Visualizzazione post con etichetta 2010. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta 2010. Mostra tutti i post

domenica 19 aprile 2015

Room in Rome

Titolo: Room in Rome
Regia: Julio Medem 
Anno: 2010 
Paese: Spagna 
Giudizio: 2/5 

Inizio di una calda estate romana. Alba e Natasha si sono appena incontrate e hanno deciso di prendere una camera in un albergo. Alba è madre di due figli e il giorno dopo deve ritornare in Spagna, Natasha invece sta per sposarsi e l'indomani tornerà in Russia. Entrambe, però, sono attratte l'una dall'altra e, durante le dodici ore trascorse insieme, si lasceranno andare lentamente e senza riserve alla scoperta di una verità a lungo negata e destinata a rimanere chiusa tra le mura di quella stanza. 

Il regista spagnolo di CAOTIC HANA si slaccia da contesto onirici e un certo cinema che possiamo quasi definire “sperimentale” per trovare in questa commedia erotica, la summa della sua riflessione sul dare libero sfogo ai sensi, come accennava, anche se in forma diversa con il suo precedente film. Ora Room in Rome lascia basiti per l'inconsistenza dei contenuti, tutto affidato ad alcuni dialoghi difficilmente sopportabili e che sfiorano in più di un'occasione il ridicolo. 
Si parla di due versioni di cui una tagliata, ma il problema non è questo. 
Non stiamo parlando di un film autoriale e solido, contenutisticamente parlando, che potrebbe o meriterebbe la censura. 
Al di là dei corpi sinuosi, perfetti e del fascino magnetico delle due protagoniste, è la trama e la narrazione il limite più grosso del film, tale da rendere tutto il resto una “malaparata”. Medem è attratto dal sesso e i suoi film lo comunicano e non per questo si può farne una colpa, e chi non lo è. Però il suo ultimo film è noioso, disarticolato, cerca di essere provocatorio rimanendo invece intrappolato in un nulla di fatto. 
Enrico lo Verso probabilmente non sapeva cosa faceva o forse ha visto le due attrici e non ha saputo resistere. 
Un peccato perchè l'aspetto tecnico, in particolar modo la fotografia, è molto curata così come alcune inquadrature. 
L'idea di prendere un concetto come il “kammerspiel” e torturarlo oltremodo però è sinonimo che bisogna avere stoffa e talento. Finora Medem non lo ha dimostrato.

lunedì 2 marzo 2015

Four Lions

Titolo: Four Lions
Regia: Christopher Morris
Anno: 2010
Paese: Gran Bretagna
Giudizio: 3/5

In un sobborgo inglese, il musulmano devoto Omar ha riunito una cellula terroristica per mettere a punto un sanguinoso attentato in nome della guerra santa contro una cultura corrotta e infedele. Del nucleo fanno parte, oltre ad Omar, il tonto Waj, il timido Faisal e l'inglese Barry, recentemente convertitosi all'islam e infiammato dalla passione del neofita. Nessuno di loro, però, è particolarmente esperto di esplosivi e di organizzazione militare. Anzi... 

Chris Morris è un conduttore, un personaggio televisivo e molte altre cose. 
Di certo non era un regista cinematografico. Il suo esordio non poteva essere più politicamente acceso di così, scherzando e provocando sul terrorismo e il fondamentalismo, visto sotto diversi punti di vista e soprattutto idee diverse da parte dei suoi personaggi.                                                                                                
Un film di certo con un buon ritmo, che cerca fin da subito di porsi a tutti gli effetti come una parodia nerissima, in cui soprattutto all’inizio, lo spettatore non riesce a capire se si parla di fatti reali o se sia solo una messa in scena.
La drammaticità e il dovere morale con cui ognuno affronta la sua scelta, diventano i canali principali su cui si muove il film. 
Il limite purtroppo al di là dell’improvvisazione lasciata agli attori, che in alcuni punti riesce a essere funzionale, è proprio quello di essere impacciato, commettendo alcuni errori di scrittura che il film paga a caro prezzo quando cominciano a non tornare più alcune azioni.
Alternando continuamente l’ironia e la drammaticità, Morris ha il pregio di provocare con un’idea originale, ma senza riuscire a creare anche una seria critica a riguardo, elemento che avrebbe giovato e conferito ancora più spessore al film. Ma forse, guardando il curriculum di Morris, lo scopo era esattamente questo senza andare oltre, ma lasciando il segno in più parti. 
Sono interessanti a questo punto alcune note di produzione che rivelano lo sforzo e l’acume di Morris. Morris ha impiegato tre anni facendo ricerche per questo progetto, intervistando esperti di terrorismo, esponenti della polizia e dei servizi segreti, nonché diversi imam e cittadini musulmani.

In un'intervista Morris ha affermato di aver iniziato a documentarsi prima degli attentati del 7 luglio 2005 a Londra. Con la sceneggiatura completata nel 2007, il film è stato proposto sia alla BBC che a Channel 4, che hanno entrambi rifiutato giudicando il progetto troppo controverso. Assicurati i fondi nell'ottobre 2008, le riprese del film sono iniziate nello Sheffield nel maggio 2009. 
Durante la produzione, il regista ha inviato una copia della sceneggiatura a Moazzam Begg, ex-detenuto britannico-pakistano del campo di prigionia di Guantánamo. Begg ha accettato la consulenza, riferendo dopo aver letto il testo di non aver trovato nulla che sarebbe potuto risultare offensivo per i musulmani britannici. Begg è anche stato invitato ad una speciale proiezione del film appena concluso, dichiarando di essersi divertito (Wikipedia)

venerdì 20 febbraio 2015

Senna

Titolo: Senna
Regia: Asif Kapadia
Anno: 2010
Paese: Gran Bretagna
Giudizio: 3/5

Ayrton Senna da Silva nasce nel 1960 in una famiglia benestante di San Paolo e a diciotto anni è già in Europa a disputare i campionati internazionali di go-kart. Nel giro di pochi anni approda alla Formula 1 e si contraddistingue per uno stile di guida spettacolare e frenetico. Le sue autentiche prodezze automobilistiche, la forte devozione religiosa e l'accesa rivalità con il compagno di scuderia Alain Prost, lo portano presto a divenire una celebrità dentro e fuori dai circuiti. Per un Brasile sempre più povero e martoriato, Ayrton diventa l'emblema del riscatto e della vittoria, mentre per la Federazione della Formula 1, il giovane pilota è un talento incapace di sottostare alle politiche di gioco e ai giochi della politica.

Un documentario che narra in veste di biopic, la storia di uno dei personaggi più amati della Formula Uno. Senza infamia ne gloria, descrive la vita del pilota tra immagini di repertorio (per forza di cose) senza ricorrere alla finzione (mettendo in scena pezzi di vita) elemento che ho molto apprezzato e che forse non avrei saputo perdonare.
Kapadia dopo alcuni film da impiegato, ha trovato la salvezza e una via di fuga nel documentario.
La sua descrizione parte studiando e selezionando, si dice, quindicimila ore di materiale filmato, in cui il regista ha assemblato interviste, servizi televisivi, riprese di competizioni e filmini di famiglia, ricostruendo la folgorante carriera del pilota dal suo esordio in formula 1, nel 1984, fino alla famigerata curva del Tamburello, dove finiscono le sue gare e la sua vita.

E’un film di riscostruzione, quindi difficilmente giudicabile dal punto di vista delle scelte e degli intenti del regista. Quello che ne emerge è un affresco sulla persona, sul coraggio, sulle scelte e sullo straordinario talento che troppo velocemente, come spesso capita, si è concluso in tragedia.

Small Town Muder Song

Titolo: Small Town Murder Song
Regia: Ed Gass-Donnelly
Anno: 2010
Paese: Canada
Giudizio: 3/5

In un villaggio dell’Ontario in cui vive una comunità mennonita, un poliziotto dal passato violento convertito ai cristiani evangelici indaga sull’omicidio di una ragazza.

Il film di Donnelly ha due meriti che emergono fin da subito prima di capire cosa non funziona o non piace nella trama e nell’esecuzione del film.
Da un lato le musiche dei Bruce Peninsula davvero suggestive e intense che ci fanno entrare subito nel cuore del secondo merito che è la descrizione della comunità mennonita (i mennoniti sono grosso modo come gli amish, anabattisti, chiusi e non violenti) ennesima costola del monoteismo cristiano. Dunque due elementi che mobilitano l’interesse.
E poi c’è la descrizione della storia affidata a quel pazzo fuori di testa di Peter Stormare, la capacità di creare con quello sguardo enigmatico, dubbi dove non ci sono e quindi sfidando continuamente il pubblico su false piste e tutto ciò che è più lontano dalla complessità.
Un film provocatorio che verrà sicuramente accusato ingiustamente di essere fastidioso, perchè lo è, dando la sensazione di far sentire lo spettatore consapevole di quello che sta per succedere, mentre invece ribalta tutto, senza inserire colpi di scena, suspance, niente di tutto questo, mostra solo quella che potrebbe essere definita la banalità del male.

Questa scelta può o non piacere, anche se per certi versi è originale, azzerando tutto il bisogno del pubblico di creare collegamenti e congetture, come cercare di dare senso alla narrazione per capitoli che rimandano ai comandamenti della religione mennoita o al nostro bisogno che ci sia sempre un unico cattivo, un responsabile, quando invece c’è la sola lotta di un uomo contro se stesso e contro le regole di una comunità.

sabato 14 febbraio 2015

Neds

Titolo: Neds
Regia: Peter Mullan
Anno: 2010
Paese: Gran Bretagna
Giudizio: 4/5

John McGill è un ragazzino timido e impacciato. Vive nella Glascow degli anni Settanta in un quartiere solo all'apparenza tranquillo. La famiglia versa in condizioni economiche difficili, il padre è un operaio alcolizzato e violento, il fratello è il capo di una delle bande di piccoli teppisti locali, i "neds". 

Neds è un viaggio di formazione duro e spietato nel disagio adolescenziale visto attraverso gli occhi del suo timido quanto folle protagonista.
Non è un caso che il regista abbia uno sguardo interessato per di più verso tragedie e soggetti scomodi, come aveva precedentemente fatto con l’ottimo MAGDALENE e il meno conosciuto ORPHANS.
Mullan che poi si ritaglia anche un piccolo ma importante ruolo nella pellicola, critica aspramente la rigida burocrazia inglese che divide in due parti nette senza possibilità di reintegrare i giovani “studenti” i suoi i “non educated delinquents“
Mullan che poi come attore è ancora più significativo, non accetta compromessi ma mostra in tutta la sua virulenza e con delle immagini durissime e indimenticabili, probabilmente un momento anche particolarmente caldo della sua vita, autobiografico ma non personale, anche se è difficile da mandare giù la scena in cui il padre chiede al figlio di ucciderlo.

Sembra percorrere un bivio John tra la strada e la scuola. Non ci sono vie di mezzo, questo segnala il film, così come non c’è un fine o un limite alla disperazione umana soprattutto quando è giovane e viene modellata da insegnanti, fratelli maggiori e famiglie multiproblematiche.

Robber

Titolo: Robber
Regia: Benjamin Heisenberg
Anno: 2010
Paese: Austria
Festival: TFF
Giudizio: 3/5

Johann Rettenberger sta scontando i suoi ultimi giorni di carcere per rapina. Gli anni di internamento non hanno sopito la sua passione per la corsa agonistica, che Johann ha continuato a praticare costantemente fra le mura del carcere e il tapis roulant della cella. Quando viene rilasciato, il programma di recupero lo iscrive all'ufficio di collocamento, dove ritrova una sua vecchia conoscenza, Erika. Ma Johann non è interessato ad un lavoro normale e ad una posizione stabile, e investe tutte le energie e il suo tempo in allenamenti per la corsa, alternando maratone dove risulta sempre anonimo vincitore a una serie di frenetiche rapine a mano armata. Nel frattempo si trasferisce da Erika e inizia una relazione con lei, ma la possibilità di raggiungere una stabilità nulla può contro le esigenze estreme del suo battito cardiaco.

"Non ho mai smesso di correre", o ancora "quello che faccio non ha niente a che vedere con quella che tu chiami vita"
Robber è un film piacevole che denota dietro la macchina da presa, un regista con idee interessanti che deve solo cercare di essere meno ambizioso e più in linea con la narrazione.
L’elemento che crea più problemi nella pellicola è la soluzione di continuità, passando da un estremo di rapine all’altro di silenzi e sguardi all’interno della casa con la co-protagonista Erika. Il finale è l’elemento migliore, davvero struggente anche se un po forzato come nel caso in cui le pattuglie della polizia che controllano i boschi sono stranamente sempre nello stesso punto in cui si trova il protagonista.
Però allo stesso tempo Walter Huber lavora molto sul contenimento riuscendo allo stesso tempo ad apparire convincente e verosimile con il malessere che lo pervade e i continui stati d’ansia che si impossessano di lui.
Potrà inoltre apparire scarno per quanto concerne la psicologia e la caratterizzazione dei personaggi secondari, ma credo sia in parte funzionale, non dimenticando le caratteristiche di un personaggio come quello di Johann, disturbato a causa del lungo periodo di prigionia.

Il film tra l’altro è l'adattamento dell'omonimo romanzo ispirato a Martin Prinz dalla storia vera di un rapinatore di banche e maratoneta austriaco . In Italia non è mai stato distribuito nei cinema ed è passato in sordina ai festival nonostante il regista abbia riscosso un certo successo con il film precedente.

martedì 10 febbraio 2015

Dog Pound

Titolo: Dog Pound
Regia: Kim Chapiron
Anno: 2010
Paese: Francia
Giudizio: 2/5

Davis, 16 anni, traffico di stupefacenti. Angel, 15 anni, furto d'auto con scasso. Butch, 17 anni, aggressione a pubblico ufficiale. Una stessa sentenza : la prigione minorile di Enola Vale. Giunti nel centro di detenzione dovranno scegliere da che parte stare: vittime o carnefici?

Con una brevissima descrizione dei personaggi, Chapiron ci porta subito all’interno del canile ovvero una sorta di riformatorio canadese dove ognuno deve cercare di salvare la propria pellaccia ma alla fine dovrà vedersela con il male maggiore rappresentato dalle istituzioni e dalla direzione generale.
Un film senza infamia ne gloria, una film piacevole e nemmeno troppo violento, al contempo non si po’ parlare di un film riuscito perché sono troppe le ingenuità e gli stereotipi adottati e sfruttati al regista che aveva fatto molto meglio con l’inquietante SHEITAN tutto addossato sulle spalle del buon Cassel.
Sui prison-movie sono altri i titoli da ricordare e lasciano basiti le parole del regista quando spiega le ragioni per cui interessarsi di una tale vicenda e che per tentare di portare ancora più pathos e drammaticità, crea un finale d’effetto davvero triste e inflazionato.

"Dog Pound vuole lanciare un messaggio: rinchiudere i giovani in carcere non è la soluzione giusta. Questo film è uno specchio che porgo per mostrare quanto questo processo sia sbagliato. Mischiare quelli che possono ancora salvarsi con persone che hanno conosciuto una realtà spaventosa è una negazione della civiltà". Grazie Chapiron per averci illuminato con la tua saggezza…

venerdì 19 dicembre 2014

I'm here

Titolo: I'm here
Regia: Spike Jonze
Anno: 2010
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Un assistente di biblioteca si trascina attraverso una vita ordinaria a Los Angeles fino a quando un incontro casuale gli apre occhi al potere della creatività e, alla fine, all'amore. Quando questa nuova vita e amore cominciano a cadere a pezzi, lui scopre di avere molto da dare.

Jonze dopo una svariata carriera a girare videoclip e ha regalarci alcuni film indimenticabili, ancora una volta di destreggia nell'insolito, girando un mediometraggio singolare e toccante.
I'm here non è originalissimo, sia nella tematica che nella struttura della storia e nei colpi di scena finali. I'm here è un medio molto intimo che immediatamente mette in secondo luogo l'originalità o meno destando subito interesse soprattutto grazie alla sua carica emotiva che ti fa identificare subito con i personaggi.
Quello che colpisce è lo stile ancora una volta innovativo e alternativo, che mette insieme diverse tematiche morali ed etiche tutte analizzate in una profonda metafora e riflessione sul tema del "dono" anzi del "donarsi" verso chi amiamo.
Con una potenza non solo sprigionata dalle immagini ma soprattutto dalla musica, I'm here è una poesia romantica che conquisterà il pubblico con immagini non solo originali e dotate di quella fragranza jonziana, ma anche e soprattutto di dramma e di reale sofferenza, palesata o celata dietro lo sguardo malinconico del suo protagonista (basta pensare il climax finale e la quasi assenza di musica come ad interrompere un idillio magico tra Sheldon e Francesca).
I’m Here, attraverso la metafora dei robot, è un po’ il grido interiore di tutti noi, quasi a voler chiedere chi non si è mai ritrovato innamorato a tal punto o chi non vorrebbe provare un sentimento simile. E soprattutto cosa sarebbe disposto a "donare"?

Red Hill

Titolo: Red Hill
Regia: Patrick Hughes
Anno: 2010
Paese: Australia
Giudizio: 3/5

Il giovane Constable Shane Cooper si trasferisce nella piccola cittadina di Red Hill con la moglie incinta al fine di iniziare una nuova famiglia. Quando la notizia di una fuga dalla prigione nella città manda nel panico gli agenti della polizia locale, il primo giorno in servizio di Shane comincia a passare di male in peggio.
Jimmy Conway, un assassino condannato a vita dietro le sbarre, ritorna nell'avamposto isolato in cerca di vendetta. Ora, preso nel mezzo di ciò che diventa rapidamente un bagno di sangue spaventoso, Shane sarà costretto a prendere la legge nelle sue mani, se vuole sopravvivere

Il problema grosso di Red Hill è la trama fin troppo scontata che lascia subito presagire al pubblico la sorte dei suoi personaggi e in particolar modo la figura di Jimmy come una vittima di sorpusi e angherie (una sorta di critica e denuncia contro ciò che l'uomo bianco ha commesso contro gli "aborigeni" del luogo).
Un regista che purtroppo dopo questa sua opera prima, mai distribuita in Italia, è finito a dirigere anonimi film d'azione come MERCENARI 3 rimanendo di fatto un impiegato delle major a tutti gli effetti.
Red Hill è il classico western che sta dalla parte degli indiani, girato molto bene, con una lenta e piacevole descrizione dei personaggi e con delle bellissime inquadrature su distese e paesaggi che trovano nell'Australia alcune location davvero insolite e magnifiche.
Sembra il classico film di genere che non accenna a dire o ad osare nulla di nuovo, rimanendo un buon prodotto dal punto di vista tecnico ed estetico, ma che non va oltre ad essere una pellicola di poche e semplici pretese.


martedì 9 dicembre 2014

Vita tranquilla

Titolo: Vita tranquilla
Regia: Claudio Cuppellini
Anno: 2010
Paese: Italia/Germania/Francia
Giudizio: 3/5

Al centro della Germania vive Rosario, italiano cinquantenne che mischia il cinghiale con il granchio nella cucina del suo albergo. Con un bella moglie e un figlio gentile, vive felice ma ammazza gli alberi con i chiodi perché vuole ampliare il suo hotel. Quello che si sforza di uccidere è anche il suo passato di pluriomicida che un giorno gli fa visita sottoforma di Edoardo e Diego, due giovani di malavita, minacce per la sua "vita tranquilla".

E'difficile comprendere il cinema di Cuppellini.
Dopo due commedie classiche e tipiche del nostro cinema, LEZIONI DI CIOCCOLATO e 4-4-2, il regista veneto, punta su tutt'altro genere confezionando un solido e robusto noir e mettendosi all'opera nella serie più importante italiana di questi ultimi anni che è GOMORRA.
Una vita tranquilla è un altro film che tratta "l'argomento mafioso", è girato tecnicamente molto bene e trova in Servillo, ma anche nei co-protagonisti di Edoardo e Diego, una buon terreno su cui piantare i chiodi del film di genere.
E' così ancora una volta si parla del passato incancellabile e del dramma di genere con profondità emotiva che purtroppo non sempre convince perdendo corda e tensione in più parti.
L'eccessivo manierismo nonchè alcune scene piuttosto azzardate (la ragazza che immediatamente ci prova con Diego) purtroppo confinano il film in un esperimento dai caratteri e toni molto forti ma che in alcuni momenti sembrano essere uno spartiacque tra l'esagerazione più totale e un eccessiva sobrietà.
Dunque l'impossibilità di vivere una vita tranquilla e soprattutto la certezza che le colpe dei padri ricadono sui figli, sono il collante con cui il film fa centro, anche grazie ad alcuni dialoghi molto forti tra padre e figlio.

martedì 2 dicembre 2014

Way Back

Titolo: Way Back
Regia: Peter Weir
Anno: 2010
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Il film è basato su un libro di Slavomir Rawicz intitolato "Tra noi e la libertà", che racconta del trasferimento dell’autore in un gulag siberiano nel 1939 e della fuga da lui stesso organizzata due anni dopo quando, con altri sei compagni, attraversò la transiberiana e si diresse verso sud camminando per più di 6500 chilometri.

18 milioni di prigionieri, quasi 5 milioni di morti.
Questi sono i dati, difficili da accertare, che Anne Applebaum riporta nel libro che le è valso il premio Pulitzer, ossia Gulag: A History.
Deve essere stato questo che ha attratto Weir: raccontare le vicende di un gruppo di uomini che trovano nella Natura, come afferma uno dei comandanti del gulag, il loro vero carnefice.
“Non sono le nostre armi, i nostri cani o le nostre recinzioni che formano la vostra prigione. La Siberia è la vostra prigione!“, dirà nel suo discorso di “benvenuto” un comandante.
Weir per alcuni aspetti può essere considerato come uno dei registi australiani più importanti e più ambiziosi della cinematografia di uno dei paesi più misteriosi al mondo e a cui il regista ha tentato, soprattutto agli esordi, di dare una maschera. The Way Back non fa eccezione e conferma l'interesse e i temi fondamentali su cui da sempre si concentra la filmografia dell'autore e che includono libertà, potere, prigionia, viaggio, amicizia, comunismo e dittatura.
E dato che, come accennato, la componente naturalistica assume sin da subito un ruolo decisivo, la fotografia non può che conformarsi a tale esigenza. Colori smorti e tonalità fredde sono il leitmotiv di questo aspetto squisitamente tecnico di The Way Back, che assieme a delle location incredibili tra Marocco, India e Bulgaria a dispetto della Taiga Siberiana, riescono a rendere in maniera eccezionale quasi tutte le fasi, meno che in quella relativa al deserto del Gobi.
The Way Back è un viaggio interno ed esterno al tempo stesso. Non c'è guerra se non quella dell'ostilità della natura selvaggia e della natura umana che trova nelle differenti anime dei suoi protagonisti, scontri e confronti, fino ad arrivare ad un impronta più paternalistica con l'ingresso nel gruppo della giovane Irena.

Cyrus

Titolo: Cyrus
Regia: Jay Duplass
Anno: 2010
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Molly incontra a una festa John, un divorziato profondamente solo e depresso. I due sembrano proprio fatti l’uno per l’altra e John non riesce a credere a questa sua improvvisa fortuna sentimentale. Così, tra i due, inizia un’appassionata storia d’amore. L’idillio si incrina quando entra in scena il ventunenne figlio di Molly, Cyrus, musicista new age, che con la madre ha un rapporto non convenzionale ed è fermamente intenzionato a conservare l’amore della donna esclusivamente per sé.

Se non fosse per alcuni dialoghi ai limiti del politicamente corretto, con cui la coppia di fratelli Duplass avvolge la commedia, mantenendola sempre su di un certo livello, Cyrus avrebbe colpito ancora più a fondo con la sua critica sui bamboccioni.
Cyrus è un film gradevole ma in fondo molto prevedibile e spiazzante insieme, con alcuni momenti davvero esilaranti e drammatici e che trova negli intrecci narrativi e negli ottimi attori John C. Reilly, Marisa Tomei, nonchè Cyrus (la new entry Jonah Hill) il sodalizio perfetto.
Con un soggetto semplice, ingenuo ma efficace, come il tema del bamboccione (basti pensare come da noi il fenomeno aumenta a dismisura) nei sui toni bassi, dialoghi taglienti e un budget scarsissimo, non accenna a far parlare di sè ma si gusta piacevolmente.

mercoledì 12 novembre 2014

Biutiful

Titolo: Biutiful
Regia: Alejandro Gonzales Inarritu
Anno: 2010
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Uxbal ha due figli Ana e Mateo che ama profondamente e una moglie, Marambra, con la quale c'è un rapporto conflittuale che li spinge a separazioni e a tentativi di riappacificamento. Uxbal vive di manodopera clandestina che sopravvive ammassata in tuguri (i cinesi) o cerca di far crescere il proprio figlio in condizioni comunque estremamente precarie come l'africana Ige. Uxbal si trova a confronto con la morte anche di minorenni. Uxbal attende la morte, la sua. Uxbal ha un cancro che gli lascia poco da vivere.

Biutiful è un dramma lucido e potete.
Un film che sarebbe piaciuto ad alcuni nostri padri neorealisti e che in più, ha il merito di catturare una Barcellona mai così cupa e spettrale.
Inarritu è uno dei più brillanti e conosciuti registi messicani.
Beniamino dei festival, è riuscito fin dal suo esordio, a portare una sua idea autoriale di cinema molto efficace e poco incline alle regole commerciali.
Biutiful sembra essere l'ennesima conferma e il film manco a farlo apposta sembra disegnato apposta su Bardem, contenuto e in grado di regalare una commovente interpretazione.
Uno dei principali segnali di cambiamento del regista, è proprio quello di non giocare troppo sul montaggio serrato, seguendo così ancora di più i suoi personaggi che sembrano fantasmi in cerca di sopravvivenza e dovendosi scontrare con tutte le difficoltà e i problemi della post-contemporaneità.
Forte a tratti può sembrare troppo lento ma questa peculiarità è indispensabile per entrare nell'anima dei personaggi che tratteggia, Biutiful sembra, nemmeno a farlo apposta, forse il film più ambizioso (proprio nella sua semplicità e difficoltà di mantenere un ritmo solido e drammatico) e personale del regista. Tutta la parte sviluppata sui Tuguri e lo sfruttamento dell'immigrazione è di una contemporaneità incredibile, sopratutto quando fugge dalle logiche commerciali.

domenica 2 novembre 2014

Wake-Beneath the Dark

Titolo: Wake-Beneath the Dark
Regia: Chad Feehan
Anno: 2010
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Mentre si dirigono in macchina a un matrimonio a Los Angeles attraverso il deserto del Mojave, Paul e Adrienne tirare escono dall'autostrada e vanno al Motel and Cafe di Roy. Questo tratto di strada si rivela un luogo strano e surreale caratterizzato da un mix inquietanti viaggiatori, che costringono la coppia a scoprire il loro segreto nascosto e alla fine, la terribile realtà in cui si trovano.

Di solito amo molto questo genere di storie, soprattutto quando c'è totale carta bianca su un plot che si apre coraggiosamente verso qualsiasi chiave di lettura, e quindi la possibilità di scoprire qualcosa di nuovo e di vedere una nuova prospettiva per narrare la storia.
Wake, film passato in sordina da noi e un po dappertutto, è il classico film che parte molto bene, continua con rimandi che sembrano addirittura strizzare l'occhio a Lynch e altri maestri capaci di creare un'ambientazione potente in un hotel semi-abbandonato con poco, e finisce come proprio speri che non possa mai finire, ovvero, in una scelta facile e convenzionale.
Senza contare i rimandi ad altri piccoli cult come PSYCHO e una voluta ambiguità circa i personaggi e il plot narrativo, Beneath the dark, ovvero l'opera prima di Feehan, poteva tante cose, ma alla fine si concede una strada davvero troppo battuta dalla cinematografia.
Dispiace perchè in fondo, viene quasi da pensare in modo inconsapevole da parte del regista visto il finale, alcuni punti del film sono davvero infarciti di suspance e interpretazioni valide.
Speriamo che questo passo falso permetta al regista di rimettersi su un binario giusto e meno abusato.

Knight of Badassdom

Titolo: Knight of Badassdom
Regia: Joe Lynch
Anno: 2010
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Un grande gruppo di giocatori LARP (Live Action Role-Players) in costume, vestiti come cavalieri, elfi ed altri personaggi, abbandonano i loro cellulari e vanno nei boschi per il Central New Jersey Knights of Badassdom Adventure Society, dove devono rappresentare un scenario di Dungeons and Dragons uscito dal mitico Medioevo. Ma quando un finto mago lancia un incantesimo su un antico libro comprato su eBay, la fantasia diventa realtà e un vero demone si manifesta con sete di sangue e anime. Questi finti guerrieri avranno il vero coraggio per alzarsi e combattere per salvare se stessi e il resto dell'umanità?

Potevano scrivere: il nano è la nostra carta magica, il punto di forza di un film godereccio, tipico scanzonato nei suoi dialoghi, struttura, ritmo e soprattuto humor nero a palate e una frecciata verso gli universi nerd.
Prodotto dalla IndieVest che ha avuto diversi problemi con il regista e la distribuzione, da noi ovviamente non accenna a presentarsi in nessuna forma, bisogna solo aspettare che finisca su qualche piattaforma streaming o su qualche motore di ricerca.
Lynch arriva da qualche horror nemmeno riuscitissimo come il sequel di WRONG TURN.
Il film per certi versi è anomalo perchè parte benissimo, con una grossa carica emotva e i personaggi molto ben caratterizzati, per poi perdere l'appiglio dietro proprio quello che doveva essere il contributo essenziale alla storia overo il Succube e quindi il taglio horror.
C'è sempre di più nel cinema questa sorta di sterzata, quasi per disinibire il genere e forse anche per arrivare a soluzoni in termini di ritmo e azione maggiore.
In questo caso non c'è n'era poi così bisogno.
Il film avrebbe funzionato molto bene anche senza questa inutile forzatura, nel finale volutamente weird, come per la performance del protagonista che sembra citare tra le righe di TENACIOUS D.


venerdì 21 febbraio 2014

Hunter-Il Cacciatore

Titolo: Hunter-Il Cacciatore
Regia: Rafi Pitts
Anno: 2010
Paese: Iran
Giudizio: 3/5

Appena uscito di prigione, Ali pensa solo a recuperare il tempo perduto assieme alla moglie e alla figlia di sei anni. I turni di notte come guardiano presso una fabbrica di automobili gli impediscono di essere costantemente presente, ma Ali cerca comunque di fare il possibile per stare accanto alla famiglia. Nei momenti in cui loro sono fuori, attraversa a piedi tutta Teheran per andare a cacciare nei boschi della periferia. Un giorno, di ritorno da una di queste battute di caccia, Ali torna a casa e non trova più né la moglie né la figlia. Quando si rivolge alle autorità per denunciare la scomparsa, viene a sapere di un brutale incidente avvenuto fra la polizia e alcuni manifestanti.

La condanna che sembra travolgere il destino di Ali, appare agli occhi del regista come un quadro neorelista. E' un fatto sociale quello che emerge da questo intenso e dramatico film iraniano in un panorama su cui negli ultimi anni di guerre,tensioni e attentati, la sopravvivenza sembra sempre più fare parte di una circolarità del destino che non offre scampo e vie di fuga.
Il finale è sempre tragico. La vendetta e lucida follia di Ali diventa una missione personale e disperata che non potrà che allargare la catena di follia e isolare il protagonista in un suo universo lontano da tutti, in cui il governo, il caos che imperversa nel paese, la difficoltà a cercare e trovare dialogo e i fanatismi religiosi sempre più accesi, diventano gli arti su cui si allunga la denuncia e il bel dramma di Pitts.

sabato 28 dicembre 2013

And Soon the Darkness

Titolo: And Soon the Darkness
Regia: Marcos Efron
Anno: 2010
Paese: Francia/Argentina/Usa
Giudizio: 2/5

La vacanza di Stephani ed Ellie in un villaggio esotico in Argentina è una perfetta 'fuga tra ragazze' per crogiolarsi al sole, fare shopping e flirtare con i ragazzi più belli del posto. Dopo una lunga notte in un bar, le ragazze litigano e Stephanie se ne va via da sola di mattina per calmarsi. Ma quando torna, Ellie è scomparsa. Trovando segni di lotta, Stephanie teme il peggio e si rivolge alla polizia per chiedere aiuto. Ma le autorità locali hanno le mani già piene, con una serie di sequestri irrisolti in cui sono prese di mira delle giovani turiste. Scettica sulla competenza dello sceriffo, chiede aiuto a Michael, un americano che soggiorna al loro hotel. Insieme partono alla ricerca frenetica di Ellie, ma Stephanie si rende ben presto conto che la sua fiducia in quelle che sembrano buone intenzioni può trascinarla ancora più lontano dalla verità. Con il pericolo che sale e il tempo che stringe, Stephanie deve trovare la sua amica prima del buio...

Alcuni remake sono inutili è basta, questo è chiaro ai molti fan del genere che in pellicole come queste non trovano nulla di elettrizzante, divertente e magari con un guizzo di originalità.
Il film di Efron non è nulla di tutto questo.
Uno degli errori più grossi lo commette mostrando nell'incipit iniziale, prima dell'incidente scatenante, qualisaranno le sorti dei personaggi.
A differenza dell'originale, ambientato in Francia e non in Argentina, Fuest aveva pensato ad una messa in scena molto più attenta a catturare i particolari di una natura selvaggia e di certo non è caduto così in basso da scegliere il solito elemento che risponde alla logica della figa e che nulla c'entra anche qui con l'originale.
L'unica cosa interessante del film poteva essere il personaggio di Michael intrepretato da Urban.
Il fatto molto probabile e che nemmeno lui abbia capito bene gli intenti del suo personaggio.
And soon the Darkness è un tentativo furbetto di fare un fim molto inconsistente e banale sfruttando tutti gli stereotipi e clichè del genere ma senza riuscire a farne uscire un prodotto d'impatto.
In alcuni momenti annoia pure.

lunedì 9 dicembre 2013

Spartacus-Season 4


Titolo: Spartacus
Regia: AA.VV
Anno: 2010
Paese: Usa
Stagioni: 4
Giudizio: 4/5
Prima stagione: Sangue e sabbia (13 Episodi)
La storia comincia con l’arruolamento di un trace dal nome sconosciuto nelletruppe ausiliarie romane per organizzare una campagna contro i Geti (tribù di Daci situate presso la parte meridionale del Danubio, che oggi costituisce la Bulgaria, e la parte settentrionale, l’odierna Romania) su comando del legato Claudio Glabro. Nel 72-71 a.C., il generale romano Marco Terenzio Varrone Lucullo, proconsole della provincia romana di Macedonia, marciò contro i Geti alleati del nemico di Roma, Mitridate VI del Ponto. I Geti razziavano frequentemente le terre dei Traci, quindi il legato riesce con facilità a convincerli a servire l’esercito romano come truppe ausiliarie. Glabro viene persuaso dalla moglie Ilizia a cercare una gloria ancora maggiore; abbandona quindi la campagna contro i Geti e attacca le forze di Mitridate in Asia Minore. Il trace, sentendosi tradito, diserta insieme a molti che condividono il suo pensiero, ma tornato a casa trova il suo villaggio distrutto riuscendo solo a salvare la moglie Sura. I due vengono catturati dagli uomini di Glabro il giorno seguente; lui viene condannato a morire nelle arene dei gladiatori e lei viene venduta come schiava. Il trace viene condotto su una nave a Capua, in Italia, e contraddice tutti i pronostici quando sconfigge quattro gladiatori e conquista il favore degli spettatori. Per non perdere il favore del popolo, il senatore Albinio cambia la sentenza di condanna a morte in una di schiavitù. QuintoLentulo Batiato, proprietario della scuola di gladiatori di Capua, suggerisce di assegnargli il nome “Spartacus”, perché il suo stile di combattimento gli ricordava quello dell'omonimo re trace.
Spartacus viene sottoposto ad addestramento per diventare un gladiatore dal maestro Enomao. Inizialmente ostile, Batiato riesce a guadagnarsi la sua fiducia promettendogli di ritrovare sua moglie Sura. Spartacus, intanto stringe amicizia con Varro, un romano che è diventato gladiatore spontaneamente per pagare i debiti e aiutare la sua famiglia, ma si guadagna l'odio di gladiatori veterani comeCrisso, il gallo campione di Capua, e Barca, un cartaginese. Spartacus e Crisso vengono scelti per affrontare Theokoles, un leggendario gladiatore di origine spartana. Crisso, riuscendo temporaneamente a mettere da parte l'odio verso il compagno dopo aver trovato l'amore nella schiava Naevia, permette a Spartacus di sconfiggere il nemico e di diventare il nuovo campione di Capua.
Nel frattempo, arriva da Napoli un uomo incaricato da Batiato di trasportare Sura a Capua, ma la donna è stata ferita mortalmente da alcuni banditi e muore tra le braccia del marito. In realtà è stato Batiato stesso a ordinare al suo uomo di uccidere la donna, per togliere ogni idea di una vita oltre l'arena e trasformarlo in un gladiatore che combatta per la sua gloria. Spartacus, non avendo più altro per cui vivere, accetta il suo destino di gladiatore.
Le cose cambiano quando Spartacus è costretto a uccidere il suo migliore amico Varro, in un’esibizione in onore di Numerio, figlio del magistrato di Capua. Ilizia, che odia Spartacus per aver umiliato il marito, seduce Numerio e lo convince a condannare a morte il duellante sconfitto. Devastato dal dolore per la perdita delle due persone più care, in sogno Sura e Varro gli fanno capire che qualcosa non torna nella morte della moglie. Il trace, ottenuta la verità dall'uomo di Batiato sulla fine di Sura, decide di ribellarsi e ottenere la libertà con la forza.
Spartacus riesce ad aprire gli occhi sulla verità e sulla crudeltà dei romani anche a gladiatori come Crisso, sempre in disaccordo con lui. Tutti i gladiatori si ribellano apertamente durante una celebrazione, uccidendo Batiato e facendo strage tra gli ospiti. Dopo il massacro, Spartacus giura vendetta contro Roma, intenzionato a liberare gli altri schiavi.


Seconda stagione: La vendetta (10 Episodi)
Spartacus e gli altri gladiatori e schiavi della casa di Batiato sono in fuga a seguito della rivolta. Sulle sue tracce c'è Gaio Claudio Glabro, ora divenuto pretore, che ha nella mancata cattura di Spartacus i motivi di un freno alla sua carriera politica a Roma. Giunto con la moglie Ilizia presso la villa di Batiato, scopre che la moglie di questi, Lucrezia, è ancora viva. Spartacus, Crisso e altri tentano la liberazione di Naevia nelle miniere; Naevia viene liberata ma Crisso viene catturato. Anche Enomao, che ha perso tutto quello in cui credeva, viene catturato per mano di Ashur, che offre i suoi servigi a Glabro. Crisso, Enomao e gli altri gladiatori catturati vengono condannati a morire nell'arena; tra i gladiatori selezionati per compiere l'esecuzione vi è anche Gannicus. Spartacus, con un manipolo di uomini, s'infiltra nell'arena dandole fuoco e approfittando della confusione per liberare i compagni. I ribelli fuggono in un tempio greco abbandonato alle pendici del Vesuvio. Da qui conduce alcune azioni, tra cui la liberazione di schiavi nel porto di Napoli. Successivamente Gannicus cattura Ilizia, la moglie del pretore Glabro, e offre la sua vita a Spartacus per far pareggiare i conti e far terminare la guerra. Quando il trace si rende conto che il pretore è disposto a sacrificarla pur di ucciderlo, decide di liberarla. Glabro attacca Spartacus al tempio e lo costringe a ritirarsi sul Vesuvio, assediandolo. Con i suoi più abili alleati, tuttavia, il trace si fa calare dalla parete del vulcano e attacca Glabro su due fronti, riuscendo a prevalere e a ucciderlo.


Terza stagione: La guerra dei dannati (10 Episodi)
Gaio Claudio Glabro è morto. Molti mesi sono passati da quando i romani sono stati sconfitti, e l'esercito ribelle, guidato da Spartaco e dai suoi gladiatori Crisso e Gannicus, continua ad accumulare vittorie su Roma. Con migliaia di schiavi liberati, è diventato una forza che ha cominciato a sfidare anche i potenti eserciti di Roma. Spartacus è più determinato che mai a far crollare l'intera Repubblica Romana. Dopo la morte di Ashur, Naevia e Crisso sono un tutt'uno con ritrovata forza e determinazione. E Gannicus, cercando sempre di abbracciare la vita al massimo, condivide il suo letto con Saxa, bella e pericolosa. I ribelli sono impegnati in uno scontro sanguinoso dopo l'altro e devono prepararsi per l'inevitabile: una guerra totale con Roma.
Il Senato romano si rivolge al suo ricco cittadino, Marco Licinio Crasso, per gli aiuti. Un potente, politico e stratega, che rispetta il suo avversario e si rifiuta di fare gli stessi errori dei suoi predecessori. Insieme a suo figlio Tiberio e a un giovane e fortemente competitivoGiulio Cesare come alleati, Crasso è determinato a schiacciare Spartaco e la sua ribellione. È la conclusione epica di un viaggio leggendario.


Prequel: Gli dei dell'arena (6 Episodi)
Differentemente dalla serie originale, il prequel vede come protagonisti Batiato e il gladiatore celta Gannicus, e non Spartacus, poiché gli eventi qui riportati sono antecedenti all'arrivo di Spartacus nella casa di Batiato. Crisso, l'indomito gallo, è ancora alle prime armi ed Enomao non è ancora un maestro. Gannicus è il primo gladiatore a guadagnarsi il rudio (pugnale di legno rappresentativo della libertà) dopo aver mostrato il suo valore nell'arena in una competizione tra gli uomini di Solonio e quelli di Batiato.

Lo sentite questo rumore? È il suono di centinaia di cuori che battono, sanguinano e si spezzano all’unisono fino a formare una melodia di morte sul campo di battaglia. E, in mezzo al fragore delle spade, come un secondo miracolo operato dal portatore della pioggia, nessuno di loro si perde nel suono degli altri ma ad ognuno viene concesso il suo momento da solista nell’attimo del congedo dalla vita e dalla Storia che quasi duemila anni fa ne ha decretato la triste fine. Dalla polvere dell’arena a quella del campo di battaglia, al crocevia tra mito, destino, libera scelta e necessità storica, esplode in un finale intenso come pochi l’epilogo dell’epopea del trace che riuscì a far tremare un gigante
Provate a immaginare se in uno scenario come quello del GLADIATORE ci fossero dei combattimenti alla 300 senza però averne lo spirito reazionario ma solo saturandone i colori.
Dopo tre stagioni regolari più una miniserie spin-off, il racconto moderno dello schiavo trace che osò sfidare la Repubblica romana trova la sua storica conclusione. Ed è un peccato perchè tutte e quattro le serie sono davvero interessanti, girate con stile e rigorosa determinazone.
Senza stare ovviamente a dire che SANGUE E SABBIA e DEI DELL'ARENA sono migliori dell'ultima e del prequel, bisogna soffermarsi su un pregio delle serie, ovvero la scelta dei personaggi e la loro caratterizzazione. Spartacus, Crisso, Sura, Batiato, Lucrezia, Oenomaus, Gannicus, Glabro, Agron, Illizia, Ashur, Naevia, Mira, Nasir, Solonio, Giulio Cesare, Crasso, Barca.
Spartacus: Blood and Sand mette in scena il coraggio, l'onore, il rispetto degli schiavi gladiatori in parallelo all'avidità, al cinismo e all'immoralità dei ricchi. Due micromondi che si intrecciano e parlano fra loro con il linguaggio del sesso e della violenza e con dei dialoghi e un ritmo sempre molto sostenuto.
Se l'universo delle fiction e delle serie tv fosse tutto così guarderei molte più serie americane. Questa devo dire che mi è proprio piaciuta, al di là dell'affidabilità storica che non emerge mai troppo realistica dalle trasposizioni. Per essere quattro stagioni da almeno quasi dieci episodi l'una fare un'unica recensione non è cosa facile, ma al contempo stare a scrivere di ogni serie diventerebbe lento e noioso.
Whitfield l'attore che lo interpretava nella prima serie è morto di tumore ed è stato sostituito nelle successive due da Mc Intyre.
Nel 20XX c'è ancora bisogno di un ribelle che sfida i potentati economici, guida le proteste degli indignados e ci affranca dal consumismo.
La serie tv dell'emittente Starz ha riportato di estrema attualità la vicenda storica, colpendo lo spettatore prima con un orgia grafica di sangue, violenza e corpi nudi, poi con una sceneggiatura avvincente e ricca di trovate originali.
Meravigliosa è la figura della donna che emerge da tutte le serie. Le donne sono mostrate come intelligenti, intraprendenti e consapevoli del loro ruolo ma anche del loro potere. E tuttavia il miglior omaggio alla donna è quello che viene fatto attraverso il personaggio di Saxa. Una guerriera forte, bellissima, gloriosa. Nell’ultima battaglia si abbatte come un’amazzone sui romani, seminando il terrore e non essendo da meno dei suoi compagni maschi. E tuttavia, quando anche lei cade, uccisa dalle spade nemiche, morendo tra le braccia di Gannicus rivela tutta la splendida fragilità femminile che ha tenuto nascosta e tutto l’amore di cui anche una guerriera è capace.
Spartacus non è solo un inedito (nello scenario televisivo) intrattenimento per stomaci forti, il suo creatore DeKnight si sforza, senza la pretesa di sfiorare le vette di Roma, di servire allo spettatore una trama orizzontale coerente che confluisce negli eventi storici noti, esponendo l'eziologia della rivolta degli schiavi capeggiata da Spartacus. Il dolore per la perdita della libertà e dell'identità, la ribellione nei confronti dell'autorità, il desiderio di ricongiungimento alla famiglia, la discesa nell'inferno degli incontri clandestini, il tentativo di annichilirsi rinnegando le proprie origini e abbracciando il destino del gladiatore, il rigetto della seduzione del potere e la brama di vendetta conducono inevitabilmente alla ribellione (con annessa mattanza) finale.
Infinito come l'esodo del popolo d'Israele, Spartacus è una meraviglia per gli appassionati di combattimenti e vicissitudini. Personaggi caratterizzati così bene mancavano dallo scenario da parecchio tempo e trovare soluzioni di continuità e scontri così epici e titanici non è cosa semplice.

sabato 14 settembre 2013

Moby Dick

Titolo: Moby Dick
Regia: Mike Barker
Anno: 2010
Paese: Germania/Austria
Giudizio: 2/5

Ismaele vede i suoi sogni realizzarsi quando, lasciati gli insegnamenti, viene ingaggiato come membro dell’equipaggio del Pequod, un peschereccio a vela usato per dare la caccia a balene e capidoglio. Al timone della nave vi è il comandante Achab, coadiuvato dal primo ufficiale Starbuck . Quello che Ismaele ignora è che Achab da anni ha un solo obiettivo nella testa, catturare la gigantesca balena bianca ribattezzata con il nome di Moby Dick.
Realizzato da GRUPPE MÜNCHEN TELE. RTL e ORF, questa produzione europea ha dal suo un enorme vantaggio. Dal momento che il romanzo di Melville è stato ed ha avuto un'unica memorabile trasposizione nel '56 di John Huston, le produzioni si erano tenute alla larga da questo ambizioso e certo non facile progetto. L'idea invece di farne due film in un totale di quasi 190' ha fatto sì che Barker e lo stuolo di sceneggitori riuscissero a cogliere meglio le riflessioni e le caratterizzazioni dei personaggi, anche quelli secondari.
Ovvio che l'opera presenta svariati problemi dal ritmo spesso incerto, le digressioni troppo noiose e un ritmo che spesso fatica a decollare anche nelle scene marittime.
Se l'elemento scenico vacilla, il cast cerca comunque di tirare su il morale della ciurma grazie a Hurt, Hawke e Sutherland.
Una trasposizione al passo con i tempi ma non ancora decisiva sullo scontro tra l'uomo e la più grossa creatura degli oceani.



giovedì 20 giugno 2013

Saw the Devil

Titolo: Saw the Devil
Regia: Kim Jeen-woon
Anno: 2010
Paese: Corea del Sud
Giudizio: 4/5

Dopo aver vissuto in diretta telefonica la morte della fidanzata per mano di un serial killer, un agente speciale si scatena in una caccia all'assassino senza esclusione di colpi, con l'intento di infliggergli le stesse sofferenze subite da troppe vittime innocenti

Kim Jeen-woon è una delle cose più belle e interessanti giunte a noi dalla Corea del Sud. E'vero il suo cinema non è commerciale (tranne casi come LAST STAND) e la distribuzione non è sempre stata quella che si sperava però qualche pellicola è aRrivata e le altre, come molte del resto, si possono trovare in rete.
Diciamo che su un manipolo di dieci film non ne ha sbagliato nemmeno uno. Diciamo che è fuori dagli schemi uscendo fuori dai generi ed essendo capace di mischiarli creando dei semi-capolavori come è stato recenmtemente il caso di IL BUONO,IL MATTO E IL CATTIVO.
In questo caso chi ha visto il diavolo?chi è o cosa è il diavolo? Cosa può impossessarsi di una persona portandola a crearsi un suo microcosmo di valori e scelte o cambiandone completamente la natura. Prevalgono gli istinti, c'è un meccanismo di identifizacione multipla, un susseguirsi di estreme, radicali e spietate scelte che mettono le basi e creano anche degli scorci preziosi di cinema vitale.
Ancora una volta la visualizzazione esplicita della violenza non cade nella banalità del male ma è ancorata ad una spirale di vendetta che non conoscerà regole.
Ancora una volta sviscera un duello individuale in cui le istituzioni vengono lasciate dietro la furia selvaggia dello scontro personale
Bravissimi come sempre i due attori Lee Byung-hun, attore feticcio del regista e il contrappeso del gigantesco Choi Min-sik.