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martedì 22 marzo 2011

He Hot Game

Titolo: He Hot Game
Regia: Spike Lee
Anno: 1998
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Al detenuto Jake Shuttlesworth, viene concessa la libertà vigilata e una commutazione della pena, nel caso in cui riesca a convincere suo figlio a giocare nella squadra di basket della Big State, l'università del Governatore..

La famiglia, la redenzione, il peso del successo. Lee ci racconta questa storia di rapporti conflittuali che vedono il ritorno di un padre il quale per avere una riduzione della pena visto che ha ucciso la moglie (per errore)deve far accettare al figlio la richiesta di entrare in una delle più prestigiose università americane.
Jesus è una promessa del basket con una ragazza da urlo che vuole come tanti il successo ed è facilmente rimorchiabile da altri, un'affascinante Rosario Dawson, che mostra anche un bel paio di tette e una malinconica se non assolutamente fuori parte Mila Jogovich.
Cosa dire. Innanzitutto troppa musica che non trova una giusta soluzione con musiche da sottofondo mischiate, come sempre ai cari Public Enemy.
Troppo sdolcinato e triste in alcuni punti. Per niente accattivante e trova pochi pretesti per polemizzare contro la cultura bianca americana.
Un film sul destino di un giovane baccagliato da tutti i college ma in fondo cagato da pochi.
Numerosi i camei e gli omaggi che i giocatori di basket e non solo hanno contribuito al film.
Non uno dei migliori Lee ma neanche detestabile se non vagamente ripetitivo nello stile e nella messa in scena dei rapporti famigliari.

Ecco Fatto

Titolo: Ecco Fatto
Regia: Gabriele Muccino
Anno: 1998
Paese: Italia
Giudizio: 2/5

Matteo e Pitterone, sono alla vigilia degli esami di maturità che affrontano con qualche ostacolo, visto che a vent'anni sono ancora in terza liceo. Matteo s'innamora di Margherita, una ragazza slava un pò più grande di lui, già inserita nel mondo del lavoro e con una forte personalità. Margherita ricambia l'amore e in breve tempo andranno a vivere insieme.

Esordio alla regia per Muccino con una commediola abbastanza frenetica sull'esistenzialismo degli studenti, su amori corrisposti e non, sulle seghe mentali e sui presunti tradimenti e prime paranoie.
Un ragazzo che troppo velocemente sperimenta tasselli cardini di una relazione affrettata e smisuratamente colorita.
Il tutto con toni sdolcinati e pretenziosi.
Un buon ritmo che lascia lo spettatore abbastanza soddisfatto( perlomeno non annoia) pur ripetendo alcuni classici clichè del genere commedia-sentimentale senza troppe pretese.

lunedì 21 marzo 2011

Assedio

Titolo: Assedio
Regia: Bernardo Bertolucci
Anno: 1998
Paese: Italia
Giudizio: 4/5

In un vecchio appartamento di Roma, vive Mr. Kinski, un eccentrico pianista inglese. Shandurai, una ragazza africana che studia medicina all'Università, vive con lui e fa le pulizie in cambio di una stanza. L'uomo, che trascorre le sue giornate al pianoforte, dando lezioni di musica s'innamora della ragazza. La donna non ricambia i suoi sentimenti, anche perché ha un marito in prigione in Africa. Pian piano, Kinski si disfa di tutti gli oggetti d'arte e di antiquariato, finché Shandurai riceve una lettera dal marito in cui le comunica la sua imminente scarcerazione e che dopo la sua liberazione la raggiungerà a Roma.

Il penultimo film di Bertolucci è assai bello. Forte e robusto di una sceneggiatura arida e spoglia di attori ma che mostra un rapporto strano ma catartico che sprigiona e travolge come la suonata che Mr.Kinski improvvisa a contatto con la sua musa.
I movimenti di macchina del regista in questo film sono splendidi merito anche di una calda e colorata fotografia di Fabio Cianchetti.
Le suonate di Alessio Vlad rimangono impresse per la malinconia che suscitano e che risalta il tono del film dandogli quella spensieratezza e a tratti quella morbosità che lo distingue dagli altri film.

Strangeland

Titolo: Strangeland
Regia: John Pieplow
Anno: 1998
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Un sadico chiamato "Captain Howdy”" avvicina giovani con trappole in internet per svolgere i suoi terribili rituali. Un detective ben presto inizia a seguire le tracce del folle Captain Howdy e, catturatolo, lo rinchiude in un manicomio. Dopo il suo rilascio l'uomo, ormai innocuo, viene però disprezzato dalla gente, elemento che fa si che il folle ritorni ai suoi riti giudato da una rabbiosa vendetta.

Mah! L’inizio e tutto il primo atto promettevano bene. Sembrava di assistere all’ennesimo horror che puntava su una scenografia imbastardita da trucchi e i peggio esempi di body piercing invece casca in un enorme buco di sceneggiatura che ridicolizza e fa proprio cascare i coglioni.
Il killer che scopre dio e rinasce dopo essere stato il peggio dei sadici è inverosimile, non è un cambiamento che si può mostrare in pochi minuti e non basta neanche la parentesi del carcere per giustificare tutto. Sembrava un nuovo Charlie Manson ancora più stupido che profetizza frasi prese dall’apocalisse dei poveri.
Il deus ex machina secondo cui poi lui uscendo viene impiccato ma si salva e un grossolano e triste errore, un modo per semplificare la trama che sconforta la visione per tutto il resto del film.
Alcune sequenze come quella del locale che nasconde una factor di sadici che si tagliano e cercano di provare il dolore massimo per essere purificati e rinascere può starci così come la questione del killer che uccide trovando stupide teen-ager su gruppi ancora più stupidi contando che il film è del ’98 potrebbe essere un’idea non trita e ritrita e vista in ogni sua forma.
Il regista risponde al nome di John Pieplow regista alla sua seconda opera dopo la parentesi di JURASSIC WOMAN.
Sul soggetto dopo attente ricerche si capisce il motivo di tanta banalità sconcertante, ossia che l’autore del soggetto non è nient’altro che il protagonista e il cantante di una band metallara tale Dee Snider cantante dei Twisted Sister.
Godibile a tratti ma come capita non sempre vedi il buon Rob Zombie quando si da carta bianca ad un artista musicale che non capisce ‘na cippa di cinema il risultato non può superare alcuni livelli.

Double Dragon

Titolo: Double Dragon
Regia: Jim Yukich, James Yukich
Anno: 1998
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Double Dragon è un film d'avventura tratto da un videogioco più simile per certi versi a MARIO BROS che non ha altri. Sostenuto da un buon budget cerca di fondere più elementi possibili per una contaminazione parodica che nel suo eccesso per certi versi ha proprio il suo limite. Come per la maggior parte dei film tratti dai videogiochi DD non ha una storia vera (il videogioco è un picchiaduro a scorrimento) ed è proprio da qui la piena fantasia degli sceneggiatori che possono esibirsi e cimentarsi con un ibrido di fantascienza post-apocalittica (una Los Angeles futuristica del 2007), tanti combattimenti resi in modo abbastanza blasfema e dei personaggi ridicoli e caricaturali.
Il film è stata un'occasione per lanciare i due giovani(Dacascos e Wolf) inespressivi e convogliare più azione possibile senza doversi soffermare troppo sulla storia.
I fratelli Yukich rispecchiano pienamente un certo tipo di cinema commerciale che se è vero che si confà alle logiche di mercato rimane per contrappasso episodico e limitato sotto la cozzaglia di scelte stilistiche.

Ultimo Capodanno

Titolo: Ultimo Capodanno
Regia: Marco Risi
Anno: 1998
Paese: Italia
Giudizio: 4/5

L'azione si svolge la sera di un 31 dicembre a Roma, frammentata in sei appartamenti di due moderne palazzine. Convengono parenti e amici invitati, ma anche un trio di ladri e una comitiva di smandrappati e trucidi burini.

"Viviamo in un clima generale ipocrita e di buonismo. Censurare un film scomodo significa negare ogni libertà espressiva. Io dico no al governo di un "gregge appiattito" che cerca di assomigliare sempre più ai personaggi televisivi di prima serata. Tutti i film hanno diritto alla cittadinanza" dice Marco Risi
L'ultimo capodanno è una sorpresa, un film corale, un gioiellino grottesco condito con l'umorismo cinico di Ammaniti che firma la sceneggiatura.
Un film decisamente sopra le righe del '96 che vede alla regia Marco Risi.
Ne esce un risultato irriverente sul capodanno come condizione di un estremismo da parte di tutte le famiglie e le persone che caratterizzano il film nel voler esagerare in tutti i modi, canalizzando i piaceri in forme sadomaso oppure di cannabinoidi o droghe sintetiche, ricatti, piccole gioie quotidiane e tradimenti.
Il film sorprende anche perché ha i soldi e si può permettere scene spettacolari non pacchiane come spesso capita nei film italiani.
Un risultato interessante di sicuro.
Assolutamente moderno e attuale nella raffigurazione della famiglia e dei rapporti di coppia.
Bravo nella media quasi tutto il cast.
Da non perdere per gli amanti del grottesco e dell'humor nero.


domenica 20 marzo 2011

Quiet family

Titolo: Quiet family
Regia: Kim Jee-woon
Anno: 1998
Paese: Corea del sud
Giudizio: 3/5

Dopo il licenziamento del padre, una famiglia si ritira in un vecchio cottage di montagna con l'intenzione di farne un albergo. I giorni passano e dei clienti nemmeno l'ombra. Presto fra i bizzarri membri della famiglia inizia a serpeggiare il malcontento. Almeno finché non arriva il tanto atteso primo cliente, che, però viene trovato morto la mattina dopo. Spinta dalla necessità di non mandare all'aria l'attività', la famiglia decide di seppellire il morto.
Anche ai clienti successivi tocca la stessa sorte.

Il primo film di Jee-woon dichiara da subito il percorso geniale di uno dei registi più interessanti della corea del sud. Lui è quel genio che sfornerà pellicole come BITTERSWEET LIFE, THE FOUL KING, il meno bello ma comunque tra i più interessanti horror degli ultimi anni TWO SISTERS per arrivare alla chicca finale nonché l’opera assoluta del regista che risponde al nome di THE GOOD, THE BAD, THE WEIRD.
E' comica la concatenazione d’eventi che porta il film da un potenziale thriller ad una commedia grottesca. La scelta e l'interpretazione dei personaggi è molto vivace e azzeccata. I fraintendimenti e l'ironia drammatica creano un mix di gag azzeccate. La fruizione del film è, in alcuni casi, adrenalinica.
Miike Takashi si è anche ispirato, anche se il suo film è strutturato più sul musical che sulla commedia, al film in questione per il suo HAPPINESS OF KATAKURIS.
Jee-woon schiera la sua orda di attori feticcio che lo seguiranno in altre sue pellicole Kang-ho Song su tutti e in questo caso l'attore che fa lo zio cioè Choi Min-shik(Old Boy e Lady Vendetta).
Un’altra perla per un regista che sa destreggiarsi tra i generi cogliendone l’essenzialità dal grottesco al noir per arrivare all’horror e il western. In tutto una originale parodia e un gusto veniale per il cinema da cui senza saccheggiare sa cogliere attentamente dei chiari riferimenti al cinema del passato.

Andromedia

Titolo: Andromedia
Regia: Takashi Miike
Anno: 1998
Paese: Giappone
Giudizio: 3/5

Mai viene travolta da un camion e dopo la sua morte, la mente viene trasposta all’interno di un computer per creare una vita virtuale accessibile dalle sue amiche e dal suo amato Yu che cercherà di salvarla dalle mani di alcuni potenti dell’industria informatica giapponese e americana.
Il soggetto è tratto da un romanzo di Watanabe Hirotake. La sceneggiatura che come pochi film vede la collaborazione del regista è a tre mani( stento a crederci) è di Kisaragi Kurio, Nakamura Masa, Era Hitaru, il primo ricordo che ha collaborato svariate volte con il Miike Takashi.
Un altro prodotto commissionato al più prolifico dei registi giapponesi (se contiamo la qualità e le prestazioni dei suoi film). Andromedia da subito deraglia dai canoni ultimi a cui il cinema di Miike ci ha abituati. Con una fotografia molto curata se pensiamo alle possibilità dell’anno sul genere e al budget con cui è stato girato e un ritmo a tratti frenetico e con un montaggio che dopo “Dead or Alive” non poteva che rimanere unico e indiscusso. Andromedia risulta visivamente avanti come scelte legate anche ad un budget piuttosto limitato. La storia purtroppo essendo confezionata su alcuni giovani gruppetti pop, la scena del balletto fa troppo ridere, è a tratti noiosa e scontata, ma avere la garanzia di un regista che cerca sempre di arrivare al limite avendo limiti e vincoli dalle produzioni è cosa unica e rara. In questa pellicola, che dovrebbe trattare blandamente di alcuni teen-ager di cui due sono star di gruppi pop in Giappone e delle loro avventure sentimentali da subito sbanda, il regista riesce grazie alle sue solite scelte stilistiche innovative a rendere il film un’altra bella contaminazione tra generi che spaziano dalla commedia alla fantascienza. Ottima la resa di Mai/Ai “Speed”, la giovane all’interno del computer. E’ strano pensare che da una pellicola come questa del ’98, i fratelli di Matrix abbiano “preso in prestito” alcune scene come quella dei virus che attaccano all’interno del computer. Poi non mancano le scene humor così come trovate registiche indubbiamente uniche.
Andromedia dunque è un buon prodotto certamente non fondamentale come altre sue pellicole ma comunque innovativo e per gli amanti del regista un’altra indispensabile pillola rossa.

venerdì 18 marzo 2011

Altro giorno in paradiso

Titolo: Altro giorno in paradiso
Regia: Larry Clark
Anno: 1998
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Bobbie è un giovane teppistello tossicodipendente che vive di espedienti assieme alla sua ragazza Rosie. Quando la sua ultima rapina finisce male, Bobbie e Rosie trovano ospitalità a casa di Mel e della sua compagna Sid, che li aiutano a nascondersi dalla polizia. Dal rapporto dei quattro nasce una sorta di "famiglia criminale", sorretta dall affetto ma alquanto precaria. Insieme progettano una grande rapina che possa sistemarli per la vita, ma al momento del colpo non va secondo i loro piani.

Basato sull'omonimo romanzo di Eddie Little, Another day in paradise è un viaggio disperato nella droga e nella criminalità. Clark(KEN PARK,BULLY,KIDS)che insieme a Van Sant e altri si sono interessati a descrivere l'universo giovanile e non solo soprattutto dal punto trasgressivo adatta bene il romanzo con una sceneggiatura scritta a quattro mani e un James Woods anche produttore in ottima forma.
Una realtà allucinata e sporca raccontata con uno sguardo tenero è interpretata da un buon cast in cui ritorna in versione un po troppo scheletrica Kartheiser in compagnia della bellissima Wagner e in più la presenza stralunata della fattissima Griffith.
Un film sulla droga ma non solo, capace di intenerire, far riflettere su un certo tipo di condizione ed esasperato come tutte le vicende troppo estreme.
Probabilmente è il film migliore di Clark.

lunedì 14 marzo 2011

A Hero never dies

Titolo: A Hero never dies
Regia: Johhnie To
Anno: 1998
Paese: Hong Kong
Giudizio: 4//5

Jack e Martin sono membri di due gang rivali coinvolte in una guerra nella malavita cinese. In una sparatoria, entrambi restano gravemente feriti, e Martin è costretto a farsi amputare le gambe. Nel frattempo, le due gang giungono a un accordo, ed entrambi gli uomini vengono emarginati dai rispettivi ambiti. Presto i due diverranno alleati in cerca di vendetta...

A Hero never dies è probabilmente uno dei più bei film di Johnnie To.
E’ un film sull’umanità, sul rapporto d’amicizia e sul sacrificio.
Tutto si sacrifica e tutti vengono sacrificati. Il genere miscela pura azione con una trama mai scontata e piena di colpi di scena.
Il soggetto e la sceneggiatura sono di Szeto Kam-yuen e Yau Nai-hoi.
La storia è dura ed è vista attraverso gli occhi di Jack e Martin, entrambi killer, pronti a sacrificarsi in ogni momento per i propri boss. Entrambi professionisti avranno modo di affrontarsi e poi di ritrovarsi senza orgoglio ma con un unico obbiettivo che li renderà complici spietati.
Lo stile con cui To gira è sempre imprevedibile, con trovate come quella della moneta, oppure della sparatoria tra i due e quella finale che rappresentano un esempio di spettacolarità e maestria anche esagerata a volte e spettacolarizzata più che mai, ma che colpisce per l’approfondimento delle tematiche del soggetto, che tra i numerosi film di To almeno a livello emozionale è sicuramente il più profondo.
Il montaggio e frenetico. Le musiche sono bellissime.
Ottimo il reparto attoriale: Lau Ching-wan (Jack) , Leon Lai (Martin), Yoyo Mung, Fiona Leung, Lam Suet, Yuen Bun, Henry Fong.