così come i dialoghi e la forza della messa in scena.
Il perfetto film d'avventura, un teen-movie come non si sono quasi più visti nel cinema, un duetto che vede Spielberg come produttore e Columbus alla scrittura e una trama capace di unire allo spirito del film di formazione e del viaggio dell'eroe, il tema dell'amicizia, la diversità (il mostro buono), i primi amori e il rapporto con l'altro sesso come qualcosa di gigantesco, una montagna da scalare, e non ultimi i pirati con Willie l'orbo e i tracobbetti.
I Goonies sono diventati nel giro di poco un ricordo indelebile per chi si approcciava a quell'immaginario collettivo degli anni '80 facendoci ricordare quasi tutte le battute a memoria in un continuo di richiami e di cambi di rotta improvvisi e inaspettati.
La forza del film al di là dell'affiatamento degli attori sta proprio nella sua apparente semplicità, trattando una ricerca del tesoro in maniera molto realistica in cui chiunque a quell'età avrebbe voluto farci parte, lottando, scappando dalla banda Fratelli e scontrandosi contro un sistema che vuole togliere le proprie case, i ricordi e i legami con la comunità.
Spielberg come produttore è stato fondamentale per unire gli archetipi del cinema d'avventura con lo spirito action di Donner, in cui sono proprio i pre-adolescenti, i losers, i goony che voleva dire sfigati, a dover lottare per una causa in cui i genitori sembrano rinunciare.

Labyrinth

Titolo: Labyrinth
Regia: Jim Henson
Anno: 1986
Paese: Gran Bretagna
Giudizio: 4/5

Sarah, adolescente sognatrice, una sera in cui rimane sola a casa con il fratellino e innervosita dai suoi pianti, invoca il re degli gnomi Jareth, pregandolo di portarlo via. Toby scompare. Sarah, pentita, corre a riprenderselo affrontando ogni sorta di pericoli: nani, paludi, porte magiche.

Labyrinth è uno dei quei cult che non sfigura mai. Passano gli anni e il film invecchia molto bene. Scritto da Terry Jones e diretto dal padre dei Muppets, il film è una storia d'avventura, una fiaba dark, un viaggio dell'eroina perfetto, una corsa contro il tempo, uno dei fantasy più interessanti della storia del cinema.
Si potrebbe parlare per ore dei meriti del film. Un labirinto spettrale e affascinante, cupo e misterioso, una galleria di personaggi che sono rimasti nel cuore dei cinefili, Jared interpretato dal trasformista Bowie che è diventato leggenda e per finire un semi musical che riesce dove tanti hanno fallito.
E'un film per bambini ma di quelli che consacrano la magia, l'animatronic, i pupazzi, le scelte narrative mai banali, le fiabe riproposte e adattate per un soggetto che riesce a fare meglio di tanti suoi simili, spostando la narrazione su temi adulti e riuscendo a far aderire tutte le componenti in maniera funzionale e divertente con un ritmo che riesce sempre a imporsi e alcune scene indimenticabili.
Tutti i mostriciattoli parlanti in cui s’imbatte Sarah sono stati realizzati partendo dai disegni di Brian Froud, che aveva già collaborato con Jim Henson e Terry Jones in DARK CRYSTAL, un film fantasy del 1982 tutto girato coi pupazzi e in cui nel film in questione tutto viene impreziosito dalla raffinatezza figurativa più europea che americana.
Progetto ambiziosissimo per le tecniche disponibili e realizzato con cura, ne pagò economicamente le conseguenze incassando al botteghino appena la metà dei 25 milioni di dollari spesi per metterlo a punto, per restare eternamente prezioso nella memoria degli amanti di genere.

domenica 29 settembre 2019

Mysterious Skin

Titolo: Mysterious Skin
Regia: Gregg Araki
Anno: 2004
Paese: Usa
Giudizio: 5/5

L'estate del 1981 segna una svolta definitiva per due ragazzini di otto anni, per motivi diversi. Uno (straordinario Joseph Gordon-Levitt) è oggetto dell'abuso continuato e non rifiutato del coach della squadra di baseball; l'altro viene rapito dagli alieni, con conseguenze irreparabili sulla sua maturazione

Non sempre ma arriva un momento di svolta per un regista. Quel momento di maturità che sembra consolidarsi come se di fatto tutte le sue più significative componenti erano già lì da sempre, pronte ad aspettare quel momento per emergere tutte. Così è stato grazie ad un bellissimo libro diventato un film che nella tematica queer ha pochi eguali nel cinema.
Gregg Araki ha tormentato la mia adolescenza con film ai limiti che osavano, che non risparmiavano nulla, che regalavano scene esagerate e fantastiche, finali censurati passati su uno schermo nero per tutto un secondo tempo alla televisione e poi un linguaggio fuori dal normale, sboccato, provocatorio, dissacrante, ma valido e funzionale a rendere una generazione per quello che era veramente. Di fatto almeno per ora Mysterious Skin è l'unico film veramente drammatico e di spessore del regista. Una filmografia spesso discontinua con alcuni film mai distribuiti e un talento spesso messo in discussione soprattutto dalla critica.
Doom Generation è stato un cult almeno per il sottoscritto e forse il capitolo più interessante della trilogia. Traumatico e realistico, Mysterious Skin non fa sconti, sbatte la realtà e la pedofilia trattandola in una maniera atipica e speciale come non si è mai vista nel cinema, parlando di rapporti di una violenza psicologica alienante portando chi a prostituirsi rivivendo e rimettendosi sempre in discussione, oppure chi ha cercato di estraniarsi addirittura chiamando in causa gli alieni.
Una città popolata di bifolchi dove le istituzioni non esistono o sono complici, le famiglie sono spezzate e distanti dai problemi dei figli, l'unica salvezza è l'amicizia fatta di outsider che ancora una volta nel cinema di Araki riflettono una lucidità e una profondità importante e sempre valorizzata. Di una violenza reale e mai risparmiata, alcune scene davvero sono un grido disperato e messo in scena in maniera perfetta senza mai sbavature. Come sempre una colonna sonora importante e figlia di un'epoca che Araki si porta sempre dietro, un cast formidabile per scelta e spessore nell'immedesimazione dei personaggi.
Mysterious Skin è un film che colpisce, fa male davvero, porta a tanti pensieri e riflessioni, non perde mai la sua potenza narrativa e attoriale e andrebbe rivisto più e più volte per dare anche un contesto diverso, mai tracciato in questo modo sulla pedofilia e sui rapporti tra vittima e carnefice.

Macchine che distrussero Parigi

Titolo: Macchine che distrussero Parigi
Regia: Peter Weir
Anno: 1974
Paese: Australia
Giudizio: 4/5

Arthur e suo fratello George stanno guidando attraverso la campagna australiana una notte, quando improvvisamente un potente fascio di luci di un'altra auto li costringe fuori strada. George muore nello schianto, ma Arthur sopravvive e si risveglia in un ospedale della cittadina di Paris/Parigi, una città che, come egli scopre, vive grazie a quello che può essere ricavato da provocati incidenti stradali - comprese le persone ...

Weir è uno dei miei registi preferiti in primis per aver diretto uno dei miei film cult preferiti Picnic ad Hanging Rock un film ancora ad oggi in grado di lasciarmi basito di fronte a cotanto stupore. Un film in cui il cambio del finale divenne come per altre opere un elemento in grado di creare ancora più suspance e mistero in un finale aperto tra i più belli che il cinema ricordi.
Il suo primo lungometraggio non poteva essere che un film assolutamente fuori dalle righe, un Ozploitation di quelli che oggi non vediamo più, un racconto grottesco di neo-cannibalismo industriale.
L'Australia ancora una volta inquadrata nel suo degrado. Distante dal cult Wake in fright, il film è un sapiente cocktail di generi dall'horror alla fantascienza fino alla commedia e il western urbano. Un film appassionante con una miriade di spunti e di elementi che torneranno nel cinema del maestro australiano dalla sfiducia nel progresso tecnologico, l'impulso sovversivo della gioventù e infine il legame misterico tra Natura e Cultura.
Un protagonista mite e inquieto che rischia di diventare un membro di una congrega di svitati,
il medico che esegue esperimenti sulle vittime degli incidenti, trasformandoli in semi-vegetali, i giovani locali persi e alcolizzati che personalizzano le auto distrutte per creare dei veicoli con cui si aggirano per le strade.
E'un film importante, ambizioso, anarchico fino alla radice. Una versione horror del maggiolino tutto matto, un salto in avanti sulla macchina infernale, di nuovo l'outback australiano con i suoi bifolchi, la sua community freak alienata.
Un finale potente che scardina e distrugge tutto riportando ad un nuovo inizio o a una fine apocalittica dove tutti finiscono per perdere quel poco a cui rimanevano così attaccati e fedeli.

Ragazzi perduti

Titolo: Ragazzi perduti
Regia: Joel Schumacher
Anno: 1987
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Una donna divorziata con due figli adolescenti si stabilisce nella casa del padre in un villaggio della California apparentemente tranquillo. In realtà è infestato da una banda di vampiri. Il figlio maggiore si innamora di una bella vampiretta (però suscettibile di normalizzazione), la madre addirittura del capo vampiro

"Dormi tutto il giorno, impazzi la notte, non invecchi mai, non muori mai. Niente male essere un vampiro oggi."
Erano gli anni '80 in cui Schumacher girava ben due cult per il sottoscritto tra cui questo è LINEA MORTALE. Due film che hanno segnato l'infanzia giocando chi con il vampirismo e chi con la sfida con la morte. Entrambi figli di quegli anni dove sicuramente comparivano mille imperfezioni e Sutherland diventava, anche se per poco, l'attore feticcio del regista.
Lost boys aveva qualcosa di immortale, non faceva mai paura ma creava una strana atmosfera in grado di ammaliare e creare una certa suspance. Per lo meno giocando con alcuni luoghi comuni del vampirismo ma senza renderli mai banali, con un manipolo di attori più che perfetti, musiche e abbigliamento figli di una cultura hippie (People are strange dei Doors all'inizio) e di una California pervasa da sotto culture e luna park sulla spiaggia e Santa Carla capitale mondiale degli omicidi con volantini di missing childs e non solo.
Ribellione contro le regole degli adulti, un Peter Pan all'incontrario, un mix di horror e commedia, molto commedia all'inizio e un po' più horror, tendente allo splatter nel finale, molto funzionale e con alcuni momenti imprevedibili e di forte suggestione. Ragazzi perduti trova la sua vena cult inserendo tanti elementi in un perfetto gioco della bilancia dal tono scanzonato, per la riuscita commistione fra spaventi e risate, per l'idea, estremamente riuscita, di inserire la figura vampirica in un contesto adolescenziale facendo diventare il non morto, glamour, giovane e sensuale.
Assieme a Giorno di ordinaria follia, LINEA MORTALE e Blood Creek rimangono i film migliori del regista.
Ragazzi perduti è I GOONIES con i vampiri!

venerdì 2 agosto 2019

Shining


Titolo: Shining
Regia: Stanley Kubrick
Anno: 1980
Paese: Usa
Giudizio: 5/5

Jack Torrance è uno scrittore in crisi in cerca dell'ispirazione perduta. Per trovarla e sbarcare il lunario accetta la proposta di rintanarsi con la famiglia per l'inverno all'interno di un gigantesco e lussuoso albergo, l'Overlook Hotel, solitario in mezzo alle Montagne Rocciose. L'albergo chiude per la stagione invernale e il compito di Jack sarà quello di custodirlo in attesa della riapertura. Nel frattempo, pensa Jack, lui potrà anche lavorare al suo nuovo romanzo. Con lui, la devota mogliettina Wendy e il figlioletto Danny, per nulla entusiasta della prospettiva

«Il “fanciullo”, mentre è consegnato inerme a nemici strapotenti(…),dispone di forze che superano di gran lunga ogni misura umana. (…)ha una forza superiore e riesce a farsi valere ad onta di ogni pericolo e minaccia. Egli rappresenta la tendenza più forte e più irriducibile di ogni esistente: quella di realizzare se stesso. (…)La tendenza e il bisogno dell’auto-realizzazione è una legge di natura ed è quindi una forza invincibile»
C.G. Jung, Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia, 1941, con K.Kerényi

Shining è un cult che a distanza di decenni non perde una minima parte del suo fascino, risultando sempre simbolicamente e stilisticamente un quadro perfetto e un miscuglio di generi complesso e stratificato.
Kubrick rilegge a modo suo il romanzo di King, infarcendolo di elementi e virandolo verso l'horror e il mistery. Un film enormemente complesso con una lunga serie di geometrie simmetriche e tecniche che si deformano all'interno dell'hotel diventato forse uno dei più famosi al mondo insieme a quello di Bates.
Una paura e una pazzia figli dell'isolamento e della claustrofobia. Nicholson a briglie sciolte seppur esagerando il personaggio confeziona un villain di quelli indimenticabili. Uno studio incentrato sull'
organizzazione dello spazio e del tempo che ancora prima di mostrarlo, accenna e fa riferimento all’immagine del labirinto. Un hotel vuoto che appare gigantesco, privo di qualsiasi punto di riferimento: corridoi lunghi, ognuno uguale all’altro, porte chiuse, ascensori minacciosi, quella steadycam che segue o precede i personaggi, risucchiandoli in uno spazio oscuro.
Il film come l'hotel è una trappola senza uscita dove i fantasmi del passato emergono per dare sfondo alla follia più totale che prevalica il personaggio sprofondando il film verso un incubo angosciante dove a farne le spese sono proprio la moglie e il bambino.
Un film maledetto, ambizioso, allucinato e esoterico, pieno di metafore e citazioni letterarie, dove il regista riafferma ancora una volta come le radici del male sono insite nell'uomo.
In più proprio le metafore e le simbologie qui rappresentano altre due importanti tasselli della poetica di Kubrick, utilizzate per illustrare i tormentati pensieri del protagonista, un scrittore in crisi dal temperamento eccessivamente volubile.

Willow


Titolo: Willow
Regia: Ron Howard
Anno: 1988
Paese: Usa
Giudizio: 5/5

Una regina cattiva vuol uccidere tutte le neonate per sfatare una leggenda sulla fine del suo regno. Ma una neonata si salva grazie al nano Willow, che con l'aiuto di un giovane guerriero sconfiggerà la regina cattiva.

Willow rimarrà sempre un cult, uno dei fantasy più belli di tutti i tempi. Lucas e Howard.
Il risultato è una fiaba virata verso i toni cupi e oscuri, mettendo sulla bilancia scontri tra streghe, spadaccini, troll, draghi a due teste, folletti, popolazione di nani veri, magie, scontri, trasformazioni.
Con alcuni personaggi diventati leggenda come Madmartigan o la crudele strega Bavmorda, Willow regala intrattenimento senza sosta, risultando stucchevole nelle parti romantiche soprattutto tra i nani, ma inserendosi nella galleria dei cult per l'enorme impatto visivo (per quegli anni) il coraggio di osare con battaglie epiche (l'ultima nel castello) e senza lesinare sangue e scene di massacri (come il sacrificio iniziale per salvare Eloradana).
Willow non è esente da imperfezioni, gli stessi effetti speciali soprattutto quando vediamo il drago risultano datati ma la forza del film è un'altra trattando la magia in maniera mai superficiale anche se gli effetti speciali, a cura della “Industrial Light & Magic”, lanciavano definitivamente la tecnica del morphing, fino ad allora solo sperimentata in modo occasionale.
Ci sono tutti gli elementi della fiaba, del film epico, dell'avventura, dell'azione, senza davvero far mancare nulla. L’eroe-Willow che deve compiere un viaggio di formazione, l’aiutante-Madmartigan che lo spalleggerà, il saggio-Raziel che lo guiderà, il nemico-Bavmorda che li cercherà di fermare e le spalle comiche-folletti che devono rendere il tutto child friendly. Inutili e gratuiti nonchè scontati i continui rimandi o paragoni alla saga di Tolkien. Willow gode di vita propria inventandosi un suo mondo con le sue regole.
Willow è un classico senza risultare mai un'opera mediocre nonostante non ami Howard come regista ma vedendolo più come un mestierante senza immaginazione.

giovedì 18 luglio 2019

Dark Crystal


Titolo: Dark Crystal
Regia: Frank Oz
Anno: 1983
Paese: Usa
Giudizio: 5/5

Due gruppi ben distinti: i Cattivi e i Buoni. L'ultimo superstite dei buoni parte alla ricerca di un frammento di Cristallo Nero dal quale dipende la vita. Fra avventure di ogni genere, farà amicizia con una giovane che lo aiuterà nella ricerca. Essa morirà, ma grazie al Cristallo Nero rivivrà e lo aiuterà a sconfiggere i cattivi.

Quando parliamo di fiabe, parliamo di fantasy, di Animatronic, di pupazzi, di tutto ciò che hanno regalato gli anni '80 con alcuni cult indimenticabili che ancora oggi non sfigurano di fronte alle mega produzioni hollywoodiane. Oz è un nome che almeno nella prima parte della sua filmografia aveva le idee chiare su quale tipo di cinema rappresentare diventando famoso con la serie e i personaggi dei Muppets.
Magia, avventura, sacrificio, viaggio dell'eroe, mentori, aiutanti magici e tutti i caratteri tipici della struttura narrativa, tutti quegli archetipi necessari trovano in questo affascinante film, alcuni momenti e tratti originali scanditi da una musica ipnotica, uno stile lento e arricchito da tutti quei particolari con cui vengono mosse le marionette (interessante la modalità con cui il gheflin protagonista parla senza aprire bocca, quasi una voce narrante di se stesso).
Il Dark Crystal narra di una profezia come spesso capita nel genere riuscendo tuttavia a far rientrare diversi temi e sotto testi anche rilevanti e in chiave politica diventando una favola al contempo decadente e sfarzosa, intrisa di una lotta per il potere, di un popolo schiavizzato, diventando colto in diversi momenti e in altri semplicemente lo specchio dei tempi vissuto su un altro universo gemellato al nostro.
Insieme a WILLOW, LABYRINTH, Legend(1985), Ultimo unicorno, il film di Oz forma la cinquina dei formidabili e più bei fantasy degli anni '80