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sabato 23 luglio 2011

Gangster N°1


Titolo: Gangster N°1
Regia: Paul McGuigan
Anno: 2000
Paese: Gran Bretagna
Giudizio: 4/5

Freddie Mays è il gangster più importante della Londra di fine anni ‘60. Tutti i ragazzi dei bassifondi lo idolatrano, perché è stato capace di uccidere un poliziotto ed essere assolto. Lavorare per lui può essere pericolo anche a livello mentale, perché a stargli vicino uno potrebbe voler diventare come lui…

Gangster N°1 è il film, un noir originale con un buon cast e soprattutto un soggetto analizzato in maniera abbastanza originale contando che il film possiamo dire che è diviso in due parti.
McDowell o Bettany? Entrambi gli sguardi, quello vecchio e quello giovane sono la sintesi della frase di Karen “hai del torbido che ti dilania e ti divora dall’interno, te lo si legge negli occhi”.
Ecco dunque apparire un gangster inusuale, quasi un principiante che vuole fare carriera in fretta, non rispetta i ruoli e ha una carogna innata verso tutto e tutti da pazzo criminale che no disdegna di torturare con tanto di macete.
Il momento in cui tutto il delirio del protagonista compare sempre secondo la struttura prima e dopo si evince da due scene, quella di Bettany in cui fa la faccia da allucinato e quella in cui McDowell nel suo delirio di onnipotenza degenera completamente con Mays.
Il cast quasi tutto inglese da un ottimo supporto anche se talvolta Mc Dowell esplode in delle performance davvero esagerate ma alla fine ci sta così come la faccia angelica e luciferina di Bettany che fa suo il personaggio di Gangster da giovane e il buonissimo Thewlis nel ruolo di Freddie.

Proverbiale la scena iniziale in cui Gangster da vecchio vaneggia sulle sue imprese dandosi arie da boss incontrastato e apprende come per magia che Mays sta uscendo di prigione. La scena successiva mostra come McGuigan prenda in giro lo spettatore con la scena dell’urinatoio in cui Gangster  entra nei bagni, posa il bicchiere di champagne sul pavimento di fianco all'orinatoio e mentre orina delle gocce cadono sul bicchiere. Solleva il calice e quando sta per bere si ferma, guarda in camera e dice: "Ma per chi mi avete preso, per un coglione?

Una nota dolente potrebbe essere la voce fuori campo che a volte contrasta con l’atmosfera del film o gli eccessivi dialoghi sempre molto sboccati ma indubbiemnte non tolgono ritmo e carica al film che come ripeto ha un montaggio particolare mai troppo classico ma con alcune scelte interessanti e originali.
Il soggetto poi è di Johnny Ferguson da una pièce di Louis Mellis e David Scinto.

Il film sicuramente fa perno su un impianto di sceneggiatura ben consolidato. Il ritmo e la sequenza delle immagini è fluida, la regia è intensa e gioca con dei bei cambiamenti di luce tra una scena e l’altra.
Gli archetipi del noir non mancano facendolo diventare uno dei risultati più interessanti del nuovo noir inglese insieme a piccoli cult come SEXY BEAST.

martedì 22 marzo 2011

Blood Surf

Titolo: Blood Surf 
Regia: J.D.R. Hickox
Anno: 2000
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Una troupe televisiva è intenzionata a fare un servizio su un nuovo tipo di sport estremo, il bloodsurfing, ossia il classico surf effettuato, però, in acque infestate da squali famelici. Tutto va per il verso giusto e le premesse per realizzare un documentario sportivo adrenalinico ci sono tutte finché qualche imprevisto non si prepara a venire a galla. Una volta a riva, i surfisti e l’intera troupe, noteranno che qualche cosa di insolito sta accadendo in quelle acque: qualche cosa sta divorando e mettendo in agitazione gli squali. Cosa potrà mai essere? Semplice, un coccodrillo marino di enormi dimensioni che infesta quelle acque da anni e che ora è intenzionato a banchettare con tutti i componenti della troupe televisiva.

Se Hickow cercava con l'espediente dello sport estremo di portare luce sui beast movie che hanno come protagonisti i coccodrilli allora dovrà accontentarsi di una stellina.
Krocodylus non è brutto come gli altri del filone con la differenza che cerca qualche espediente in più dalla truculenza alla location e il fascino delle protagoniste. La scenneggiatura è pressochè inesistente con un ripiego totale sul montaggio senza dover stare troppo a spiegare i partciolari della storia.Interessante notare come il mostro non sia stato toccato dalla c.g ma si riesca a giostrare tra veri alligatori e qualche pupazzo meccanico artigianale.
Come horror di serie b ci si aspettava di peggio.

Sangue vivo

Titolo: Sangue vivo
Regia: Edoardo Winspeare
Anno: 2000
Paese: Italia
Giudizio: 4/5

In una cittadina del Salento vive Pino, musicista di pizzica del gruppo Officina Zoe. Pino alterna le serate in cui si esibisce con il gruppo, al lavoro di contrabbandiere di sigarette di cui si vergogna ma che non può fare a meno. Pino ha una famiglia da mantenere: moglie, figli, madre, un’altra donna e il fratello più piccolo Donato. Pino nel corso del tempo ha accumulato anche un debito con la Scu(Sacra Corona Unita)a cui deve restituire 20milioni.L’unico modo è quello di andare a prendere una ragazza, minorenne, ma lui questo non lo sa, in Albania e portarla in Italia.

Pino è un uomo con i coglioni. Nonostante il processo per le merci di contrabbando che si conclude ottimamente e i rimorsi per l’accidentale morte del padre, Pino riesce comunque a regalare momenti d’indimenticabile felicità alla famiglia. Il fratello Donato, dotato di un talento incredibile con il tamburello, vive nella noia e nella depressione. Esce con dei ragazzi più sbandati di lui, di cui uno appartiene pure al gruppo mafioso. Donato si buca e non si tira indietro quando c’e’ l’occasione di farsi un po’ di soldi, rapinando la posta del paese con i soldi appena arrivati per tutti i pensionati.
La rapina fallita sfocia in un epilogo letale…
Splendido dramma-sociale in cui fa da sfondo un bellissimo Salento con i suoi posti, almeno parzialmente, incontaminati.
La sceneggiatura dialettale sottotitolata è fortissima. Capita sempre più raramente la possibilità di vedere un film italiano completamente parlato in dialetto, è un peccato perché il dialetto è quanto di più vivo ed è a mio parere un linguaggio che si sta sempre più perdendo negli anni.
L’affresco sulla povertà della Puglia è sicuramente attualissimo. Mentre Pino campa come può, pur avendo almeno la soddisfazione di sfogarsi con il tamburello, Donato rappresenta la rinuncia di chi condanna senza puntare il dito, di chi preferisce aggirare il problema per non affrontarlo a testa alta.
I dialoghi a volte volutamente forzati, la sceneggiatura non priva d’eccessi e difetti, riesce sicuramente a convincere.
Pino Zimba(musicista leader del gruppo Officina Zoè)ci regala un’interpretazione fisica molto equilibrata. Riesce a rimanere pienamente credibile, come d’altronde tutta la storia del film, regalando bravura musicale alternata all’impulsività del suo comportamento. Pino è un uomo che non ama farsi mettere i piedi in testa e lo dimostra benissimo nel rapporto con i mafiosi albanesi e con il boss della Scu.
La musica della pizzica è ottima per rappresentare momenti di gioia e vita popolare, ma anche per rappresentare quel clima tragico in cui si sposano benissimo le storie dei personaggi.

Ho solo fatto a pezzi mia moglie

Titolo: Ho solo fatto a pezzi mia moglie
Regia: Alfonso Arau
Anno: 2000
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Texas. Tex un macellaio, uccide la moglie perchè lo tradisce continuamente con mezza città. L’uomo la taglia a pezzi e nasconde il cadavere fuori città vicino ad un albero.
Il cadavere viene diviso in sette pezzi, ma l’ultimo, una mano con il dito medio alzato, finisce tra le mani di una donna cieca del villaggio che subito dopo aver trovato la mano ci vede di nuovo.
L’arto reciso viene attribuito alla vergine che comincia a compiere miracoli nella cittadina del New Messico guarendo storpi, allungando falli ad un nano negretto, rinforzando le tette di una ragazza, togliendo i brufoli al ragazzo della ragazza.
Dopo questa catena di miracoli, la cittadina diventa una fiera grottesca dei miracoli, dove non esiste più una fede ed ognuno è libero di inventarsi quella che più gli garba purché aumenti il turismo o le entrate locali.

Difficile da giudicare questo film che si limita, per buona parte, ad essere niente di meno che una cozzaglia di luoghi comuni, adattando personaggi sempre più stereotipati verso una storia allucinata che fatica a rimanere in piedi.
Il regista ha puntato molto sul cast che alla fine riesce ad essere piacevole.
Logico ma strano vedere un master come Allen che dichiara di aver preso parte solo per problemi economici. Il resto del cast in ogni modo gigioneggia con i soliti ruoli, in questo caso il poliziotto Sutherland caratterizzato con due o tre espressioni e basta, la Cucinotta che non si sa per quale motivo sia stata presa, circola un po’ questa moda a volte di scegliere strafiche italiane da condire con un cast tutto americano.
David Schwimmer, l’idiota “Ross” di Friends, di certo non si salva e non è assolutamente capace. Lo salva solo una faccia da ritardato e mollaccione che per un prete in crisi può anche andare bene.
Insomma un film che si lascia vedere, ma niente di più, gettando frecciatine a più non può contro la fede cattolica senza riuscire neanche a diventare blasfema ma divenendo ridondante nella vanificazione di mostrare cliché e senza saper andare fino in fondo con una critica appropriata.

domenica 20 marzo 2011

Storie-Racconto incompleto di diversi viaggi.

Titolo: Storie-Racconto incompleto di diversi viaggi.
Regia: Michael Haneke
Anno: 2000
Paese: Francia-Germania-Romania
Giudizio: 4/5

Quasi una decina di storie si alternano in questo film stranamente corale del regista(questo è il quarto che vedo).Ne esce un film difficilissimo è sperimentale(come quasi tutto il suo cinema).
Una società spaccata in cui le tematiche sono forse troppe e non danno alcuna risposta allo spettatore(incapace sempre di più di recepire messaggi che non vengono esposti facilmente).

L’incomunicabilità(problema sempre più accantonato, sempre più attuale), confusione tra le lingue(il film è parlato in diverse lingue e molte volte nemmeno sottotitolato, quindi in questo caso cresciamo con lo spettatore senza ironia drammatica), problemi legati all’immigrazione e alla mancanza molte volte di capire i problemi e non puntare subito il dito condannando, xenofobia portata all’eccesso con la sua unica punta di pessimismo assoluto.
Il cinema di Haneke è uno di quelli che non dimentichi. Piani sequenza lunghissimi e snervanti in moltissima scene enfatizzano i moneti catartici del suo cinema.
L’aspetto formidabile di questo regista e l’attenzione per il pubblico. La scelta nelle scene di Haneke coinvolge il pubblico che deve fare attenzione ad ogni singola scena per non rimanere indietro e non perdersi il film.
Lo schema, come ho già detto è corale, le storie a volte si incrociano senza aver apparentemente nessun nesso in particolare a parte quello di far emergere una distinzione tra le classi sociali, le lingue e le ingiustizie. Verità e menzogna. In alcune scene Haneke non ci avverte delle scelte che fa, certo ci sono degli annunci che ci aiutano a capire, ma non ci mettono la “pappa”in bocca.
Straordinario il passaggio in cui alle scene del film associa quelle in cui Anne(Binoche)che nel film fa l’attrice, recita e non ce n’accorgiamo. Difficilmente percepiamo quando e uno e quando e l’altro.
Insomma dopo aver visto solo capolavori di questo regista(Funny Games, La Pianista, Niente da nascondere)mi trovo a dire che un cinema così intelligente non si vedeva da tempo. Con questo non voglio dire che sia uno dei nuovi maestri del cinema contemporaneo austriaco e non perché lo è. Però riesce a ritagliarsi una sfumatura e una maniera tecnica assolutamente originale e d’indubbio interesse.
In alcuni casi alcuni piani sequenza possono seriamente mettere alla prova la pazienza e i nervi di uno spettatore abituato all’intrattenimento, incapace di fruire contenuti sconcertanti e dialoghi “fastidiosissimi” come per Funny Games.

A morte Hollywood!

Titolo: A morte Holliwood!
Regia: John Waters
Anno: 2000
Paese: Usa/Francia
Giudizio: 3/5

Una troupe "estremista" cinematrografica rapisce una famosa attrice di Hollywood, per girare un film "indipendente" a costi zero.
Che dire. Waters a differenza di altri film ironizza sapientemente su una problematica legata al potere increscioso delle produzioni hollywoodiane, piccole multinazionali del cinema ad alto costo con risultati sempre più astronomicamente costosi e vittime di un impoverimento di linguaggio ed immagini calde e struggenti.
Cecil Demented è l’ennesimo esempio di cineasta anarchico ed estremo, che con tutta l’ironia di Waters cerca di riportare il cinema autoriale e di serie B ai fasti di cui non ha mai goduto.
Vengono citati quasi tutti i grandi registi americani ed europei quasi ad omaggiare le preferenze del regista.
Demented e la sua troupe si comportano come terroristi cinematografici che girano il loro film più estremo che conta sequenze in mezzo alla strada e invasioni di set come quello di Forrest Gump 2.
Citazioni a valanga quasi come una cascata in cui l’ennesimo omaggio e al festival di Pasolini a cui non va nessuno perché la massa preferisce non perdersi la parata sui Flinstones.
L’attrice scoprirà girando il film underground di Demented la differenza con i polpettoni iper-costosi e mielosi che la vedevano protagonista assoluta e si calerà fin troppo bene nella parte dimostrando anche lei di amare lo spirito indipendente.
Girato a Baltimora metà e patria di Waters.
La sceneggiatura è firmata dal medesimo, alla fotografia Robert Stevens e al montaggio Jeffrey Wolf.
Divertente ed irriverente. Una pillola da assaporare.


Sexy Beast

Titolo: Sexy Beast
Regia: Jonathan Glazer
Anno: 2000
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Gary Dove è un ex rapinatore felicemente in pensione. Un giorno incontra un amico-nemico dei vecchi tempi che lo costringe a rientrare in attività per l'ultimo colpo della sua vita: una rapina subacquea alle cassaforti di una banca.

Un bel noir inglese con un suo stile particolare segna l’esordio di Jonathan Glazer. Sexy Beast è il film che non ti spiazza certo per l’originalità del soggetto ma quanto invece per la descrizione maniacale e precisa dei personaggi in particolare quello di Gal e del Don.
Dialoghi che comunque si rifanno ad un certo cinema tarantiniano almeno nella maniera grottesca di descrivere un certo anfratto di situazioni e frasi con pochi difetti e un senso cinico della vita sempre più spiazzante, efficaci e che danno spinta e vigore ai toni accesi della vicenda.
Nel caso di Gal è impossibile non fare i conti con il passato che torna, ma è ancora più difficile per un ex-pornostar che per non rinunciare al suo uomo e alla sua libertà tirerà fuori quella rabbia necessaria per la vendetta. Quella che si consuma con una scena quasi splatter e violentissima in cui ognuno ci mette qualcosa.
Alcune sequenze come quella della roccia iniziale che precipita nella piscina e il monologo del don sono davvero gustose infatti la seconda parte quello appunto dell’arrivo del don è la parte migliore con venature thriller ma sapientemente dosata e centellinata di particolari che strizzano l’occhio a svariati film.
L’ultimo atto quello della rapina e forse il meno riuscito.
Il film è quasi tutto inglese come l’ottimo cast composto dall’ottimo Ray Winsdone, un azzeccato Ben Kingsley e Ian McShane solo per citarne alcuni.
Il film è stato prodotto dal bertolucciano doc Jeremy Thomas.