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domenica 9 dicembre 2018

One i love


Titolo: One i love
Regia: Charlie McDowell
Anno: 2014
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Ethan e Sophie non sono una coppia felicissima, perché lui una volta l’ha tradita; ma ce la mettono tutta per ricostruire il loro rapporto: per questo vanno da uno strano psicologo, che non trova di meglio che spedirli in una villa isolata per un rigenerante weekend.
Inutile dire che ci sarà ben poco di rigenerante, e che la villa isolata è l’archetipo cinematografico dei guai paranormali. Nello specifico: un altro Ethan, un’altra Sophie.

One i love è l'ennesima dimostrazione che si possono girare dei bei film con un budget limitato e con una storia interessante e abbastanza originale senza dimenticare due attori affiatati.
Cosa fareste se per risolvere i vostri problemi coniugali aveste la possibilità di andare nella casa di fronte e trovare un sosia del vostro partner ma più divertente ed energico nel sesso? ( ovviamente vale sia per l'uno che per l'altra) E se poi questa fatidica coppia decidesse di incontrarvi per parlare dei vostri problemi in uno strano menage?
Diciamo che McDowell la gioca sporca e il climax finale del film come altri macro dubbi sappiate che non vuole rivelarli (un particolare che i registi devono saper sfruttare molto bene).
Potete scervellarvi in ambito psicologico magari cercando di riflettere sul dialogo iniziale, oppure potrete fare tutte le considerazioni possibili e anche in quel caso non avrete risolto il mistero perchè in fondo è proprio nel non rivelare che il film riesce a trasmettere quell'ansia e quell'atmosfera restando comunque perfettamente bilanciato fra il lato divertente, ironico e quello misteriosamente inquietante.
Una commedia psicologica con riferimenti fantascientifici e una buona coppia di attori. Praticamente tutto girato in un'unica location.


domenica 14 ottobre 2018

Dream Walker


Titolo: Dream Walker
Regia: Tom DeLonge
Anno: 2014
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Poet Anderson: The Dream Walker racconta il viaggio di un eroe. Poet Anderson è un Sognatore Lucido, una persona dotata della consapevolezza in tempo reale di stare sognando. Le sue capacità uniche lo spingono ad esplorare un mondo oscuro e profondamente affascinante, dove non soltanto incontra la sua guida e il suo protettore, il Dream Walker, ma anche il suo peggiore incubo, il Night Terror. Quando la realtà e il mondo dei sogni collidono, Poet deve farsi coraggio e diventare l’eroe che è destinato ad essere.

Un corto di 14' dal ritmo fenomenale capace di non fermarsi un attimo passando da una location ad un'altra. Un fantasy ipnotico e dai colori sgargianti che mostra questo simpatico ragazzo che avendo il potere di camminare nei sogni esplora realtà e mondi diversi per debellare gli incubi sotto forma di mostri enormi.
Un crescendo dinamico che a quanto pare è stato creato con lo scopo di promuovere un album musicale di uno dei vecchi membri di una pessima band come i Blink 182 (purtroppo adorati dalla massa). Sembra per certi aspetti come tipo d'animazione quella usata già da Damon Albarn nei Gorillaz e contando che parla solo la c.g mi aspettavo per certi aspetti un lavoro scarso e deludente.
Giustamente l'unica nota che si può fare al corto e che narrativamente è inconcludente, Poet potrebbe andare avanti all'infinito, non sappiamo nulla di lui e nulla ci è dato sapere.

venerdì 12 ottobre 2018

Violent


Titolo: Violent
Regia: Andrew Huculiak
Anno: 2014
Paese: Cecoslovacchia
Giudizio: 3/5

Sullo sfondo del paesaggio norvegese, la giovane Dagny ricorda nel corso di un evento catastrofico le cinque persone che l’hanno amata di più. Dalla sua memoria, riemergono gli scorci della lunga amicizia con la giovane sorella, delle interazioni con un amico di famiglia apparentemente benevolo e della saggezza spiazzante dell’adorato nonno.

Violent dal titolo di notevole impatto, fin da subito ha quei tratti di quel cinema nostalgico che si prende i suoi tempi per raccontare episodi semplici di una vita senza troppe pretese.
Ed è proprio la monotonia di giornate che paiono infinite a lavorare all'interno di un negozietto con un amico dei famigliari piuttosto solo e con una voglia matta di avere dei legami sociali e sentimentali.
Dagny è la tipica millenial sveglia che sa quello che vuole e di quelle che conoscono com'è fatto il mondo e cosa possono aspettarsi. Il piccolo viaggio nell'orrore della protagonista assume un contorno davvero molto realistico, a tratti allucinato ma deformato proprio dalla disperazione e dall'angoscia dei suoi personaggi dove Dagny, comunque sola in un paese che non conosce, si ritroverà a dover scappare dalle grinfie da un amico di famiglia che accogliendola a lòavorare nel suo negozio diventa presto uno stalker che non le da tregua.



lunedì 10 settembre 2018

Parasyte


Titolo: Parasyte
Regia: Takashi Yamazaki
Anno: 2014
Paese: Giappone
Giudizio: 4/5

La storia è incentrata su dei misteriosi parassiti alieni, che sono in grado di penetrare, attraverso il naso o le orecchie, nei cervelli delle persone, prendendo così il controllo del loro corpo. Il protagonista Shinichi Izumi riesce a sfuggire a questo destino, indossando delle cuffie nel momento in cui un parassita lo attacca. Il parassita, " Migi ", si stabilisce nella mano destra di Shinichi e i due formano un rapporto simbiotico con entrambe le loro personalità completamente intatte. Insieme, combattono contro altri parassiti che divorano gli esseri umani come cibo.

Il primo capitolo del film, basato su un fumetto di Hitoshi Iwaaki che ha venduto 11 milioni di copie, è stato presentato al 27° Tokyo International Film Festival
Che sorpresa vedere di nuovo Yamazaki tornare a fare del buon cinema con questa saga divisa in due capitoli davvero in grado di appassionare e divertire come non capitava da tempo.
Un dittico incredibile con degli ottimi effetti speciali, dei personaggi caratterizzati bene e questi parassiti che di fatto creano una galleria di personaggi, mutazioni e trasformsazioni ininterrotte.
Un film tutt'altro che banale nel cercare di inserire anche una certa ironia nel film, e l'umorismo nipponico in questo è difficile da digerire, ma in questo caso pur non avendo letto l'anime immagino che sarà diminuito ma nemmeno così tanto il tasso di sangue e violenza.
Di fatto il film inserisce fin dall'inizio una marcia in più con un ritmo che riesce a rimanere tale nonostante tutto l'arco della storia e arrivando dalla fine del primo film ha mostrare il volto del boss degli antagonisti interpretato in modo sublime dal grandissimo Tadanobu Asano.
A differenza però del capitolo successivo, part 1 dalla sua ha il merito di rimanere subito così incisivo un po grazie all'originalità della storia e di come si trasformerrano le specie viventi e dall'altro perchè avendo diversi intenti da raccontare non ha tempo di inserie quei dialoghi che nella part 2 rovinano e stonano in generale con l'intento narrativo ovvero svelare troppo attraverso anche una retorica che storpia alcune parti rendendole noiose o meglio sfruttando quella tipica logica da blockbuster americano che invece reguisti come Takashi Miike o Sion Sono non hanno bisogno di fare.
Resta un ritorno al cinema molto forte quello di Yamazaki con questi due film in grado di ritornare a quella dimensione che forse gli appartiene di più con il grande merito di fondere horror e grottesco in quella tipica forma e dimensione che è quasi solo orientale o meglio giapponese.



giovedì 30 agosto 2018

Don't grow up


Titolo: Don't grow up
Regia: Thierry Poiraud
Anno: 2014
Paese: Francia
Giudizio: 3/5

Su un'isola sperduta, un gruppo di adolescenti delinquenti vive in un centro giovanile. Pian piano i ragazzi scoprono che nessuno vigila veramente su di loro e così iniziano a prendersi un po' della libertà che è stata loro sottratta. All'improvviso però il loro supervisore appare dal nulla, in stato di febbrile agitazione, e li attacca con violenza. Per difendersi, i ragazzi finiscono con l'ucciderlo e si allontanano. Realizzeranno presto che l'isola è stata quasi del tutto abbandonata e capiranno di essere rimasti in compagnia solo di un manipolo di adulti affetti da una misteriosa epidemia che li rende violenti e pericolosi. Poiché bambini e adolescenti sembrano immuni dal male, capiranno anche che per sopravvivere dovranno rispettare una sola regola: non crescere. Ma il tempo non è dalla loro parte.

Poiraud è bravo e in tanti anni purtroppo ha potuto girare pochi film.
Ultimamente dopo GOAL OF THE DEAD sembra volersi occupare del filone zombie.
Don't grow up è una piccola sorpresa passata purtroppo inosservata con anni di ritardo.
Un peccato perchè l'ultimo film di Poiraud è un indie che parte subito in quinta catapultandoci in quest'isola quasi disabitata e per un certo tempo complici i dialoghi taglienti con un ottimo ritmo, rimaniamo intrappolati a scoprire i nostri sei protagonisti, quattro ragazzi e due ragazze, che davanti a una videocamera sciorinano le loro aspettative di vita, sogni e illusioni per quel futuro da maggiorenni che li attende dietro l’angolo .
La tematica dell'uccisione degli adulti era già stata trattata in passato con il cult spagnolo da cui però il film francese prende le distanze. Tutti questi protagonisti giovani e con diversi problemi sociali, i dialoghi, una certa ironia sembra rimandare alla serie MISFITS fino alla mattanza finale.
Anche se può sembrare l’ennesimo film di zombie, questa coproduzione franco-spagnola si distacca dalla moda del momento per il suo legame sottile con il film spagnolo anche se non arriva al suo magistrale e audace livello di brivido.
Peccato che verso il finale il film sembra correre troppo alla svelta saltando alcuni pezzi di storia e regalando il solito sacrificio finale abbastanza scontato

Dead space-Downfall


Titolo: Dead space-Downfall
Regia: Chuck Patton
Anno: 2014
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

In un futuro (speriamo) non ancora prossimo, mentre la Terra è dominata da Unitology, una nuova forma di governo religioso, viene trovato un manufatto su di un lontano pianeta. Una colonia umana viene posta per studiare il reperto archeologico alieno, esso, infatti, potrebbe rappresentare la prova dell'esistenza di una forza superiore, in altre parole - Dio -. Improvvisamente, però, l'insediamento di umani smette di dare segni di vita, così, la nave USG Ishimura, viene inviata a recuperare il monolito, denominato il 'marcatore'. Comincia così un viaggio nell'orrore puro vissuto dai membri della Ishimura, i quali verranno assediati e braccati dai coloni morti trasformati in Necromorfi dal marcatore che a loro volta finiranno per contagiare l'equipaggio della nave spaziale...sino a quando non ne rimarrà vivo alcuno

Il pregio di Downfall è quello che si è preso Patton mettendo in scena quello che più gli andava di trattare ovvero una carneficina sci-fi che non si vedeva da tempo nell'animazione dando spazio alla crudeltà e alla ferocia delle immagini rispetto ad uno stile di animazione che non è a dei livelli altissimi. Diventa un horror, anzi un survival horror, con uno svolgimento singolare dal momento in cui l'equipaggio si trova ad avere a che fare con i Necromorfi.
Pur non conoscendo la storia, questo prequel in realtà non dice niente di sè, prendendo lo spunto funzionale a reggere tutta la battaglia che dopo il primo atto segna inequivocabilmente la strada che decide di prendere omaggiando dai vari ALIENS ad altri omonimi per una macelleria che in diverse scene diventa splatter a tutti gli effetti.


Dead within


Titolo: Dead within
Regia: Ben Wagner
Anno: 2014
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Kim e Mike viaggiano in auto con la loro figlioletta e il cane per raggiungere la baita di montagna di una coppia di amici. Ignari del destino a cui andranno incontro, si ritrovano presto come unici sopravvissuti di una misteriosa pandemia che rende il mondo esterno alla residenza un inferno popolato di assalitori famelici. Rimasta sola nella baita, Kim sarà tormentata da immagini di morti e della vita che ha conosciuto e che non tornerà mai come prima, confondendo il reale con la fantasia.

Dead within dovrebbe seguire il filone post apocalittico in uno scenario home invasion o meglio home asserragliato. Con alcuni flash back nel montaggio abbastanza disastrosi, purtroppo Wagner non sembra azzeccarne una nella pellicola. Non vediamo mai un infetto, ci saranno a questo punto, (sorge spotanea la domanda o i limiti di budget hanno portato ad una soluzione drastica) potrebbe essere una delle domande o degli elementi che cercano di spiazzare lo spettatore fino in fondo.
Il risultato è una non spiegazione dove tutto vacilla dalla recitazione a volte in parte a volte sopra le righe, un ritmo che diventa particolarmente noioso o meglio giocato quasi sempre sullo stesso gap e sull'alternarsi delle abitudini di Kim.
Psiche, dinamiche di coppia, isteria collettiva, allucinazioni miste.
Wagner sembra rincorrere un po tutti gli elementi alla disperata e quello che ne esce si fa fatica a digerirlo senza fare il conto con il climax finale in cui Mike perde la testa e quell'arrossamento degli occhi poteva forse comunicare qualcosa quando invece il film sceglie la carta più telefonata e prevedibile possibile.

giovedì 19 luglio 2018

El incidente



Titolo: El incidente
Regia: Isaac Ezban
Anno: 2014
Paese: Messico
Giudizio: 4/5

Due storie parallele hanno per protagonisti personaggi intrappolati in illogici spazi senza fine: due fratelli e un detective sono alle prese con una scala infinita mentre una famiglia deve fare i conti con una strada che non termina mai.

Interessante l'esordio indie e low budget del regista messicano Ezban. Fin da subito ci immergiamo in due storie, con un sunto finale, che seppur la seconda sia in un esterno hanno qualcosa di claustrofobico che come per i dialoghi assorbe i personaggi in un limbo senza scampo e facendoli "lottare" quasi sempre in spazi ristretti come può essere una scala di un edificio o l'interno di un auto. Scappi per poi tornare al punto di partenza.
Un monito che sembra per alcuni aspetti una delle costanti di una politica d'autore che attraverso lo sci-fi ingabbia i suoi protagonisti in scenari da incubo.
La regia è già precisa e si vede che con i mezzi a disposizione, il regista sa già quello che vuole, studiandosi tutto alla perfezione scena per scena, inquadratura per inquadratura.
A livello tecnico il film è girato molto bene con gli stacchi al punto giusto, un buon montaggio che non annoia mai, una fotografia che riesce a mettere in luce i particolari che servono e alcuni piani sequenza importanti.
Una storia complessa che seppur scritta molto bene contiene alcuni piccoli errori da capire se fanno parte della scrittura o della realizzazione (come nella prima storia la confusione tra i piani da dove salgono e scendono i personaggi in particolare il poliziotto) ma che in fondo servono anche per far capire come sia difficile avere una visione a 360° di tutto ciò che si ha tra le mani.
Ezban si era fatto notare per uno dei corti mostruosi del bellissimo film corale a episodi Mexico Barbaro

domenica 22 aprile 2018

Dig two graves


Titolo: Dig two graves
Regia: Hunter Adams
Anno: 2014
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Dopo che Jacqueline Mather perde il fratello annegato in un misterioso incidente, la ragazza riceve la visita di tre distillatori clandestini che si offrono di riportare il fratello in vita, ma ad un macabro prezzo. Quando la storia oscura del nonno, lo sceriffo Waterhouse, viene portata alla luce, anche le vere intenzioni dei distillatori clandestini vengono alla luce.

Dig two graves come per A monsters calls è di nuovo un interessante film di formazione con un target variegato che unisce adulti e ragazzi senza però riuscire ad essere fortemente d'impatto per nessuno dei due.
Un thriller sovrannaturale che parla di cammino di redenzione, viaggio di formazione e una sfida da parte di una ragazzina di spingersi al di là delle tradizionali regole per far resuscitare il fratello affidandosi a personaggi che sembrano usciti da una fiaba di Dickens.
Adams fin da subito mostra il suo mondo a metà tra realtà e mistero dove le magie si trasformano a seconda degli usi e delle tradizioni degli abitanti del luogo (i tre bifolchi rendono bene questa dimensione a metà tra il fascino e la scoperta ma soprattutto la paura del sacrificio) e Jacqueline è perfetta nel dare vita e voce alle difficoltà e alla paura di affidarsi a degli adulti sconosciuti che non siano il nonno di riferimento (un grandissimo Ted Levine).
Dig two graves è un indie anomalo, un film interessante che inciampa in alcuni momenti per forzature legate al reparto della scrittura, qualche momento debole che rischia di annoiare soprattutto quando ripete quanto già detto ma riesce ad essere un quadro e un racconto di formazione assolutamente anti commerciale e senza dover strizzare l'occhio a nessuno liberando Adams è mettendolo a raccontare ciò che vuole senza bisogno di cercare happy ending sensazionalistici o quant'altro.



martedì 27 febbraio 2018

Deep in the darkness


Titolo: Deep in the darkness
Regia: Colin Theys
Anno: 2014
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Il dottor Michael Cayle pensa di lasciare il caos della città di New York per la tranquilla cittadina di Ashborough. Poco dopo il suo arrivo, però, si confronta con il segreto più oscuro della località: una terrificante razza di creature che vivono tra le tenebre nel bosco dietro la sua abitazione.

Ogni volta che sento di creature strane che emergono dal sottosuolo di qualunque forma, genere, dimensione e tipologia, non c'è niente da fare devo per forza vederlo anche quando il trash è assicurato o dietro l'angolo.
Mea culpa di non aver letto il libro da cui il film è tratto vincitore del Bram Stoker Award e di cui parlano tutti un gran bene. Il film in questione è invece un indie scialbo con una bassa produzione, una distribuzione straith to video e una narrazione che fa fatica ad incalzare.
Un horror bruttino e lento che fa fatica ad ingranare con un'idea di certo non originale ma che poteva lavorare per dare sicuramente un quadro migliore che il libro ha fatto ma quest'opera purtroppo è segnata da troppi limiti. Infine quando arrivano le tanto agognate creature risultano abbruttite da una c.g esagerata e con una luce negli occhi di questi mostri non motivata e alcune azioni loro e dei protagonisti che non sembrano avere alcun senso.
Bruttino quanto Offspring con cui l'horror ha diverse peculiarità in comune e come anche nell'altro film, entrambi vanno visti per cercare di chiamarsi fuori e non ripetere gli stessi errori di regia così traballanti che non riescono mai a mordere come dovrebbero.



sabato 18 novembre 2017

Copper

Titolo: Copper
Regia: Jack O'Donnel
Anno: 2014
Paese: Nuova Zelanda
Festival: Divine Queer Film Festival
Giudizio: 3/5

Un ragazzino sordo molto curioso incontra una statua vivente: chi si nasconde dietro la maschera?

E' vero i bambini possono sentire i loro cari vicini, anche quando sono apparentemente mascherati.

Ma come fare quando affianco si ha una madre troppo normativa che non lascia respiro al bambino con la paura che possa finire nei guai a causa della sordità. Per non parlare del compagno della mamma che cercando di proteggere il bambino non si rende conto che banalmente non ha mai provato a imparare il linguaggio dei segni per entraci in sintonia e infine un fenomeno da baraccone che sa essere più deciso che mai quando arriva il momento di aprire gli occhi e vedere chi ha davanti. A tratti molto melodrammatico e melanconico. Interessante anche sul piano tecnico in cui le musiche alla Amelie e un girotondo di colori cercano di mischiare il piano drammatico-sociale con quello dell'immaginazione e della fantasia.

Falcon Rising

Titolo: Falcon Rising
Regia: Ernie Barbarash
Anno: 2014
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Un ex marine va in Brasile per condurre da solo una vendetta contro l' organizzazione criminale giapponese Yakuza, che ha brutalmente assassinato sua sorella.

Cinema di serie Z. Ok a volte piace farmi del male, smettendo di pensare e guardare solo gente che si legna duro. In questo caso c'era il nero di UNDISPUTED Michael Jai White che è un animale senza senso al pari di Scott Adkins.
Come sempre in questi film ciò che mi fa star male dal ridere è la banalità della storia da cui sdi evincono poi i più grossi limiti dell'intera baracconata.
Lui è un reduce di guerra, quale non la sappiamo, e non trovando un posto nella società, sfida la morte per far smettere le voci dei morti che gli urlano in testa e decide di prendersela con la yakuza in Brasile (?). In più la sorella, la figlia del famoso pugile Laila Ali, viene trovata morta dove si trovava lavorando per un’associazione americana non-profit in favore delle favelas.
Servono altri luoghi comuni. Direi di no.
La regia non esiste, la messa in scena anche nei combattimenti e confusa con personaggi trapiantati lì senza nessun motivo e alcuni dialoghi che meriterebbero l'arresto. La fotografia forse è l'unico elemento che si salva. Per il resto è la solita piccola parata di star per un film che comparato con un ideal tipo orientale non regge assolutamente la sfida.


mercoledì 15 novembre 2017

Black Mountain Side

Titolo: Black Mountain Side
Regia: Nick Szostakiwskyj
Anno: 2014
Paese: Canada
Giudizio: 3/5

Un thriller su un gruppo di archeologi che scopre una strana struttura nel nord del Canada, risalente a oltre 10 mila anni fa. La squadra si ritrova isolata quando i loro sistemi di comunicazione non funzionano e non molto tempo dopo cominciano a sentire gli effetti della solitudine.

L'esordio di questo regista dal nome impronunciabile è una bella sorpresa dal Canada che non smette mai di regalare alcune perle soprattutto nell'horror.
Black Mountain Side cerca di raccogliere vari elementi e tessere una trama sicuramente originale e interessante, attingendo dall'antropologia nuove specie viventi che sembrano essere esistiti millenni prima, cercando poi di inserire suddetto elemento con le caratteristiche dell'horror.
Diciamo subito che ci sono alcune importanti ispirazioni di cui la più grande e del maestro Carpenter è sicuramente LA COSA diventa subito l'elemento che più si assimila in quest'opera anche se più per le ambientazioni che non per le azioni dei personaggi. Azioni che purtroppo tendono ad essere come l'anima del film abbastanza derivative dove tra sospetti e tensioni il film ci mette parecchio prima di inserire la marcia e pur facendolo rimane comunque limitato per quanto concerne splatter, frattaglie e trasformazioni. Tutto si consuma nella casa senza troppi colpi di scena. L'elemento misterioso, ovvero la nuova civiltà scoperta, all'inizio, sembra innescare quel guizzo per cui magari ci troviamo di fronte a un'opera che sa scavare nel mito e nelle leggende per trovare materiale originale.
Però proprio su questa non riesce a dare quella spinta propulsiva che mi aspettavo parlando comunque di Inuit, perchè qua quello che viene risvegliato dai ghiacci e ben altra cosa che rimanda più per certi aspetti all'orrore cosmico di Lovecraft, negli ultimi anni sdoganato per fortuna con alcune buone e intense opere, dove le voci vengono sussurrate dall'entità risvegliata e la follia come sempre in questi casi avvolge tutti facendoli diventare cospiratori e carnefici.
Un film per certi versi a metà. Bastonato dalla critica e da molti blogger, diventa l'opposto di alcuni film horror più votati all'azione, anche LA COSA lo era, per prendere le giuste distanze e lavorare di suspance e dialoghi, non riuscendo sempre ad essere appagante nella sua messa in scena ma dimostrando un buon talento che lavora più di privazioni che di aggiunte.



domenica 10 settembre 2017

Bodybuilder

Titolo: Bodybuilder
Regia: Roschdy Zem
Anno: 2014
Paese: Francia
Giudizio: 3/5

Il ventenne Antoine è nei guai con una banda di teppisti a cui deve dei soldi. Per toglierlo dalle spine, la madre e il fratello maggiore lo mandano a stare con Vincent, il padre che non vede da anni. Antoine è così sorpreso dallo scoprire che Vincent gestisce una palestra e che sogna di riconquistare il suo titolo di campione di bodybuilding. Tra indifferenza e incredulità, padre e figlio cominceranno lentamente ad avvicinarsi e, lavorando con Vincent, Antoine avrà la possibilità di capire e di rispettare la vita che il genitore ha scelto.

Bodybuilder prima di tutto parla di un difficile rapporto padre figlio. Il film di Zem è interessante almeno per due aspetti. Intanto è una storia sulle differenze, sulle diversità negli stili di vita e il bisogno o la necessità di riparare un rapporto affettivo e familiare fragile e ormai difficilmente recuperabile fino in fondo. Dall'altro l'elemento di interesse e la sub cultura della palestra in particolare dei bodybuilder che poi sono la radice cubica dei palestrati normali. Dieta, spese eccessive, sacrifici, pastiglie di ogni forma e ingurgitate costantemente, la dimostrazione e la lotta solo con se stessi chiudendosi in un egoismo che prevede solo l'accettazione dei propri simili.
Un film che ogni tanto inciampa in qualche momento un po morto, ma che riesce senza puntare su un climax finale potente, ma sincero e divertente e mette in evidenza un talento alla regia importante che speriamo di rivedere presto.
Il confronto tra padre e figlio sarà serrato per quasi tutta la durata contando che il secondo non solo non sembra smettere di finire nei guai, ma tenta di provarci con una allieva di suo padre e per raccimulare qualche soldo comincia pure a rubare in palestra. Il rapporto drammatico e doloroso sarà utile ad entrambi per cercare di far riflettere ognuno dei due sugli obbiettivi, da una parte dell'inutilità dei compromessi utilizzati fino a quel momento per campare, e dall'altro a non poggiarsi unicamente sulle illusorie speranze di vincita di un concorso tutto impostato sulla costruzione posticcia e su un edonismo sfrontato e molto fine a se stesso in cui per farla breve il punto di riferimento per Vincent non è altro che l'ex presidente della California.

Un giovane adulto e un adulto giovane che tra litigi, qualche schiaffo e ribadire sempre propri intenti nonchè tracciarne qualcuno insieme, il film di Zem ha il pregio di non cercare sensazionalismi dove non ci sono senza mai esagerando e uscendo dai toni, ma cercando un equilibrio che di fatto viene mantenuto e garantito per tutto il film.

domenica 3 settembre 2017

Marvel-75 Years, From Pulp to Pop!

Titolo: Marvel-75 Years, From Pulp to Pop!
Regia: Zak Knutson
Anno: 2014
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Vivi un viaggio emozionante attraverso i 75 anni di storia della Marvel, dalle sue umili origini come Timely Comics nel 1939 alla nascita di The Marvel Age nel 1960 per arrivare ai blockbuster del cinema di oggi. Condotto da Emily VanCamp per ABC Television Network…

Il documentario di '40 sceneggiato da Laura Shields non è proprio emozionante ma inseriesce alcune news e approfondimenti sull'universo Marvel partendo dalla nascita agli ultimi anni quando ormai è stata inglobata dalla Disney ed è diventata una costola importante di una grande multinazionale. Knutson invece è quel simpaticone che segue in tutto e per tutto il suo maestro e mentore ovvero Kevin Smith in documentari divertenti come KEVIN SMITH: TOO FAT FOR 40 oppure KEVIN SMITH: SOLD OUT - A THREEVENING WITH KEVIN SMITH o ancora KEVIN SMITH: BURN IN HELL.
Ad essere intervistati poi abbiamo attori, registi e artisti come Stan Lee, Todd McFarlane, Robert Downey Jr., Scarlett Johansson, Joss Whedon, Chris Evans, Chris Pratt e molti altri ancora in cui soprattutto gli attori sembrano disarmati e parlano di questa macchina produttiva come di una sorta di pantheon che gli ha consacrati come divinità per una grossa parte di fan e che speriamo vengano anche dimenticati facilmente quando si esaurirà questo fenomeno per molti aspetti esasperato all'ennesima potenza con un merchandising che ha letteralmente devastato la nostra società.

Tutto questo per dire che il 2014 segna il 75° anniversario della casa delle Idee, l’epicentro delle celebrazioni in cui la ABC trasmetterà questo speciale che ripercorrerà la storia della Marvel dalla sua genesi fino ai giorni nostri, con interviste esclusive ai protagonisti della sua storia.  

martedì 27 giugno 2017

Kill me three times

Titolo: Kill me three times
Regia: Kriv Stenders
Anno: 2014
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Un volubile assassino scopre di non essere l'unica persona che sta cercando di uccidere la sirena di una soleggiata città del surf. In questo cupo thriller comico, il killer si ritrova a dipanare tre racconti sul caos, omicidi, ricatti e vendetta.

Il film narra le vicende di diversi personaggi, tra tradimenti, rapimenti e omicidi. La storia principale è una sola che però viene divisa in tre capitoli, in ognuno dei quali verranno ripercorsi gli eventi dal punto di vista di alcuni personaggi. Poco alla volta si aggiungono informazioni in più e riusciamo a mettere insieme i vari tasselli del puzzle, fino al finale in cui tutte le sottotrame finiranno inevitabilmente per incontrarsi. Il personaggio che unisce tutti i capitoli è quello del killer Carlie Wolfe intrepretato da uno dei maestri della risata contemporanea. Il problema è proprio quando in una pellicola nemmeno un attore come Simon Pegg riesce ad essere impiegato bene (e come si fa con un personaggio del genere scritto così male e così pieno di stereotipi) allora un semi-sconosciuto film del noiosissimo Stenders alla sua terza regia non può che essere qualcosa di stupido e banale privo di ogni tipo di complessità o colpo di scena o un minimo elemento che possa dare originalità al progetto.
Un film che scimmiotta tra i generi senza mai riuscire a mantenere un margine di coerenza e trovando un'ironia particolarmente abusata e infantile nel genere senza quei guizzi che ne diano una prova perlomeno sufficiente o divertente con quell'ironia sempre più complessa da trovare e che alla maggior parte dei registi post-contemporanei manca.
Un film in cui a parte la bellissima Palmer (ma semplicemente perchè ha qualcosa di magnetico) nessuno sembra mai entrare in parte a cominciare dal cast che punta su attori di serie b come il fratello di Thor e altri figuranti ormai dimenticati dagli studios.
Senza contare che il film di riferimento per il regista sembra a tutti gli effetti essere BLOOD SIMPLE dei Coen, Stenders affidandosi ad una mania tarantiniana di lasciarsi prendere la mano, getta via le regole del thriller e del noir per soffocare tutto con un mix di ironia e idiozia drammatica ed esemplare.


lunedì 1 maggio 2017

Dark Horse

Titolo: Dark Horse
Regia: James Napier Robertson
Anno: 2014
Paese: Nuova Zelanda
Giudizio: 3/5

Ex campione maori di scacchi, Genesis Poltini è alla ricerca di una vita che rifletta la verità del gioco che adora. Convivendo con un disturbo bipolare, Genesis deve superare pregiudizi e violenza per salvare il suo club di scacchi in difficoltà, la sua famiglia e anche se stesso.

Sono pochi i film che parlano di scacchi soprattutto quando dietro c'è una storia di formazione e redenzione.
Gli scacchi possono insegnare molto e sicuramente necessitano di regole, precisione, attenzione e strategia. Un tema del genere ambientato in Nuova Zelanda con protagonisti un manipolo di ragazzini che devono partecipare ad un prestigioso torneo e il loro mentore, un ex campione con disturbi psichiatrici, sono solo alcuni degli ingredienti dell'opera prima del giovane regista. Possiamo aggiungere il passato che torna, le faide famigliari e il peso delle gang in sotto culture come queste, finendo per avere tanti elementi che ne fanno una buona storia in questo indipendente film che da noi è passato in sordina solo in alcuni festival. In più il film è tratto da eventi reali contando che questo Genesis ha passato tutta la vita ad insegnare le regole degli scacchi ai ragazzi.
Cliff Curtis è un veterano dei film, sempre costretto in ruoli minori e infatti in questa deliziosa prova da protagonista affetto da disturbo bipolare.
Dark Horse, da non confondere con il film di Solondz, in tutti i momenti in cui non si prende sul serio diventa un film meraviglioso mentre nei momenti decisivi mostra il suo lato melanconico e il bisogno di trovare un lieto fine a tutti i costi risolvendo alcune vicende peraltro in maniera troppo frettolosa (come le sorti di Mana e la gang) oppure nella scelta scontata della vittoria del torneo.
A parte l'ottimismo di risolvere e migliorare ogni sotto storia presente nel film, Robertson ha creduto fino in fondo in un film che entra a tutti gli effetti nella rassegna di quelle opere indie semi sconosciute e di un regista che se curerà meglio alcuni aspetti presto potrà essere chiamato autore.



martedì 25 aprile 2017

Heaven knows what

Titolo: Heaven knows what
Regia: Safdie
Anno: 2014
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Harley è una giovane senzatetto di New York, una ragazza in difficoltà e tossicodipendente come ve ne sono a migliaia nella Grande Mela. Vive di elemosina, piccoli furti e della gentilezza di altri sbandati che non possono fare a meno che prendere a cuore una ragazza così carina e fragile. Ma Harley è follemente innamorata di Ilya, un tossico dall'aria spettrale che la usa, la maltratta e arriva perfino a spingerla a tentare il suicidio come prova d'amore. Harley sembra finalmente allontanarsi da questo ragazzo che tanto male le ha fatto e si avvicina invece a Mike, uno spacciatore dal buon cuore che cerca di donare un minimo di stabilità alla vita della ragazza, offrendole un letto e le dosi quotidiane in cambio del suo affetto e della sua lealtà. Ma Harley non riesce a dimenticare l'amore maledetto per Ilya e ancora una volta si lascia trascinare in un vortice autodistruttivo.

E'difficile descrivere questo microcosmo messo in scena dai fratelli Safdie, giovani ed entrambi motivati ad andare avanti per la loro strada e fare cinema in modo indie e scegliendo e ritagliandosi un proprio stile personale quasi documentaristico. In questo caso hanno incrociato in metropolitana Arielle Holmes, poi diventata loro musa ispiratrice, da cui il film è tratto nelle memorie della donna, Mad Love in New York City, riuscita con il tempo a cambiare vita.
Sembra una CHRISTINE F. meno giovane ma con quel carattere temerario che non accetta di farsi mettere i piedi in testa da nessuno. Sembra di ascoltare un brano degli Atari Teenage Riot e vedere una versione marcia e ancora più drammatica di PARADISO+INFERNO al rovescio.
Sono barboni, tossici all'ultimo stadio, derelitti che cercano continuamente luoghi e locali dove nascondersi e dare il via alla loro sub cultura fatta di festini, prove d'iniziazione e fattanza attorno al fuoco.
Le immagini sono distruttive senza mai esagerare e il film cerca e analizza oltre che monitorare le sofferenze esistenziali. Caleb Landry Jones ormai è sempre più affine ad interpretare ruoli deviati. I Safdie invece prediligono uno stile che decide di seguire i suoi emarginati attraverso gli sguardi, le smorfie e le fragilità. Vuole essere in parte anche una critica su come questa piccola compagnia di tossicodipendenti venga lasciata a morire in un America che sempre di più nasconde i suoi fantasmi nella speranza che scompaiano da soli.
Heaven non cerca l'effetto o l'azione. Si limita ad osservare e per questo a tanti non è piaciuto definendolo fine a se stesso o un semplice esercizio di stile dei due fratelli.

Qui il linguaggio non verbale è sinonimo di una narrazione inusuale e complessa in cui spesso la telecamera vacilla rischiando di schiantarsi come i destini maledetti dei suoi personaggi senza futuro, senza paradiso e senza redenzione.

Imperial Dreams


Titolo: Imperial Dreams
Regia: Malik Vitthal
Anno: 2014
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Bambi vuole iniziare la sua carriera come ogni giovane scrittore vorrebbe. Ma per Bambi la normalità è un dilemma. “Normale” significa tornare a Watts, Los Angeles, dopo ventotto mesi in prigione, per trovare il suo giovane figlio giocare vicino alla sua nonna strafatta. È normale per il patriarca della famiglia dare il benvenuto a Bambi offrendogli pasticche, armi e un lavoro come spacciatore. Per Bambi e suo figlio, una normale visita del cugino significa dovergli estrarre un proiettile dal braccio. Bambi si relaziona a questa surreale normalità del ghetto con calma e compostezza, ma sa che questa quotidianità non potrà durare a lungo.

La Netflix si sa negli ultimi anni sta cercando di accaparrarsi quasi tutto dalle serie alle grandi produzioni per arrivare anche a piccole sorprese e film indipendenti come in questo caso.
Imperial Dreams analizza un altro sogno americano sfumato. Traccia la speranza e il cambiamento per un afroamericano dal futuro segnato e privo di speranze se non quelle legate alla criminalità. Un'opera che puntando a degli intenti nobili e attuali riesce ad essere commovente e intimista, delicata senza troppe esagerazioni.
Imperial Dreams riesce nel difficile compito di descrivere un'odissea di un giovane-padre (come capita sempre più spesso) disposto a opporsi con tutte le sue forze alle dure leggi del ghetto, pur di salvaguardare il benessere e la sicurezza del suo unico figlio. Il nostro (anti-)eroe, interpretato da John Boyega prima della saga di Lucas ha intenzione di fare ammenda per gli errori del passato, riscattando i suoi trascorsi da piccolo delinquente nella maniera più drastica e “indolore” cui riesce a pensare e che purtroppo sarà devastante e senza compromessi.

martedì 11 aprile 2017

Tu dors Nicole

Titolo: Tu dors Nicole
Regia: Stephane Lafleur
Anno: 2014
Paese: Francia
Giudizio: 2/5

Nicole e la sua migliore amica Véronique stanno per trascorrere una bella vacanza senza genitori nella casa di famiglia. La loro estate, però, prende una piega insolita quando il fratello maggiore di Nicole, Rémi, si presenta a casa con il suo gruppo musicale.

Tu dors Nicole è uno di quei classici indie francesi che puntano sulla sottrazione. Cioè in tutto il film non succede praticamente nulla dal punto di vista pratico, di cosa fa Nicole, ma invece racconta moltissimo su tutto ciò che le sta intorno. Quest'anno è uscito un film che mi ha ricordato questa opera francese in b/n, il Paterson a colori di Jarmush. Anche in quell'opera non succede granchè ma scopriamo davvero tanto di questo personaggio semplice.
Sia lì che qui ci troviamo di fronte a poche parole, storie minimali, cercando di mettere in risalto le musiche e i suoni. Nicole e Paterson conducono una vita spensierata a bassa intensità svolgendo anche lei un lavoro semplice e monotono.
Nicole ha 22 anni, la vita da adulta fa schifo e l'accento, per quasi tutto il film, viene posto sulle sfide che la giovane o il giovane di turno devono affrontare. Purtroppo a parte tutte queste belle parole, qualche scena simpatica tra le due amiche e con la band musicale del fratello, il resto pur avendo una bella forma ha davvero poca sostanza.