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venerdì 30 ottobre 2015

Green Inferno

Titolo: Green Inferno
Regia: Eli Roth
Anno: 2013
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Un gruppo di studenti attivisti viaggia da New York fino in Amazzonia per salvare una tribù morente, ma si schianta nella giungla e viene imprigionato dagli stessi indigeni che voleva proteggere.

La carneficina degli attivisti e dei media.
Eli Roth è un regista che omaggia e contamina senza brillare certo di originalità. Pupillo del suo mentore, Tarantino, si è sempre ritagliato ruoli da interprete ed è diventato uno dei nomi saldi per l'horror post-contemporaneo mediatico.
A mio parere non ha mai aggiunto o dato spessore al genere, rimanendo sulla bassa soglia, con punte di exploitation a volte persino gratuite.
Green Inferno è un ulteriore conferma di un talento furbacchiotto e nulla più.
Omaggiando i cannibal-movie, di cui il nostro paese è stato precursore (in particolar modo Deodato) Roth sfrutta la comunicazione globale, l'attivismo, i social e tutto il resto per rendere più hi-tech il film e modernizzarlo quanto basta.

Se da un lato non voglio iniziare con tutte le critiche concernenti lo sviluppo di alcuni contenuti e la cultura antropologica che sta dietro, quello che mi preme far capire di questa pellicola farlocca è soprattutto il puritanesimo del cinema americano. Roth non sembra assolutamente criticarlo, il quale tollera assai meglio la morte più selvaggia di un seno denudato, e sembra essere molto più importante la banalità dei meccanismi posti in evidenza, i quali dopo aver trattato del turismo sessuale, del delirio consumistico e il capitalismo selvaggio arriva all'attivismo, senza dare nessuna critica interessante ma evidenziando aspetti già noti come il falso leader carismatico e una protagonista affascinata più da un'idea e da un leader, che non dalla causa, protetta dal padre che è un famoso avvocato dell'Onu. Il finale poi con la dichiarazione della protagonista sulla tribù amazzone è di una banalità sconcertante.  

mercoledì 2 luglio 2014

Tribe

Titolo: Tribe
Regia: Jorg Ihle
Anno: 2009
Paese: Usa
Giudizio: 1/5

Un gruppo di cinque amici, un innamorato dal cuore spezzato e due coppie, naufragano accidentalmente su un'isola in apparenza deserta. Non sanno che in quei luoghi selvaggi vive una numerosa tribù di ominidi che si mantengono anche grazie a pratiche cannibali. Appena giunti sull'isola i cinque sfortunati naufraghi diventeranno nient'altro che preda e cibo per questa tribù, che non esiterà un attimo a ucciderli uno a uno nei modi più feroci, fino a quando l'ultima sopravvissuta non troverà le forze di reagire e dare battaglia ai selvaggi con medesime modalità. La giovane donna è all'oscuro di essere oggetto del desiderio sessuale del capo tribù...

Copia e incolla di un qualsiasi survivor movie di questi ultimi anni sputati fuori come palline di bonza dalle bocche degli americani. Senza un'anima e un qualsiasi pretesto che aggiunga qualcosa o tenda a diversificare il genere, il film di Ihle è davvero riprovevole, per nulla sanguinolento e i mostri sembrano a metà tra dei disadattati e le creature di Predators.
Nient'altro da aggiungere se non che tutto vacilla, dalla pessima recitazione degli attori, ad una storia sciatta, una realizzazione ridicola e un'atmosfera inesistente che poteva almeno sfruttare le suggestive location.

martedì 23 agosto 2011

Dying Breed


Titolo: Dying Breed
Regia: Jody Dwyer
Anno: 2008
Paese: Australia
Giudizio: 3/5

L'assassino Alexander Pearce sfugge dalla prigione di massima sicurezza dell'Impero Britannico nel cuore della Tasmania insieme ad altri sette prigionieri. Soltanto lui riemerge dalla foresta, con addosso branelli di carne umana.

Gli horror australiani da qualche anno come in altri paesi non proprio dediti all’horror hanno saputo dire la loro. Dying Breed non fa eccezioni, è astuto nel tessere una storia che prende due icone della società e non, come la tigre Tasmaniana e appunto il cannibale che per anni si è cibato con i brandelli di carne di sette detenuti(sembra per altro essere tutto vero).
Dwyer procede con calma, semina elementi interessanti, caratterizza bene i personaggi in particolar modo la zoologa Nina che vuole a tutti i costi la spedizione e la ricerca per capire che fine ha fatto la sorella(indovinate che fine potrà aver fatto?), e poi raccoglie suspance a valangate in tutta la seconda parte con squarci di territorio fantastici come solo l’Australia e altri pochi paesi sanno regalare soprattutto in tema di meraviglie paesaggistiche e la natura selvaggia ostacolo perenne per i protagonisti di questi film.
La scelta poi di portare tutto sulla fantastica cittadina di Sarah, popolata da un connubio tra bifolchi e cannibali è la ciliegina sulla torta.

martedì 26 aprile 2011

Stag Night

Titolo: Stag Night
Regia: Peter A. Dowling
Anno: 2008
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Quattro ragazzi reduci da una festa di addio al celibato prendendo la metropolitana scendono in una stazione dismessa dagli anni '70, e dopo aver visto transitare il corpo di un poliziotto brutalmente assassinato si ritrovano braccati da un pericolo che non si sanno spiegare proprio sotto le strade di New York.

Stag Night è uno di quei tanti film indipendenti che per motivi anomali sono stati abbandonati dalla distribuzione e dai produttori che almeno per quanto concerne i festival potevano riservargli una giusta accoglienza ma forse dopo i primi venti minuti ci hanno rinunciato tutti all'unisono anche se a dirla tutta mi è capitato di vedere ben di peggio presentato ad un festival.
Il soggetto non è originalissimo, scandagliare le stazioni dimesse erano già location cara per alcuni horror del passato come ad esempio NON PRENDETE QUEL METRO' di Sherman del '72, notare come anche qui c'è la presenza del cannibale(non uno ma ben tre con tanto di figlio alias "creatura nana quasi follettiana")e alcune scene sembrano proprio ispirate dal vecchio film britannico.
Direi che tra le citazioni il film sopracitato valga la menzione speciale ma nonostante questo Dowling nella sua inesperienza ci crede e cerca di tenere alta la supance della storia senza esagerare nelle divagazioni ma rimanendo sempre coerente in una descrizione abbastanza realistica.
Stag Night, l'addio al celibato può sicuramente avvalorarsi di qualche scena carina ma nel totale appare purtroppo come una pellicola facilmente dimenticabile e a dirla tutta è un vero peccato contando la location e alcune buone idee ma assistiamo per troppo tempo alle cavalcate di questi barboni cannibali che corrono e gridano neanche soffrissero di rabbia(o forse sì...non ci è dato saperlo)
Sicuramente non aiuta un cast di giovani bellocci che non sembrano essere mai in parte realmente ed un finale veramente abbastanza pacchiano.

martedì 22 marzo 2011

Papaya dei Caraibi

Titolo: Papaya dei Caraibi
Regia: Joe D'Amato
Anno: 1978
Paese: Italia/Repubblica Dominicana
Giudizio: 3/5

Geologi e ingegneri sono inviati da una multinazionale in un villaggio di Santo Domingo per costruirvi una centrale nucleare. Gli abitanti del luogo, sfrattati dalle loro terre, con la complicità della procace creola Papaya li attirano, ad uno ad uno, in una trappola mortale.

"La violenza ha un senso solo quando serve ad opporsi ad altra violenza"
Cinema erotico-esotico. Mah...
Non c'è tanto da dire su questo debole thriller che non vuole essere dichiaratamente splattere ed erotico anche se sotto certi aspetti lo rispecchia eccome, ma trattasi di tentativo di voler condannare i colonizzatori e i loro intenti espansionistici.
Eppure la trama è il pretesto per uno svolgimento che si dipana in ben altri intenti e che forse ottiene quello che vuole proprio grazie ad un alternarsi di scene ad alto impatto senza avere i pretesti di sceneggiatura per dire veramente qualcosa.
O forse D'Amato esprime il messaggio con i segnali del corpo....
E'così la cavia che gioca nella vasca con i due piccioncini(lui bruto,lei bionda)per poi capire che il bruto e il maschio cattivo e quindi va scopato per bene prima di essere punito e lei bionda che per ribellarsi a questa condizione si lascia travolgere dall'immancabile tipo di colore.
Qualche momento lo regala come la bionda inseguita dai bambini, scene inutili di squartamenti di animali e combattimenti tra polli per arrivare all'immancabile scena finale lesbica in cui le due si ricongiungono e ripartono assieme per una nuova avventura.
Questo in sostanza è lo spiacevole andamento di questa pellicola lenta e straziata da passaggi insostenibili e noiosi.
La regia è quantomeno anomala contando il regista in questione e salvo le location e qualche musica lounge il resto è assolutamente trascurabile.

Non prendete quel metrò

Titolo: Non prendete quel metrò
Regia: Gary Sherman
Anno: 1972
Paese: Gran Bretagna
Giudizio: 3/5

A  Londra, l’ispettore Calhoun indaga su misteriose sparizioni avvenute in una stazione del metrò e scopre che sono opera di un deforme cannibale che vive nei sotterranei, discendente di alcuni operai sepolti vivi durante gli scavi della metropolitana.

Datato '72 questo horror intelligente che sfrutta una location azzeccatissima come luogo d'azione vale sicuramente più di un encomio per l’anno in cui è stato girato. Credo sia uno dei primi film ad usare la stazione del metrò come ambientazione. Il cannibale in questione mostrato non è il classico psicopatico come in quasi tutti gli ultimi horror. Fondamentale per lui è la sopravvivenza che lo porta ad uccidere per cibarsi e soprattutto per cercare di aiutare alcuni compagni che però non c'è la fanno.
Un mondo sotterraneo silenzioso contrapposto ad una Londra caotica in cui un ispettore e due giovani cercano di svelare misteriose sparizioni.
Buona la fotografia anche se il formato in vhs non era proprio eccezzionale, le scene in cui si cibano dei corpi quasi non si vedevano. Bravo Donald Pleasence(l'ispettore), così come il cannibale e intravediamo per un breve cameo anche un Christopher Lee in veste di autorità.
Un ottimo horror inglese con un messaggio anche chiaro sulla sopravvivenza e sulle modalità di risoluzione di alcuni scomodi problemi da parte del governo e di come occultare la presenza di venti operai costretti dalle circostanze a trasformarsi in carnefici.
Buona opera prima del regista di POLTERGEIST 3.

lunedì 21 marzo 2011

Jenifer

Titolo: Jenifer 
Regia: Dario Argento
Anno: 2005
Paese: Usa
Stagione: 1
Episodio: 4
Giudizio: 3/5

Un poliziotto salva dalla morte per decapitazione una ragazza dal volto mostruoso e il corpo stupendo, che lo strega al punto di fargli mollare la famiglia e andare a vivere con lei in una casa in mezzo a un bosco. La ragazza ha lunghi capelli biondi stile The Ring che in parte coprono un viso orribile, occhi neri come il petrolio e privi di pupille, denti affilati e bocca deforme. Il poliziotto si innamora e precipita in una spirale di orrore senza fine, quando si rende conto che Jenifer uccide senza pietà e si ciba delle interiora dei corpi massacrati.

Sicuramente bisogna riconoscere un merito a Dario Argento, cioè il fatto di essere stato il più splatter(in questo episodio un po’ meno) tra i maestri del master of horror, se non contiamo Miike Takashi.
Il soggetto non è neanche così originale. Una ragazza deforme che si ciba di interiora umane e cosa già vista in molteplici horror e cannibal-movie italiani.
Certo Jenifer ha una bella maschera è questo suo atteggiamento iniziale ricorda John Merrick ma poi deraglia per trasformarsi in un mostro che non sa scegliere tra ciò che è giusto e cosa invece no(nessuno le aveva detto che non si possono mangiare i bambini). Le scene di sesso devono essere piaciute molto al regista tanto da riuscire ad annoiare mettendone diverse una dopo l’altra. Abbiamo capito che Jenifer ha un corpo fantastico, ma non è questo l’elemento che ci fa innamorare del personaggio in cui manca ogni forma di identificazione cosa che invece succedeva con il film di Lynch.
Non siamo ai livelli di PELTS, ma comunque non è tra i peggiori degli episodi.
Giravano voci su Sergio Martino, Umberto Lenzi, Lamberto Bava e Nicola Rondolino al timone di episodi che avrebbero riportato un contributo solido nel nostro carente mercato dell’horror ma non è stato così almeno per ora.

Washingtonians

Titolo: Washingtonians
Regia: Peter Medak
Anno: 2007
Paese: Usa
Stagione: 2
Episodio: 12
Giudizio: 3/5

Dopo il funerale di sua nonna, Mike scopre che nella sua cantina c’è un oggetto che potrebbe cambiare il destino dell’America: scopre infatti che George Washington era in realtà un insaziabile cannibale! Dovrà quindi fuggire dagli uomini che questo segreto lo vogliono tenere sepolto, uomini che sono… affamatissimi di carne umana!

Peter Medak è un mestierante nel cinema. Il suo contributo all’horror è stato quasi inutile con il film SPECIES 2. Questo episodio grazie ad una storia caruccia parte bene e non annoia, peculiarità a cui non fanno parte tutti i MOH.
La teoria di George Washington come cannibale e la sua setta come massimo movimento estremista che negli anni è riuscito a rimanere nascosto regge e diverte.
Buone scene splatter anche se dosate con il contagocce e buona anche la direzione degli attori dove protagonista è Johnathan Schaec l’attore di “Doom Generation” e “Splendor” e che ha avuto modo di farsi apprezzare anche nella serie FEAR IT SELF.
Nonostante tutto è un bel MOH che merita di essere tra i protagonisti di questa seconda stagione.


domenica 20 marzo 2011

Albert Fish

Titolo: Albert Fish
Regia: John Borowsky
Anno: 2007
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

“Mi ci vollero nove giorni per mangiare il suo intero corpo. Non l'ho scopata anche se avrei potuto se lo avessi voluto. Morì vergine”
Fish è conosciuto anche come l'Uomo grigio, il Lupo mannaro di Wysteria e il Vampiro di Brooklyn. Negli anni '20 si vantò di aver molestato più di 100 bambini e fu sospettato di almeno cinque omicidi. Messo a giudizio per l'omicidio di Grace Budd, fu dichiarato colpevole ed è stato il più vecchio per ora negli States a finire sulla sedia elettrica (65 anni).
Film sui serial killer ne sono stati fatti molti. Borowsky che sembra avere il pallino per le cronache dei serial killer ( H.H. Holmes: America's First Serial Killer) sceglie la strada del documentario e in parte della fiction (ci sono immagini di repertorio,interviste reali, pezzi recitati pure abbastanza male)per dare un tratto inquietante su un personaggio molto controverso simile per certi versi a Chikatilo, Gein e Dahmer(solo per citarne alcuni).
Da qui l'esigenza del regista di entrare in profondità calandosi nella storia e delineando un fulminato di Dio(si credeva un illuminato) cogliendo man mano che il film incalza una tensione calibrata per la storia che niente a che fare con la finzione (era dedito al vampirismo e si pungolava per espiare le colpe) ma trattasi di fatti reali e di una identità mai così malata.
Fish è stato fonte di ispirazione per Craven( NIGHTMARE) e citato da Rob Zombie (LA CASA DEI 1000 CORPI)
Dal punto di vista tecnico il film anche se abbastanza sobrio, cerca sempre di focalizzare l'attenzione sulla perizia e la prassi del killer grazie anche a una buona fotografia che non riesce sempre a dare lo stesso spessore per colpa di una voce off che non sempre da la giusta grinta.


Road

Titolo: Road
Regia: John Hillcoat
Anno: 2009
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Per sfuggire all'inverno, un padre e un figlio percorrono una lunga strada diretti verso sud. Lo scenario è apocalittico, la civiltà è stata distrutta da un grande ed inspiegabile cataclisma. Molti umani sono sopravvissuti ma la maggior parte delle specie animali e vegetali si sono estinte. Il sole è perennemente oscurato da nubi ed il clima è radicalmente cambiato.Gli esseri umani sono diventati violenti e selvaggi a causa delle condizioni estreme in cui vivono. L'istinto di sopravvivenza prevale e li induce a atti di cannibalismo e segregazione verso i propri simili, con lo scopo di poter soddisfare i propri bisogni alimentari. Padre e figlio viaggiano verso sud. Armati di una pistola, munita di solo due proiettili, cercano di sopravvivere.
E’ una soddisfazione quando un cinefilo trova finalmente una pellicola che lo appaghi al cento per cento. Un film pienamente riuscito con un indimenticabile interpretazione(Viggo Mortensen in uno stato di grazia) e uno sviluppo da epopea a cui non eravamo più abituati.
Sceneggiato da Joe Penhall e tratto dal romanzo di CormacMcCarthy-La strada vincitore del premio Pulitzer nel’07 è il successivo capolavoro dello scrittore dopo NON E’UN PAESE PER VECCHI.
Hillcoat dopo il riuscito LA PROPOSTA gira senza mezzi termini uno dei film più poetici mai visti negli ultimi anni. Un film che lascia sgomenti, senza per forza dover fare riferimento alle atrocità umane, ma dandogli quasi una parvenza di normalità, un film che fa piangere per quanto è disperato e realistico. Finalmente assistiamo ad una tragedia in parte celata, ad una scenografia mai così apocalittica e costruita in maniera minimale ingrigita e documentata dalla fotografia perfetta di Javier Aguirresarobe, ad un viaggio dell’eroe di un bambino e del rapporto tenero ma mai superficiale con il padre, i quali non si chiamano quasi mai per nome, dopo una tragedia che ha fatto perdere a tutti la voglia di vivere. Una moglie che prende la strada più stupida ed un padre che si ritrova a dover maniacalmente curare e proteggere suo figlio dalla civiltà scarna e dagli innumerevoli pericoli. Un padre che non riesce più a credere nella bontà dell’uomo a differenza dello sguardo innocente del ragazzino che crede nella redenzione.
Crudo, violento, onirico, in uno scenario che non ha bisogno di mostri o prodotti di fruizione ma sfrutta l’angoscia più grande e mostra un’umanità annientata condannata a perire e cibarsi altri sopravvissuti. Scandito da flash-back che non fanno mai perdere di vista la realtà degli eventi ma anzi servono come tasselli per cercare di capire qualcosa che il regista opportunamente lascia celato.
Il film è stato definito troppo deprimente e da qui si intuiscono le materie principali che il film mantiene e sviluppa ad arte. Distribuito dalla Dimension Film e girato con un budget di 20 milioni di dollari e passato quasi in sordina alla mostra di Venezia dopo varie polemiche per le scene di cannibalismo, tra l’altro fatte intuire ma quasi mai mostrate, The Road è solamente un film indimenticabile.