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mercoledì 2 giugno 2021

Better days


Titolo: Better days
Regia: Derek Tsang
Anno: 2019
Paese: Cina
Giudizio: 5/5

Nel 2011, a Chongqing, la studentessa Chen Nian è a poche settimane dall'esame di ammissione all'università. L'intera scuola è in fermento per l'importanza del traguardo, per il quale i ragazzi sono soggetti a enorme pressione. Un'amica di Chen Nian, tormentata per mesi dai compagni di classe, si suicida nel cortile della scuola. Un trauma che, assieme ai debiti della madre, rende la protagonista il prossimo bersaglio di un bullismo estremo. Mentre la polizia indaga sul caso senza troppo successo, la ragazza conosce e in seguito si affida alla protezione di Xiao Bei, giovane delinquente della zona.
 
Better days è prima di tutto un film romantico. Era dai tempi di BAD GUY di Kim Ki-duk che non mi emozionavo così tanto e il film manco a farlo apposta ricorda per lo strano legame tra i due protagonisti il capolavoro del regista coreano. Qui la vicenda come sempre più spesso capita per i drammi orientali è un compendio di tematiche attuali come il bullismo, l'emarginazione, la solitudine, crescere senza genitori, la sofferenza, il mondo della delinquenza e in una parola il rito di passaggio tra l'adolescenza e l'età adulta.
Better days racconta così tante cose per arrivare infine ad un processo e un interrogatorio straziante per tutta una serie di rivelazioni che Tsang non mancherà di centellinare in una struttura drammaturgica sontuosa e originale.
Un film complesso e ambizioso che colpisce duramente allo stomaco come nelle scene di bullismo in cui vediamo le ragazze per bene fin dove possono spingersi ai danni di Chen, la vendetta che colpisce in maniera spietata, l'emozionante rapporto tra Chen e Xiao e infine un paese dove alla base viene anche inquadrato un altro passaggio fondamentale quello del Gaokao, il famigerato esame che deciderà il futuro degli studenti e la pressione e la competitività a cui gli adolescenti sono soggetti.
Better Days vincitore di numerosi premi è stato bloccato dalla censura del suo paese come se tematiche di questo genere non vogliano essere tirate in ballo ed esaminate come a dire che il problema di non saper gestire dinamiche complesse tra adolescenti è un problema su cui è meglio non parlare troppo e palesare la realtà (l'idea del film nasce infatti da un episodio di cronaca).
Il film riesce ad andare oltre tutto questo diventando un manifesto che andrebbe fatto vedere nelle scuole dal momento che tratta la verità emotiva come non succedeva da anni, con una costruzione esemplare della tensione e una tenuta narrativa impeccabile nonostante le oltre due ore di durata.

martedì 11 maggio 2021

Nuevo orden

 

Titolo: Nuevo orden
Regia: Michael Franco
Anno: 2020
Paese: Messico
Giudizio: 4/5

Città del Messico, 2021: il divario tra classi sociali si fa sempre più marcato. Un matrimonio dell'alta società viene interrotto da un gruppo di rivoltosi armati e violenti, parte di una più ampia sommossa dei meno abbienti, che prendono in ostaggio i partecipanti. L'esercito messicano sfrutta il disordine causato dalle rivolte per instaurare una dittatura militare nel paese.
 
E' il popolo divenne l'angelo sterminatore direbbe forse Bunuel. Nuevo orden è un film pieno di azione senza fine e colpi di scena imprevedibili che picchia duro, arrivando come un pugno nell'esofago lasciandoti in ginocchio a cercare di respirare.
Una critica sociale e audace incessante e brutale della disuguaglianza di fortissimo impatto con un livello di violenza a volte esagerato ma mai gratuito nemmeno quando vediamo infilato un manganello in culo ad un prigioniero.
Il cinema messicano come tutta la new generation di film sudamericani sembrano più che mai incazzati e desiderosi di mostrare potenziali scenari nemmeno così utopistici prendendo di mira un ordine dispotico che tiene al guinzaglio la servitù diventando uno straziante dramma senza happy ending, con un finale davvero amaro e per finire una giostra degli orrori in cui il potere, però, è qualcosa di tanto labile da finire per tornare sempre nelle stesse mani. Dall'evolversi all'interno della villa, al viaggio nell'inferno di Marianne che lasciando la villa entra nel cuore dei disordini sociali di una manifestazione contro gli abusi sociali e di potere. La prigionia diventa una macelleria messicana come per la scuola Diaz, dove l'esercito farà ciò che vuole seviziando di continuo con i corpi dei presunti detenuti vittime senza avere una colpa se non quella di appartenere a un ceto aristocratico.

Bad Luck Banging or Loony Porn


Titolo: Bad Luck Banging or Loony Porn
Regia: Radu Jude
Anno: 2021
Paese: Romania
Giudizio: 4/5

Emi, un’insegnante gira per uso privato un video ad alto tasso di erotismo che però finisce su PornHub e viene scoperto dai suoi allievi. Viene immediatamente convocata l’assemblea dei genitori che debbono dare un parere dirimente sulla sua futura presenza nella scuola.
 
Sicuramente non è un mistero che il cinema d'autore rumeno negli ultimi anni abbia dato prestigio e peculiarità alla sua filmografia. Sitaru, Mungiu, Mirica sono ad esempio tre esponenti di una certa rinascita a cui bisogna includere anche Jude, autore decisamente più eclettico e sovversivo, che con questa coraggiosa quanto esplosiva ed estremamente provocatoria pellicola si mette subito in discussione con un film complesso, ambizioso e a tratti incredibilmente weird.
La scena iniziale sicuramente sarà quella che farà più discutere dal momento che ritrae un filmino porno amatoriale senza nessuna censura. Da lì poi il film diventa un antologia, un catalogo con divisioni di capitoli, la storia che si dipana per poi prendersi alcune pause, dare una propria idea dei preconcetti in generale nel mondo con tanto di ordine alfabetico in un montaggio e una didascalia quasi documentaristica e infine ritornare sulla storia con tre finali alternativi dopo il processo all'insegnante che si pone come uno dei momenti più interessanti e di denuncia del film trattando la materia del sacro/profano, lecito/proibito, privacy ma soprattutto revenge-porn e sessismo.
Il film di Jude è un'approfondimento grottesco che pone le basi sulla desamina di una società perbenista solo in apparenza nascondendo gli scheletri nell'armadio e le piaghe di un falso moralismo incredibilmente attuale e sincero dove fanno capolino nel finale alcune delle mascherine anti Covid più imbarazzanti che si siano mai viste. L'inizio col porno amatoriale e il finale con i cazzi di gomma ad inculare una certa classe politica sembrano la vendetta di una certa generazione di registi contro tutto quello che il popolo ha sofferto a causa di dittatori che hanno sempre imposto una certa censura e dittatura.


lunedì 4 gennaio 2021

Zombie(2020)


Titolo: Zombie(2020)
Regia: Giorgio Diritti
Anno: 2020
Paese: Italia
Festival: Venezia, Capri, Hollywood
Giudizio: 4/5

È il giorno di Halloween. Camilla è fuori da scuola. Cerca con gli occhi il padre, ma ad aspettarla è la madre, Paola, che la porta in pasticceria e le dice di prendere quello che vuole: è un giorno speciale. Una volta a casa, Paola traveste la figlia da zombie: sta arrivando l'atteso momento del 'dolcetto o scherzetto'. Un cappuccio con due fori sugli occhi le copre il volto, Camilla osserva il paese animarsi per la festa dei morti, passeggia per le vie del paese mano nella mano con la madre che però...

Zombie è un altro dei corti più importanti di questa rassegna passato anche lui, come molti altri per festival come Venezia, il TFF o Cannes.
L'alienazione che porta genitori e famiglie disfunzionali e un distacco parentale ha fare le scelte più dolorose e indecorose nei confronti dei poveri e innocenti figli. In questo caso una madre che non riesce ad accettare la fine di una storia sapendo che il marito ha scelto una ragazza più giovane e affascinante di lei, usa la figlia per avere la sua vendetta o meglio per far vedere a Camilla quanto suo padre sia in realtà una vera merda. Non si salva nessuno, così la metafora di Diritti che sceglie abilmente Halloween, il trucco, la maschera e infine gli zombie


Sottosuolo


Titolo: Sottosuolo
Regia: Antonio Abbate
Anno: 2020
Paese: Italia
Festival: Cannes, Capri, Hollywood
Giudizio: 4/5

Antonio è un padre solo che vive con sua figlia adolescente. Il suo lavoro da giardiniere non basta più a sostenerli. Così inizia a lavorare come corriere per un caporale della zona, trasportando i braccianti ai campi. Quando uno di questi ragazzi scompare Antonio dovrà scegliere da che parte schierarsi.

Abbate parla di mafia, caporalato, sfruttamento dell'immigrazione e come abolire i sensi di colpa.
Con una metafora su cosa si cela dietro una porta, Antonio rappresenta perfettamente un uomo disilluso che nonostante una figlia educata e attenta che studia e si pone delle domande, ormai per lui la quotidianità e fatta di monotonia e accordi con un potere che non vuole combattere per paura e perchè in fondo ha scelto semplicemente di voltarsi dall'altra parte sapendo bene come gli interessi possano portare ad azioni terribili come sbarazzarsi di braccianti malaticci di cui nessuno in fondo sa niente, fantasmi senza identità.


Slow


Titolo: Slow
Regia: Giovanni Boscolo e Daniele Nozzi
Anno: 2020
Paese: Italia
Festival: Capri, Hollywood
Giudizio: 3/5

Da quando Marisa è andata in pensione la sua vita è profondamente cambiata: si sente inutile, abbandonata, senza uno scopo. Anche suo figlio la trascura e va a trovarla molto raramente. L'incontro con un'organizzazione segreta di pensionati le svela uno dei più grandi misteri della storia dell'umanità: il traffico stradale

Quando si è visti come fantasmi, senza ricevere attenzione dopo una vita di sacrifici, allora si viene scelti per questa sorta di organizzazione della terza età, dove l'obbiettivo è rallentare la vita di tutti i giorni, scegliendo la macchina simbolo del traffico e della fretta quotidiana per dare un segno anti violento ma figlio di una richiesta di attenzione. E' così tra toni scanzonati, teatrini molto simpatici si può finire con l'innamorarsi e presentare il futuro "padre" ad un figlio che sembra frastornato dopo questa sorta di rinascita della madre. Mi ha ricordato per alcuni aspetti COCOON.


Silence(2020)


Titolo: Silence(2020)
Regia: Sean Lionadh
Anno: 2020
Paese: Gran Bretagna
Festival: Torino Film Festival, Capri, Hollywood
Giudizio: 3/5

Nell’isolamento del lockdown, un giovane uomo decide di restare in contatto con il mondo esterno attraverso i messaggi vocali dei suoi amici e dei suoi amanti. Quelle voci, però, che inizialmente sembrano riempire il silenzio e fargli compagnia, diventano sempre di più e sempre più cariche di sofferenza. L’uomo si trova così abitato da una moltitudine di solitudini. L’unica soluzione per placare quelle voci è trovare la propria attraverso la musica, e così ristabilire il silenzio.

11' in cui Lionadh ha filmato a Glasgow ciò che gli è successo, provando a dare una voce o meglio un silenzio alla crescita del disagio e della sofferenza. In un appartamento disordinato e nel caos, Lionadh sembra la dimostrazione di un disorientamento che aumenta con la condizione umana e l'incapacità di affrontare un disagio e saper leggere oltre. Allora ognuno trova un suo confinamento, Lionadh spegnendo i vocali e accendendo la musica.

Nets


Titolo: Nets
Regia: Martina Aloia
Anno: 2020
Paese: Italia
Festival: Capri, Hollywood
Giudizio: 3/5

Sam, originario del Ghana, racconta la realtà disillusa promessa dal nonno. La sua storia e la sua vasca ricordano quella di mio padre, uomo calabrese del 1962, ma l’unica cosa che condividono è il Sud Italia

Nemmeno quattro minuti con una tecnica e una pulizia dell'immagine precisa ed elegante, sfruttando droni e tutto il necessario per raccontare una parte di storia di Sam, voce off, ricordi e flash back con una scena in un appartamento dove diversi fratelli chiedono alla sorella di uscire dal bagno mentre questa sembra voler sprofondare dentro la vasca. Chi entra e chi, come Sam, esce per ritrovare la vita dopo tutto ciò che ha dovuto lasciare prima di partire come gli amici e i fratelli. Un altro corto sul sociale, sul tema dei migranti, sull'abbandono e la solitudine.



Munhasir


Titolo: Munhasir
Regia: Yesim Tonbaz
Anno: 2020
Paese: Turchia
Festival: Torino Film Festival, Capri, Hollywood
Giudizio: 3/5

Rimasta sola dopo la morte della figlia per una lunga malattia, mentre cerca di accettare il dolore, Fazilet trova un pacco destinato alla figlia. In cerca di informazioni, busserà di porta in porta fino a trasformare il pacco nella cosa più importante della sua vita.

Fazilet incarna perfettamente la perdita, una tragedia che come madre incarna un trauma senza parole che la nostra protagonista decide di affrontare in una lunga peregrinazione cercando e ottenendo informazioni che possano almeno darle un barlume di speranza e il sollievo fino al climax finale. Un corto scandito da un montaggio preciso, un volto perfettamente segnato dal dolore e un'ambiente che risulta una metafora perfetta su come spesso la società attorno a noi dimentichi facilmente alcune ferite che semplicemente non scompariranno mai.



Mosche


Titolo: Mosche
Regia: Edgardo Pistone
Anno: 2020
Paese: Italia
Festival: Venezia, Capri, Hollywood
Giudizio: 3/5

Le vicissitudini e le avventure di un gruppo di ragazzi, abbandonati a sé stessi mentre la vita, placida e sonnacchiosa in apparenza, scorre indisturbata. In balia dei demoni della crescita, della loro fantasia e della loro tracotanza, i ragazzi, come mosche che ronzano dal marciume alla seta, si trascineranno verso un epilogo tragico e irreparabile...

In un quarto d'ora, Pistone prende un manipolo di ragazzi di strada e li segue nella loro quotidianità fatta di abbandono, incontri con un gruppetto di ragazze e l'amicizia con gli outsider della società che come nelle regole del branco, sono le prime vittime sacrificali o i capri espiatori preferiti.
E' così pur citando tra le righe quell'omicidio in parte involontario che ha portato i protagonisti di Sleepers a finire in riformatorio, qui si calca lo stesso dramma con un b/n e una mdp che sembra incollata al gruppo di ragazzi. Finale con una sorta di ammissione, di dolorosa testimonianza su quanto una vita di stenti e senza regole possa portare a un destino immutabile.


Last Men


Titolo: Last Men
Regia: Adrien Jeannot
Anno: 2020
Paese: Francia
Festival: Capri, Hollywood
Giudizio: 3/5

In un paesaggio desertico, quasi apocalittico, un giovane uomo fugge inseguito da uno zombie. Una corse incessante, continua, che non accenna a fermarsi. Fino a quando l’unico sopravvissuto delle razza umana prende una decisione e costringe il suo inseguitore a interrompere la corsa.

Jeannot prende in prestito l'idea di It stainds at the sands red, con uno zombie che insegue la protagonista per tutto il film, per ribaltare il concetto e farci scoprire (l'elemento nascosto inizialmente è la parte più bella del corto) un protagonista che deve al suo inseguitore la vita dal momento che è stato salvato grazie a lui. Un sacrificio involontario che ha portato il nostro protagonista a tenersi accollato il suo salvatore/predatore fino al colpo di scena finale.



Branco


Titolo: Branco
Regia: Antonio Corsini
Anno: 2020
Paese: Italia
Festival: Capri, Hollywood
Giudizio: 3/5

William è un adolescente ricco e problematico, che per passatempo organizza combattimenti tra cani insieme ad un gruppo di delinquenti che lui chiama amici. Quando mostrerà le sue vere origini alla ragazza di cui è innamorato, tutto cambierà.

Giovani allo sbaraglio, combattimenti tra cani come nel fantastico AMORES PERROS e una leggerezza nel vivere la quotidianità tra edifici abbandonati e corse in motorino.
Al centro un ragazzo che nasconde un segreto circa il suo benessere economico e un amore per l'unica del gruppo a cui non permette di avvicinarsi.
In nemmeno un quarto d'ora Corsini, crea di fatto una storia interessante, senza triangoli amorosi ma buttandola sulla consumazione di corpi (umani e animali), della spensieratezza e dell'impossibilità in una sotto cultura di avere dei segreti.
E allora quando si viene rifiutati, le conseguenze possono essere davvero drammatiche..

Apollo 18


Titolo: Apollo 18
Regia: Marco Renda
Anno: 2019
Paese: Italia
Festival: Capri, Hollywood
Giudizio: 3/5

Un bambino vestito da astronauta è intento a giocare sulla spiaggia. La sua bicicletta trasformata in un razzo da qualche decorazione, si trova ai piedi di una pedana da cui inizierà un viaggio che copre distanze incalcolabili, tra le stelle. Nel bel mezzo della sua avventura nello spazio, però, il bambino fa un incontro a cui non è preparato, con quella che, volendo restare coerenti con la sua fantasia, è una creatura aliena.

Renda e la sua Gotham Productions. Non parliamo di un esordiente ma del regista del semi sconosciuto indie italico Edhel del 2017, una commedia drammatica che affronta ancora una volta temi sociali come la diversità e la solitudine, tema portante di questo cortometraggio. In 8' di storia c'è l'incontro e l'impatto tra diverse culture, un bambino e un naufrago, entrambi alla deriva, entrambi che si nascondono, come emarginati senza ancore di salvezza. Mentre il bambino sogna di decollare per raggiungere un altro pianeta, il naufrago viene portato dalle onde su una nuova terra che spera tanto possa garantirgli una vita migliore.


domenica 22 novembre 2020

His House


Titolo: His House
Regia: Remi Weekes
Anno: Gran Bretagna
Paese: 2020
Giudizio: 4/5

Dopo essere fuggiti dal Sudan del Sud in guerra, una giovane coppia fatica ad adattarsi alla nuova vita in una cittadina inglese dove si nasconde un male indicibile.

Finora una delle uniche piccole sorprese targate Netflix. His House è un horror che vira parecchio sul sociale come negli ultimi anni è già successo in diversi paesi e con risultati più che apprezzabili.
In questo caso la guerra, il paese d'origine, ogni lasciato che risulta perso provocando rancore e l'obbiettivo di rendere una nuova vita difficile e tormentata.
Fantasmi del presente e del passato, una società che solo apparentemente sembra ospitare i profughi scampati da una morte orrenda in mare (i genitori si salvano a differenza della "figlia").
Sensi di colpa, difficoltà a ripartire da zero, cercare di uscire alla luce puntando sui rapporti sociali. Una coppia devastata dal dolore e dalle strane storie che Rial una sera racconta a Bol legate ad uno stregone e la maledizione per cui accompagna le sue vittime facendole lentamente impazzire.
E' così piccoli spifferi nei muri diventano buchi enormi dove non è facile trovare una scusa coi servizi sociali quando ti entrano in casa e trovano le pareti devastate. Allora quella paura dei non morti dietro le pareti diventa una paura di non potersi nascondere dal presente e da una società che giudica e condanna. 
Weekes gira un film lento e inesorabile nel suo dipanarsi in un incubo tutto asserragliato tra le pareti di una casa che sta lentamente marcendo. Alcune scene oniriche come quella in cui Bol mangia da solo e vediamo dietro di lui il mare che imperversa con i cadaveri che prendono vita e cercano di raggiungerlo è fantastica così come la continua lotta psicologica tra marito e moglie in cui quando sembra che uno riesca lentamente a rialzarsi, l'altro sprofonda nel baratro della paura.

Principal-Una classe violenta


Titolo: Principal-Una classe violenta
Regia: Christopher Cain
Anno: 1987
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Un insegnante di liceo un po' troppo svelto di mano (ha reagito violentemente alla notizia del divorzio della moglie) viene trasferito nella scuola più malfamata della città zeppa di teppistelli senza speranza. Urge un duro per questi mascalzoncelli e il manesco prof. si rivela l'uomo giusto al posto giusto. La scuola diventerà un istituto quasi per bene

Film "scolastici" ovvero di forte impatto sociale che trattano la violenza e il bullismo nella scuola il cinema è pieno nei più svariati modi anche se le perle migliori appartengono alla scifi.
Jim Belushi ovvero Rick esce da un divorzio, è un tamarro incorreggibile che rincorre con una mazza da baseball il nuovo compagno dell'ex pronto a distruggerlo facendo bene intuire come sia un tipo avvezzo allo scontro e un impulsivo in prima linea.
La sorte lo vuole a fare il preside in un buco di culo nascosto dal mondo, una località amena governata da minoranze e leggi della strada. Rick si troverà in un istituto dove gli spacciatori governano sopra tutti e i professori come le istituzioni abbassano la testa e quando devono si piegano a novanta gradi. Il resto di come andrà a svilupparsi il film è cosa ovvia, con pochissimi colpi di scena, alcune scene esageratamente tamarre come quando Rick entra nella scuola cavalcando la moto e salendo le scale sgommando per andare a salvare l'insegnante che rischia di essere stuprata.

martedì 17 novembre 2020

Fixing Luka


Titolo: Fixing Luka
Regia: Jessica Ashman
Anno: 2011
Paese: Gran Bretagna
Festival: Cinemautismo 2015
Giudizio: 4/5

Anatre di gomma allineate e perfettamente in fila . Francobolli attaccati ad una parete nella camera da letto. Una piramide di ditali buttati a terra. Queste sono solo alcune delle routine ossessive di Luka, un rituale giornaliero sotto lo sguardo ansioso di sua sorella Lucy.

Luka però ha bisogno di riparazioni ogni volta che qualcosa disturba la sua routine e così Luka cade a pezzi. Letteralmente .
Una sera - martoriata dalla impossibilità di aiutare il fratello, Lucy perde la pazienza e fugge. Inciampando nella foresta, scopre un soldato orologio, all'interno di una baracca . Quando aiutandolo, riesce a fissare la sua testa, Lucy pensa di aver trovato la soluzione ai suoi problemi a casa e per Luka. Scritto, diretto e animato dalla regista, Fixing Luka è un corto di '12 fantastico e commovente.
Sulla base dell'esperienza personale di Jessica Ashman di crescere con un fratello autistico.
Luka è una storia di speranza, determinazione e accettazione.
La Ashman è una regista con la passione e specializzata in stop motion, cut e animazione in 2-D. Fixing Luka mescola i generi, la fiaba con storie di ordinaria quotidianità, difficoltà nell'affrontare l'autismo e la solitudine di non trovare aiuti, cercando quindi nel mondo esterno un'arma di speranza per affrontare i problemi.
Rigorosamente senza dialoghi, ma con una colonna sonora convincente, Fixing Luka è uno di quei corti necessari, che parlando di un malessere interno ed esterno, trovando quella componente per arrivare dritti al cuore ma senza momenti melensi e una certa retorica di linguaggio.

martedì 15 settembre 2020

Sons of Denmark


Titolo: Sons of Denmark
Regia: Ulaa Salim
Anno: 2019
Paese: Danimarca
Giudizio: 3/5

Nella Danimarca di un futuro molto vicino e molto simile al nostro presente, un attentato in una stazione della metro di Copenaghen proietta al governo un nuovo partito ultra-nazionalista, il cui leader Martin Nordahl vuole liberare il paese da tutti i non-danesi. Alla fumosa categoria appartiene di fatto Zakaria, un diciannovenne di origine araba che subisce sulla propria pelle le conseguenze discriminatorie di una retorica vicina al gruppo neo-nazista dei "Figli della Danimarca". Radicalizzato dall'autorevole Hassan, Zakaria viene affidato alla guida taciturna di Ali, che lo addestrerà a portare a termine l'assassinio di Nordahl.

L'esordio di Salim è un film coraggioso a cui manca quell'estro in più nella scrittura che sarebbe stato decisivo e non derivativo come il finale davvero troppo prevedibile.
Un film sulle diseguaglianze sociali, sull'estremismo religioso, sui nuovi fanatismi che purtroppo non sembrano mai dimenticati tornando in auge nei momenti peggiori della storia e così via per un poliziesco intrecciato con tanti drammi sociali e una coralità di personaggi che riescono a essere tutti in parte. I figli di Danimarca sono neonazisti che credono nel rimpatrio forzato, accrescendo l'aura di un leader xenofobo che scherzando coi media non si astiene dal lanciare benzina sull'ideologia musulmana e facendo breccia tra i nazionalisti e non.
Un thriller sicuramente d'impatto nel cercare di fondere comunità e diversità, media e politica e tutti i loro pasticci per confondere cittadini ed elettori, sottolineando elementi importanti come la famiglia (quella di Zakaria con madre e fratello e quella che si andrà a creare con l'indottrinamento)
E'interessante come Salim riesca a metà film a capovolgere la narrazione cambiando punto di vista, abbandonando inizialmente alcuni personaggi per poi tornarci verso il finale e cercando di esprimere tutti i lati oscuri da ogni parte e con ogni sfaccettatura dal punto di vista di Zakaria e Malik. Il primo un diciannovenne frustrato e arrabbiato in un viaggio di formazione verso la radicalizzazione mentre il secondo è il poliziotto Malik catturato tra l'islamismo di cui fa parte e il nazionalismo imposto dai suoi capi.


sabato 1 agosto 2020

A Sun


Titolo: A Sun
Regia: Chung Mong-hong
Anno: 2019
Paese: Taiwan
Giudizio: 4/5

Una famiglia di quattro persone viene distrutta quando il figlio più giovane viene mandato in un centro di detenzione minorile. Il figlio maggiore, che è sempre stato considerato la speranza della famiglia, prende una decisione che devasta i genitori.

Il quinto film di Mong-hong fa centro appieno rivelandosi un dramma famigliare, un noir che parte depistando lo spettatore con un paio di scene di amara vendetta davvero crudeli per poi rallentare e moderare i toni diventando un film che dalla strada, passa al carcere minorile, fino al cammino di redenzione, il revenge-movie e molto altro ancora.
In due ore e mezza il film si dipana su sentieri molto diversi ma tutti perfettamente collegati, rivelando parte degli intenti dei protagonisti e raccontando senza mezze misure una vicenda molto cruda e umana, un viaggio realistico di come si cerchi con tutte le difficoltà del caso di risorgere dalle ceneri senza aver fatto i conti con i debiti del passato e tutti i suoi aguzzini pronti a vendicarsi.
Le colpe che ricadono in primis sui genitori, la responsabilità di ritrovarsi ad aver messo alla luce un bambino senza saperlo, Mong-hong non abbassa mai i toni, anzi il dramma si dipana sempre in crescendo, fino ad impazzire verso il finale e dovendo trovare un climax potente per chiudere una faccenda che rischiava di far esplodere tutto. In più è incredibile notare come tutti i personaggi vengano caratterizzati e sondati fino alla radice, tra paure, invidia fraterna, scelte difficili, ricordi (la scena del figlio morto che appare al padre è commovente, oppure la rivelazione del marito nel finale a sua moglie) rendendo il film un'opera fortemente riflessiva ed emotivamente sconvolgente senza mai perdere i binari ma dimostrando una naturalezza impressionante.


Magari

Titolo: Magari
Regia: Ginevra Elkann
Anno: 2019
Paese: Italia
Giudizio: 3/5

Alma, Jean e Sebastiano sono tre fratelli molto legati tra loro che vivono a Parigi, nel sicuro ma bizzarro ambiente alto borghese della madre di fervente fede russo–ortodossa. La mamma decide di mandarli per qualche giorno da Carlo, il padre italiano, assente e completamente al verde. Lui, aspirante regista, non sa badare a sé stesso e ancor meno ai figli. I tre ragazzi sono costretti a passare le vacanze di Natale insieme a lui e alla sua assistente – nonché fidanzata – Benedetta.

Complicata vicenda d'amore attraverso lo sguardo di tre fratelli in particolare Alma e il suo flusso incessante di ricordi e pensieri. Un film minimale, molto personale, un'analisi lucida e con un impiego di una tecnica molto ricercata per un film che sembra una fotografia del passato.
Tra attori francesi e italiani si danno tutti man forte per dare linfa e poesia a una narrazione che mostra così tanti stati d'animo e il potere della famiglia e i legami che non spariscono lasciando cicatrici forti. Un film coraggioso che non risparmia un paio di scene di sesso, Benedetta che si lascia andare con Sebastiano, un linguaggio che non disdegna parolacce e momenti di rabbia tra Carlo e i suoi figli, rendendo l'atmosfera sempre pungente e sull'orlo di un dramma o un incidente che avviene sì ma in maniera velata come a puntare all'unione famigliare più che alla tragedia.
Magari come il titolo suggerisce è quell'intercalare che viene spesso usato e abusato dai suoi protagonisti più grandi che piccoli, più giovani-adulti che altro, diventando una sfrontata risposta a tutto quello che non va come dovrebbe ma che alla fine si lascia correre.
“Un film sull’idea di famiglia, non sulla famiglia” ha espressamente dichiarato la regista, descrivendo e convincendo con un film che non si prende troppo sul serio ma nella sua flebile ambizione riesce dove molte commedie sulla famiglia crollano, ovvero riuscire ad essere vero, sincero, diretto e commovente.

Mery per sempre

Titolo: Mery per sempre
Regia: Marco Risi
Anno: 1989
Paese: Italia
Giudizio: 3/5

Un insegnante di quarant'anni appena divorziato accetta di lavorare nel carcere minorile Malaspina. L'uomo cerca di instaurare un nuovo rapporto con i giovani detenuti, ma i suoi sforzi vengono ostacolati dai più riottosi di essi e dal direttore della prigione che non approva i metodi permissivi del nuovo venuto. Alla fine però i fatti danno ragione all'insegnante.

Risi a parte aver sondato il malessere giovanile con RAGAZZI FUORI e IL BRANCO con il film in questione ha cercato di fare un certo tipo di cinema politico e di denuncia soprattutto negli ultimi anni anche se il suo capolavoro rimane Ultimo Capodanno tratto dal romanzo di Ammaniti.
Un regista che ha saputo parlare di drammi sociali, diseguaglianze, corruzione, mafia e politica e poi ha girato quella commedia grottesca davvero ironica e recitata da una galleria di attori tutti in parte. 
Qui la location è il carcere minorile, i temi sono il disagio giovanile, l'accettazione del diverso (Mery) interpretata da Alessandro diventata poi Alessandra Di Sanzo.
Risi riesce a fare un ottimo lavoro in un film per certi versi neorealista con un cast misuratissimo e funzionale alle esigenze con quei ragazzi che troveremo anche nei film successivi e dando grande margine di sfogo a Michele Placido. La bravura del regista consiste nel proporre situazioni anche di per sé scabrose come quando il professor Marco Terzi bacerà proprio Mery in bocca e momenti assai pesanti come gli scontri tra i detenuti o la scena in cui Natale sporca con il pennarello il viso del professore (scena per altro molto lunga e lenta) con allusioni e tocchi misurati che lo rendono un piccolo miracolo tra i film che trattano questo fenomeno. 
Il degrado di Palermo è connotato da un pessimismo di fondo che accompagna la narrazione delle varie vicende di questi ragazzi costretti per motivi diversi a dover convivere all'interno del carcere Malaspina del capoluogo siciliano. 
Un luogo poco accogliente a giudicare dagli interni nonché dalla violenza a tratti smisurata delle guardie carcerarie. Finale drammatico con la morte di Pietro che non vediamo ma con l'happy ending di quella lettera di trasferimento strappata.