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venerdì 19 dicembre 2014

Religious

Titolo: Religious
Regia: Larry Charles
Anno: 2008
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Già autore di Borat, Larry Charles, presenta un documentario dissacratore sulla religione e sulle sue implicazioni attraverso il mondo. Il titolo Religulous è la contrazione delle parole "Religion" e "Ridiculous"

Girare un mockumentary sulle religioni "in generale" è un pò come aprire il vaso di Pandora della rete e provare a prendere elementi a caso, paragonandoli e confrontandoli, senza una precisa direzione da seguire.
Bill Maher, comico americano, con quel suo sorriso sicuro e la parlata veloce, è il portavoce ideale di tale tipo di operazione.
Motivato da una saggezza epicurea e da una retorica voltairiana, il comico americano parte da un principio incontrovertibile: la ratio deve sempre dominare sulla religio, la saggezza immanente deve sempre risultare superiore ad ogni superstizione trascendente.
Maher quindi non relega di fatto il contesto ad un unica religione cercando di approfondire un dogma e cercando di analizzarlo in tutta la sua complessità, ma usa lo sfotto con cui sembra prendersi gioco dei fedeli trovando una facile risposta ad ogni domanda e senza argomentare più di tanto il fatto religioso.
Maher e Charles partono dal dato storico che le religioni non solo sono state per millenni "oppio dei popoli" per eccellenza, ma anche causa, supporto o giustificazione per guerre, eccidi, soprusi e morte indagando e cogliendo anche alcuni aspetti davvero inquietanti e contraddittori (il grassone nella tavola calda che ha messo tutto nelle mani di Dio dopo svariati anni come Satanista e pappone) in cui ogni fedele non dsi discosta mai dal primato religioso e politicamente, ma anche culturalmente e storicamente l'idea di religione come "religione di stato", punto di vista unico sulle cose e sulla natura che non permette divagazioni o eccezioni.
Seppur con alcuni dialoghi particolarmente riusciti e mostrando alcuni "assurdi" religiosi soprattutto nei territori inesplorati e sempre in aumento del fenomeno delle "new-religion" Religious come il titolo, scherzosamente anticipa, è pura propaganda mutuata sul linguaggio dell'infotainment televisivo, dunque nulla di intellettualmente stimolante, ma invece un night-show continuo che regala più di tutto ironia e assurdi, oltre circa l'85% di informazioni che qualsiasi persona che ha un minimo di preparazione religiosa già conosce.


Chaser

Titolo: Chaser
Regia: Hong-jin Na
Anno: 2008
Paese: Corea del Sud
Giudizio: 4/5

L'ex poliziotto e attuale pappone Jung-ho si insospettisce dopo che un po' delle sue ragazze scompaiono nel nulla. Temendo una fuga o peggio un acquisto sottobanco da parte di terzi, decide di indagare per conto suo sul mistero, finendo così per scoprire un orrore ben più profondo.

The Chaser è un esordio brillante, un noir che strizza l'occhio ad un certo genere della cinematografia coreana, piazzandosi con tutta una sua nutrita valenza di elementi originali che contribuiscono a dare forma al genere.
Partendo dall'intreccio narrativo funzionale e travolgente con il distretto di polizia, il sindaco, il serial killer e Jung-ho intrappolati in una lotta contro il tempo, si arriva mano a mano che la narrazione procede a un'indagine che già dopo la prima mezz'ora sembra risolta e conclusa.
Come spesso capita, l'opera prima del 35enne è stato il caso che ha sbancato il box office coreano e che ha fatto il giro del mondo, rimanendo però inedito in Italia.
Quello che stupisce è la maturità tecnica del regista che non trascura nessun particolare e porta anche le sotto-trame ad avere un inizio ed una fine ben precise senza esagerazioni o buchi di sceneggiatura.
Purtroppo nel secondo atto il film fatica un pò a procedere, sicuramente a causa del plot e dell'intricata matassa di elementi da sbrogliare che rimane un pò troppo macchinosa.
Quando la sfiducia cronica nei confronti delle istituzioni, già presente nel sontuosissimo MEMORIES OF MURDER, continua a procedere allora Jung-ho muove da solo il gioco, senza però, e qui l'aspetto interessante sulla caratterizzazione dei personaggi, farlo diventare un revenge-movie o un thriller in cui lo shock è l'elemento predominante.
Hong-jiin spinge tutto sui sentimenti e le emozioni che predominano i personaggi, mostrandoli, (sopratutto il serial-killer) in tutta la loro difficoltà a mostrarsi per come sono veramente.
Ancora una volta il martello diventa l'arma preferita dei serial killer e l'eleganza e lo stile con cui vengono messi in scena alcuni particolari del film, tende a rimanere una caratteristica sud-coreana e di come vengano sempre tenuti sotto controllo tutti i minimi particolari facendo, come nel caso di questo film, un lavoro molto minimale e azzerando completamente il suono nelle scene madri del film e nel fortissimo climax finale, aumentando come da tradizione, l'effetto di suspance e pathos dello spettatore.

lunedì 7 luglio 2014

Synecdoche New York

Titolo: Synecdoche New York
Regia: Charlie Kaufman
Anno: 2008
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Caden Cotard, regista teatrale fresco del successo ottenuto grazie alla messa in scena di Morte di un commesso viaggiatore, si prepara ad affrontare la preparazione della sua nuova opera che prevede addirittura la ricostruzione di una New York a grandezza naturale all'interno di un magazzino di Manhattan. Nel frattempo deve anche gestire i difficoltosi rapporti con le donne della sua vita.

Personale e con svariate licenze poetiche, il primo e importante film di Kaufman, da lui scritto e sceneggiato, fa parte di quelle opere molto più intellettuali di quello che vorrebbero essere, pagando tuttavia la difficoltà di non poter fare aderire tutta la summa di temi e significati in modo semplice e sempre perfettamente fruibile.
Kaufman era già riuscito a inquadrare perfettamente Hoffman e farlo aderire in modo semplice e quasi possiamo dire spontaneo alle sue richieste, con una performance che dovesse articolare nevrosi, ansie e nuovi disturbi, delinenando un personaggio molto complesso e multisfaccettato.
Da questo punto di vista il contributo è quello di aver reso un personaggio umanamente ed eticamente fantastico, oltre che reale, ma al contempo misurato e vittima delle sue stesse nevrosi, ansie e paure più profonde.
L'idea di creare tutta questa galleria di contenuti e sfaccettature su un regista teatrale, diventa davvero funzionale, soprattutto quando l'eversività di Hoffman e la sua profonda complessità riescono a farlo diventate un personaggio affascinante come il nutrito numero di donne che convergono con lui rappresentando una prolungazione della sua complessità psicologica.
Synecdoche che ci restituisce in ritardo una delle più intense interpretazioni del compianto attore, è un film talmente potente, nella sua contorta complessità, da riuscire ad appiccicarsi alla pelle e alla mente dello spettatore, rimanendoci per giorni e giorni.

martedì 8 aprile 2014

Vinyan

Titolo: Vinyan
Regia: Fabrice Du Welz
Anno: 2008
Paese: Francia
Giudizio: 4/5

Incapaci di accettare la perdita del figlio nello tsunami del 2005, Jeanne e Paul Belhmer sono rimasti a Phuket. Aggrappandosi disperatamente al fatto che il cadavere non è mai stato rinvenuto, Jeanne crede che il figlio sia ancora vivo.

Ci sono autori che non passano di certo inosservati.
Du Welz, un nome da non dimenticare, al suo secondo film, fa un altro centro.
Difficile, scomodo, non sempre lineare e assolutamente imperfetto, ma fa un altro centro dopo il meraviglioso CALVAIRE.
Diciamo che il regista belga continua il discorso sul calvario, anche se in questo caso è ingigantito, si sposta a Phuket, è si allarga alla vita di coppia. Cosa cercano se non il Vinyan, uno spirito errante, che pensano possa essere loro figlio? Ci immergiamo così tra foreste, piccole baracche, altri culturali assurdi, barche e spiagge che sembrano dividere il piano reale da quello onirico.
Se nella città si esalta la mercificazione del corpo, nell'isola, si sviluppa un'altra dimensione che ci porta in un mondo di spettri.
Jeanne è un personaggio indimenticabile, Emmanuelle Beart, dopo aver visto CALVAIRE si è lasciata andare in una performance assolutamente fuori dagli schemi per l'intensità e il coraggio.
I raddoppiamenti di Jeanne e il simbolismo del regista, appaiono nuovamente, più strutturali e maturi sotto tutt'altra forma: la madre-ventre (utero), madre-terra (fango), madre-cibo (seno), altro non sono che le caratteristiche della Dea Madre che in un finale indimenticabile appare in tutta la sua carica eversiva. Interessante anche l'aspetto per cui in CALVAIRE comparivano solo uomini (i bifolchi sono ovunque in ogni parte del mondo) mentre qui il Femminile ha una potenza, una vivacità e una forza dirompente, poichè invertita e azzerata dalla forzata negazione di non poter essere Madre, ma diventando infatti una Dea Madre che protegge i suoi figli.
Allo stesso tempo lo stile unico del regista diventa un suo aspetto specifico, grazie al quale diventa riconoscibile già alla sua seconda opera e senza dimenticare il talento del co-autore del film, il direttore della fotografia Benoit Debie.
Lo Tsunami diventa dunque metafora di un'onda che lava via la psiche, riportando ad una stasi di veglia tra rassegnazione e coraggio. L'incipit, come il finale, sono tra i passaggi più importanti del film, tecnicamente straordinari e visivamente originali.
Vinyan conferma la straordinaria visionarietà di un giovane regista che speriamo continui su questi binari senza, magari, accettare inutili e patetici contratti oltreoceano.






lunedì 31 marzo 2014

Man on Wire

Titolo: Man on Wire
Regia: James Marsh
Anno: 2008
Paese: Gran Bretagna
Giudizio: 3/5

In un luminoso mattino d'estate del 1974, il funambolo Philippe Petit camminò per più di un'ora lungo un cavo d'acciaio steso tra i due grattacieli più alti del mondo, le Torri Gemelle di New York, simbolo del progresso e del rinnovato ottimismo occidentale.

Man on Wire è uno di quei documentari tipici da festival, destinati per molti a diventare un piccolo cult. Crea una leggenda e in fondo quasi un mito, come quello di Philippe Petit, pazzo o genio, mistico o visionario, questo sta a voi stabilirlo.
Man on Wire è molto originale per il fatto che tratta una sfida dell'uomo originale e mozzafiato, se non altro per l'impresa svolta, più che come scelta e messa in scena del caper-movie.
Un documentario di un francese prodotto dagli inglesi.
Marsch non è ingenuo, anzi, è un regista, quasi un documentarista, che in fondo ha ben presente il cinema che più gli interessa.
Si appassiona ai progetti, alle storie, la sua filmografia è costellata di lavori molto differenti e partoriti con un grande coraggio, soprattutto contando che pochi dei suoi lavori hanno un taglio commerciale.
WINSCONSIN DEATH TRIP,THE KING,RED RIDING,PROJECT NIM,DOPPIO GIOCO, sono tutti completamente diversi e accattivanti nel loro bisogno di fare analisi, critica o di mostrare i lati spiacevoli e gli esperimenti di cui poco si parla.
L'unico grande problema di MAN ON WIRE è la durata che purtoppo lascia alcuni tasselli poco efficaci e che sembrano ridondanti per arrivare a chiudere i '90, così come alcuni passaggi (tutta la trittica sui documenti, alcune ripetizioni dentro i due edifici che mostrano le stesse immagini alternate in passaggi diversi, alcuni filmati di repertorio in un b/n abbastanza fuori luogo)
In fondo di folli utopie, al confine tra il gioco prodigioso, l'atto politico e la provocazione artistica, il cinema ultimamente, sembra farci conoscere numerosi protagonisti.
THE MAN ON WIRE è la follia di un uomo che in fondo però ci insegna una cosa bellissima: non c'è un limite a quello che l'individuo vuole e può fare.
Se come Petit, che crede con tutte le forze e trova dei pazzi come lui, che sposino la sua folle idea, allora tutto può essere possibile, anche una pazzia come quella delle Torri Gemelle.
Un altro particolare che ho apprezzato molto del regista è stato quello di non citare le due torri, semplicemente perchè non interesano e non sono funzionali alla storia, qui si racconta Petit non le Torri Gemelle.





lunedì 9 dicembre 2013

Fear It Self-La Comunità-1x07

Titolo: Fear It Self-La Comunità-1x07
Regia: Mary Harron
Anno: 2008
Paese: Canada
Stagione: 1
Episodio: 7
Giudizio: 2/5

Dopo aver perso il bambino che aspettavano, Bobby e Tracy vengono alla conoscenza dell'esistenza di Commons, una piccola comunità gestita da una donna di nome Candace, in cui tutto è perfetto e privo di rischi e criminalità. Decidono allora di trasferirvisi ma, sin da subito, Bobby inizia a sentirsi a disagio per le intrusioni nella sua vita privata e per le rigide regole imposte. Scoprirà presto che la perfezione comporta un alto prezzo da pagare.

Mi aspettavo davvero qualcosa di molto più originale dal settimo episodio della famosa e fortunata serie americana uscita dopo i celebri MASTER OF HORRORS.
Con una sceneggiatura niente affatto originale, un adattamento anch'esso con poco senso, il mediometraggio incappa fin da subito in un madornale errore, ovvero quello di partire con il finale e andando dunque dopo a ritroso nella storia.
La comunità come il titolo è un soggetto su cui poter imbastire molto con svariati temi e lavorare molto immaginazione tenendo ben salda la realtà di alcune new-religion e tutto il resto.
Una moglie fedifraga, le telecamere che spiano le loro vite, l'infedeltà come abominio visto dalla comunità sono elementi messi in scena con pochissimo talento e senza mai dare l'impressione di una partecipazione collettiva a questo progetto, ma invece qualcosa di sconnesso e macchinoso e soprattutto già visto oltre che scontato. Un episodio davvero povero contando che poteva dare molto di più.

giovedì 27 giugno 2013

Sell the Dead

Titolo: Sell the Dead
Regia: Glenn McQuaid 
Anno: 2008 
Paese: Usa 
Giudizio: 2/5 

Nel Diciottesimo secolo due profanatori di tombe vengono arrestati e condannati a morte. Poche ore prima di essere giustiziato Arthur Blake racconta la storia della sua vita a Padre Francio Duffy. Ne viene fuori che da lungo tempo Arthure rifornisce di cadaveri il macabro scienziato Willie Grimes 

Diciamo che se non ci fosse stato il film di Landis, BURKE & HARE LADRI DI CADAVERI, intenso astuto e originale, I SELL THE DEAD avrebbe ottenuto certo più consensi. 
Abbiamo Monaghan e Perlman quindi ci accontentiamo, anche se il primo dei due tende sempre a esagerare, ma purtroppo quello che rende il film slacciato in più parti e proprio il ritmo e alcune scene portate troppo allo sfinimento, così come la trama eccessivamente lineare e scontata nella parte finale, impedendo al film di sfruttare a pieno le proprie potenzialità . 
Una commedia nera e scanzonata, con personaggi a volte azzeccati, un certo citazionismo elegante e colto ma che non arriva mai ai livelli di Landis basti pensare alla citazione di Vessalio che è stato il primo precursore delle scoperte anatomiche umane quando la chiesa non accettava che venisse dissezionato il corpo oppure Nicephore uno degli inventori della fotografia che nasce come fotografo di cadaveri per conto del medico Cox o ancora l'assistente del professor Monroe alias Charles Darwin. 
I Sell The Dead è un film a basso costo, girato da un esordiente che ha un passato come tecnico degli effetti speciali. McQuaid che pur mettendocela tutta paga il pegno di aver fatto qualcosa in parte di già visto. 
Sì perchè poi fondamentalmente le analogie riguardano la trafugazione dei corpi a dispetto di alcune spinte di intenti leggermente diversi. 
Comunque con un esordio del genere che non è male ma ha i suoli limiti, si rimane ad aspettare le intuizioni che spero arrivino, di questo giovane cineasta.

venerdì 5 aprile 2013

Plague Town

Titolo: Plague Town
Regia: David Gregory
Anno: 2008
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Una famiglia americana in visita in Irlanda si imbatte accidentalmente in un gruppo di bambini assetati di sangue.

Bisogna subito dire che il film di Gregory tratta una tematica che seppur sembra avere delle analogie con parecchi horror di ultimo stampo vira per certi aspetti senza entrare di rito nel filone che accosta THE CHILDREN e tutto il resto. Un film low-budget che in alcuni momenti mostra tutti i suoi limiti cercando però a dispetto dell’esagerazione una certa lenta e infine esplosione di effetti e make-up.
Dall’incipit si capisce la maledizione che colpisce questo villaggio dell’Irlanda cercando solo per alcuni aspetti di attingere dalla narrativa e infilando alcuni moniti che certo ricorderanno opere più sopraffine.
Un film canonico nella sua struttura e nella scelta dei personaggi che muoveranno le redini della storia.
Non mancano alcune buone intuizioni così come alcune maschere rendono davvero bene l’atmosfera macabra e morbosa presente nel film.
Eppure e questo lento e forse troppo lungo passare da un personaggio all’altro che finisce con il perdersi nel suo continuo girotondo di vicissitudini.
Certo l’idea di un’occasione persa la si pensa e si finisce anche con il farsi due interrogativi che però sapranno trovare presto una risposta.
E poi questo nucleo che si ritrova a perdersi nelle sperdute lande in cerca delle proprie origini è davvero un clichè che si fatica a manda giù.



giovedì 7 marzo 2013

Punisher-War Zone

Titolo: Punisher-War Zone
Regia: Lexi Alexander
Anno: 2008
Paese: Usa/Canada
Giudizio: 2/5

Dopo aver ucciso centinaia di violenti criminali, Frank Castle il Punitore fronteggia un altro avversario: Jigsaw.

La terza pellicola che vede le gesta del punitore per quanto cerchi di essere ancora più violento dei precedenti non riesce tuttavia a essere all’altezza di un personaggio così complesso come Frank Castle.
Diciamo che nessuno dei tre si salva. Le precedenti prove sono state quella di Lundgren degli anni’80 e la pellicola con Thomas Jane nei panni del punitore del 2004. Proprio quest’ultimo Jane ha voluto assolutamente una variante più convincente del suo inutile film. Così ha chiamato Alexander che aveva esordito con un buon film e la mette al timone di questo intenso film d’azione che non poteva aprirsi in modo migliore con una bella carneficina iniziale. Tuttavia compresi i meriti del film è una faccia, quella di Stevenson, che se anche non è proprio quella più adatta, almeno riesce a essere più convincente dei precedenti biondini che si sono dovuti fare la tinta.
Tuttavia Castle per chi ha letto i fumetti è davvero cattivo e spietato. Mi aspettavo qualcosa di più noir e di più cattivo contando l’odio più assoluto che il vendicatore prova nei confronti dei mafiosi ma anche di quasi tutta l’umanità in genere. Comunque la svolta nel film avviene appena viene liberato Looney Big Jim e la coppiata con il fratello Jigsaw vede almeno due nemici potenti, bravi a recitare e che almeno regalano un po’ di sana e goduta azione (Doug Hutchinson poi è quel famoso cannibale della serie di X-FILES che non a caso anche qui rifà il cannibale).
Non mancano poi nel film alcune scena assolutamente gratuite girate con il solo scopo di aumentare il tasso di sangue e di violenza diventando però indirettamente proporzionali con la caratterizzazione di un personaggio che per quanto fuori di testa almeno non è dedito ala violenza gratuita (Castle fa saltare in aria il cervello di un malvivente solo perchè ha appena rubato il portafoglio di un suo amico oppure la scena del lancio di un razzo da parte del Punisher contro un tizio criminale che salta da un tetto).
Certo bisogna anche ammettere che a dispetto di altri Comics della Marvel, War Zone non è perfetto ma ne supera almeno tre o quattro senza nemmeno impegnarsi.

sabato 2 febbraio 2013

Cass

Titolo: Cass
Regia: John S.Baird
Anno: 2008
Paese: Gran Bretagna
Giudizio: 3/5

Cass Pennant nasce a Londra da genitori giamaicani che lo abbandonano appena nato. Viene adottato da una coppia di bianchi che lo crescono in una londra bianca e col fenomeno del razzismo sempre dietro l'angolo. E' questo che spinge Cass sin da piccolo ad affermarsi verso tutti, attraverso la violenza.
Il bambino cresce e comincia ad innamorarsi del West Ham United e della sua tifoseria scatenata che ogni week end si diletta in risse per il predominio dello stadio e della strada. Cass avrà un'esclation che lo porterà ad essere il fondatore del gruppo storico denominato I.C.F. (Inter City Firm), il gruppo di hooligans più temuto e rispettato da tutte le tifoserie inglesi degli anni '80.

Il cinema inglese ancora una volta dimostra la sua prolificità sotto vari aspetti e sotto svariati generi. Siamo di nuovo tra gli hooligans (anche se nel film il calcio come gli stadi proprio non si vedono) eppure il film di Beird deraglia nettamente da altri film sul genere di certo più commerciali e meno convincenti come HOOLIGANS. In questo film c’è la storia di vita di un ragazzo di colore nell’Inghilterra anni ’80, un viaggio di formazione, un rapporto molto bello con una madre (lei è quella di EAST IS EAST), tanti combattimenti, dialoghi mai banali e una filosofia di vita abbastanza travolgente.
Anche se in alcune parti è volutamente scontato (la storia d’amore e quindi la redenzione del protagonista) tutto riesce comunque a funzionare grazie anche ad ritmo e delle buone note di intenti.
Lo spaccato della società disperata nell’Inghilterra Tatcheriana si converte bene in questo mare di aspetti che il film si propone di toccare. Alla fine comunque la storia di Carol (nome diffuso in Giamaica ma del tutto inusuale in Europa) vince sugli scontri e sulla presa di posizione di fare un altro dei tanti film dedicati all’universo degli hooligans, degli stadi e delle accanite tifoserie.
WebRep
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giovedì 17 gennaio 2013

Justice League-The New Frontier

Titolo: Justice League-The New Frontier
Regia: Dave Bullock
Anno: 2008
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Anni '50, Guerra Fredda: il governo americano mette fuorilegge i superoi che non collaborano con esso. Mentre i vecchi eroi decidono di ritarsi, una nuova generazione prende il sopravvento: tra questi Superman, Batman, Wonder Woman e Flash. Quando una minaccia mette in pericolo l'esistenza stessa della Terra, i nuovi supereroi si vedranno costretti ad allearsi con il governo degli Stati Uniti, a loro ostile.

« Come tutte le cose di questa sfera malformata, Io emersi dal centro fuso della creazione. Ma la mia fu una strada a senso unico. Isolato, sviluppai attributi che andavano oltre quelli degli esseri inferiori. Poi la sfera fu colpita da una vasta roccia celestiale. Frammenti neri di morte riempirono i cieli e il mondo divenne un caotico giardino di destini. Presto la sfera cominciò a nutrire una nuova specie di vita. E ce ne fu una che si eresse al di sopra delle altre. La sua fragile guscio rivelò la sua natura malvagia. E in ciò che sembrava un battito, queste cose proliferarono sia in numero che in mezzi di distruzione. Ora hanno imbrigliato la forza più distruttiva. E Io, Il Centro, sono giunto alla conclusione che la sfera deve esserne ripulita. »
E’chi l’avrebbe mai detto che sarebbero arrivati a mettere il divieto ai tredicenni di vedere l’ultima avventura della squadra della Dc? Mah io credo che non sia certo per le scene di violenza ma per lo spirito anti-reazionario della pellicola, per le scelte anti-governative dei super eroi e via dicendo.
Contando sui meriti di Bruce Timm, sullo stile meno c.g e meno stiloso rispetto ad altre pellicole ed esteticamente meno bello rispetto ai suoi predecessori, CRISIS OF TWO EARTH e DOOM, ma a livelo di storia certamente più pungente.
Il pezzo iniziale poi calca se vogliamo anche territori inesplorati metaforizzando sull’intero universo.
Un altro ottimo lavoro che concentra le attenzioni e le promesse sulle avventure dei super eroi preferiti che nel lungo d’animazione trovano le risposte che finalmente il pubblico ricercava.

venerdì 11 gennaio 2013

Felon

Titolo: Felon
Regia: Ric Roman Waugh
Anno: 2008
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Un amorevole padre di famiglia, con un futuro promettente, perde tutto quando uccide accidentalmente il ladro che ha fatto irruzione in casa sua. Condannato per omicidio involontario, dovrà trascorrere tre anni all'interno di una struttura di massima sicurezza dove le regole della società non si applicano più

"Quando la tua vita è determinata da una sola azione cambia la concezione che hai del tempo"
I prison-movie sono sottogeneri interessanti. Ultimamente ne sono usciti alcuni che valgono di essere visionati come l’indipendente Felon forse mai uscito nel nostro paese. Ed è un peccato perché se anche in alcune parti il film non aggiunge nulla a tutto quello che si è già visto, c’è qualcosa di tremendamente autentico nel viaggio negli inferi del protagonista, un Dorf in ottima forma.
La storia per l’appunto non essendo così originale riesce a intrattenere con un crescendo di azione, dramma e violenza tutti dosati con buone capacità e alcuni momenti addirittura toccanti in cui il dato più importante è proprio quello di riuscire a identificarsi subito con il protagonista.
La cosa poi strana e quasi anomala è che Val Kilmer contando che negli ultimi anni sta girando più film di Nicolas Cage recita pure bene ritagliandosi un personaggio che si fa apprezzare, una sorta di guru carcerario con un proprio sistema di regole che non accetta compromessi all’interno delle bande della prigione.

giovedì 27 dicembre 2012

Train



Titolo: Train
Regia: Gideon Raff
Anno: 2008
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Europa dell'Est. Un gruppo di studenti collegiali statunitensi sono in viaggio per una gara d'atletica in cui concorrono tra i partecipanti. La notte prima di partire, il gruppo và ad un festino e gli effetti perdurano anche il giorno successivo, e per questo i ragazzi perdono il treno diretto. Al gruppo viene quindi offerto un viaggio alternativo in un treno che porta alla stessa destinazione ma fà un diverso percorso, che accettano. I ragazzi sono inconsapevoli, però, del fatto che a bordo con loro ci sono anche dei pazzi omicidi che vogliono concludere nel sangue il loro viaggio.

Europa dell’est+slasher+treno+torture+Thora Birch+ unica cosa utile durata breve.
Tanto tanto fumo e classiche scene stereotipate. L’opera prima di Raff rappresenta l’inconsistenza.
Diciamo che forse non ha mai visto un horror, oppure se lo ha fatto non ha visto alcuni recenti film di cui questo sembra un copia incolla di poco conto.
Se da un lato uno dei punti essenziali dovrebbe essere quello di creare suspance per qualche colpo di scena nel finale, Train dice proprio tutto dopo soli 10/15 minuti. Brutto davvero se si pensa che anche non potendo contare sull’originalità, almeno poteva regalare qualcosa di più in campo slasher e gore.
Molto meglio per chi cerca brividi sui treni TERROR TRAIN,TRANSSIBERIAN e via dicendo.

Surveillance




Titolo: Surveillance
Regia: Jennifer Lynch
Anno: 2008
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Due agenti dell'FBI giungono in una città di provincia per indagare su una serie di omicidi, probabilmente commessi dalla stessa persona. Interrogano 3 testimoni: una bambina, un poliziotto autoindulgente e una ragazza tossica. Sono deposizioni che si contraddicono, forse condizionate dall'idea che ciascuno si è fatta dell'assassino.

Non sempre i figli devono fare il lavoro dei loro padri. Soprattutto e questo caso ne è la prova evidente, quando da grossi nomi derivano importanti aspettative. Ora senza stare a dire di chi è figlia e quali aiuti ha avuto dal padre per questo film, il secondo film della Lynch cerca di fare il botto ma senza riuscirci nonostante un buon cast che tenta di mettercela tutta. L’impatto iniziale con questo film non è affatto male. Si cercano atmosfere simili a quelle del padre, personaggi grotteschi non sempre all’altezza, esagerazioni e momenti che dovrebbero soddisfare i palati degli spettatori, come ad esempio il bacio saffico finale.
Eppure manca qualcosa negli intenti del film. Un bisogno dopo quindici anni di inattività di riprendersi con qualcosa che possa fare il botto e far cambiare idea i critici dei festival.
Un road-movie infarcito da un bisogno di tenere toni alti ed esagerare mostrando poliziotti corrotti e sadici. Se la pungente critica poteva essere costruita meglio visto che l’incipit dell’idea non è male, quello che manca alla stesura del film è una linea generale che ne mantenga un senso logico senza indirizzarlo da altre parti. Non mancano scene accattivanti, una sequela di toni trucidi che scandiscono le azioni dei protagonisti e infine un nichilismo di fondo che non sembra aver mai termine.
Ciò nonostante non mi ha convinto del tutto.
La Lynch farà meglio disegnando una storia sottilmente minimale come in CHAINED.

Sleep Dealer


Titolo: Sleep Dealer
Regia: Alex Rivera
Anno: 2008
Paese: Messico
Giudizio: 3/5

Sleep Dealer è ambientato in un futuro non troppo distante dove le persone possono collegarsi a una rete informatica globale utilizzando prese impiantate nei loro corpi in grado di interfacciarsi al sistema nervoso. Gli Stati Uniti hanno innalzato un muro lungo il confine col Messico, ma il paese consente ancora l'assunzione di lavoratori messicani che una volta collegati possono controllare a distanza dei robot. Gli sbocchi lavorativi sono molteplici e vanno dalla classica raccolta delle arance fino al babysitting. In questo contesto, una compagnia privata si è appropriata del rifornimento idrico, mediante la costruzione di una diga, di una vasta regione del Messico. Per gli abitanti della zona, costretti a comprare un bene che appartiene loro da sempre, la vita non è facile. Sullo sfondo, un gruppo ribelle per la ridistribuzione dell’acqua ingaggia una lotta impari contro lo strapotere militare, altamente tecnologico, della compagnia.
Memo Cruz è un ragazzo che vive in un isolato villaggio non tecnologico, che sogna di lavorare in una fabbrica high-tech a Città del Messico, una delle Sleep Dealer che danno il titolo al film. Un giorno costruisce una trasmittente che gli permette di captare segnali dal resto del mondo, unico modo di evadere dall’antiquato contesto agricolo che sembra stritolarlo. Riesce a origliare casualmente le comunicazioni di un’azione antiterrorismo ma la trasmissione viene intercettata e la sua vita cambierà per sempre.

Ancora una volta ci troviamo di fronte ad un buon lavoro, risultato di chi crede nel cinema e di chi pur sapendo di potendo contare su un budget modesto ma risicato (due milioni di dollari) non si lascia scoraggiare e tirando fuori unghie e tenacia riesce in un compito difficile. Il perché è semplice:una storia di fantascienza funzionale, realistica e girata con pochi soldi è un compito arduo che negli ultimi anni pochi registi hanno saputo adattare senza cadere nel patetico e uscendo fuori dai binari. Ad esempio anche se con una storia del tutto diversa c’era riuscito MOON. Rivera parte da alcune idee sviluppate in maniera ottima da EXIXTENZ di Cronemberg e BRAZIL di Gillian.
Interessante poi la riflessione sugli schiavi(i lavoratori) e il rapporto tra vittime(messicani) e carnefici(statunitensi). Da un certo punto di vista la frase “Abbiamo dato agli americani tutto quello che hanno sempre voluto: tutto il lavoro e nessuno dei lavoratori.” è fondamentale per capire la presa di posizione di Rivera. Inoltre un’altra riflessione sembra quella per cui l’unica forma di alleanza da parte del paese più potente del mondo arriva sotto forma di produzione cinematografica e non altro.
Se bisogna vendere, gli yankee sono sempre ai primi posti senza stare a vedere il risultato o gli interessi comuni.
La forza creativa di Rivera è forte sin alle prime immagini ma probabilmente l’unico punto debole è il fatto di aver voluto mettere troppa carne al fuoco in una mistura di archetipi della fantascienza davvero ben nutrita e in cui la contaminazione Cyber-punk poteva scommettere su qualcosa in più.

lunedì 24 dicembre 2012

Rovdyr


Titolo: Rovdyr
Regia: Patrik Syversen
Anno: 2008
Paese: Norvegia
Giudizio: 2/5

1974. Una doppia coppia di amici in viaggio sul loro furgoncino verso i grandi boschi della Norvegia, durante una fermata per far benzina e mangiare qualcosa, s’imbatte in alcuni scorbutici membri della popolazione locale. I nostri lasciano la stazione di servizio accettando a bordo una ragazza apparentemente in fuga da qualche misterioso inseguitore. Ben presto i ragazzi impareranno a loro spese che i buzzurri del post praticano un tipo di caccia molto diversa dal solito, quella all’uomo. E uno per uno i protagonisti cadranno vittima delle trappole e delle armi dei predatori, fino a quando...

Ultimamente la Norvegia ha sorpreso l’Europa con il suo piglio per l’horror. Nel giro di pochi anni sono sempre di più i film che gareggiano ai festival o come in pochissimi casi escono direttamente per il mercato home video.
Rovdyr per certi aspetti è uno dei survival horror più classici nella sua forma. A differenza di alcuni semi-capolavori usciti da poco e che includevano come soggetto alcune leggende del paese, il film di Syversen riprende gli stereotipi del genere portando sul grande schermo un film che richiama i classici come UN TRANQUILLO WEEKEND DI PAURA e L’ULTIMA CASA A SINISTRA.
Premettendo che amo vedere le battaglie aperte contro i bifolchi, Syversen strizza l’occhio verso una sorta di “male”universale che non si trova solo nei boschi o nelle campagne yankee ma che come un tumore, l’ignoranza più bieca, colpisce tutti senza fare eccezioni.
Se è vero che di questi film ne sono usciti a centinaia, e io penso di averne visti almeno la metà (se non di più) allora bisogna anche dire che al di là della storia bisogna saper analizzare attentamente la forma, lo stile tecnico e l’impianto di planting and playoff con cui il film ci delizia e riesce ad essere quasi perfetto.
Tra i neofiti del genere, Syversen ha almeno il pregio di aver portato a qualche svolta della trama più qualche sottile variazione che merita di essere annotato.


Batman-il cavaliere oscuro


Titolo: Batman-Il cavaliere oscuro
Regia: Cristopher Nolan
Anno: 2008
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

La trama prende spunto dal finale del primo film, in cui il neo-promosso tenente James Gordon mostra a Batman un reperto trovato sulla scena di un crimine, una carta da gioco recante il simbolo del Joker. Nel film si vedrà Batman allearsi con Gordon e il nuovo procuratore distrettuale Harvey Dent per contrastare la malavita di Gotham City, incarnata dal pericoloso malvivente che rapina banche e si traveste da Clown: Joker. Inoltre, dovrà affrontare anche la mafia di Gotham, guidata dal boss Sal Maroni, successore di Carmine Falcone.


Diciamo che già solo l’inizio del film serve a far capire che come in una matrioska Nolan si diverte in un sottile gioco di maschere. Sono proprio le maschere, le nemesi, i contrapposti a regnare sul secondo capitolo di una saga personalissima e fedele al contesto della Dc e della storia del beniamino che a differenza degli altri super-eroi non ha super poteri.
Ritroviamo parte del cast con una new-entry che non starò a commentare proprio per il fatto che è di una portata così evidente il suo talento viscerale tale da non meritare altre parole.
A differenza del genere d’azione, del fantasy e della messa in scena di lungometraggi che derivano dai fumetti, il caso Nolan merita menzioni che forse per altri registi non sono mai state fatte.
In primo luogo la necessità di cogliere numerosi aspetti catartici e funzionali che non sono mai venuti in mente a nessun regista e sceneggiatore ma che alla fine risultano profetici per raccontare nel vero senso della parola qualcosa di realistico e nello stesso tempo irreale.
« Vogliamo raccontare una storia molto ampia, una storia in una città o la storia di una città. [...] Se vuoi prendere Gotham, devi darle peso, un respiro, una profondità. Così devi trattare personalità politiche e figure mediatiche. È tutto parte del tessuto che avvolge una città. » Wikipedia
Non a caso sono stati presi pezzi importanti sfornati da un genio come Alan Moore per passare a trattare temi importanti, escalation mafiose e criminali allo stesso tempo composte di personaggi mascherati e inneggia tori di un’anarchia spiazzante e rivoluzionaria.
Una delle frasi più interessanti la dice Alfred a Wayne che non riesce a capire la logica del joker. Alfred sostiene che non abbia assolutamente logica, in modo tale da non essere assolutamente prevedibile.
Tetro, complesso, maturo, perverso, buio e multi sfaccettato, Il cavaliere oscuro è insieme riflessivo e pieno d’azione, costellato di momenti mai banali e situazioni spiazzanti. Condito da lunghi montaggi alternati, primi piani ravvicinati, una c.g per alcuni passaggi fuori dal comune, si impone come la saga più importante dell’eroe mascherato.
Riflessione sul lato oscuro dell’uomo, della sua complessità, del suo desiderio di redimersi e allo stesso tempo non poter fare a meno di combattere una sfida che forse non si vuole finire mai.
Diciamo che per una volta le major hanno saputo scommettere sulla scelta registica più funzionale che potesse esserci.



Children


Titolo: Children
Regia: Tom Shankland
Anno: 2008
Paese: Gran Bretagna
Giudizio: 3/5

Due sorelle cercano di riappacificarsi trascorrendo insieme con le proprie famiglie il Natale in un cottage di montagna. I bambini però cominciano presto a comportarsi stranamente: dapprima si ammalano e vomitano, poi cominciano una escalation di aggressività nei confronti degli adulti che li porta a compiere insani gesti...

Ancora una volta l’Inghilterra coglie la palla al balzo sfruttando la tematica del bambino serial killer e portandolo a quegli eccessi che prima d’ora non si erano ancora visti.
La dimensione grottesca della vicenda lascia alquanto basiti sulla ferocia dei piccoli protagonisti.
A differenza delle molteplici pellicole che vedono sempre protagonisti dei bambini, qui la sceneggiatura, grazie al guizzo e al talento di Paul Andrew Williams lo sceneggiatore del divertentissimo THE COTTAGE, è tutto tranne che scontata.
Girato con pochi soldi ma con tante speranze, l’opera migliore di Shankland ha proprio il suo grande valore nella messa in scena grazie ad un cast convincente soprattutto tra i piccoli marmocchi che rischiano di rimanere impressi a vita per le loro piccole facce diaboliche.
Il motore della storia dunque accende anche parecchie riflessioni come già, anche se con un plot diverso, succedeva per il magnifico MA COME SI PUO’UCCIDERE UN BAMBINO dando spunto a parecchie situazioni in cui ci si chiede come ci si dovrebbe comportare.
Ecco forse tra tutti i film a partire da IL VILLAGGIO DEI DANNATI fino a CHILDREN OF THE CORN, quello che proprio più di tutti si avvicina è proprio il film di Serrador.
Ci troviamo ormai visto il grosso numero di pellicole a parlare di un vero e proprio sotto-genere con protagonisti i bambini malefici o diabolici oppure con altre situazioni analoghe che traggono spunto dalla fantascienza o da qualche virus o mutazione genetica.
The Children cercando di rimanere al riparo da una narrazione troppo irreale, lascia il segno proprio perché strettamente verosimile e dunque approfondisce e crea ancora più tensione senza dover ricorrere a tecniche digitali o quant’altro.

lunedì 29 ottobre 2012

Philosophy of a Knife



Titolo: Philosophy of a Knife
Regia: Andrey Iskanov
Anno: 2008
Paese: Russia
Giudizio: 3/5

Tra documentario e fiction, il film racconta la vera storia degli orrori della Unit 731, unità dell'esercito Giapponese attiva dal 1936 al 1945, che agli ordini del generale Ishii Shiro, era incaricata di studiare e testare armi chimiche e biologiche (violando il protocollo di Ginevra dove era vietato usare queste armi). Le ricerche prevedevano test su cavie umane, e a questo scopo venivano usati Cinesi, Russi e in generale i prigionieri di guerra, ma non solo. Infatti ceppi di batteri venivano liberati sulla popolazione civile con lo scopo di far scoppiare epidemie (peste, tubercolosi, antrace, colera) per poi studiarne gli effetti e raccogliere dati utili per le ricerche. Il numero di cavie che furono coinvolte si aggira tra le 3000 e le 12.000 unità, ma si sostiene che il numero di vittime (infetti) arrivi fino alle 200.000 unità.

Annichilente.
Al di là della durata che arriva quasi a cinque ore di montato senza contare il girato, il film di Iskanov è un doloroso pugno allo stomaco.
Un viaggio nella banalità della violenza se la Arendt avesse potuto dire qualcosa.
Si parte tra facce letteralmente tolte a ragazze (previo taglio dietro la nuca), tra torture ad arti preventivamente congelati, tra insetti vivi immessi in vagine e tra ciò che dice una delle protagoniste di nazionalità russa intervistata tra una tortura e l'altra.
Ishii Shiro, l’uomo a capo dell’Unità 731, è solo uno dei tanti figli di puttana che ha abusato del suo ruolo per dare prova della sua perversione.
Sembra che per ogni paese ed epoca storica ci siano stati personaggi come questo, in un qualche modo resi tali da un governo che non si può considerare come tale.
Il consiglio è quello di andare a leggere cosa è capitato, dopo di che, per chi se la sente, si possono osservare le realtà fotografate dai dati, i risultati davvero scioccanti se si pensa che è tutto reale e preso da un fatto poco conosciuto ma che ha incredibilmente sconvolto i mass media.
A parte tutto questo l’unica pecca è quella relativa ai fondi che Iskanov ha ricevuto per girare questo film. Dal momento che un’opera come questa è davvero poco vendibile e assolutamente anti-commerciale, anche i produttori si sono sottratti sapendo che molto probabilmente ci avrebbero perso e così dal cast alle location fino ad alcune scene, pesa il fatto di dover vedere così tanto questi tagli low-budget.
Il filo del docu-film comunque alterna un sadismo spietato ad una noia mai così sovrana nel cercare di prendere un attimo fiato dopo quanto visto.

domenica 22 luglio 2012

Batman-Gotham Knight


Titolo: Batman-Gotham Knight
Regia: AA.VV
Anno: 2008
Paese: Giappone
Giudizio: 3/5

Per gli appassionati del Cavaliere Oscuro, Batman: Gotham Knight è un prodotto sicuramente degno di un certo valore, complici i 6 episodi ambientati in un periodo di tempo che intercorre tra i due film di Christopher Nolan, ossia Batman Begins (2005) e Il cavaliere oscuro (2008).

Batman da sempre è stato uno degli Oav più apprezzato e più sfruttato nell’animazione.
In questo stranissimo caso ad averne contrassegnato le gesta sono stati i giapponesi.
L’esercito nipponico non ha saputo astenersi dal tratteggiare diverse storie sul beniamino della Dc. Già nel reparto della sceneggiatura si notano alcune firme famose e altre meno note.
Il risultato è molto interessante. Come impianto ricorda non poco ANIMATRIX. Una raccolta di corti con temi e ritmi del tutto diversi che trasformano anche l’immaginario del supereroe.
Dai toni suggestivi in cui a farla da padrone sono alcuni ragazzini in una storia molto particolare fino a vere e proprie sparatorie con un ritmo sfrenato che fungono da paiolo per dare enfasi alle storie metropolitane.
Un altro elemento interessante è l’interpretazione che gli svariati registi nipponici danno al supereroe, quasi come se venisse percepito in modo diverso dagli orientali.
Infatti l’episodio dove i ragazzini immaginano l’aspetto dell’uomo-pipistrello, il regista riesce addirittura a concepire un episodio per certi versi comico, in cui alla fine a farla da padrone è l’immaginario per cui Batman sia un obeso.
Sicuramente un prodotto artistico ricco e disomogeneo, onirico e multiforme. Un adattamento che devia le logiche commerciali preferendo una strada autoriale, in cui a ognuno degli autori è stata data carta bianca e in cui sicuramente si è fatto molto meglio di tanti animated-movie creati velocemente e che riciclano sempre le stesse storie.