Visualizzazione post con etichetta Body horror. Mostra tutti i post
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mercoledì 20 ottobre 2021

Titane


Titolo: Titane
Regia: Julia Ducournau
Anno: 2021
Paese: Francia
Giudizio: 4/5

Alexia ha una placca di titanio conficcata nel cranio a causa di un incidente passato. Ballerina in un 'salone di automobili', le sue performance erotiche la rendono preda facile degli uomini, che l'approcciano senza mezze misure. Ma Alexia uccide con un fermaglio chi si avvicina troppo e colleziona omicidi che la costringono a fuggire e ad assumere l'identità di un ragazzo, Adrien, il figlio scomparso dieci anni prima di un comandante dei pompieri. Lei è una macchina programmata per uccidere che cerca un rifugio, lui una divisa programmata per salvare vite che ha disperatamente bisogno di prenderla per qualcun'altro. Tutto li separa ma poi qualcosa improvvisamente li unisce per sempre.
 
In Titane un auto mette incinta la protagonista. Al suo secondo film Ducournau dimostra coraggio, continuando a provocare in maniera ancora più netta, giocando con i generi, prendendosi incredibilmente sul serio per poi entrare a gamba tesa facendo molto male e questo ci piace assai. Vuole dare fastidio e ci riesce benissimo. Titane che abbia vinto o no la palma d'oro non credo sia questo il punto per un film che ormai non ha più nessuna barriera o confine precipitando in un vortice mostruoso e trasformandosi continuamente. Horror ma soprattutto body horror, influenze di tanto cinema, una specie di nuovo exploitation nel new horror francese estremo che ha saputo rinforzarsi e dare tra i maggiori contributi negli ultimi anni. Qualcuno mentre uscivo dalla sala lo ha definito il nuovo Blade Runner per le derive che senza stare a spoilerare cambiano così di netto una società ormai alla deriva dove il cambiamento e la trasformazione del corpo segnano un passaggio importante senza sapere fino a cosa veramente vogliamo osare e sperimentare. Sospendendo ogni forma di coerenza nella narrazione, rifiutando l'armonia e le traiettorie convenzionali, Alexia nel suo girotondo infernale e assai grottesco arriva a uccidere senza esitazione (la scena nella villa è veramente assurda a tratti quasi comica) a ribellarsi, mordere, rendersi inizialmente una dea e poi un abominio, esibendo una fisicità ostentata senza pudori, in un film molto legato al concetto di famiglia, di creare legami, immergendo "padre" e "figlio/a" in un bagno di violenza malsano e allo stesso tempo romantico e rivelatore di certi aspetti dell’interiorità umana che altrimenti resterebbero nascosti.


domenica 17 ottobre 2021

Malignant


Titolo: Malignant
Regia: James Wan
Anno: 2021
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Madison è incinta ed è preoccupata: ha già avuto altre interruzioni della gravidanza non per sua scelta. Con il marito Derek i rapporti sono tesi e in un alterco Madison viene picchiata. Nel corso della notte Derek viene ucciso brutalmente da un assassino misterioso. Il detective Shaw della polizia investiga assieme a una collega. Un altro brutale omicidio, quello di un'anziana dottoressa, sembra essere collegato a quello di Derek. Madison percepisce un rapporto tra lei e l'omicida: addirittura "vede" i delitti. Indirizza perciò la polizia sul luogo di un terzo delitto. Madison sente che il colpevole è Gabriel, quello che da bambina sembrava essere il suo amico immaginario. Madison spiega all'ignara sorella Sidney d'essere stata adottata all'età di otto anni e ora qualcosa di oscuro e micidiale sembra emergere dal suo passato.
 
Maledetto James Wan. Una scheggia impazzita di Hollywood. Il mestierante dell'horror commerciale che riesce sempre a dare quel qualcosa in più rispetto ai simili, agli ibridi e ai colleghi che forse come lui non amano così visceralmente il genere.
Malignant è veramente qualcosa di inaspettato che non mi aspettavo da questo regista.
Disorienta per tutta la sua durata passando da un filone all'altro, cambiando registri, forma e maniera e arrivando a creare un'opera intensa costruita su più livelli intersecando sotto generi e riuscendo alla fine a sorprendere pur esagerando più del dovuto. Home invasion, possessioni, esperimenti di laboratorio, stragi senza senso (come quella in prigione ma ancor di più quella nella stazione di polizia), thriller, giallo neo gotico, body horror.
E'incredibile la quantità di sorgenti che Wan ha saputo far defluire in questo progetto per un cinema in grado di far paura, di creare un climax finale assurdo e infine di continuare a crescere fino a esplodere e poi implodere. Con messaggi e sotto testi politici e sociali come la violenza sulle donne che in questo caso diventa l'incidente scatenante in grado di provocare il caos, Malignant è assolutamente un vero gioiellino.

domenica 10 ottobre 2021

Candyman (2021)


Titolo: Candyman (2021)
Regia: Nia Da Costa
Anno: 2021
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Il giovane artista Anthony McCoy è in crisi creativa. La fidanzata è una gallerista a Chicago e lo mantiene e sostiene. Una sera a cena il fratello di quest'ultima racconta la storia di una donna che impazzisce, mentre compie una ricerca sulle leggende metropolitane in Cabrini-Green, quartiere in cui abita la coppia, e compie una serie di efferati omicidi fino a rapire un bambino in fasce. Il bambino viene salvato e la donna muore bruciata in un falò acceso dagli abitanti. La mattina dopo Anthony girovaga proprio nelle zone degli avvenimenti passati e incontra Burke, proprietario di una lavanderia che gli racconta della leggenda di Candyman: un uomo nero con un uncino al posto della mano destra, barbaramente ucciso da un gruppo di poliziotti bianchi, accusato ingiustamente di distribuire caramelle ai bambini con all'interno delle lamette.

Nia Da Costa ultimamente sembra aver raggiunto un altissimo profilo trovandosi alla regia di film prossimi a venire molto importanti. Fa parte di quella scuola afro dove troviamo il suo indiscusso partner Jordan Peele, il quale non ha bisogno di presentazioni, Yahya Abdul-Mateen II ormai una conferma assodata come attore e dietro le quinte il soggetto originale di Clive Barker trasformato a dovere. Candyman del 2021 appare come un sequel del film di Bernard Rose del 1992 trasformato in chiave politica e socio culturale.
Gli elementi da apprezzare non sono pochi anche se al film manca qualcosa, quella componente che ad esempio nei film di Peele riusciva a disturbarti mentre qui la caduta libera di Anthony è troppo veloce, la trasformazione fisica sembra non essere vista dall'esterno e parecchi co protagonisti non vengono caratterizzati a dovere. E' un film sul potere, sull'accumulo e sul bisogno di essere riconosciuti in una comunità trasformata dalla gentrification. A livello tecnico il film non si discute e diverse inquadrature, scelte di macchina, uccisioni come quella a danno dell'artista che vediamo dall'esterno dove viene letteralmente distrutta dalla mano invisibile di Candyman contro i vetri oppure il massacro delle studentesse nei bagni o meglio ancora la parte d'animazione sulla storia di Candyman sono tutte esteticamente e visivamente interessanti. Un film che ancora una volta poteva cercare di apportare delle modifiche maggiori con un finale che forse nonostante sia il momento più alto del film, lascia l'amaro in bocca per non meglio precisati aspetti. Sicuramente per essere un remake vanta approcci maggiori rispetto a tanti suoi simili ma da questa piccola factory dove il burattinaio sembra Peele mi aspettavo di più.


venerdì 9 luglio 2021

Gaia


Titolo: Gaia
Regia: Jaco Bouwer
Anno: 2021
Paese: Sudafrica
Giudizio: 3/5

Durante una missione di sorveglianza in una foresta selvaggia, Gabi e Winston incontrano due sopravvissuti - Stefan e Barend che seguono uno stile di vita primordiale, vivendo da eremiti in una capanna. I due praticano una strana religione, che sembra essere in stretta simbiosi con la natura. Durante la notte Gabi e Winston scoprono la presenza, nella foresta, di strani esseri mutanti a causa di una patologia che pare derivare dai funghi.
 
Gaia è un horror eco-vengeance dove la natura fa da protagonista creando delle creature fungiformi.
Gaia è un film costipato di errori a cui però ho voluto bene dal momento che prova a misurarsi con una trama complessa e diramato in tutte le sue venature di elementi folkloristici, religiosi, contemporanei. Un survivor movie nel pieno di una foresta selvaggia dove un'entità viene nutrita e resa totemica dai suoi sopravvissuti che la temono e al tempo stesso la venerano.
Gaia come la natura, Gabi come l'intrusa nel mondo naturale, la quale pagherà la sua intrusività e curiosità, verrà risparmiata e curata con una formula salvifica e magica e infine dovrà compiere un sacrificio per salvare l'innocente. Gaia è un film per cui bisognerebbe scrivere moltissimo, ci sono tante parti davvero belle come il rapporto tra Stefan e suo padre Barend, che ha scelto la natura e la foresta primordiale, additando come male assoluto l'epoca consumista in cui vivono gli umani.
Le parti nella foresta, la caccia, il procacciarsi il sostentamento, le cure, la parte nella baracca, sono tutte girate molto bene dove anche gli attori riescono ad avere una buona complicità.
Bouwer forse spinge troppo, il suo voler inserire così tanti elementi, la lotta con i mostri, il loro cibarsi e consumare i corpi per trasformarli in qualcosa di unico e mostruoso, la battaglia o meglio lo switch di Barend e il tessere una trama contro di lui da parte di Gabi e Stefan e poi quella parentesi così plateale dove vengono chimati in ballo Abramo e Isacco per quel sacrificio al cospetto dell'albero della vita che assolve e assimila.
Un film con tante scene davvero interessanti, uno sviluppo prevedibile ma con tanti elementi di spicco che riescono a richiamare o tessere una strana e macabra simbologia e un finale tutt'altro che scontato.

martedì 27 aprile 2021

Sweet Home


Titolo: Sweet Home
Regia: Lee Eung-bok, Jang Young-woo, Park So-hyun
Anno: 2020
Paese: Corea del Sud
Stagione: 1
Episodi: 10
Giudizio: 3/5

Agosto 2020. Dopo la morte della propria famiglia in un incidente stradale, il solitario adolescente Cha Hyun-soo si trasferisce in un nuovo appartamento all'interno di un grande, fatiscente e affollato condominio, situato in un quartiere popolare di Seul.
La sua vita tranquilla viene tuttavia presto interrotta da alcuni strani avvenimenti che iniziano a verificarsi nell'edificio, che coinvolgono in primis l'inquilina della porta accanto e il custode del palazzo.
Così, mentre le persone attorno cominciano a trasformarsi in mostri che prendono la forma dei loro desideri nascosti, il giovane e altri residenti devono cercare il modo di sopravvivere.

Mostri, pandemia, violenza e sangue e per finire umani forse peggiori delle stesse creature che cercano di attaccare la palazzina. Inizia senza tanti indugi questa fortunata serie Netflix tratta da un webtoon (fumetto online) mostrando personaggi ormai al collasso, tra chi cerca piaceri effimeri e chi cerca solamente di farla finita disegnando così un clima cinico e pervaso da una frustrazione interiore e una meschinità di fondo. Allo stesso tempo assistiamo ad un altro interludio ovvero il mezzo finale con l'intento di uno dei protagonisti, l'hikkikomori e i militari che lo devastano di pallottole.
Sweet Home parte bene con i mostri, alcuni decisamente ottimi come il titano, il gremlins senza testa, il blob, l'essere tentacolare che cerca di entrare nella palazzina del Green Home, i vampiri, il fauno e poi ancora ragni giganti e molto altro ancora. Tutto questo per mostrare poi che cosa si nasconde fuori con una pletora di mostri di tutte le grandezze che come predatori si uccidono e si mangiano tra di loro ribadendo la legge del più forte.
Una stagione corale per una parabola sociale con diversi personaggi costretti con le loro differenze e difficoltà a stringere un'alleanza arrivando a formare una comunità dove se per alcuni la caratterizzazione è buona, altri rimangono troppo marginali, tutti seguendo un loro principio cardine dagli inclusivi agli egoisti, perseguendo la legge della sopravvivenza in un mood da "home invasion"per una desamina della natura umana quando le condizioni imposte da un'apocalisse liberano l’uomo delle imposizioni civili



Sleepless Beauty


Titolo: Sleepless Beauty
Regia: Pavel Khvaleev
Anno: 2020
Paese: Russia
Giudizio: 3/5

Una ragazza di nome Mila viene rapita. I rapitori ignoti la tengono in un vecchio garage, le parlano attraverso un altoparlante e stabiliscono regole rigorose: non deve dormire, ma deve svolgere bizzarri compiti che hanno preparato per lei. Sembra tutto quanto il frutto delle idee malate di qualcuno, per il suo macabro divertimento. Tuttavia, la ragazza non sospetta affatto di essere parte di un esperimento spietato

I torture e i rape & revenge (un sodalizio ormai più che affermato) o i finti snuff da sempre hanno fatto gola agli amanti di un certo tipo di horror estremo. Il sadismo o in questo caso i malati esperimenti sociali di non meglio precisati gruppi o organizzazioni (in questo caso la Recreation..) vogliono creare il soldato perfetto, una macchina di morte fatta ad hoc dopo giornate di privazioni del sonno, stimoli sensoriali assurdi e via dicendo. L'idea di per se è già assurda se qualcuno ha provato a fare una comparazione con il cult di Laugier che però aveva intenti e ambizioni ben diverse.
Qui il prodotto non ha molto da dire in termini di critica così come l'indagine parallela dell'investigatore che sembra scoprire dall'oggi al domani che esiste un dark web quando ormai lo sanno pure gli adolescenti.
Basterebbe da sola la scena delle immagini weird e inquietanti, un trip lisergico a metà tra realtà e animazione davvero malato e assurdo che sembra prendere il peggio di tanti artisti perlopiù surrealisti che ammiro.
Ecco se quelle immagini fossero state un corto avrebbe avuto più successo del film o meglio del materiale più interessante da osservare sempre per un certo tipo di fans.


mercoledì 24 marzo 2021

Beach House


Titolo: Beach House
Regia: Jeffrey A. Brown
Anno: 2020
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

“Sperando di riaccendere la loro relazione, Emily e Randall sono pronti per festeggiare il loro weekend, scoprendo però che una strana coppia più anziana risiede già li. Sono tutti d’accordo nel condividere la casa e dopo un’indulgente notte di festa, si svegliano in un incubo vivente di proporzioni apocalittiche. “

Ed eccoci qui a parlare di un indie molto interessante. Un eco-vengeance che strizza l'occhio a Lovecraft, i classici sci-fi anni '50, Cronemberg, Carpenter, usando e centellinando quel poco che ha in termini di budget per portarlo al massimo del suo potenziale dimostrando come pur senza un'idea così originale possano uscire fuori delle varianti contaminate ricche di animo e di spessore.
Una sorta di virus aerobico che si fa strada attraverso la nebbia, una pletora di mezzi mutanti che attaccano le persone, bozzoli sul ciglio della spiaggia, vermi che si insinuano nel corpo e altro ancora. Con quattro personaggi, un pò d'erba, dialoghi funzionali a deviare le aspettative per arricchire il climax, si creano le basi per un'atmosfera e degli intenti in un gioco che rivela davvero tante potenzialità citando e attraversando l'orrore cosmico e facendo fare un volo pindarico in termini evoluzionistici alla protagonista e la sua materia di studio.

martedì 12 gennaio 2021

Mosca


Titolo: Mosca
Regia: David Cronemberg
Anno: 1986
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Uno scienziato riesce a costruire un avveniristico congegno in grado di teletrasportare la materia, ma commette un errore durante un esperimento e si trasforma lentamente in un disgustoso ibrido tra un umano e una mosca

Il fanta horror degli anni '80 con l'incursione di Cronemberg nella sua "commedia romantica" ha saputo ridare enfasi alla sci fi, creare un ibrido straordinario ben costruito negli ultimi due atti e una storia semplice quando estremamente funzionale e paradossalmente una metafora sociale e umana su quanto l'uomo possa sentirsi onnipotente rompendo quella linea di demarcazione tra uomo-insetto-animale. Un incubo kafkiano che proprio nella sua incubazione miete degli effetti collaterali sul corpo che come nelle fiabe dall'enorme potere si passa presto alle conseguenze inattese ed effetti perversi. Goldblum riesce a superarsi risultando inquietante anche nella fase prima della rottura di demarcazione dando perfettamente quella spensieratezza tipica di chi sta giocando con un'arma più forte di lui. In questa nuova visione del corpo (tema centrale della filmografia di Cronemberg) la Mosca è un cult, un classico che non invecchia mai riuscendo a dare quel contributo in più proprio nella leggerezza della narrazione senza inserire troppe modalità difficili da assorbire o da assimilare risultando una fiaba fantascientifica fruibile da tutti.



domenica 22 novembre 2020

Sputnik


Titolo: Sputnik
Regia: Egor Abramenko
Anno: 2020
Paese: Russia
Giudizio: 4/5

L'unico sopravvissuto di una sfortunata missione spaziale rientra a casa. Ma non è da solo: nel suo corpo è nascosta una creatura molto pericolosa. La sua unica speranza di salvezza risiede in una dottoressa pronta a fare tutto il possibile per non perdere il suo paziente.

Russia. Guerra Fredda. Anni '80. Bunker governativo dedito ad esperimenti e sorveglianza.
Un alieno tra i più belli visti negli ultimi anni, poche facce sofferte per un manipolo di attori e una sola donna e un dramma scifi politico che strizza l'occhio a tanto cinema riuscendo a coinvolgere intessendo una trama abbastanza originale con diverse scene di forte impatto.
Un alieno che si nutre di un ormone (cortisolo) prodotto dalla paura.
Già solo questo è un diversivo pretenzioso e accattivante che assieme a diversi altri elementi come dei protagonisti caratterizzati molto bene psicologicamente quando non sono soggetti ad una sorta di lavaggio del cervello dell'elite burocratica (il medico ad esempio che cambia durante tutto l'arco del film). Nessuno di loro è mai forzatamente sopra le righe tratteggiando persone comuni senza eroi o eroine in grado di affrontare un pericolo più forte di loro. Questa umanizzazione all'interno di un quadro dove è presente una creatura forse troppo enigmatica che si ciba delle paure e del corpo del proprio ospite, in questo caso il cosmonauta dove entra ed esce quando vuole e dove il governo pur di non liberarsene è pronto ad offrirgli in sacrificio prigionieri di guerra. Al di là di un terzo atto con un climax che risulta un plot twist forzato, Sputnik è quell'esordio di forte impatto, un cinema d'autore maturo, la conferma di come pur giocando su temi già sdoganati si possa creare un gioiello e un film di genere che soprattutto dalla Russia è un piccolo miracolo.

domenica 11 ottobre 2020

Devilman-La Genesi


Titolo: Devilman-La Genesi
Regia: Tsutomu Lida
Anno: 1987
Paese: Giappone
Giudizio: 5/5

La vita da teenager di Akira viene sconvolta dal suo amico Ryo Asuka quando questi gli svela un terribile segreto (pagato con la vita da suo padre, un famoso archeologo). A quanto pare la Terra sta per essere invasa dai demoni, esseri mostruosi ibernati per secoli nei ghiacci e che stanno per tornare in superficie. Secondo Ryo i demoni avrebbero vissuto sulla Terra prima della comparsa dell'uomo, e adesso ne rivendicherebbero il possesso.L'unico modo per sconfiggerli sembrerebbe quello di prendere il controllo dei poteri dei demoni stessi, così da combatterli "ad armi pari". Ryo coinvolge quindi l'amico in un terribile Sabba, durante il quale Akira si fonde con Amon, il più potente e terribile dei demoni, e si trasforma in Devilman. Solo lo spirito puro del ragazzo e il suo grande amore per la bella Miki gli permette di controllare Amon, e di utilizzare i poteri del demone per difendere il genere umano.

Il primo Oav di Devilman parte con una sorta di genesi dove i demoni al tempo popolavano la Terra. Uccisioni, massacri, predominazione e la legge del più forte erano i soli ingredienti primordiali. Così esseri dotati di un potere enorme (delle sorte di fate diaboliche) distrussero parte del creato per permettere una nuova nascita di elementi meno truculenti e non solo dediti alla distruzione.
Arriviamo a noi dove scopriamo Rio Asuka con lo scopo di comprendere cosa è successo a suo padre e da quel momento una sorta di patto di sangue con la natura demoniaca pronta, nella fattispecie dell'amico Akira/Amon, a trovare una vittima sacrificale con cui plasmarsi.
Devilman-La genesi a quindici anni dalla nascita dell'opera di Go Nagai che ha letteralmente stravolto e stuprato il concetto stesso di violenza, di soprusi e di malvagità. Un concentrato a cui nulla fino ad allora si era avvicinato soprattutto nel giocare continuamente sul tema della liberazione dei propri istinti primordiali e della lotta perenne contro le proprie paure ancestrali.
Il demone che vive dentro di noi in grado di compiere ogni atrocità possibile è una metafora pazzesca soprattutto di un popolo e di un paese che ha dovuto inghiottire senza potersi vendicare uno degli abomini storici più eclatanti mai avvenuti. Da qui il lato oscuro dell'autore il quale esprime a piena potenza un nichilismo e un pessimismo cosmico in una visione ineguagliata di inusitata violenza della crudeltà implicita nella vita e nell'essere umano.

Devilman-Arpia Silen


Titolo: Devilman-Arpia Silen
Regia: Umanosuke Lida
Anno: 1990
Paese: Giappone
Giudizio: 5/5

Casa Makimura: una telefonata inquietante scuote Akira Fudo, ormai mutato nell"aspetto e nel comportamento, e lo spinge a recarsi in un condotto della rete fognaria. Le grida di una donna torturata risvegliano i ricordi di Amon, il demone nel corpo di Akira, e portano alla coscienza del giovane il nome del suo nemico: Ginmen.

La trilogia di Devilman ha letteralmente stravolto ogni concetto di animazione violenta, splatter con tinte gore e colpi di scena letteralmente spiazzanti. Messa da parte la storia che nel primo capitolo viene narrata molto bene senza lasciare di fatto nessun dubbio, il secondo capitolo è puro action adrenalinico, un combattimento vertiginoso e acrobatico tra una delle serve di Satana tra le più potenti Silen e il nostro Akira/Amon. Arti spezzati, morsi, location ovvero città devastate da forze senza eguali che non accennano a risparmiare nulla. Un lungo e indiscusso combattimento dove nonostante Silen sia una donna, il nostro Akira/Amon non avrà nessun tipo di indulgenza.
Il tema del sacrificio è molto presente nel film dove viene sacrificata la stessa madre di Akira incastonata insieme ad altri membri della famiglia nella corazza del primo demone che incontra, Jimmel, fino al sacrificio di Kaim, una sorta di rinoceronte preistorico che decide pur sapendo che morirà di fondersi con Silen nell'attacco finale ad Amon.

Devilman-Amon, l'apocalisse di Devilman


Titolo: Devilman-Amon, l'apocalisse di Devilman
Regia: Ken'ichi Takeshita
Anno: 2000
Paese: Giappone
Giudizio: 5/5

Per molto tempo Akira Fudo ha combattuto l'invasione demoniaca della Terra con i suoi poteri di Devilman, dominati dal suo forte equilibrio interiore che reprimeva l'indole bestiale del mostruoso Amon attraverso l'amore per Miki. La morte di quest'ultima a opera degli umani ha però fatto uscire di senno il ragazzo che, lasciatosi corrompere dal suo animo malvagio, perde ogni legame con la razza umana divenendo un mostro sanguinario. Per Akira c'è solo una speranza di tornare alla normalità: sconfiggere nel suo subconscio il terribile demone...

Arriviamo alla resa dei conti dove nemmeno a farlo apposta moriranno tutti coloro che abbiamo visto nei precedenti capitoli nonchè i nuovi Devilman. Alcuni momenti prima dello scontro finale i quali servono a portare Akira allo strazio finale come quello della casa di Miki dove vengono uccisi lei e il fratello sono di una violenza senza pari. Il bambino a cui viene sparata una freccia in testa e poi decapitato fino a Miki a cui viene anche a lei mozzata la testa in quanto strega, sono forse i momenti più crudeli dell'intera opera insieme alla scena in cui Amon anzichè salvare il corpo del piccolo Devilman facente parte della squadra dei Devilman trucidati dai demoni, comincia a strapparne gli arti mangiandoseli davanti a tutti.
Ryo che già compariva nel secondo Oav cercando di aiutare Akira/Amon contro Silen, qui sceglie il lato oscuro diventando l'angelo prediletto da Dio, quel famoso Satana con cui ci sarà uno scontro finale. Sterminio, battaglia coi demoni e scontro finale con Satana. Tre parti gestite molto bene nonostante la critica e il pubblico con questo terzo Oav siano state molto negative senza comprendere appieno lo spirito e l'analisi dell'opera che chiude in maniera magistrale un trittico che rappresenta uno dei capisaldi dell'animazione mondiale. Un'opera densa e matura dove viene chiamata in causa la discesa negli inferi di Dante, dove le forme e i colori danno risalto ad un world building esagerato e pieno di esseri indicibili e di una morale pessimista e nichilista che vorrebbe i demoni al posto degli umani a riprendersi ciò che in passato era loro.

martedì 15 settembre 2020

Stomach


Titolo: Stomach
Regia: Alex Visani
Anno: 2018
Paese: Italia
Giudizio: 2/5

Alex è un ragazzo solitario e tormentato che vive in un posto di campagna estremamente desolato. Vittima di un passato oscuro e di un presente fatto di soprusi e umiliazioni, Alex si trova a essere vessato continuamente dai suoi colleghi di lavoro. Ma dentro il ragazzo si nasconde un male oscuro, un dolore profondo e, al tempo stesso, qualcosa di sinistro. Qualcosa che spinge per uscire, qualcosa che nutre una sete di sangue sfrenata. Un vortice di orrore e violenza si scatenerà, lasciando una scia di sangue interminabile.

Il cinema indipendente e autoriale italiano mi sta molto a cuore cercando nel tempo di non farmi mancare nulla all'appello anche se con i dovuti ritardi per lo più legati al tempo e al ritrovamento dei film.
Visani è un altro nome che mi è nuovo nel vasto panorama degli horror italiani a basso budget.
Sequenze a metà tra un'opera seriosa e un prodotto amatoriale dove l'elemento che forse prova a salvarsi di più è la fotografia almeno negli esterni per poi in realtà ricercare troppo un blu di fondo che non sempre riesce ad essere suggestivo. Stomach è un body horror che cerca di essere cruento al punto giusto, alternando una recitazione tremenda con alcune scene splatter e torture che provano a ridare enfasi e sostanza al film. Un'idea che non riesce mai a concretizzarsi del tutto diventando una mescolanza di generi e opere molto famose che Visani frulla tutte insieme senza un minimo di originalità e coerenza per sorprendere evidentemente più sul piano degli effetti e degli omicidi nonchè qualche scena di sesso e stupro che serve come sempre per i giovani mestieranti a cercare consensi facendo vedere un paio di tette a gratis.
Ho letto diverse recensioni entusiaste su questo horror underground che sono contento di aver visto e che sia stato fatto, ma a differenza di altri colleghi senza soldi, non dimostra quel passo in più lasciando una visione seppur con un buon ritmo, segnata da troppe defezioni a partire dalla storia, dallo svolgimento troppo palese e soprattutto la creatura che Alex "tiene in grembo" con un make up davvero insulso.


sabato 8 agosto 2020

Mutafukaz


Titolo: Mutafukaz
Regia: Guillaume Renard, Shoujirou Nishimi
Anno: 2017
Paese: Francia
Giudizio: 4/5

Angelino è solo uno dei migliaia di fannulloni che vivono in Dark Meat City. Ma un irrilevante incidente in motorino causato da una bellissima e misteriosa straniera sta per trasformare la sua vita... in un incubo a occhi aperti! Comincia a vedere delle forme mostruose che si aggirano intorno a tutta la città... Angelino sta perdendo la testa, o si tratta di un'invasione aliena?

Mi stavo chiedendo cosa poteva succedere a mischiare il fumetto e il talento di un ispiratissimo autore francese con la chimica e l'estro di un maestro nipponico. Il risultato è un lungometraggio d'animazione folle, iperattivo, coinvolgente, violentemente ipercinetico e con un ritmo, un'azione, un'atmosfera efficace quanto grottesca e allo stesso tempo spassosa.
E' un turbine che non accenna mai a fermarsi, con un impatto travolgente e dinamico, un caleidoscopio di colori, formule, stili, tecniche, invenzioni per una distopia urbana che attinge dai videogiochi quanto dal cinema (uno su tutti il boss Carpenter).
La megalopoli di Dark Meat City è una scoperta continua con tanti clan e zone diverse in cui spacciatori controllano il territorio, il governo è tra i più crudeli mai visti, vivono assieme razze e forme di vita umane e meta umane e dove c'è la classica seppur funzionale divisione tagliata con l'accetta tra bene e male, umani e alieni conquistatori che come i VISITORS si sono ormai omologati nella nostra società ma che le doti risvegliate del meta umano Lino vedranno come ombre che rimandano a creature tentacolari decisamente non di questa Terra.
Sangue, inseguimenti, combattimenti, sparatorie, fughe, vendette, traboccanti invenzioni visive dove compare addirittura un manipolo di "super eroi" mascherati che da secoli difendono la Terra dai costanti pericoli in corso (addirittura i nazisti).
Mutafukaz è fresco, sperimentale, con una metropoli allo sbando dove i migliori amici possono diventare degli scarafaggi, dove fanciulle di rara bellezza fanno letteralmente perdere la testa, dove mano a mano che il film procede diventa sempre più folle e ambizioso e dove l'accompagnamento sonoro tra hip-hop e dubstep crea una soundtrack da urlo.




sabato 1 agosto 2020

Possessor


Titolo: Possessor
Regia: Brandon Cronemberg
Anno: 2020
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Possessor segue Tasya Vos, un agente che lavora per un’organizzazione segreta che utilizza la tecnologia degli impianti cerebrali per prendere letteralmente il controllo dei corpi di altre persone per commettere delitti. Il film si apre con la donna che sta compiendo un omicidio fallito e percependo alcuni strani effetti collaterali del lavoro. Data la sua fama ed efficacia come killer ‘pilotato’, il suo capo, Girder, decide di mantenerla operativa nonostante il sospetto che ci possa essere qualcosa che non va. Per il suo successivo incarico, Tasya viene così impiantata nel corpo ospitante di Colin Tate, un uomo senza famiglia ma destinato a sposare l’ereditiera Ava Parse. Nei panni di Colin, Tasya dovrebbe quindi uccidere il padre di Ava, John, ma si ritrova intrappolata in una ‘battaglia mentale’ non solo con se stessa, ma con l’uomo a cui è entrato nella testa.

Otto lunghi anni ci ha fatto aspettare Brandon Cronemberg per regalarci la sua seconda opera.
Film sci-fi, un fanta horror violento e allucinato, un body horror celebrale piuttosto ambizioso e fuori dagli schemi per un tipo di narrazione originale e una trama che seppur accostandosi ad un certo tipo di distopia rimane una delle più interessanti pellicole recenti sul controllo mentale e fisico. Anche se si fa aspettare il figlio del noto autore canadese si concentra nel cercare di metterci l'anima nel suo progetto scrivendo anche la sceneggiatura e cambiando di continuo gli stilemi e gli intenti del film, alternando continuamente registro e facendo in modo di entrare nel corpus di Tasya e Colin in un mix che troverà alcune scene davvero suggestive e grottesche.
Il film partendo come un thriller diventa poi qualcosa che si stacca dalla sua materia originale.
Tasya si rende conto di essere merce a sua volta percependo di non avere più quel controllo che le dava sicurezza e forza, così come i cambiamenti nella mente di Vos che non riesce a controllare più la propria indole violenta, iperstimolata dalle esperienze shoccanti e traumatizzanti a cui è costretta per entrare nel personaggio. Tutti questi momenti riescono peraltro ad essere scanditi da un montaggio complesso e forse unico nel suo genere.
Il pericolo di non avere controllo, il continuo impossessarsi di altri corpi e di altri pensieri, il peso dei ricordi, i continui cambiamenti di stati d'animo tali da non farci spesso capire chi stiamo osservando e perchè mettono in atto tali comportamenti.
Un film che mantiene un ritmo decisamente alto, ha continui colpi di scena e la meticolosità a livello tecnico ormai ha raggiunto la maturità consolidando uno stile e una politica d'autore che seppur con due film è riconoscibilissima. In più gli elementi visivi sono spesso una galleria di colori perfetti per una fotografia meticolosa e sporca e una soundtrack angosciante.
Se ci mettiamo poi un talento sottovalutato come Andrea Riseborough che non sbaglia mai un colpo e l'ottimo Christopher Abbott attorniati da attori tutti in parte, si evince come il film di Cronemberg jr segnerà un'altra svolta elevandosi ma rimanendo al contempo un tipo di cinema da festival, anti mainstream, anti commerciale, purtroppo anti cinema, aderendo ad un codice tutto suo e rientrando in quel filone di film difficilmente etichettabili.


martedì 14 luglio 2020

Street Trash


Titolo: Street Trash 
Regia: Jim Muro
Anno: 1987
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

In Bowery Street la vita ha un suo tran-tran (pur fra furti, omicidi e violenze carnali). A sconvolgerla (si fa per dire) arriva l'introduzione di un terribile liquore, il Viper, che, ingerito, fa scoppiare (letteralmente) il bevitore

Street Trash è un melting movie (un sottogenere del body horror) un film cazzaro e coraggioso per l'anno in cui era uscito. Un figlio illegittimo e clandestino della Troma. Un prodotto purulento di nefandezze, scene grottesche portate all'eccesso, un horror low budget e uno splatter estremo che dilata ogni cosa che trova cercando di esagerare e portare al massimo temi come quello dell'antropofagia, necrofilia, scatologia, tra risate, urla e scene di degrado urbano che mostrano come location un cimitero di automobili nella Bowery di Manhattan, una terra di nessuno dove tutto è concesso purchè rimanga arginato in quel limbo.
Uno scontro tra ricchi e poveri sulle diseguaglianze sociali dove la banda di barboni derelitti vive obbedendo alle regole di un leader sanguinario e folle tornato dalla guerra del Vietnam con svariati neuroni in meno e un desiderio di vendetta senza eguali che in un gesto di follia nella Manhattan bene uccide un autista spaccandogli la testa dentro il finestrino.
Il film di Muro, operatore di steadycam di molti film horror pur con spunti vagamente fantascientifici è un film provocatorio e allucinato che non lesina sgradevolezze visive, costruendo una galleria di situazioni tragicomiche, crude, violenze carnali, feroci e irriverenti, dove tutti i personaggi sono delle caricature e l'unico rapporto tra benestante e povero e dato dalla ragazza che lavora nello sfasciacarrozze e il fratello minore del protagonista.
Troppe le scene indimenticabili tra tutte la bizzarra partita di rugby con i genitali di un clochard appena evirato. Romero, Morrissey, Kaufmann, Waters e Barker stuprati all'inverosimile.
E'stato definito l'horror più raccapricciante e sessuofilico dell'anno. Muro che poi è scomparso dalle scene come se avesse bevuto anche lui della pozione magica rimarrà nell'olimpo per averci regalato un film figlio del non-sense e del degrado più totale riuscendo a sublimare in qualche modo una materia rivoltante e sgradevole, ai limiti dell'hard.



sabato 14 marzo 2020

Daniel isn’t real


Titolo: Daniel isn’t real
Regia: Adam Egypt Mortimer
Anno: 2019
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Luke, studente universitario dal passato difficile e disturbato, subisce un violento trauma familiare che lo spinge a riportare ‘in vita’ Daniel, il pericoloso amico immaginario che aveva da bambino e che da tempo ormai aveva obliato. Carismatico e pieno d’energia, Daniel torna così subdolamente nella sua quotidianità, deciso più che mai ad aiutare Luke nel realizzare i suoi sogni, guidandolo però inesorabilmente ai limiti della sua sanità mentale, in una disperata lotta per mantenere il controllo della sua mente e della sua anima.

Daniel isn’t real ha un primo atto incredibile dove dosando gli ingredienti Mortimer riesce ad intrappolare diversi temi e scene da manuale come quella in cui rinchiude Daniel nella casa di bambole con quelle luci e quell’atmosfera molto suggestiva e originale. Il tema del doppio è stato affrontato in varie maniere nel cinema con risultati altalenanti ma diverse pillole indimenticabili e alcuni cult indiscutibili.
Questo film non è nessuno dei due. E’un pregevolissimo horror che fa perdonare al regista Some kind of hate il suo esordio che mi aveva davvero convinto poco. Qui gli effetti fanno molto, la vivida realizzazione visiva e sonora, le gelatine che sparano colori a profusione quali il rosso e il viola ad annunciare l’arrivo di qualcosa di brutto, l’uso della c.g in maniera quasi mai debordante, mostri e creature che sembrano risvegliare l’abisso del male. Il film alterna thriller psicologico con body horror, dove il sangue e le scene di violenza non mancano, la patologia come si è appresa (la madre forse..)rimane la grande incognita soprattutto contando come è stato giocato male il ruolo dello psicologo che dovrebbe aiutare il protagonista e noi del pubblico ad avere qualche elemento in più. Trauma, malattia mentale, realtà di un opposto che non potrà morire mai ma come un alieno cambia di corpo in corpo scegliendo identità fragili da eludere e controllare. E poi c’è l’entrata a straforo proprio nel corpo di Luke, il quale coincide con il secondo atto (verso la fine) e pone altri dubbi e perplessità spostando le interpretazioni verso viaggi della follia poco comuni anche se a volte pasticciati.
Il ritmo vola senza fare guizzi particolari, solo verso il finale, prima del climax comunque interessante, il film svela le sue carte diventando a tutti gli effetti un horror viscerale dove secchiate di sangue e colori tingono la scena infilando mostri e trasformazioni corporee a profusione. Buona la prova di Patrick Schwarzenegger, meno quella di Miles Robbins.
Speriamo comunque che la SpectreVision di Frodo continui a regalarci buoni prodotti

Rabid(2019)


Titolo: Rabid(2019)
Regia: Soska
Anno: 2019
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Il film è il remake del film di Cronenberg che racconta la storia di una donna gravemente ferita dopo un incidente motociclistico. L'intervento chirurgico effettuato per salvarla cambierà il suo corpo irrimediabilmente, trasformandola in una specie di vampiro.

Più che ispirarsi al modello del regista canadese, le sorelle Soska, che spero da oggi in avanti vanteranno una carriera più prolifica, immettono toni alla Refn di Neon Demon, protagonista bellissima, competizione ai massimi livelli, mondo della moda e via dicendo per finire su cartelloni pubblicitari e stare alle regole di squilibrati maschi alfa. Il make-up mostra dopo un primo atto di semina, un volto deturpato in maniera oscena, l’incidente dopo un altro incidente che aveva già di fatto colpito Rose nel profondo trasformandola almeno psicologicamente annichilendo la sua autostima.
Rabid parte decorosamente, dopo il secondo atto esplode in un fiume di sangue lasciando lievemente la protagonista in secondo piano e concentrandosi sull’epidemia.
Transumanesimo, postumanesimo, ormai il mondo sta cercando di aprire nuovi orizzonti non soltanto per quanto concerne la chirurgia estetica ma nel modo di arrivare a pensare e trasformare in primis le menti indirizzandole verso un binario comune con i medicin man e i guru dell’immagine.
Il film delle sorelle Soska, veneratrici di Cronemberg, non è perfetto, prende molto dall’originale pur riuscendo ad allargarne gli intenti puntando più in alto, rischiando e mettendoci la faccia arrivando a porre delle risposte a dei concetti che l’ateo canadese non si è mai posto o forse non gli è mai interessato indagare. Si và oltre la mera concezione dell’horror per portare alcune riflessioni sulla scienza, sulle metodologie spesso conosciute e d’avanguardia, degli effetti perversi e le conseguenze inattese che possono avvenire e diventare virali nel giro di poco tempo senza dimenticare però la vera natura del film fatta di sangue ed epidemia.

domenica 8 marzo 2020

Les Garcons sauvages


Titolo: Les Garcons sauvages
Regia: Bertrand Mandico
Anno: 2017
Paese: Francia
Giudizio: 4/5

Un gruppo di ragazzi commette un orribile crimine. Un capitano si prende carico di loro ma il rapporto diventa sempre più difficile.

«Volevo provare a fare un film marittimo, con scene di tempesta, scene ambientate in una giungla con dei ragazzi. Scene difficili da filmare nell’ambito di un cinema d’autore che non è troppo fortunato, perché a basso budget. È il tipo di riprese che si può trovare nella grande produzione americana. Ma mi piaceva molto l’idea di riuscire a farcela.»
Les garcon sauvages è un film estremo per stomaci forti e per chi è avvezzo al cinema di genere, l’exploitation, il queer portato all’estremo. Una fiaba provocatoria e costipata di simbolismi fallici.
Un film gigantesco che al tempo stesso produce sentimenti ed emozioni contrastanti, con questi ragazzi alle prese con un mondo sconosciuto in cui la Natura comincia a trasformarli letteralmente in altro, nei loro opposti sciogliendo ogni tabù e travolgendoli tra amori allucinati e prove iniziatiche.
Un film perverso, volgare, romantico, che trova un suo registro specifico, una politica d’autore che verrà condannata per l’estrema libertà e provocazione di cui il film è costellato in ogni suo frame.
Un film fuori dal tempo, magico ed erotico come non capitava da tempo di vedere sullo stesso asse due elementi di questo tipo. Un film mutaforma che mi è rimasto così impresso forse perché innovativo, sperimentale ed estraneo a schemi e tendenze di tanto cinema indipendente con cui faccio i conti quotidianamente. L’opera di Mandico che dopo svariati cortometraggi presentati ai più prestigiosi festival internazionali, esplode come un vaso di Pandora tra suggestioni, scene ipnotiche e oniriche, diventando un sogno surrealista, una prova difficile da inquadrare e comprendere del tutto dopo una sola visione.
Un film che sembra un trip andato a male che genera turbolente allucinazioni visive e sensoriali, difficilissimo da catalogare per tutti i registri e i generi utilizzati soprattutto per questo immaginario sfrenato che coglie e cita così tanti universi letterari e cinematografici che bisognerebbe studiarlo a fondo per elencarli tutti.

Color out of space

Titolo: Color out of space
Regia: Richard Stanley
Anno: 2019
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

La famiglia Gardner si è appena trasferita nella campagna del New England quando un meteorite si schianta nel loro giardino. Tutto ciò che li circonda si tinge di strani colori che nascondono inquietanti misteri.

Negli ultimi anni Lovecraft è sulla bocca di tutti. In un certo qual modo viene citato e omaggiato in svariati horror quando si accenna anche solo ad un tentacolo o ad una vaga allusione circa l’orrore cosmico.
Mancava nell’ultima decade un film che si confrontasse direttamente e apertamente con lo scrittore di Providence. Per cui ci troviamo tre nomi Whalen, Noah e Wood di cui l’ultimo è il famoso attore che negli ultimi anni sta ritrovando una spiccata voglia di investire su progetti horror indipendenti e complessi.
I primi due invece negli ultimi anni hanno prodotto film molto anarchici e grotteschi come MandyCootiesGreasy Strangler. David Keith aveva già provato nel 1987 con Fattoria Maledetta a cimentarsi con l’opera complessa sviluppando un film sofisticato per l’epoca dove “Vermi, putrefazioni, bubboni e ogni tipo di elemento rivoltante facevano da contraltare a un inizio che scorre apprezzabilmente pur con qualche sbando alla regia”. Era un esperimento interessante con un budget abbastanza limitato e uno studio meno accurato per quanto concerne la fotografia e l’atmosfera che invece in questa pellicola fanno da padroni infarcendo il film con tinte violacee e fucsia ed esseri purulenti e tutto il sangue nero dello spazio possibile.
Trasformazioni fisiche ed esterne, una natura che diventa extraterrestre, corpi deturpati e con escrescenze che si insinuano dappertutto, una cometa che infetta un pozzo che infetta l’acqua che trasforma una famiglia e la loro casa in una tana di presenze immonde e orrori indicibili.
Color out of space si dipana ovunque accresce le sue radici del male verso un finale estremo e splatter dove gli umani perdono e il male ottiene i suoi frutti facendoli implodere nei corpi devastati di ognuno dei presenti. Un film sulla trasformazione che avviene dall’esterno ma che contamina tutto ciò che può esserci di buono e allo stesso tempo sprigiona e rende manifesti sentimenti repressi e una voglia incontenibile di esplodere. Stanley che ho sempre apprezzato anche nei primi lavori e in tutto ciò che ha fatto (assolutamente sì anche Isola perduta nonostante l’abbiano cacciato dopo una settimana) ha creato b-movie a gogò di cui questa è la parte più putrida, la vera radice da cui speriamo che rinasca con una nuova filmografia votata all’horror puro e a quell’indicibile, quella scommessa che si pensava già persa, ovvero di riuscire a trasporre l’opera come se fosse una sorta di maledizione a cui tutti erano condannati. Stanley ci è riuscito addirittura infilando un attore come Cage che non ha cercato di mettersi in prima linea ma ha saputo rimanere in disparte e dare modo all’atmosfera di essere l’unica protagonista.