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martedì 11 maggio 2021

Jungleland


Titolo: Jungleland
Regia: Max Winkler
Anno: 2019
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Per pagare il loro debito con un boss del crimine, due fratelli devono accompagnare una ragazza in Nevada e partecipare a un torneo clandestino nel quartiere di Chinatown a San Francisco.
 
Jungleland è un film sincero, un affresco su quell'America che vuole raccontare i propri drammi e che non concede scelte facili spesso portando a scelte e destini ineluttabili. E' così ancora una volta c'è la boxe come scelta disperata come way of life, come metafora sociale, come riscatto e rivalsa. Ci sono due fratelli con un macigno addosso di sofferenza e problemi con la malavita. Jungleland grazie anche a Hunnam che non smette di sorprendere e l'ottimo come sempre O'Connell riesce nel difficile compito di dare sempre lo stimolo giusto quando le carenze narrative diventano evidenti con degli scivoloni enormi e soprattutto non riuscendo mai a far esplodere il dramma come si deve. Per fortuna che la complicità tra i due attori inglesi è evidente come la new entry della ragazza da scortare che diventa perfetta per osservare al meglio il difficile rapporto fraterno.
Gli incontri di boxe sono eccellenti e cruenti al modo giusto ma non riescono ad essere incisive come i dialoghi e i battibecchi tra Stanley e Lion.

martedì 27 aprile 2021

Ne Zha


Titolo: Ne Zha
Regia: Yu Yang
Anno: 2019
Paese: Cina
Giudizio: 4/5

Il giovane Nezha è nato da una perla celeste del Signore Primordiale dei Cieli. Con poteri unici e straordinari, si è ritrovato presto emarginato, odiato e temuto. Destinato da un'antica profezia a portare distruzione nel mondo, Nezha dovrà scegliere tra il bene e il male per spezzare le catene del destino e diventare un eroe.

Ne Zha è un altro validissimo esempio di messa in scena della mitologia cinese e il suo folklore dopo alcuni fasti assoluti come lo Scimmiotto, il celebre libro di Wú Chéng'ēn.
Divinità e uomini, demoni e altre creature nascoste nei cieli, nella terra e confinate sotto la terra.
Ne Zha non ha davvero niente da invidiare alle produzioni Disney e tutto il suo universo.
Un'opera intensa, un viaggio dell'eroe, un bambino/demone che incarna tanti aspetti di una personalità più che mai complessa e ambigua. Un film pieno d'azione, di effetti speciali mai esagerati, una miscela di colori e atmosfere sinuose e perfette, musiche sposate alla perfezione e uno stile d'animazione che rasenta la perfezione.
La storia è basata su un articolato testo di Xu Zonglin, vissuto durante la dinastia Ming, noto come "L'investitura degli dèi", di cui Jiaozi adatta molto liberamente gli episodi cruciali di Nezha, una figura mitologica molto amata in Cina e già arrivato al cinema, alla Tv, al fumetto e al videogame. Ne Zha spero segni l'inizio di un nuovo avvio per l'animazione cinese contando che i numeri che questo film ha mosso sono infatti quelli dei maggiori successi della storia; maggiore incasso in Cina per un film d'animazione, maggiore incasso della storia per un film d'animazione non anglofono (superando quindi tutta l'animazione giapponese), e secondo maggiore incasso della storia per un film non anglofono. Ne Zha segna anche un ulteriore passo avanti in termini di ritmo e montaggio, infatti qui l'apparato spettacolare è ancora più evoluto e al servizio di una regia spericolata e a tratti estremamente dinamica con scene divertenti altalenandole a scontri cruenti e momenti commoventi.

domenica 18 aprile 2021

Buco


Titolo: Buco
Regia: Galder Gaztelu-Urrutia
Anno: 2019
Paese: Spagna
Giudizio: 3/5

In un futuro non così improbabile, Goreng si fa rinchiudere volontariamente in una sorta di prigione tecnologica a livelli verticali. Quello che distingue i vari detenuti è l’abbondanza di cibo, che arriva ogni giorno su una piattaforma mobile ferma a ogni piano per pochissimo tempo. Ci sono più di 100 livelli e più si scende meno resta per chi è sotto. In ogni cella ci sono due persone che non si sono mai conosciute prima.
 
El Hoyo è il tipico film furbetto e ambizioso che con una struttura atipica e una complessa geometria di scenografie cattura subito l'interesse dello spettatore portandolo a farsi mille domande per avere solo in parte alcune risposte. Un film costipato di simbologie e dettagli a cui fare estrema attenzione come poteva essere per un altro film giocato su un discorso simile, il semi capolavoro Snowpiercer. Una struttura atipica, un ritmo vertiginoso, un'atmosfera solida e gelida come la fotografia e le pareti della prigione. Una metafora sul consumismo, su dove si è disposti ad arrivare pur di rincorrere la propria ambizione oppure sfogare i sentimenti più beceri o squallidi oppure giocare all'esperimento sociale per curiosità. Un film sicuramente non esente da difetti, preciso però nell'affondare la critica e le bestialità umane, in un continuo sali scendi voluto per spiazzare lo spettatore e renderlo vittima inconsapevole di cosa realmente sta succedendo o quali siano gli intenti, dall'altro per un gioco o un progetto del quale non si arriva mai a capire il significato ( a differenza invece del film di Bong Joon-ho dove Ed Harris alla fine spiegava a Curtis l'obbiettivo). Sicuramente impreziosito da una cura maniacale per i dettagli, da inquadrature perfette e interpretazioni molto intense, El hoyo non sarà il film dell'anno ma almeno si mette in gioco con uno scopo davvero apprezzabile.

Those who deserve to die


Titolo: Those who deserve to die
Regia: Bret Wood
Anno: 2019
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Unico sopravvissuto ad una sanguinosa operazione militare anti-Isis, l'ombroso Jonathan Wyndham decide di cambiare identità e trasferirsi in una piccola comunità dell'Alabama. I motivi, come si viene presto a scoprire, sono tutt'altro che limpidi
 
Those who deserve to die è un film insolito, politico e brutale, per certi versi ambizioso che sembra mischiare solo per alcuni aspetti il film di Weathley con gli omicidi davvero disturbanti (qui la vendetta e non la commissione) e il film della Ramsay per gli intenti politici.
Con una struttura tutt'altro che lineare, il film già dall'inizio suggerisce diverse diramazioni, mettendo in ballo cospirazioni, sette, brutali omicidi, un protagonista dal passato dolente e con i disturbi post traumatici da stress (arrivando da una guerra difficile da dimenticare) che vuole vendicarsi, una lista di personaggi da stanare e per finire un rapporto madre/bambina disfunzionale soprattutto quando il film o gli omicidi con la bambina di sfondo a Jonathan non lasciano ben chiaro se lei sia un fantasma o l’estroversione del senso di colpa del protagonista.
C'è da dire che Wood forse perchè troppo preso dall'efferatezza di alcune scene non ha saputo dare sempre continuità alla storia inserendo spesso personaggi non meglio caratterizzati, in ordine casuale, ma soprattutto una vendetta a danno di anziani, bambini e autorità. Con un finale aperto con due possibili intenti così come l’impossibilità di accertare ciò a cui si è assistito che rimane sempre un fattore preponderante della narrazione per tutta la durata del film. Terrorismo islamico e ottusità dell'americano medio: cosa è peggio..sembra domandarsi Wood per tutto il film, scavando nella mente del protagonista e lasciando soprattutto dal punto di vista del ritmo e del montaggio, un terzo atto molto confuso per certi aspetti mischiando troppo flashback, rewind, allucinazioni e visioni.


City Hunter private eyes


Titolo: City Hunter private eyes
Regia: Kenji Kodama
Anno: 2019
Paese: Giappone
Giudizio: 3/5

Ryo ha una nuova cliente, la modella Ai, che scatena naturalmente i suoi più bassi istinti, al solito comunque tenuti sotto controllo dalla fida Kaori a colpi di pesanti armi contundenti. Ai sembra essere la chiave di un macchinoso piano del boss della Dominatech, che oltretutto è un ex compagno di scuola di Kaori, da ragazzino vittima di bullismo e aiutato dall'energica ragazza. Ryo nasconde la gelosia che prova per il rapporto tra l'uomo e Kaori mentre in città la situazione si fa sempre più calda, con l'arrivo di mercenari e droni e il coinvolgimento non solo degli ex rivali Umibozu e Miki, ma pure delle proprietarie del Cat's Eye, il trio di sorelle e inafferrabili ladre "occhi di gatto".
 
City Hunter non mi ha mai fatto impazzire, mi è sempre parso una sorta di Occhi di gatto con un poliziotto maschio in più come protagonista. In questa nuova ed esilarante avventura, bisogna ammettere che Kodama, esperto di animazione, non si è fatto mancare proprio nulla inserendo azione e sparatorie a gogò assieme a tutti i vecchi personaggi della serie animata e creando un plot narrativo decisamente di livello. City Hunters appare come un'avventura leggermente sopra la soglia con diversi colpi di scena ma dall'altro lato un fattore incontrovertibile ovvero una critica forte che investe tante opere nostalgiche nell'eccessivo rispetto per il materiale originale senza fare quello sforzo in più che poteva risultare più accattivante e dare più originalità alla trama e alla struttura.
Trattandosi di un fan service la risposta viene da se, ma a parte questo limite nel concepimento, l'animazione è buona, il ritmo è concitato, forse sono troppe le slapstick tra la perversione patologica di Ryo a differenza invece delle scene rocambolesche in cui lo stesso sbaraglia a mani nude una pletora di nemici. Sempre giocando sul non prendersi sul serio e il suo contrario, risulta un'opera con una discreta dose di intrattenimento.

giovedì 15 aprile 2021

Se c'è un aldilà sono fottuto. Vita e cinema di Claudio Caligari


Titolo: Se c'è un aldilà sono fottuto. Vita e cinema di Claudio Caligari
Regia: Simone Isola, Fausto Trombetta
Anno: 2019
Paese: Italia
Giudizio: 4/5

3 ottobre 2014: ospite del critico Fabio Ferzetti in redazione al quotidiano "Il Messaggero", Valerio Mastandrea dà lettura di un messaggio speciale indirizzato a Martin Scorsese. A nome della crew che sta cercando di mettere in produzione Non essere cattivo - terzo film di Claudio Caligari che fatica ad avere il via - l'attore romano invita il regista a vedere il film di debutto del regista, Amore tossico. La questione è urgente: Non essere cattivo, ultimo dei soli tre film realizzati da Caligari in quasi quattro decenni di attività, è un'opera che "non può aspettare". Non solo per la difficoltà apparentemente incorreggibile, quasi una maledizione, nel riuscire a trovare finanziamenti per le sue sceneggiature, ma perché il regista è gravemente malato. La speranza è che Scorsese riconosca la passione divorante per la settima arte come una malattia familiare e possa correre in aiuto.
 
Commovente questo omaggio ad uno dei miei registi italiani preferiti. Un autore maledetto e un attento e lucido sociologo di un epidemia italiana legata alla droga e una parentesi sui sequestri.
Il documentario in sè cattura le ultime fasi dal casting fatto da Mastrandrea a Marinelli e Borghi, all'anima messa dall'attore romano al servizio del suo fedele maestro, al perseguire un sogno nel cassetto dopo aver scritto moltissime sceneggiature senza essere mai stato preso in considerazione dalle produzioni di allora. Un autore scomodo e per questo tenuto ai margini che con Amore Tossico
 aveva fatto parlare di sè, di ciò che non andava, dove era stato messo in croce dai perbenisti e da una certa stampa di allora che ha continuato con ODORE DELLA NOTTE a descrivere una banda di criminali e infine con un sequel del suo capolavoro ai tempi nostri Non essere cattivo che di fatto sancisce come il problema della droga persista avendo di fatto cambiato solo sostanza ma non gli effetti disastrosi su un ghetto e sui quartieri popolari.
Toccante quando parlano gli attori del suo primo film, quando tra immagini di repertorio conosciamo il cast che promuoveva il film nei festival, quando parla chi lo ha conosciuto, quando Marinelli si commuove, quando Mastrandrea si mette completamente al suo servizio aiutandolo e sostenendolo in tutto; quando Caligari assiste al suo debutto nel cortometraggio sul sociale ascoltandolo mentre parla di lui assieme a Giallini, quando vediamo la scelta del cast del suo ultimo film, quel foglio attaccato alla parete con tutte le pedine che si vanno a comporre.
Se c'è un aldilà sono fottuto. Vita e cinema di Claudio Caligari è un documentario coraggioso che andava fatto, che regala attimi di vero cinema, che detta legge su un autore che avrebbe potuto regalare molto di più se solo avessero creduto in lui..sono tanti i registi italiani ma pochi quelli a cui hanno dedicato e che hanno meritato un documentario come omaggio


Aquaslash


Titolo: Aquaslash
Regia: Renaud Gauthier
Anno: 2019
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Gli studenti della Valley Hills High School hanno scelto il parco Wet Valley per festeggiare il diploma. Si prevedono ore di divertimento tra sbronze e momenti di sesso sfrenato, il tutto in pieno stile anni Ottanta.
I ragazzi però non sono consapevoli del fatto che un killer si aggira nel parco con lo scopo di uccidere più persone possibili, inserendo due lame incrociate a X in uno degli scivoli.

Aquaslash è un teen horror molto breve di 70' che riesce fino a prova contraria ad annoiare il pubblico con tutte le solite moine e litigi adolescenziali senza apportare nessuna novità e soprattutto senza improvvisare in modo decente con una nutrita dose di sangue.
Il perchè è evidente dal momento che ci mette tantissimo prima di ingranare, non ha una vera e propria storia, il killer è ridicolo e anonimo e alla fine si scopre essere un banale revenge-movie dove ovviamente uno del gruppo dovrà farla pagare a tutti per tornaconti non meglio precisati del passato. "Sesso" a profusione ma senza mai mostrare nulla lasciando solo litigi e ripicche tra i tanti maschi alpha che vogliono a tutti i costi portarsi a letto le ragazze. Soprattutto Acquaslash (solo il titolo è accattivante) è carente sotto il punto di vista slasher/splatter dal momento che gli scivoli della morte vengono costruiti solo nel finale e per di più su tre corsie, una sola è quella che uccide.
Un film sinceramente amatoriale nel suo prendersi così dannatamente poco sul serio senza mai affrontare una scelta che sia una, senza una minima indagine e una galleria di personaggi stereotipata e fastidiosa.

martedì 12 gennaio 2021

Get Duked


Titolo: Get Duked
Regia: Ninian Doff
Anno: 2019
Paese: Gran Bretagna
Giudizio: 3/5

Tre ragazzi dalla carriera scolastica disastrosa, tra cui un giovane rapper, vengono coscritti a partecipare a un programma naturalistico: una gara di campeggio dove dovranno imparare a collaborare, a orientarsi e a trovare risorse nella natura. Insieme a loro partecipa Ian, che invece ha la testa fin troppo a posto e vuole riuscire nell'impresa per migliorare il proprio curriculum scolastico. Nelle Highlands scozzesi però qualcuno dà loro la caccia, mascherato come il Duca di Edinburgo, così i ragazzi sono davvero costretti a collaborare, orientarsi e cercare risorse per sopravvivere. Nel mentre la polizia, impegnata nella ricerca del ladro del pane, viene chiamata in aiuto ma sembra tutt'altro che efficiente.

Prendendo in prestito la locandina di Cottage, l'esordio di Doff prova a mischiare diversi sotto testi partendo dal survival movie, temi sociali, giovani adolescenti allo sbando e infine il thriller e qualche spruzzata grottesca e horror. Il risultato non è riuscitissimo ma riesce a coinvolgere e intrattenere con qualche interessante risata. Cast giovane, le higlands scozzesi ormai saccheggiate da diversi registi negli ultimi anni e tanta carne al fuoco inserendo bifolchi, un pulmino che sembra godere di vita propria e qualche colpo di scena nel finale abbastanza azzeccato. Lo humor inglese quando diventa in parte grottesco riesce a trovare un giusto equilibrio come in questo caso senza mai prendersi troppo sul serio ma riflettendo sulle scelte apparentemente istintive e spesso senza senso del gruppo di giovani protagonisti scapestrati. E' così tra allucinazioni, funghetti, esibizioni rap nei capannoni, merda di coniglio allucinogena e vecchi bifolchi mascherati e armati, Doff riesce a regalare un film scanzonato con poco sangue ma tante risate e come sempre un manipolo di poliziotti fuori portata e presi costantemente in giro.

lunedì 4 gennaio 2021

Arturo e il gabbiano


Titolo: Arturo e il gabbiano
Regia: Luca di Cecca
Anno: 2019
Paese: Italia
Festival: Capri, Hollywood
Giudizio: 3/5

Arturo ha quasi novant'anni. Vedovo da tempo, è abituato a stare da solo e le sue giornate le passa da pensionato, senza far nulla di particolare: passeggiando, sedendo in riva al mare, fingendo di ascoltare la radio. Poi un giorno gli capita tra le mani un giornale che pubblicizza macchine fotografiche e per un momento la possibilità di dedicarsi a un hobby è un colore diverso tra i vicoli di un paese vuoto e vecchio come lui. Il gabbiano che si è scelto come soggetto, però, sembra avere un'idea tutta diversa sulla fotografia perfetta e, quello che era nato come gioco per ingannare l'attesa, si trasforma ben presto in una piccola impresa che ha il passo lento dell'età, ma la stessa urgenza di libertà e fantasia del volo di un uccello.

Carpe Diem. Cogliere l'attimo. Uno scatto, una sfida con se stessi per un anziano che senza far ricorso alle moderne tecnologie digitali, compra una macchina fotografica vecchio stile per riuscire a fotografare un gabbiano che ogni giorno torna sempre nello stesso posto di fronte alla panchina dove è solito appostarsi il vecchio.
Un corto veloce e simpatico con una buona tecnica d'animazione in digitale.



Apollo 18


Titolo: Apollo 18
Regia: Marco Renda
Anno: 2019
Paese: Italia
Festival: Capri, Hollywood
Giudizio: 3/5

Un bambino vestito da astronauta è intento a giocare sulla spiaggia. La sua bicicletta trasformata in un razzo da qualche decorazione, si trova ai piedi di una pedana da cui inizierà un viaggio che copre distanze incalcolabili, tra le stelle. Nel bel mezzo della sua avventura nello spazio, però, il bambino fa un incontro a cui non è preparato, con quella che, volendo restare coerenti con la sua fantasia, è una creatura aliena.

Renda e la sua Gotham Productions. Non parliamo di un esordiente ma del regista del semi sconosciuto indie italico Edhel del 2017, una commedia drammatica che affronta ancora una volta temi sociali come la diversità e la solitudine, tema portante di questo cortometraggio. In 8' di storia c'è l'incontro e l'impatto tra diverse culture, un bambino e un naufrago, entrambi alla deriva, entrambi che si nascondono, come emarginati senza ancore di salvezza. Mentre il bambino sogna di decollare per raggiungere un altro pianeta, il naufrago viene portato dalle onde su una nuova terra che spera tanto possa garantirgli una vita migliore.


giovedì 17 dicembre 2020

Zeroville


Titolo: Zeroville
Regia: James Franco
Anno: 2019
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

1969, Ike 'Vikar' Jerome è uno studente di architettura ventiquattrenne profondamente appassionato di cinema e con qualche difficoltà relazionale. Decide di partire per Hollywood per inseguire il sogno di sfondare nel cinema. Riesce a diventare un direttore di montaggio di successo, ma il settore sta attraversando un cambiamento epocale, con il declino degli studios e la nascita dei registi indipendenti. Attraverso l'incontro con starlette, musicisti e registi, il suo viaggio a Hollywood si trasforma in una scoperta tra meraviglia e tragedia.

James Franco ormai nella sua avviata carriera da regista ci ha regalato drammi appassionanti soprattutto nella fase letteraria in cui trasportava al cinema Steinbeck e Faulkner.
Film che soprattutto nella messa in scena ricordavano come atmosfere i romanzi di Corman McCarthy. Zeroville è un film prezioso tratto da un romanzo cult in America dove di fatto potremmo definirlo un inno d'amore per la settima arte, dove il protagonista tra mille insidie, conoscendo gli squali di Hollywood e Los Angeles, comincia la sua incredibile discesa come montatore, dimostrando sensibilità, sfrontatezza, un piccolo uomo in un oceano di immagini alla ricerca del frame perduto o che nessuno ha saputo vedere. L'impressionante quantità di opere, registi, film citati, lascia frastornati. Quasi tutto il cast regala profonde emozioni a parte qualche egomaniaco di troppo che eccede con la propria performance. Passiamo visivamente da un'immagine all'altra, sballottati come Vikar da un set all'altro come succedeva in quel branco di amici che aveva le redini del mondo cinematografico (la chiacchierata tra Spielberg, Schrader e Lucas ad esempio dove il primo racconta l'idea per il suo film più bello) oltre che Milius, Scorsese e molti altri ancora. Feste e lussi che Vikar osserva quasi come se fosse distante, una comparsa che analizza per cercare di comprendere e poi mettere assieme a modo suo. Un film che dal punto di vista tecnico segna forse uno dei traguardi più maturi dell'autore con una fotografia in grado di illuminare ogni singolo dettaglio, una pulizia dell'immagine e una mdp sempre in grado di evolversi come il talento del protagonista per finire con un montaggio magnetico e surreale in un film in parte meta-cinematografico.
Un'opera comica, tragica e drammatica, un film magico e personale, un prodotto coraggioso, un'altra descrizione di quella Hollywood e quel mondo che abbiamo ormai imparato a conoscere e che in qualche modo diversi autori hanno rappresentato omaggiando quella creatività e voglia di esprimere un'arte che segnava svolte importanti.


Blood Vessel


Titolo: Blood Vessel
Regia: Justin Dix
Anno: 2019
Paese: Australia
Giudizio: 3/5

L'avventura di un gruppo di sopravvissuti che, da una scialuppa di salvataggio, riesce ad abbordare un'imbarcazione tedesca abitata da vampiri assetatati di sangue.

Un survivor movie tutto ambientato all'interno di una nave nazista gigantesca e abbandonata.
Un manipolo di protagonisti tutti a condividere storie e destini diversi, arrivando ognuno da un paese straniero e nascondendo segreti e dolori tutti legati alla guerra. Tutto questo in un'ambientazione buia e lugubre, dove tutta l'azione è impostata in una notte e dove soprattutto nel terzo atto i colpi di scena si susseguiranno senza sosta portando a far morire praticamente ogni membro del gruppo.
Ormai i nazisti soprattutto nell'horror sono stati saccheggiati e brutalizzati in ogni loro anfratto.
In questo caso la magia nera e gli esperimenti nascosti portano il nostro sparuto branco a trovare quelle casse da morto con tutte quelle incisioni sopra che probabilmente nessuno sano di meno aprirebbe. La coppia di vampiri, soprattutto lui, ha un ottimo make up, lei risalta meno, così come la loro figlia (la bestia addescatrice che si muove per la nave in cerca di sopravvissuti) e la parte dello scontro è rapida e nemmeno così splatter come ci si poteva aspettare. Al di là di alcune ingenuità evidenti di scrittura, il film crea una buona atmosfera nei primi atti per poi esagerare soprattutto con i vampiri nel finale, con un ritmo e un montaggio che lasciano frastornati per come si è arrivi troppo in fretta ad un epilogo. Il climax finale però per chi non ama gli happy ending anche se non proprio originale sa il fatto suo e apre ad un'altra mattanza che mostra tutto l'orrore che può aver generato un conflitto mondiale e i retroscena del vampirismo.

Gundala


Titolo: Gundala
Regia: Joko Anwar
Anno: 2019
Paese: Indonesia
Giudizio: 3/5

Abbandonato da tutti, un ragazzo decide di aiutare gli altri proprio quando l'intera nazione va in crisi.

L'Indonesia negli ultimi anni è stato sinonimo di botte e cinema action di arti marziali con incursioni un po dappertutto per quanto concerne la violenza. Gundala avvicinandosi ai comics, ha più o meno le stesse ambizioni e finalità, con un viaggio dell'eroe per cercare di salvare il suo disastrato paese. E' così che il piccolo Gundala perde il padre ucciso perchè lottava per i diritti dei lavoratori e cresce solitario senza madre aiutato da altri randagi come lui.
Joko Anwar è in uno stato creativo molto importante avendo girato film diversi con finora l'opera migliore che per me rimane l'horror Impetigore
.Eppure Gundala convince solo in parte nel suo voler comunque essere un film di genere.
Troppi combattimenti di cui alcuni coreografati abbastanza maluccio, dato inaspettato avendo a disposizione maestri di Silat che come per la saga di Raid Redemption al di là della velocità colpivano duro facendo proprio male.
Qui invece sembra quasi un allenamento. Andando avanti come dramma sociale è troppo stereotipato, lento e lungo nello strutturare una storia di fatto molto semplice ma che prova e cerca di essere a suo modo complessa in alcune parti sfiorando un discorso sulle diseguaglianze che tutti ormai conoscono. Gli orfani nel finale e la battaglia con l'eroe sono tra i momenti più belli perchè almeno ridanno enfasi all'action come a sottolineare una caratteristica intrinseca di una pellicola come questa e forse fino a prova contraria il momento più alto.

We die young


Titolo: We die young
Regia: Lior Geller
Anno: 2019
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Un veterano di guerra, rimasto muto dopo una grave ferita alle corde vocali, decide di proteggere due ragazzini messicani, finiti nel mirino delle spietate gang di narcotrafficanti della periferia di Washington.

La Lionsgate sta cadendo sempre più in basso come ormai Jean-Claude Van Damme. Non ci volevo credere. Il fantasma di se stesso, lento abbruttito e sfinito da un mascherone che ormai ha deformato e trasfigurato quanto di normale poteva rimanere. Brutto e impacciato nella vita come nel ruolo affidatogli ovvero un vecchio soldato tormentato da una guerra in cui ha ucciso per sbaglio un bambino, ha perso la voce e vive come un drogato lavorando in un officina.
Dall'altra parte il film non dice molto, crea la solita trama intorno ad un boss del narcotraffico in una Washington ormai devastata dalla droga e dai cartelli. E' così come sempre puoi scegliere se stare dalla parte dei cattivi e fare un sacco di soldi per vivere poco, oppure studiare per diventare un nessuno dal momento che vige la legge del più forte.
Un film davvero inutile, sconclusionato in cui il noto maestro di arti marziali non solo viene ridicolizzato ma mostra evidenti problemi a riuscire a stare in piedi e cercare di essere almeno un minimo decente. E poi la resa dei conti finale sembra fare peggio di quanto potesse con questa ridicola caccia ai due piccoli fratelli e due panette di eroina.

domenica 22 novembre 2020

Impetigore


Titolo: Impetigore
Regia: Joko Anwar
Anno: 2019
Paese: Indonesia
Giudizio: 4/5

Una donna torna nel suo villaggio e scatena una maledizione.

Joko Anwar assieme ai Mo Brothers sono i nomi da tenere sott'occhio del cinema di genere indonesiano. Entrambi si sono dati da fare con horror, thriller, super eroi, case infestate e in questo caso si supera quello che per me era l'opera più intensa proprio dei Mo Brothers ovvero Macabre. Impetigore dalla sua ha una storia molto più ambiziosa e complessa andando a sondare il folklore locale in un paesino sperduto tra case abbandonate, una comunità che non accetta lo straniero se non in quanto vittima sacrificale o capro espiatorio e ci porta subito sui binari della narrazione ritualistica. Pezzo per pezzo scopriamo la storia di Maya con un incidente scatenante molto interessante e originale, scorrendo poi verso il paesino sperduto e mostrando tutto il caos e il degenero che verranno partoriti a danno proprio della fertilità. Sacrifici, uccisioni, antiche maledizioni, spettacoli di marionette in un film mistico quanto splatter e gore in alcuni momenti.
Anwar approfondisce, miscela, crea un cocktail di sotto generi che in molti casi e in mano ad artisti meno promettenti avrebbero deluso senza riuscire a mantenere tutte le premesse. Invece questo dramma ambizioso poggia le radici nel misticismo, in alcuni outsider dimenticati e scarnificati fuori dal villaggio, una dinastia e un mistero circa le proprie radici intrecciando la magia nera con risultati niente affatto scontati. E infine tanto sangue, muoiono quasi tutti e il film regala davvero poco in termini di happy ending come è giusto che sia.




Mortuary collection


Titolo: Mortuary collection
Regia: Ryan Spindell
Anno: 2019
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Prendendo parte a un funerale in un vecchio obitorio, una giovane si addentra in una stanza segreta piena di curiosità. Qui, ha modo di incontrare il becchino, che le racconterà quattro storie di morti uniche, selvagge e memorabili.

Mortuary collection è uno di quei film passati in sordina, senza una grossa distribuzione dietro o nessuna piattaforma famosa che l'abbia preso in considerazione. Ed è un peccato nonostante il film a episodi, tutti tenuti assieme da un fil rouge, abbia alcuni momenti godibili e altri abbastanza scontati e noiosi. Diciamo che è buono a metà, nonostante la maschera da becchino di Clancy Brown faccia sempre la differenza in uno degli antagonisti più famosi della storia del cinema.
Mortuary collection parte abbastanza bene, fa entrare colei che segna fin da subito un'inerzia (nel senso che comprendiamo subito che non sia lì per caso) e poi sciorina storie di cui alcune, come la prima, nonostante sia la summa del già visto ha una buona messa in scena.
Quattro storie partendo con un dottore presente in tutti gli episodi. Quattro cortometraggi dove un ragazzo troverà pane per il suo membro con una giovane studentessa che non è quello che sembra, una ladra contro un mostro, il killer delle babysitter e un marito sfigato che se la vedrà davvero brutta. Ambientato dagli anni '50 agli anni '80, il film predilige suspance e gore in dosi tutto sommato nella norma, senza mai alzare la posta in gioco e risultando in alcuni casi come un esercizio di stile, il tipico esame finale del cineasta. Lo scontro finale tra Sam e Montgomery Brown nonostante qualche eccesso riesce a non essere così banale come lasciava intendere.




martedì 17 novembre 2020

We summon the darkness


Titolo: We summon the darkness
Regia: Marc Meyers
Anno: 2019
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Tre amici organizzano un viaggio in macchina per partecipare ad un concerto. Lì conoscono altri tre ragazzi e con loro si recano in una casa in campagna. Non sanno che una notte di svago e divertimento si trasformerà presto in una macchina mortale, con corpi che si cominciano ad accumulare ed un assassino che si nasconde.

We summon the darkness non si sbilancia molto rispetto ad alcuni suoi predecessori. Setta, sacrifici, un obbiettivo scontato dopo la battuta di Alexis a Val nel parcheggio appena trovano i gonzi di turno. Un film che forse per assurdo funziona meglio nel primo atto, quando non svela direttamente come andrà ad evolversi la trama e lasciando lo spettatore in un limbo in cui può aspettarsi tutto come niente. Gli omicidi rituali, gli anni '80, due fichette con la terza novizia che dovrà superare la grande prova e poi i soliti sfigati, la polizia che finisce molto male e ville da ricchi e profeti dell'apocalisse che riusciranno a farla franca. Si divide in parti molto nette il film senza lesinare scene di combattimento, torture e sangue ma tutti e tre questi elementi sanno di finto, di soporifero senza mai riuscire ad esaudire i nostri desideri e deliziare la nostra sete di sangue.
Vi dirò l'elemento del film più originale in modo che vi facciate due domande ovvero far sembrare omicidi seriali le bravate di un gruppo di satanisti quando in realtà nulla è come sembra e un pastore, profeta che sembra puntare il dito contro queste ignominie, in realtà altro non è che il capo della setta e il padre di una delle tre ragazze.
Tanto fumo e niente arrosto, colpi di scena assenti e passaggi come azioni incredibilmente scontate, il "massacro" nella casa è lunghissimo forse volendo pure citare la Manson family, viene citato tra gli stipiti della casa Green Inferno (di cui questa commedia teen horror non vale nemmeno l'unghia) e infine contando che le tre protagoniste sono metallare fighette e con la voglia di sballarsi e divertirsi potevano almeno osare qualcosa, invece il nulla.

domenica 11 ottobre 2020

Furie


Titolo: Furie
Regia: Le-Van Kiet
Anno: 2019
Paese: Vietnam
Giudizio: 2/5

Una donna a cui viene rapita la figlia ritira fuori la vecchia sé per riuscire a salvarla.

Furie è l'ennesimo film d'azione adrenalinico e dinamico con l'accezione di essere vietnamita (filmografia poco conosciuta con bassissima distribuzione da noi). Un revenge-movie al femminile tosto e cazzuto che attinge dal genere creando una ricca galleria di scene dove sono presenti anche arti marziali purtroppo senza aggiungere molto al genere.
Uomini tutti malvagi e corrotti, perfidi nell'utilizzare la donna come merce e basta senza rendersi conto che il vominam presto si abbatterà sulle loro teste con una precisione e cattiveria bestiale.
Una lotta contro il tempo, traffico di organi umani, una location Saigon da brivido e una protagonista con le palle, sono questi, insieme alle roboanti scene d'azione i pezzi forti di un film che non stancherà gli amanti del genere rimanendo uno dei tanti ad aver messo insieme le stesse cose senza un briciolo di originalità eccezion fatta per qualche viaggio introspettivo e alcuni imbarazzanti flash back madre figlia per donare vigore e speranza a Hai Phuong

martedì 15 settembre 2020

Too old to die young


Titolo: Too old to die young
Regia: Nicolas Winding Refn
Anno: 2019
Paese: Usa
Stagione: 1
Episodi: 10
Giudizio: 4/5

Un poliziotto, l'imberbe e taciturno detective Martin, si ritrova ad espiare i propri sensi di colpa dopo aver visto perire un suo collega. Decide così di diventare un giustiziere della notte decretando la vita e la morte dei delinquenti che popolano la città degli angeli. Sulla sua strada trova Jesus, narcotrafficante in ascesa, e una varietà incredibile di scarti e residui dell'umanità peggiore, quella formata da stupratori, molestatori, membri di diverse organizzazioni malavitose.

C'è qualcosa nel film lungo tredici ore definito da Refn simile in termini di narrazione e sostanza ad una recente serie tv andata in onda Zerozerozero
 di Sollima scritta da Saviano. In particolar modo la descrizione del Cartello e dei narcotrafficanti come se fossero ancora ad oggi le bestie più spietate e fuori controllo sul pianeta.
Refn e la serialità anche se come dicevo per lui rappresenta un film molto lungo. Decisamente fuori dagli schemi grazie alla collaborazione di uno scrittore che stimo da diversi anni per i suoi lavori mister Ed Brubaker asso nel ridare enfasi e spessore al noir dei comics.
La storia dei soliti anti eroi che piacciono al regista viene celebrata ed enfatizzata esplodendo in tutta la sua virulenza ancora più che in Solo Dio perdona
, il ritmo della narrazione in questo caso diventa minimale a dei livelli mai visti prima con una perizia nel cercare di portare i dialoghi ai minimi comuni termini e lasciare che le espressioni, i micro gesti dei protagonisti e i movimenti della mdp diventino i nostri punti di riferimento. Allucinato, luci al neon, colori deformati e sparati come missili nella nostra psiche, location estatiche per personaggi deviati e devianti, veri orrori post contemporanei di un mondo marcio e violento che si nasconde dietro una ricchezza squallida e superficiale. Il mood o meglio l'atmosfera dell'opera è intensa, intrisa di una morale depravata e cinica che non risparmia nessuno nemmeno i contractors che decidono di sterminare pedofili ad hoc. Tutto è marcio e squallido a partire dai poliziotti, da figli di famiglie disfunzionali, di padri che vorrebbero il controllo sul partner della propia figlia minorenne.
Ci sono sicuramente alcuni personaggi che resteranno impressi nella memoria così come alcune sequenze memorabili. Se il trono appartiene a Yaritza la misteriosa sacerdotessa della morte, la vendicatrice divina arrivata dal deserto che muoverà i suoi passi fino a diventare la vera boss.
Tutto in un crescendo criminale di supremazia totale e inarrestabile, in grado di prendere a schiaffi Janey quando sbaglia la risposta sul test della verità, per dirne una, fino a quando stermina un gruppo rivale, diventando la protettrice delle oppresse messicane messe alla mercè come prostitute e infine sodomizzando il suo uomo. Damian per altri versi pur avendo un ruolo limitante riesce ad essere un personaggio scomodo anch'esso un boss di una micro criminalità afroamericana il quale come tutti cerca di farsi strada in un sottobosco urbano criminale, malvagio e bipolare, dove tenendo per i fili il protagonista al suo soldo finisce per essere attirato in una ragnatela da cui non potrà più fuggire.
Pedofili, snuff movie, torture ai massimi livelli, Refn non si fa mancare nulla, aggiunge sotto storie e congiunge tasselli importanti di una storia tutto sommato scritta molto bene da Brubaker il quale ne approfitta per non farsi mancare davvero nulla in questa critica furibonda verso una società ormai arrivata al punto di non ritorno, spietata e sadica che gode nel masochismo e nel regalare sofferenza al prossimo.
Tanti i momenti dallo snuff movie dei fratelli Crockett, al finale tra Yaritza e le sue pratiche ai danni di Jesus, al ballo per strada della banda di Damian, all'eliminazione dei pedofili (la scena nella casa dove uccidono una coppia insospettabile è tremenda), così come tantissime scene di tortura, sopraffazione, quei pochi dialoghi tutti impostati sul controllo e sul dominio.
Refn fa centro un'altra volta con l'opera più violenta, cruda e disarmante che abbia finora avuto la possibilità di mettere in scena sublimando il suo concetto di noir al neon stilizzato e sotto steroidi.

Sons of Denmark


Titolo: Sons of Denmark
Regia: Ulaa Salim
Anno: 2019
Paese: Danimarca
Giudizio: 3/5

Nella Danimarca di un futuro molto vicino e molto simile al nostro presente, un attentato in una stazione della metro di Copenaghen proietta al governo un nuovo partito ultra-nazionalista, il cui leader Martin Nordahl vuole liberare il paese da tutti i non-danesi. Alla fumosa categoria appartiene di fatto Zakaria, un diciannovenne di origine araba che subisce sulla propria pelle le conseguenze discriminatorie di una retorica vicina al gruppo neo-nazista dei "Figli della Danimarca". Radicalizzato dall'autorevole Hassan, Zakaria viene affidato alla guida taciturna di Ali, che lo addestrerà a portare a termine l'assassinio di Nordahl.

L'esordio di Salim è un film coraggioso a cui manca quell'estro in più nella scrittura che sarebbe stato decisivo e non derivativo come il finale davvero troppo prevedibile.
Un film sulle diseguaglianze sociali, sull'estremismo religioso, sui nuovi fanatismi che purtroppo non sembrano mai dimenticati tornando in auge nei momenti peggiori della storia e così via per un poliziesco intrecciato con tanti drammi sociali e una coralità di personaggi che riescono a essere tutti in parte. I figli di Danimarca sono neonazisti che credono nel rimpatrio forzato, accrescendo l'aura di un leader xenofobo che scherzando coi media non si astiene dal lanciare benzina sull'ideologia musulmana e facendo breccia tra i nazionalisti e non.
Un thriller sicuramente d'impatto nel cercare di fondere comunità e diversità, media e politica e tutti i loro pasticci per confondere cittadini ed elettori, sottolineando elementi importanti come la famiglia (quella di Zakaria con madre e fratello e quella che si andrà a creare con l'indottrinamento)
E'interessante come Salim riesca a metà film a capovolgere la narrazione cambiando punto di vista, abbandonando inizialmente alcuni personaggi per poi tornarci verso il finale e cercando di esprimere tutti i lati oscuri da ogni parte e con ogni sfaccettatura dal punto di vista di Zakaria e Malik. Il primo un diciannovenne frustrato e arrabbiato in un viaggio di formazione verso la radicalizzazione mentre il secondo è il poliziotto Malik catturato tra l'islamismo di cui fa parte e il nazionalismo imposto dai suoi capi.