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lunedì 11 aprile 2011

Regole dell'attrazione

Titolo: Regole dell'attrazione
Regia: Roger Avary
Anno: 2002
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Quali sono le regole dell'attrazione dei giovani d'oggi? Scopriamole insieme in un college americano.
Tutti contro tutti. Non ci sono regole ognuno cerca l'amore come può.

Roger Avary è una di quelle "promesse" fallite nel senso che si diceva tanto su di lui dopo KILLING ZOE che poi non era niente di che ma piuttosto una di quelle opere che seguiva Tarantino neanche come una iena al guinzaglio.
Poi è passato ad un film sconosciuto a quasi tutti i comuni mortali che risponde al nome di MR.STICH-PENSIERI RESIDUALI con Rudger Hauer.
Il suo terzo film sembra quasi uscire dai territori del gran visir delle scopate e dei degeneri giovanili che risponde al nome di mr Gregg Araki.
Solo che Avary non è Araki ma comunque a mio parere questo è il suo film migliore.
Se non altro perchè ha il pregio di non prendersi sul serio e questo film è tutto tranne che qualcosa di serio dunque a partire da ciò vi lascio intendere quali saranno le tematiche di cui si occupa.
Una consumazione di corpi condito da un nichilismo spietato questa potrebbe essere la log-line perfetta per sintetizzare la pellicola.
I segreti di questo film, che comunque a chi interessasse la tematica merita una visione, sono il cast puntellato da giovani promesse su cui spicca ma non certo per il talento recitativo James Van Der Beek, l'inguardabile Dawson di quella inguardabile saga di nome Dawson'sCreek.
Poi c'è il tipo di Lost che nella saga muore quasi subito e infine qualche comparsata per chiudere il finale.
Un montaggio a tratti ipertrofico ma incastonato bene e alcune trovate interessanti(monologhi del nonsense, il suicidio della ragazza, il viaggio di Victor).
Spacciatori,droghe,scopate facili,puttane,gay e lesbiche,una borghesia che dilaga e che corrompe i già corrotti giovani americani di quelle speciali college che accolgono tutto tranne che i neuroni necessari allo studio.



martedì 22 marzo 2011

Posto dell’anima

Titolo: Posto dell’anima
Regia: Riccardo Milani
Anno: 2002
Paese: Italia
Giudizio: 4/5

La chiusura di una multinazionale americana ha il conseguente licenziamento di tutti gli operai della fabbrica, mette sotto sopra il vicino paese. Alla lotta degli operai, che non si arrendono al licenziamento, si intrecciano le loro vicende personali e familiari...

I film sulle lotte operaie e gli sviluppi delle proteste e delle azioni di sciopero sono un elemento delicato che andrebbe sviluppato con una certa accortezza senza mai cadere nel patetico o cercare di forzare la storia per strappare qualche lacrima come è solito nel nostro cinema negli ultimi trent’anni.
Purtroppo Milani dopo il suo unico buon film (LA GUERRA DEGLI ANT0’) cerca con un cast di tutto rispetto di ripercorrere le vicissitudini di tre amici che cercano di opporsi e di cambiare qualcosa all’interno dello spirito della comunità lavoratrice aprendo addirittura un pastificio.
Ci sono però delle parti inverosimili e altamente fastidiose come il finale per la Cortellesi e il disastroso viaggio in America in tutti sensi macchietta dei soliti luoghi comuni.
Senza compromessi i protagonisti, Orlando il più riuscito, cominciano una battaglia che si sviluppa su rami diversi tenendo conto delle diversità. Un messaggio quindi per tutti i lavoratori che oggigiorno si sentono abbandonati ma che invece dovrebbero trovare nella cooperazione la giusta canalizzazione degli obbiettivi. Se questo era l’obbiettivo Milani di certo non ci è riuscito.

Returner

Titolo: Returner
Regia: Takashi Yamazaki
Anno: 2002
Paese: Giappone
Giudizio: 2/5

Anno 2084. Dopo un’invasione aliena che minaccia di distruggere la razza umana, una giovane ragazza di nome Milly viaggia a ritroso nel tempo e arriva nel 2002. Qui ingaggia Miyamoto, killer di professione, per aiutarla a impedire lo scoppio della guerra.

Takashi Yamazaki è un regista che deve avere veramente poche idee, è quelle poche sono mischiate male come un quadro picassiano fatto interamente di plagi. Returner è un film dichiaratamente tamarro che si rifà ad una lunga serie di film d’azione e d’avventura americani. Qui si potrebbero veramente fare un elenco di film a cui il regista si è ispirato come LEON (rapporto lui-killer,lei-povera ragazza indifesa. In più c’è anche una vecchia che informa Miyamoto sul lavoro, una specie di Tony), TERMINATOR 1e 2 (lei che viene dal futuro per distruggere la minaccia delle macchine/alieni, poi la battaglia nel futuro, gli alieni che riescono ad intrufolarsi nell’ultimo accampamento umano), addirittura quel film a mio parere penoso e strappalacrime che è E.T. (la scena fatta con le pezze degli alieni e dell’astronave e veramente squallida), per poi finire con MATRIX (quante volte si vede la scena dei proiettili…)
Nel finale della storia Returner è un film che oltre ad esibire inutili effetti speciali non convince. Partendo dal presupposto che qualcuno potrebbe pensare all’uso satirico e parodico dei film americani da parte di Yamazaki, il concetto non vale dal momento che il film cerca di prendersi sul serio. La storia per quanto ridicola riesce addirittura a perdersi in sottotrame lacunose e certo non aiuta vedere un Takashi Kaneshiro spaesato che ammucca come un pesce lesso tirandosela come un vero duro.

domenica 20 marzo 2011

Dark Water

Titolo: Dark Water
Regia: Nakata Hideo
Anno: 2002
Paese: Giappone
Giudizio: 3/5

Yoshimi, giovane donna appena divorziata, si trasferisce nella sua nuova abitazione assieme alla figlia di sei anni Ikuko. Il condominio non sembra essere abitato da nessuno a parte il portinaio che non sembra accorgersi di nulla e qualche vecchietta silenziosa. Durante l’ispezione della casa che appare umida e tetra, l’agente immobiliare nasconde a Yoshimi una strana macchia d’umidità sul soffitto.
Ikuko si adatta velocemente al nuovo asilo, mentre Yoshimi è impegnata alla ricerca di un nuovo lavoro come correttrice di bozze.
Intanto in casa la strana macchia comincia a gocciolare sul pavimento e a nulla servono le bacinelle messe da Yoshimi. Così tra l’indifferenza generale del condominio e la macchia che inizia ad espandersi, evolve il mistero con la scomparsa, targata dieci anni prima, di una bambina di nome Mitsuko.
Mitsuko, una bambina piccola con i capelli scuri e uno sguardo impassibile, sembra essersela presa proprio con le due donne così, con annunci e apparizioni, comincia ad espandere la sua rabbia sotto forma d’acqua putrida.

Ci troviamo di fronte ad uno dei film horror giapponesi contemporanei meglio apprezzati dalla critica. Nell’insieme dei film horror che annoverano nella stessa serie, in cui può essere collocato un film come questo, pellicole come THE RING, JU-ON, THE GRUDGE e altri cento che forse non sono così famosi, certo non poteva mancare un elemento basilare come l’acqua a dare sfondo al tema.
Insomma niente di nuovo sul fronte orientale horror che introduce bambine con i capelli scuri, luoghi sempre inquietanti e claustrofobici, corpi in via di putrefazione, corpi che scendono dai soffitti, telefonate che arrivano con il telefono spento(mi spiace Miike).
Dark Water è un tipico esempio di thriller in cui si ha un crescendo di tensione tutto sommato convincente. L’annuncio del pericolo arriva comunque molto in fretta rispetto allo sviluppo del film creando così un processo d’ironia drammatica che aiuta lo spettatore durante tutto il primo atto in cui serve.
Le due protagoniste convincono e riescono a non annoiare in un film con ritmi molto lenti. Uno stile direi più che apprezzabile( la fotografia e le riprese nei film orientali di solito sono sempre eccellenti) un ritmo che a volte sbanda un po’ senza però uscire di tema e un finale classico.
I temi sono il rancore, la perdita di qualcuno di caro, la rabbia, l’angoscia, temi anch’essi classici e stra-adottati dal genere.

2009-Lost Memories

Titolo: 2009-Lost Memories
Regia: Lee Shi-Miung
Anno: 2002
Paese: Corea del Sud
Giudizio: 2/5

Dopo lo sgancio dell'atomica su Berlino, Stati Uniti e Giappone vincono la seconda guerra mondiale. 2009, Seul, terza città del Grande Impero dell'Estremo Oriente. Due agenti del Japanese Bureau of Investigation vengono incaricati delle indagini sul furto da parte di una organizzazione anti-governativa in una mostra archeologica.

L’opera prima di Lee Shi-Miung si riallaccia al filone sci-fi per un paese dalla densa e consistente produttività in vari generi.
In questo caso la storia a parte essere pretenziosa diventa solo un pretesto per arrivare ad approfondire tematiche più interessanti.
Memorie perdute è un film di fantascienza per la maggior parte in c.g, lungo a tratti noioso ma con alcune scene d'azione notevoli anche se poi scade in un pateticismo retorico. Questo perchè sgominato l'attentato il vero problema rimane la Inue corporation, multinazionale giapponese che controlla le menti dei suoi collaboratori da 100 anni.
Lento e lungo oltre che impacciato in alcuni punti.
Si salva una regia all'avanguardia insieme alla fotografia ma non all'interpretazione didascalica dei personaggi, caricature di loro stessi.

Deathwatch

Titolo: Deathwatch
Regia: Michael J.Basset
Anno: 2002
Paese: Gran Bretagna/Francia/Germania/Italia
Giudizio: 3/5

Prima Guerra Mondiale. La prima linea inglese sta preparando un assalto notturno alle trincee tedesche. Charlie Shakespeare, un giovane soldato, avanza terrorizzato per il campo di battaglia. I gas avanzano verso gli uomini, che cadono morti come mosche. I sopravvissuti, tra i quali Shakespeare, perdono l’orientamento. Entrano in una trincea nemica, e trovano un soldato tedesco. E’ impazzito, terrorizzato, urla a tutti di scappare prima che tutti muoiano.

Primo film del regista Michael J.Basset e già un piccolo capolavoro. Il film miscela il genere horror(anche se non è proprio così…) e il genere war-movie. Ne esce un film discontinuo nelle tematiche ma assolutamente di indubbio interesse. Il regista come si vedrà poi nel seguente film “Wilderness” è un piccolo analista. Riesce a studiare così bene i personaggi da non renderli mai spocchiosi o noiosi. Tutti hanno delle caratteristiche ben precise e tutti nascondono segreti e demoni. La cosa che più colpisce è il dettaglio con cui viene curato ogni particolare in questo film.
In questo caso credo che il budget sia simile a quello del film successivo. Il regista intanto grazie a delle location strepitose e un cast che si identifica perfettamente con i personaggi alza moltissimo il livello qualitativo della pellicola che se anche esce ogni tanto fuori dalle virgole, mantiene un distacco netto da molte stronzate-new-horror.
Il cast include Jamie Bell, Andy Serkis. Certo qui il taglio europeo si vede.
Bello il finale, con Friedrich che non si sa bene che ruolo abbia, le teorie su questo film(da non sottovalutare) non mancano e l’ultima immagine fa pensare nella teoria numero 1, ovvero…che i soldati sono morti durante l'attacco alle trincee tedesche mostrato all'inizio della pellicola, e la trincea in cui si ritrovano all'uscita dalla nebbia rappresenta una sorta di purgatorio per i peccati commessi nelle loro vite. Gli uomini che scappano o che vengono uccisi dai loro stessi compagni sono liberi di iniziare una nuova vita, mentre gli uomini uccisi o attaccati dalla trincea dovranno ripetere l'intero processo, sotto gli occhi di Friedrich che rappresenta un tipo di "giudice”

Bright Future

Titolo: Bright Future
Regia: Kyoshi Kurosawa
Anno: 2002
Paese: Giappone
Giudizio: 4/5

Yuji e Mamoru, lavorano in una lavanderia industriale e condividono lo stesso appartamento. Il taciturno Mamarou passa il tempo a contemplare nell'acquario la sua medusa rossa velenosa, mentre Yuji continua a comportarsi da eterno adolescente. Il loro datore di lavoro, un uomo dominato dalla moglie e dalla figlia, spera di rifarsi una vita frequentando i due ma presto Mamoru…..

Kiyoshi Kurosawa è attualmente uno dei registi più interessanti del panorama giapponese. E’ un autore nel senso che la cura e la maniacalità che sceglie per ogni sua opera è cosa assai nota. La sua è una filmografia varia che permette di studiare e indagare il cinema in un suo percorso che si distacca da molti altri registi, dal dramma al ghost-movie. In questo caso il film è puramente drammatico. Interamente girato in digitale e dalla durata di quasi due ore colpisce all’inizio per la monotonia con cui vengono descritti i personaggi e come vengono descritte le azioni. Entrambi sembra che aspettino qualcosa che non è chiaro neanche a loro. Giovani persi che si interrogano sul loro futuro senza costruire niente ma solo cercando riparo dietro piaceri effimeri. Da quando arriva a casa loro il datore di lavoro, un uomo frustrato completamente dominato dalla moglie e dalla figlia (basta una sola scena quella della cena per fare economia di immagini e far capire immediatamente le posizioni) e dopo la strage di Mamoru il film assume uno spessore particolare focalizzando il rapporto tra il padre del ragazzo defunto e Yuji, il coinquilino di Mamoru il quale non sa spiegare la strage dell’amico ma vuole realizzare il sogno di Mamoru: gettare nel fiume di Tokyo la medusa rossa velenosa in modo tale da adattarla all’ambiente e far sì che si riproduca.
Kurosawa analizza molto bene i personaggi. Usa uno stile lento e ipnotico che ti cattura dall’inizio alla fine del film. Almeno tre raporti vengono esaminati con una perizia assai singolare. Gli attori sono tutti molto bravi: Odagiri Joe(Yuji), Asano Tadanobu(Mamoru), Fuji Tatsuya, Ryo. Naturalmente la regia, sceneggiatura e montaggio sono curati dallo stesso Kurosawa. La fotografia è di Yamasaki Hiroshi. Il film è stato girato con un budget risicato ed è ancora una volta una dimostrazione di come con una buona sceneggiatura e dei bravi attori si possano fare miracoli.
Almeno due scene memorabili: quella dell’esodo delle meduse e gli strani vestiti con annessi e connessi usati dalla banda di teppistelli che Yuji conosce per strada.

Rabbid-Proof Fence

Titolo: Rabbid-Proof Fence
Regia: Phillip Noyce
Anno: 2002
Paese: Australia
Giudizio: 3/5

Tre ragazzine aborigene, sottratte con la forza alla loro famiglia per essere rieducate come domestiche al servizio dei bianchi, fuggono e si imbarcano in un viaggio lungo 1.500 miglia che le riporterà a casa nonostante gli svariati ostacoli...

Tratto dal libro "Barriera per conigli"di Doris Pilkington Garimara , la generazione rubata, traduzione italiana, affronta una tematica abbastanza anomala e sconosciuta degli anni '30 in Australia come la "schiavitù" degli aborigeni da parte dei coloni bianchi vista anche come pretesto per una lenta campagna di sterminio. Molti elementi rappresentano quindi una metafora su ciò che realmente è successo ed è stato reso possibile dal governo australiano e Noyce sfrutta molto bene il pretesto per sviluppare una critica efferata.
Contando che gli ultimi episodi sembrano risalire alla fine degli anni '70, emerge quindi il bisogno di denunciare da una parte mentre dall'altro la paura che nuovamente possano verificarsi episodi analoghi.
Noyce arriva probabilmente alla sua opera migliore nella sua lunga filmografia avvalendosi di attori del calibro di Kenneth Brannagh.
Non così stranamente il film sembra essere stato distribuito dalla Disney in cui per coppia di cose si arriva ad una delle scelte che meno ho apprezzato ovvero la soundtrack di Peter Gabriel.
Per il resto il film è coraggioso, ha dalla sua un mestierante e una potente fotografia che rispecchia i fantastici panorami australiani e giovani e convincenti attrici che cercano di rispecchiare al meglio i dubbi ma anche la potenza di voler vivere e di non aver paura di osare.


Bubba Ho-Tep

Titolo: Bubba Ho-Tep
Regia: Don Cosciarelli
Anno: 2002
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Elvis Presley non è morto: è vissuto in incognito per anni in una casa di riposo del Texas, ma è pronto a rientrare in azione quando, insieme ad un altrettanto redivivo John F. Kennedy, deve affrontare una malefica entità proveniente dall'Egitto...

Don Cosciarelli almeno ha fatto qualcosa di buono nella sua non proprio brillante filmografia ed è stato il fatto di aver trasposto un racconto (MASTER OF HORROR:PANICO SULLA MONTAGNA) ed un romanzo breve di Lansdale. L’unico finora. Sulla realizzazione di Bubba Ho-Tep, il romanzo breve, non c’è bisogno di soffermarsi molto visto che è una perla come non si vedono spesso con due ottimi attori ed una storia che riesce a spiazzare per la sua originalità, l’horror ma anche la satira e tutte le scene a metà tra il demenziale e il grottesco di cui il film è costellato.
Sugli interpreti è inutile dire che Bruce Campbell nei panni di Elvis è una cosa che non si può non vedere, la scena in cui passa il testimone per uscire fuori dalle scene ha una musica indimenticabile.
Anche per John "Jack" Fitzgerald Kennedy ci sarebbero da spendere due parole se non altro per la verve di Ossie Davis.
Il film è così spassoso che si potrebbero citare almeno dozzine di scene indimenticabili, come il massaggio dll’infermiera alla prostata, Elvis che cerca di mostare allo zombie le sue “temibili”arti-marziali, nel complesso uno dei combattimenti più trash della storia che vede i nostri due protagonisti che a differenza degli altri nell’ospedale, sono gli unici ad esersi accorti del mostro, cercano pur con arteriosclerosi e sedia a rotelle di rendere pan per focaccia al temuto mangiatore d’anime egizio.
Da rammentare alcune curiosità del film: nonostante Elvis Presley sia il protagonista del film, non si sente nemmeno una sua canzone. Questo perché i diritti di sfruttamento sarebbero costati circa metà dell'intero budget del film. Lo stesso discorso vale per la scena in cui Bruce Campbell guarda in tv la maratona dei “suoi” film: nessuna di quelle pellicole è con Elvis.
Almeno da menzionare il make-up dell’immenso Robert Kurtzman e le musiche di Brian Tyler.

venerdì 18 marzo 2011

Mothman Prophecies – Voci dall'ombra

Titolo: Mothman Prophecies–Voci dall'ombra
Regia: Mark Pellington.
Anno: 2002
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Basato su una storia vera, narra le vicende del giornalista del Washington Post John Klein, coinvolto suo malgrado nel mistero della cittadina di Point Plesant, in Virginia. Dopo la morte della moglie, deceduta a causa di un incidente stradale, Klein viene misteriosamente trasportato nel piccolo paese. A quel punto decide di indagare per scoprire l'identità della strana figura alata - l'uomo falena - che centinaia di persone dichiarano di aver visto e che sembra faccia presagire sventure.

The Mothman Prophecies - Voci dall'ombra è tratto dall'omonimo romanzo di John Keel, ispirato alla leggenda metropolitana dell'uomo falena. Se il libro era molto interessante sondando i misteri e le vicende che colpiscono la cittadina di Point Plesant bisogna ammettere che Pellington regista di videoclip riesce a dare un certo tono al film con un'atmosfera intrigante che non perde quasi mai e coadiuvato da delle belle musiche di Tom Hajdu e andy Milburn con il nome Tomandandy che intensificano la suspance.
Keel aveva il pregio di essere un buon narratore spiegando come da scettico sia finito in mezzo agli eventi inspiegabili ma Pellington dal canto suo non è riuscito a sintetizzare bene gli episodi del libro garantendo qualità tecniche ma deviando e non di poco dall'enfasi narrativa.
Gere stranamente riesce ad essere adeguato insieme ad un buon Will Patton.
Un film non di paura ma di atmosfera che nelle sue due ore cerca anche se con un finale attempato di rendere gloria al libro anche se come spesso capita nelle pellicole è quasi impossibile ricreare una vicenda narrativa in così poco tempo. Il fatto che la vicenda sia realmente esistita cosa d'altronde mai appurata ma frutto di finzione rimane un fatto accertato. Spesso è proprio questo il fatto che scatena la curiosità ma che appunto lascia basiti sul piano della razionalità. Il cinema più di tutti è forse il media che riesce a trarre i maggiori profitti dalla materia legata al "mistero".
La catastrofe che ha devastato la città rimane una realtà ma non del paranormale.
Dunque rimane un semaforo giallo l'esito e gli obbiettivi che il film si era prefissato sbalzando durante tutto il secondo e il terzo atto in introspezioni psicologiche di alcuni protagonisti che hanno avuto a che fare con "l'entità"falena che si presenta nelle case di rozzi bifolchi con richieste idiote(almeno queste erano le testimonianze che Keel aveva intervistato...)